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Il dipendente non ha diritto al rimborso delle spese legali se si avvale di un legale diverso da quello scelto dall’ente

di Federico Gavioli – Dottore commercialista, revisore legale e giornalista pubblicista

La Corte di Cassazione con la sentenza n. 31324, del 4 dicembre 2018, nel rigettare il ricorso degli eredi di un dipendente nei confronti del Comune da cui dipendeva, ha confermato la sentenza dei giudici del merito; l’ente datore di lavoro, nel caso in esame un Comune siciliano, “non è tenuto a rimborsare le spese legali sostenute dal dipendente per la difesa del processo penale per addebiti relativi all’attività svolta se non ha condiviso la scelta del legale” con l’ente di appartenenza.

Il contenzioso

La Corte d’ Appello di Catania, confermando la sentenza del Tribunale ha rigettato la domanda di un dirigente di un Comune siciliano con la quale aveva chiesto la riforma della sentenza di primo grado che, accogliendo l’opposizione al decreto ingiuntivo dell’Amministrazione, aveva negato il rimborso delle spese legali sostenute per il giudizio penale, concluso con l’estinzione per prescrizione dei reati omissivi contravvenzionali contestati (nella specie si trattava della violazione della normativa in tema di adozione di misure di sicurezza relative all’impianto elettrico di una scuola).

Nel negare il diritto al rimborso delle spese legali, la Corte territoriale aveva rigettato la tesi da questi prospettata in ordine all’inammissibilità dell’opposizione al decreto ingiuntivo; nel merito ha accertato che il dipendente aveva omesso di comunicare all’Amministrazione iI procedimento penale a suo carico e non aveva coinvolto in alcun modo l’ente nella scelta del difensore, con riferimento al giudizio instaurato per i fatti connessi all’espletamento del proprio incarico, in ottemperanza a quanto prescritto dall’art. 28, del CCNL 14 settembre 2000, applicabile al personale del comparto Regioni- Autonomie locali.

Avverso la sentenza sfavorevole l’erede del dirigente, nel frattempo deceduto, è ricorso in Cassazione.

Orientamenti della Corte dei Conti

Le spese legali sostenute dai dipendenti comunali per procedimenti che sono relativi alle attività di ufficio continuano ad essere al centro dell’attenzione della magistratura contabile; sull’argomento , in particolare, si segnalano due pareri della Corte dei Conti, Sez. regionale per il Veneto, n. 184 del 12 marzo 2012 e n. 245 del 5 aprile 2012.

Vediamo di focalizzare l’attenzione su alcuni punti di interesse contenuti nelle due delibere.

Nel parere n. 245 del 2012 il sindaco di un Comune veneto ha posto alcuni quesiti in ordine alla questione del rimborso delle spese legali sostenute da dipendenti comunali nell’ambito di procedimenti giudiziali instaurati per fatti connessi all’esercizio delle proprie funzioni.

In particolare il Sindaco chiedeva quale comportamento adottare sull’ammissibilità del c.d. “rimborso a posteriori” delle spese legali; in pratica, veniva chiesto ai giudici contabili se potesse darsi luogo ad un rimborso postumo quando il dipendente, imputato in un processo penale , nel quale il Comune si era costituito parte civile, aveva ottenuto una sentenza di assoluzione; nel caso in esame però il dipendente aveva omesso di sottoporre la scelta del difensore al gradimento dell’ente di appartenenza, per la sussistenza di un conflitto di interessi al momento del giudizio.

I giudici contabili veneti evidenziano di aver già avuto modo di esprimersi sull’argomento ; alla luce di una consolidata giurisprudenza amministrativa, l’ente è tenuto a rimborsare le spese legali effettivamente sostenute dal dipendente nel giudizio poiché il principio del diritto alla difesa non può subire alcuna limitazione , sempre a condizione che il giudizio si sia concluso con una sentenza favorevole all’amministratore locale ; il diritto al rimborso delle spese sostenute in un giudizio penale non può essere escluso dalla circostanza che il Comune non abbia previamente espresso il proprio assenso nella scelta del difensore da parte dell’interessato. Va ricordato, tuttavia, che la Corte dei Conti ha, in passato, chiarito che incidendo negativamente tale spesa sul bilancio dell’ente locale, quest’ultimo, nel determinare il quantum del rimborso, dovrà osservare i necessari criteri di ragionevolezza, congruenza ed adeguatezza, in relazione all’importanza dell’attività svolta, ed anche alla luce delle valutazioni da effettuarsi a cura dell’ordine degli avvocati e dei procuratori.

