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Clausola sociale “a geometria variabile”

di Domenico Irollo – Commercialista/revisore contabile/pubblicista

La cd. clausola sociale, conformemente ai principi nazionali e comunitari in materia di libertà di iniziativa imprenditoriale e di concorrenza, deve essere interpretata in modo da evitare di attribuirle un effetto automaticamente e rigidamente escludente; conseguentemente, l’obbligo di riassorbimento dei lavoratori alle dipendenze dell’appaltatore uscente nello stesso posto di lavoro e nel contesto dello stesso appalto, deve essere armonizzato e reso compatibile con l’organizzazione di impresa prescelta dall’operatore economico subentrante. A chiarirlo il Consiglio di Stato con la sentenza n. 3471/2018 in commento.

Nella fattispecie, i Giudici di Palazzo Spada hanno ribaltato il verdetto di primo grado del TAR Campania che aveva asseverato l’esclusione da una gara d’appalto per l’affidamento dei servizi di pulizie in locali ospedalieri indetta dall’AOU “Federico II” di Napoli di un Raggruppamento Temporaneo di Imprese (RTI), esclusione che ruotava intorno al preteso mancato rispetto della “clausola sociale” prevista dalla lex specialis della procedura, ed in particolare dal capitolato d’appalto, stando alla quale “la società aggiudicataria dovrà espressamente accettare l’assorbimento del personale delle Società uscenti che (…) risulti esclusivamente impiegato nel Servizio di pulizia delle strutture dell’Azienda committente” (153 unità complessive, di cui 151 unità di personale inquadrate come addetti e 2 unità di personale inquadrate come dirigenti coordinatori). Secondo il TAR partenopeo la riportata clausola sarebbe stata inequivoca nell’imporre l’assorbimento di tutte le unità di personale indicate, siccome già impiegate dal gestore uscente unicamente per il servizio di pulizia delle strutture della stessa Stazione Appaltante, sicché si appalesava come inconferente la tesi del prevenuto che invece aveva nella sua offerta previsto il reclutamento dei “soli” 151 addetti sull’assunto che l’obbligo di riassorbimento sarebbe stato limitato, fra tutto il personale utilizzato per l’appalto, a quello “esclusivamente impiegato nel Servizio di pulizia”. Ne conseguiva, sempre ad avviso del Collegio di prime cure, che la doglianza del RTI volta a censurare la legittimità di siffatta clausola – in tesi, chiaramente formulata nel senso appunto di imporre l’assorbimento di tutto il personale dell’operatore uscente ivi compresi i 2 dirigenti coordinatori – avrebbe dovuto essere proposta impugnando immediatamente il bando di gara trattandosi di clausola cd. escludente (in quanto recante condizioni negoziali che configuravano il rapporto contrattuale in termini di eccessiva onerosità e obiettiva non convenienza), dovendosi in caso contrario considerarla (la doglianza) tardiva, come appunto si era verificato nel caso di specie nel quale il ricorrente aveva contestato la validità di detta clausola solo all’esito della propria esclusione dalla procedura.

Un ragionamento che non è stato però condiviso dai Giudici d’appello che ha così annullato la gara: il CdS ha in primo luogo negato che la doglianza fosse intempestiva in quanto la clausola controversa non è ascrivibile fra quelle cd. “escludenti” (per un approfondimento sul tema si rinvia ai seguenti commenti dello scrivente: Il bando antieconomico va contestato subito e La Plenaria delude le attese: ribadito il no alla giustiziabilità immediata delle clausole “non escludenti”), limitandosi essa peraltro a porre un obbligo (l’impegno alla riassunzione di tutti i 153 lavoratori) che non si prestava affatto ad una interpretazione univoca, essendo comunque di limitato impatto economico, rispetto all’altra possibile interpretazione della clausola stessa (riassunzione “solo” di 151 lavoratori), discendendone pertanto la teorica possibilità, per la società appellante, di scegliere l’una o l’altra possibile interpretazione, e conseguendone quindi la posticipazione del momento lesivo all’effettiva esclusione, disposta dalla stazione appaltante solo a seguito dell’opzione infine esercitata, dall’impresa, nell’ambito della sua autonomia organizzativa e decisionale.

Nel merito poi, ad avviso del Supremo Consesso, tale ultima esegesi – che nega la sussistenza di un indiscriminato e generalizzato dovere di assorbimento di tutto il personale utilizzato dall’impresa uscente – era la sola compatibile con le previsioni comunitarie e costituzionali.

Giova al riguardo ricordare che la giurisprudenza amministrativa è costante nel senso di affermare che la cd. clausola sociale (ora codificata nell’art. 50 del vigente Codice dei contratti pubblici di cui al D.Lgs. n. 50 del 2016, come novellato dal D.Lgs. n. 56 del 2017, in esito al quale essa è stata resa obbligatoria per gli affidamenti di contratti di concessione e per gli appalti di lavori e di servizi di rilevanza comunitaria) deve essere interpretata conformemente ai principi nazionali e comunitari in materia di libertà di iniziativa imprenditoriale e di concorrenza, risultando altrimenti essa lesiva della concorrenza, scoraggiando la partecipazione alla gara e limitando ultroneamente la platea dei partecipanti, nonché atta a ledere la libertà d’impresa, riconosciuta e garantita dall’art. 41 Cost., che sta a fondamento dell’autogoverno dei fattori di produzione e dell’autonomia di gestione propria dell’archetipo del contratto di appalto. Corollario obbligato di questa premessa è che tale clausola deve essere interpretata in modo da non limitare la libertà di iniziativa economica (cfr. la pronuncia del Cons. di Stato, Sez. III, 5 maggio 2017, n. 2078). Quindi, secondo questo indirizzo la clausola sociale funge da strumento per favorire la continuità e la stabilità occupazionale dei lavoratori, ma nel contempo non può esser tale da comprimere le esigenze organizzative dell’impresa subentrante, che ritenga di potere ragionevolmente svolgere il servizio utilizzando una minore componente di lavoro rispetto al precedente gestore e, dunque, ottenendo in questo modo economie di costi da valorizzare a fini competitivi nella procedura di affidamento (cfr. i verdetti del Cons. di Stato, Sez. V, 7 giugno 2016, n. 2433Cons. di Stato, Sez. III, 30 marzo 2016, n. 1255Cons. di Stato, 9 dicembre 2015, n. 5598Cons. di Stato, 5 aprile 2013, n. 1896Cons. di Stato, Sez. V, 25 gennaio 2016, n. 242; Cons. di Stato, Sez. VI, 27 novembre 2014, n. 5890).

Proprio nell’ottica del contemperamento di tali opposte esigenze (la libertà di impresa e la necessità di conservare il posto di lavoro ai dipendenti del gestore uscente) oltre alla possibilità di distrarre un lavoratore, assunto in virtù della clausola sociale, in altra commessa, la giurisprudenza (cfr. la sentenza n. 2078/2017, cit.) ha avuto pure modo di affermare che i lavoratori, che non trovano spazio nell’organigramma dell’appaltatore subentrante e che non vengano ulteriormente impiegati dall’appaltatore uscente in altri settori, sono destinatari delle misure legislative in materia di ammortizzatori sociali; la clausola non comporta invece alcun obbligo per l’impresa aggiudicataria di un appalto pubblico di assumere a tempo indeterminato ed in forma automatica e generalizzata il personale già utilizzato dalla precedente impresa o società affidataria (cfr. la pronuncia n. 1255/2016, cit.).

Cons. di Stato, Sez. III, 8 giugno 2018, n. 3471

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