20/12/2018 – La diversità di effetti in materia di dichiarazioni mendaci nelle domande di concorso

La diversità di effetti in materia di dichiarazioni mendaci nelle domande di concorso

di Marcello Lupoli – Dirigente P.A.

In materia di dichiarazioni mendaci presenti nelle domande di concorso va operata una distinzione tra il caso in cui la dichiarazione non veritiera sia diretta a far conseguire, quale beneficio primario, l’ammissione al concorso, rispetto a quella in cui sia volta soltanto all’assegnazione di un maggior punteggio; in quest’ultima fattispecie, acclarata la mendacità della dichiarazione al riguardo, la decadenza dai benefici eventualmente conseguenti al provvedimento emanato sulla base della dichiarazione non veritiera può essere solo quella della privazione del punteggio stesso, con la conseguente rivisitazione della posizione in graduatoria.

E’ questo, in sintesi, il portato della sentenza 24 novembre 2018, n. 11391 resa dalla Sezione I bis del T.A.R. Lazio, Roma.

I giudici amministrativi capitolini sono stati chiamati a conoscere una controversia avente ad oggetto la procedura di ferma prefissata finalizzata al reclutamento di personale militare.

In particolare, il ricorrente ha censurato l’esclusione dalla procedura di reclutamento, lamentando plurimi motivi di illegittimità della decadenza operata dall’amministrazione militare, disposta alla stregua della considerazione che, a seguito di verifiche, era emerso che l’interessato aveva prodotto una dichiarazione mendace in merito al giudizio del diploma di istruzione secondaria di primo grado, con conseguente vulnus di un requisito contemplato dal bando di reclutamento.

La principale doglianza avanzata dal ricorrente si fonda sulla circostanza di essersi trattato di un errore di digitazione nella compilazione della domanda, posto che il sistema on-line non consentiva di inserire liberamente la votazione conseguita, nonché sul rilievo che, comunque, risultava in possesso del titolo di studio dichiarato con votazione idonea al superamento della selezione, di guisa che l’eventuale dichiarazione mendace non riguardava un requisito di accesso, ma un mero criterio valutativo.

Le censure dedotte sono state ritenute degne di accoglimento da parte dei giudici amministrativi romani alla stregua di un orientamento giurisprudenziale consolidato, del quale la sentenza in disamina ripercorre le fasi evolutive.

Ed invero, la quaestio che ne occupa è stata oggetto di un primo orientamento giurisprudenziale per così dire restrittivo, nel senso di ritenere che la dichiarazione nella domanda di partecipazione al concorso di avere riportato un giudizio diverso e superiore rispetto a quello realmente conseguito all’esito del corso di istruzione secondaria di primo grado costituisce una “dichiarazione mendace”, in quanto consiste nella rappresentazione di “un elemento di giudizio utile ai fini della valutazione non corrispondente alla realtà” e può essere presa in considerazione al fine di valutare “il requisito circa il possesso delle qualità morali e di condotta incensurabili” richiesto per l’accesso alle Amministrazioni che esercitano competenze istituzionali in materia di difesa e sicurezza dello Stato (che quindi sono “tenute a compiere un rigoroso apprezzamento del requisito in esame”) (in tal senso, cfr. T.A.R. Lazio Sez. I bis, n. 4978 del 2012 e n. 3171 del 2015).

Ad avviso di tale primo orientamento anche l’eventualità che il ricorrente possa essere caduto in errore non è stata ritenuta come scriminante nel procedimento concorsuale, potendo “tutt’al più, attenuare il grado di responsabilità soggettiva sul piano della rilevanza penale, giammai esonerare il suo autore dalle conseguenze del proprio atto ai fini amministrativi, vale a dire nel rapporto con la pubblica amministrazione, improntato a canoni di lealtà, specie quando la dichiarazione viene resa nell’ambito di procedure selettive rette dal principio della par condicio competitorum” (cfr., cit. T.A.R. Lazio Sez. I bis, n. 4978 del 2012).

