13/12/2018 – Sulla facoltà di non aggiudicare una gara pubblica

Sulla facoltà di non aggiudicare una gara pubblica

di Giuseppe Cassano – Direttore del Dipartimento di Scienze Giuridiche della European School Of Economics

Intervenuto in materia di gare pubbliche (per la riforma della sentenza del T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II-ter, n. 11533 del 2017) l’adito Consiglio di Stato si sofferma sulla corretta interpretazione dell’art. 95, comma 12, D.Lgs. n. 50 del 2016 secondo cui «Le stazioni appaltanti possono decidere di non procedere all’aggiudicazione se nessuna offerta risulti conveniente o idonea in relazione all’oggetto del contratto. Tale facoltà è indicata espressamente nel bando di gara o nella lettera di invito» (già in tal senso si esprimeva l’art. 81, comma 3, dell’abrogato D.Lgs. n. 163 del 2006 secondo cui «Le stazioni appaltanti possono decidere di non procedere all’aggiudicazione se nessuna offerta risulti conveniente o idonea in relazione all’oggetto del contratto»).

La disposizione in esame (art. 95) attribuisce alla stazione appaltante (e non quindi alla commissione giudicatrice) la facoltà di non aggiudicare la gara se nessuna offerta venga ritenuta, a giudizio discrezionale dell’amministrazione, «conveniente o idonea», sempreché tale facoltà sia indicata espressamente nel bando di gara, o nella lettera d’invito.

Per quanto poi il nuovo Codice degli appalti del 2016 non abbia riprodotto l’art. 55, comma 4, del precedente Codice del 2006 (secondo cui, espressamente: «Il bando di gara può prevedere che non si procederà ad aggiudicazione nel caso di una sola offerta valida, ovvero nel caso di due sole offerte valide, che non verranno aperte. Quando il bando non contiene tale previsione, resta comunque ferma la disciplina di cui all’art. 81 comma 3.»), tuttavia – afferma il Consiglio di Stato nella sentenza in esame – non vi sono ostacoli ontologici all’applicazione dell’art. 95, comma 12, anche in caso di unica offerta.

Da parte sua, la Corte Giust. UE, 11 dicembre 2014, n. 440-13, intervenuta sul tema in esame, ha affermato il seguente principio di diritto: «Gli artt. 41, par. 1, 43 e 45 della direttiva n. 2004/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi, devono essere interpretati nel senso che, qualora i presupposti per l’applicazione delle cause di esclusione previste dal medesimo articolo 45 non siano soddisfatti, detto articolo non osta a che l’amministrazione aggiudicatrice decida di rinunciare ad aggiudicare un appalto pubblico per il quale si sia tenuta una gara e di non procedere all’aggiudicazione definitiva di tale appalto al solo concorrente che sia rimasto in gara e sia stato dichiarato aggiudicatario in via provvisoria».

Si legge ancora in detta pronuncia: «31 A tal riguardo, si deve ricordare la giurisprudenza della Corte secondo cui l’art. 8, par. 2, direttiva n. 93/37/CEE del Consiglio, del 14 giugno 1993, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori (GU L 199, pag. 54), disposizione analoga a quella dell’art. 41, par. 1, della direttiva n. 2004/18/CE, non prevede che la rinuncia all’aggiudicazione di un appalto da parte dell’amministrazione aggiudicatrice sia limitata a casi eccezionali o debba necessariamente essere fondata su motivi gravi (sentenza Fracasso e Leitschutz, C-27/98, EU:C:1999:420, punti 23 e 25).

32 Analogamente, la Corte ha rilevato che l’art. 12, par. 2, direttiva n. 92/50/CEE del Consiglio, del 18 giugno 1992, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di servizi (GU L 209, pag. 1), disposizione anch’essa analoga a quella di cui all’art. 41, par. 1, della direttiva n. 2004/18/CE, pur imponendo all’amministrazione aggiudicatrice, qualora decida di revocare il bando di gara relativo ad un appalto pubblico, di comunicare ai candidati e agli offerenti i motivi della sua decisione, non comporta, per la medesima autorità aggiudicatrice, l’obbligo di portare a termine la procedura di aggiudicazione (v. sentenza HI, C-92/00, EU:C:2002:379, punto 41).