Anche il precedente parere della Corte dei Conti n. 184 del 12 marzo 2012 focalizza l’attenzione su alcuni aspetti che si evidenziano. In particolare il Sindaco di un Comune in provincia di Vicenza chiedeva se era possibile il rimborso ex post degli oneri di difesa sostenuti in proprio dal dirigente dell’Ufficio Tecnico comunale imputato in un procedimento penale conclusosi con sentenza passata in giudicato di proscioglimento del dipendente stesso con la formula “perché il fatto non sussiste”, e soprattutto se nel concetto di “spese legali” potevano rientrare, oltre agli oneri di difesa in senso stretto, anche le spese per consulenze specialistiche sostenute nell’ambito del procedimento penale, comprensive degli interessi e rivalutazione monetaria.

I giudici contabili veneti evidenziano come, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, il rimborso delle spese sostenute da amministratori e dipendenti di enti locali per la difesa nell’ambito di un giudizio penale, escluso ogni automatismo nell’accollo delle spese legali da parte dell’ente, deve risultare, ai fini di una trasparente, efficace ed efficiente amministrazione delle risorse economiche pubbliche , rigorosamente subordinato ai seguenti presupposti:

a) assenza di dolo e colpa grave in capo al dipendente sottoposto a giudizio;

b) che si debba trattare di giudizio per atti o fatti strettamente connessi all’espletamento di attività istituzionale, cioè riconducibili al rapporto di servizio; la stretta connessione tra il contenzioso e la carica o l’ufficio rivestiti, richiede cioè che gli atti o i fatti oggetto di giudizio siano stati posti in essere nell’espletamento del servizio (ovvero a causa di questo) e risultino, quindi, imputabili direttamente all’amministrazione-soggetto nell’esercizio della sua attività istituzionale;

c) assenza di conflitti d’interesse tra il dipendente e l’ente di appartenenza;

d) che, in caso di proscioglimento con formule diverse da quelle escludenti la materialità dei fatti (il fatto non sussiste, l’imputato non lo ha commesso), non debba sussistere in concreto alcun conflitto di interessi con l’Ente;

e) che, ove richiesto “ex post”, cioè agli esiti dei giudizi stessi, la spesa debba essere rispondente a parametri di obiettiva congruità.

Per i giudici contabili le considerazioni circa la ratio della previsione normativa, volta a tenere indenne il dipendente ingiustamente sottoposto a giudizio per fatti commessi nell’adempimento dei doveri di servizio, consentono di fornire le coordinate interpretative utili all’Ente richiedente, nella sua autonomia e nel compimento di scelte discrezionali che solo ad esso competono e che rientrano nell’esclusiva responsabilità degli amministratori , per quantificare anche la misura del rimborso; la natura indennitaria e non risarcitoria del credito, determina l’obbligo di reintegrare il patrimonio del dipendente mediante una prestazione equivalente e non già di eseguire una prestazione pecuniaria determinata nel suo ammontare ab origine; pertanto sulle somme liquidate spettano anche gli interessi e la rivalutazione monetaria secondo la disciplina dei debiti di valore.

L’analisi della Cassazione Con riferimento alla parte della sentenza che interessa il presente commento, la Cassazione osserva che in materia di oneri di assistenza legale in conseguenza di fatti commessi in ragione dell’espletamento del servizio e dell’adempimento di obblighi di ufficio da parte del pubblico dipendente, la giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. civ. n. 25976 del 2017), ha formulato il principio di diritto secondo cui deve essere escluso che in capo al dipendente sussista un diritto incondizionato ed assoluto al rimborso, da parte dell’amministrazione pubblica, delle spese necessarie per assicurare la difesa legale, ciò in ragione della specificità e della diversità delle normative del settore del lavoro pubblico.

Venendo, dunque, alla disciplina prevista dall’art. 28 del C.C.N.L. 14 settembre 2000, per i dipendenti del comparto delle Regioni e delle Autonomie locali, la stessa va interpretata nel senso che l’obbligo del datore di lavoro avente a oggetto l’assunzione diretta degli oneri di difesa fin dall’inizio del procedimento, con la nomina di un difensore di comune gradimento, non può ritenersi sussistente qualora , il dipendente abbia unilateralmente provveduto alla scelta e alla nomina del legale di fiducia senza la previa comunicazione all’amministrazione stessa, o qualora, si sia limitato a comunicare all’ente la nomina già effettuata.

La Corte territoriale ha accertato, in fatto, che nel giudizio di merito era rimasto incontestato che il dirigente non avesse rivolto alcuna richiesta al Comune, e aveva pertanto correttamente ritenuto irrilevante la circostanza che fosse a conoscenza della contravvenzione, per aver disposto, il pagamento della relativa ammenda.

La Corte territoriale ha attuato fedelmente l’orientamento della Cassazione; di esso va, in definitiva confermata la ratio ispiratrice, mossa dall’esigenza di consentire all’Ente pubblico di valutare preventivamente l’assenza di un possibile conflitto d’interesse con il dipendente sottoposto a giudizio, la cui presenza determina un impedimento all’assunzione di un difensore di comune gradimento.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso, nei confronti del Comune, delle spese del giudizio di legittimità.

Cass. civ., Sez. lavoro, 4 dicembre 2018, n. 31324

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