Una rivisitazione di tale approdo giurisprudenziale è stata operata dal Consiglio di Stato, che ha dato la stura ad un orientamento successivamente consolidatosi.

Ed infatti, i giudici di Palazzo Spada (Sez. IV, n. 5762 del 2012) hanno operato una fondamentale distinzione tra l’ipotesi in cui la dichiarazione non veritiera fosse mirata a far conseguire, quale beneficio primario, l’ammissione al concorso, rispetto a quella in cui era volta soltanto all’assegnazione di un maggior punteggio; in questa ultima ipotesi, “una volta acclarata la mendacità della dichiarazione al riguardo, la decadenza dai benefici eventualmente conseguenti al provvedimento emanato sulla base della dichiarazione non veritiera poteva essere solo quella della privazione del punteggio stesso con il conseguente ridimensionamento della posizione in graduatoria”.

Affermato il suddetto distinguo da parte dei giudici di Piazza Capo di Ferro, i giudici amministrativi di prime cure hanno operato un revirement del precedente orientamento.

Ed invero, è stata ritenuta illegittima (cfr., T.A.R. Lazio, Sez. I bis, n. 9171 del 2014) l’esclusione dalla procedura di reclutamento per aver reso una dichiarazione mendace consistita nell’aver dichiarato di aver riportato il giudizio di “ottimo” anziché “distinto” a mezzo di un modulo elettronico di domanda, predisposto dall’Amministrazione, che prevedeva la compilazione automatica di alcuni campi (tra cui quello relativo al voto del diploma mediante la scelta, da un menù a tendina, del voto numerico al quale conseguiva l’attribuzione automatica, da parte del programma, del giudizio corrispondente) il cui il ricorrente aveva indicato il voto effettivamente conseguito (9/10) nel relativo campo (per cui era imputabile solo a difetto nel programma ministeriale l’automatica equivalenza di tale voto con il giudizio errato di “ottimo” anziché di “distinto”); ciò avrebbe dovuto indurre la PA, rilevata tale incongruenza, a disporre un supplemento di istruttoria.

Sulla scia del rivisitato orientamento giurisprudenziale la sentenza in disamina ritiene che la dichiarazione erronea resa dal ricorrente con riguardo alla votazione del diploma di istruzione secondaria di primo grado debba configurarsi quale mero errore del candidato con la conseguente esclusione dell’assegnazione del punteggio inerente al titolo contestato. Tanto, in forza della considerazione che “la dichiarazione resa dal ricorrente ha comportato esclusivamente il conseguimento di un maggior punteggio ma non ha influito sull’ammissione al reclutamento: la decurtazione del punteggio addizionale derivante dal predetto errore ha collocato l’odierno esponente comunque tra i vincitori del concorso”.

Orbene – rileva la pronuncia de qua – l'”erronea dichiarazione resa dal candidato è stata irrilevante ai fini del superamento del concorso e non ha comportato “un indebito beneficio”: tale indicazione avrebbe dovuto comportare la rivalutazione della posizione del ricorrente, ai fini di un corretto posizionamento in graduatoria – in relazione all’effettivo punteggio spettante, in base ai titoli effettivamente posseduti, con esclusione, quindi, soltanto di quello contestato – ma non la decadenza dalla ferma prefissata”, con l’effetto che “non è stato il punteggio addizionale derivante dal predetto errore ad aver consentito al ricorrente di essere classificato in posizione utile ai fini della prestazione del servizio in ferma prefissata di un anno”.

In nuce, in forza delle argomentazioni che precedono, la sentenza che ne occupa ritiene fondate le doglianze avanzate dalla parte ricorrente, “non potendosi considerare mendace l’indicazione fatta in buona fede nella domanda di partecipazione, ma semplicemente erronea, con la conseguenza che la sua erroneità avrebbe dovuto comportare la sola sottrazione del punteggio relativo al titolo originariamente riconosciuto e il riposizionamento dell’interessato in graduatoria”.

T.A.R. Lazio, Roma, Sez. I bis, 24 novembre 2018, n. 11391

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