33 La Corte si è tuttavia premurata di rilevare che l’obbligo di comunicazione dei motivi su cui si basa la decisione di revoca di un bando di gara è dettato precisamente dalla volontà di garantire un livello minimo di trasparenza nelle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici ai quali si applicano le norme del diritto dell’Unione e, di conseguenza, il rispetto del principio della parità di trattamento, che costituisce la base di tali norme (v., in tal senso, sentenza HI, EU:C:2002:379, punti 45 e 46 nonché la giurisprudenza ivi citata).

34 La Corte ha altresì dichiarato che l’art. 1, par. 1, della direttiva n. 89/665 impone che la decisione dell’amministrazione aggiudicatrice di revocare il bando di gara per un appalto pubblico possa costituire oggetto di ricorso ed essere eventualmente annullata in quanto contraria al diritto dell’Unione in materia di appalti pubblici o alle norme nazionali che recepiscono tale diritto. Inoltre, la Corte ha considerato che, anche nel caso in cui le autorità aggiudicatrici godano, in forza della normativa nazionale applicabile, di un’ampia discrezionalità per quanto concerne la revoca del bando di gara, le giurisdizioni nazionali devono poter verificare, ai sensi della direttiva n. 89/665, la compatibilità di una decisione di revoca con le norme del diritto dell’Unione pertinenti (v. sentenza HI, EU:C:2002:379, punti 55 e 62)».

Alla facoltà di non aggiudicare è sottesa un’immanente valutazione dell’interesse pubblico attuale da parte del committente che prescinde dall’esistenza di vizi di legittimità.

Ha osservato in merito Cons. di Stato, Sez. IV, 31 maggio 2007, n. 2838: «in materia di contratti della pubblica amministrazione, il potere di non aggiudicare ben può trovare fondamento, in via generale, in specifiche ragioni di pubblico interesse (Cons. di Stato, Sez. V, 25 novembre 1999, n. 1986). Inoltre, va ribadito che l’eccessiva onerosità del prezzo indicato nell’offerta dell’impresa costituisce grave motivo di pubblico interesse e giustifica, pertanto, il diniego di approvazione dell’aggiudicazione (…)».

Si veda anche Cons. di Stato, Sez. IV, 26 maggio 2003, n. 2823 secondo cui: «il principio secondo il quale nei contratti della Pubblica amministrazione l’aggiudicazione, in quanto atto conclusivo del procedimento di individuazione del contraente, segna di norma il momento dell’incontro della volontà della P.A. di concludere il contratto e della volontà del privato manifestata con l’offerta accertata come migliore e da tale momento sorge il diritto soggettivo dell’aggiudicatario nei confronti della stessa Pubblica amministrazione, non esclude la possibilità per quest’ultima di procedere, con atto successivo, purché adeguatamente motivato con richiamo ad un preciso e concreto interesse pubblico, alla revoca d’ufficio ovvero alla non approvazione del relativo verbale (cfr. fra le recenti VI Sez. 14 gennaio 2000 n. 244)».

In T.A.R. Veneto, Venezia, Sez. I, 26 maggio 2017, n. 515 si è osservato: «per consolidato insegnamento giurisprudenziale, anche in presenza di una clausola del bando di gara con cui la stazione appaltante si sia riservata la facoltà di non aggiudicare l’appalto, l’esercizio di tale potere di autotutela, incontra un limite nel rispetto dei principi di buona fede e correttezza e nella tutela dell’affidamento ingenerato, cui consegue uno stringente obbligo motivazionale in ordine alle concrete ragioni della decisione negativa (cfr. Cons. di Stato, Sez. V, 7 giugno 2013, n. 3125). Peraltro, anche nel nuovo assetto dettato dal D.Lgs. n. 50 del 2016, il comma 12 dell’art. 95, riprendendo il disposto dell’art. 81, comma 3, D.Lgs. n. 163 del 2006, attribuisce alla stazione appaltante il potere discrezionale di non aggiudicare l’appalto se all’esito della procedura di valutazione nessuna delle proposte “risulti conveniente o idonea in relazione all’oggetto del contratto”».

Conclude il suo argomentare l’adito Collegio di Palazzo Spada precisando come il provvedimento di non aggiudicazione deve essere adottato dalla stazione appaltante come atto conclusivo della procedura e di esso va data notizia ai sensi dell’art. 76, comma 5, lett. c), D.Lgs. n. 50 del 2016.

Cons. di Stato, Sez. IV, 27 novembre 2018, n. 6725

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