25/06/2018 – Gli appalti italiani ad imprese italiane? I danni del governare secondo le logiche dell’assessore di campagna

Gli appalti italiani ad imprese italiane? I danni del governare secondo le logiche dell’assessore di campagna

 

E’ da anni che in Italia si vantano le capacità del cosiddetto “partito dei sindaci”. Che, per altro, nella scorsa legislatura ha visto moltissimi propri rappresentanti governare, con i risultati piuttosto mediocri sotto gli occhi di tutti.

Renzi era stato presidente di provincia e sindaco; Delrio, che ha varato una disastrosa riforma delle province, ex sindaco e presidente dell’Anci; per poco tempo, l’ex sindaco di Monasterace, Carmela Lanzetta, è stata Ministro degli affari regionali, senza lasciare troppe tracce; un ex dirigente dell’Anci, Angelo Rughetti, è stato Sottosegretario alle riforme; per breve tempo un direttore generale di alcuni comuni è stato dirigente di vertice di alcuni Ministeri; una parte non insignificante di dirigenti dell’Anci è stata traghettata in posti dirigenziali del Governo; l’ex capo dei vigili urbani del Comune di Firenze è stata al vertice del Dipartimento degli affari legislativi a Palazzo Chigi.

A giudicare dai fatti, non sembra che il “partito dei sindaci” sia stato in grado di governare ed amministrare con quella visione ampia, quella consapevolezza, quella confidenza con materie molto più grandi e più incidenti su società, vita, economia, esteri, lavoro, istruzione, che richiedono posti di governo non limitati dalle mura cittadine e che presuppongono un cursus honorum costante, paziente, lento e necessario per formare queste qualità.

Il nuovo Governo pare intenzionato a continuare su questa strada. Non perchè abbia reclutato molti tra i propri componenti ancora una volta da ex amministratori locali, ma soprattutto perchè la logica operativa pare essere proprio quella dell’assessore di campagna, tanta, tantissima buona volontà, ma poca conoscenza dell’assetto giuridico ed ordinamentale, un vulcano di idee, molte delle quali bislacche o totalmente illegittime, che il segretario comunale, con tantissima pazienza, deve contenere, per spiegargli che le “ideone” proposte sono del tutto inapplicabili.

Un esempio classico è quello degli appalti. Da sempre, l’archetipo dell’assessore pretenderebbe che a vincere gli appalti fosse una ditta “del luogo”, perchè in questo modo “si dà lavoro ai cittadini”.

La logica proposta dal Vice premier DiMaio, quella cioè che lo Stato per i propri appalti deve dare precedenza alle imprese italiane, è esattamente la stessa. Tanta buona volontà, tanto fervore, però non accompagnati da quel bagaglio di conoscenze, esperienze, capacità di ascolto e cultura amministrativa che si dovrebbero pretendere da parte di chi svolga così importanti funzioni.

Prima ancora delle regole del Trattato Ue che, disponendo la libera circolazione del capitale, dell’impresa e del lavoro, rendono evidente come l’dea della riserva degli appalti dello Stato italiano siano da riservare preferibilmente alle imprese italiane, un banalissimo esame del “diritto vivente”, scritto dalla giurisprudenza, sarebbe più che sufficiente a far capire l’impercorribilità di questa idea. Sentenze di ogni giurisdizione, grado e nazionalità, ve ne sono a migliaia, perchè negli anni sempre qualche assessore di campagna, o sindaco, o consigliere, o presidente della regione, ha provato, non solo in Italia, a disporre regole operative (spesso con i bandi di gara, talvolta con leggi regionali che la Corte costituzionale ha regolarmente bocciato) ispirate a garantire lavoro alle imprese “del territorio”.

Un minimo di conoscenza, poi, dell’organizzazione delle imprese farebbe capire che si tratta di una questione senza senso. La gran parte delle imprese si avvale di subappalti ad imprese appunto del luogo in cui si svolgono i lavori: non è molto semplice per l’azienda che ha sede a Tallinn di portarsi con sè i lavoratori dall’Estonia. Costerebbe un po’ tanto, no?

Anche la semplice lettura di rudimenti d’economia sarebbe più che bastevole a far comprendere che la chiusura dei confini alle imprese produrrebbe minor lavoro, minore produttività, danni economici notevoli. Nella storia, esempi di economie chiuse vi sono stati: l’età “cortense” del Medio Evo, nella quale la comunità rurale produceva per i limitati fabbisogni propri e del feudatario, signore del territorio, che incastellato nella fortezza assicurava la difesa, e concedeva al contado di coltivare su campi propri. Non un gran modello di evoluzione economica.

Non sarebbe male, allora, se si comprendesse una buona volta che il Governo di un Paese non può essere frutto di idee da assessore di campagna o da bar. Occorre quell’insieme di cognizioni e competenze tali da far vedere un qualsiasi problema sotto i moltissimi aspetti che lo concernono, a partire dalla storia, per passare dall’economia, dal diritto, dalla giurisprudenza, dal dialogo con imprenditori e cittadini e tecnici.

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