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Sbloccato il salario accessorio

Fuori dal tetto 2016 gli aumenti disposti dal contratto

di Luigi Oliveri

Si sbloccano i fondi del salario accessorio. Il decreto legge semplificazioni, approvato mercoledì scorso dal consiglio dei ministri, contiene l’interpretazione autentica della riforma Madia che ha causato fin qui molte incertezze sulle modalità di costituzione dei fondi.

L’articolo 10 del decreto legge riprende i contenuti già inizialmente inseriti nel disegno di legge concretezza e da lì stralciati, data l’urgenza di consentire alle amministrazioni dei comparti diversi dalle Funzioni centrali di costituire i fondi per il salario accessorio in modo da non aver sorprese.

Il decreto stabilisce che il limite di cui all’articolo 23, comma 2, del decreto legislativo 25 maggio 2017, n. 75, cioè la spesa complessiva, non sarà operante in due casi. In primo luogo per gli «incrementi previsti, successivamente alla data di entrata in vigore del medesimo decreto n. 75 del 2017, dai contratti collettivi nazionali di lavoro, a valere sulle disponibilità finanziarie di cui all’articolo 48 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e dagli analoghi provvedimenti negoziali riguardanti il personale contrattualizzato in regime di diritto pubblico». In secondo luogo, per le «risorse previste da specifiche disposizioni normative a copertura del trattamento economico accessorio per le assunzioni effettuate, in deroga alle facoltà assunzionali vigenti, successivamente all’entrata in vigore del citato articolo 23»: si tratta delle stabilizzazioni. La norma è un’interpretazione autentica della riforma Madia, perché la legge non poteva ovviamente disporre l’interpretazione autentica dei contratti collettivi. Ma, le conseguenze, sono sostanzialmente l’inapplicabilità dell’articolo 23, comma 2, del dlgs 75/2017: infatti, tale norma era stata pensata per porre un tetto al salario accessorio derivante dai contratti collettivi successivi. Affermare che non vale per gli incrementi previsti appunto dai contratti collettivi susseguenti alla sua entrata in vigore significa, in sostanza, privarla di valore.

La ricaduta è che le norme dei Ccnl che avevano richiamato l’articolo 23, comma 2, del dlgs 75/2017 per far soggiacere l’ammontare del salario accessorio al tetto del 2016 perdono qualsiasi effetto.

È l’esempio dell’articolo 67, comma 7, del Ccnl del comparto Funzioni locali, il quale ha previsto che «la quantificazione del Fondo delle risorse decentrate e di quelle destinate agli incarichi di posizione organizzativa, di cui all’art. 15, comma 5, deve comunque avvenire, complessivamente, nel rispetto dell’art. 23, comma 2 del dlgs n. 75/2017».

L’interpretazione autentica consente, dunque, di non considerare nel tetto del 2016 tutti gli incrementi determinati dal Ccnl. Non solo, quindi, il maggior costo delle progressioni orizzontali già acquisite e l’indennità da 83,20 che scatterà a partire dall’1.1.2019, come già sancito dalla Corte dei conti, sezione autonomie con delibera 19/2018, ma qualsiasi incremento riconnesso agli aumenti dello stipendio tabellare (ad esempio, indennità di turno, salario festivo e notturno, straordinari).

Il chiarimento normativo giunge in extremis, appena 19 giorni prima del 31 dicembre, termine ultimo per sottoscrivere senza patemi i contratti decentrati, a conclusione di una vicenda inopportunamente innescata da clausole della contrattazione collettiva eccessivamente rigoristiche e in contraddizione con la prassi da sempre esistente, secondo cui mai gli incrementi previsti dalla contrattazione nazionale e, quindi finanziati dai bilanci degli enti, possano computarsi nei tetti ai fondi, perché così facendo si porrebbero a carico di questi parte degli oneri che invece sono appunto da accollare ai bilanci.

Gli enti che avessero costituito i fondi in modo restrittivo, avranno l’opportunità di revisionarli, mentre per gli altri nel pochissimo tempo a disposizione rimasto si fa finalmente chiarezza su un punto particolarmente delicato della contrattazione.

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