24/04/2018 – Sì della Corte dei Conti alla “rivalsa” sull’amministratore pubblico che ha adottato il provvedimento destitutorio illegittimo

Sì della Corte dei Conti alla “rivalsa” sull’amministratore pubblico che ha adottato il provvedimento destitutorio illegittimo

di Domenico Irollo – Commercialista/revisore contabile/pubblicista

 

Nel caso venga attestata l’illegittimità del licenziamento di un dipendente, anche soltanto per vizi di carattere procedurale, i soggetti esponenziali dell’ente pubblico che con condotta antigiuridica si siano resi responsabili dell’adozione del licenziamento censurato rispondono di danno erariale in relazione ai risarcimenti e alle eventuali spese di giudizio che l’Amministrazione abbia dovuto rifondere al dipendente irregolarmente destituito. A sancirlo la Corte dei Conti dell’Emilia Romagna con la sentenza n. 72 del 26 marzo 2018.

Il contesto riguardava il caso del direttore generale di un ente pubblico economico – l’Azienda Casa Emilia Romagna (ACER) di Rimini, nata sulle ceneri dell’ex Istituto Autonomo Case Popolari (IACP) e nella titolarità della relativa Provincia e dei Comuni ricompresi nello stesso ambito geografico – con contratto a tempo determinato, contratto da cui, ante tempus, il Consiglio di Amministrazione dell’ente deliberava di recedere, con effetto immediato, per “giusta causa”, da individuare nella accusa rivolta da ACER al dirigente apicale di avere disatteso le linee di indirizzo gestionali assunte dall’Ente e travalicato le sue funzioni, assumendo inoltre condotte riottose ed oltraggiose nei confronti dei componenti del CdA, del suo Presidente e degli altri dirigenti dell’ente.

L’interessato impugnava quindi la misura espulsiva dinanzi al Giudice del lavoro riminese che, dichiarata assorbita ogni questione di merito circa la reale sussistenza della giusta causa di licenziamento, ne attestava la illegittimità in radice, per violazione dello Statuto dei Lavoratori (L. 20 maggio 1970, n. 300) ed in particolare delle norme di garanzia contemplate dell’art. 7, secondo cui il licenziamento di natura disciplinare (categoria alla quale sono assimilabili appunto i licenziamenti intimati per “giusta causa” o per giustificato motivo soggettivo) deve essere necessariamente preceduto dalla contestazione degli addebiti. Per l’effetto, detto Giudice:

– rigettava la richiesta formulata in via principale dal ricorrente volta ad ottenere la tutela reale, ossia la reintegrazione nel posto di lavoro, previo accertamento del carattere discriminatorio/ritorsivo del recesso datoriale, carattere invece che veniva escluso dal Giudicante il quale tuttavia, come si è già evidenziato, non riteneva necessario entrare nel merito delle effettive responsabilità del dirigente: la fondatezza o meno delle ragioni poste a fondamento del recesso non avrebbe difatti inciso sulla misura della liquidazione del danno, dal momento che, a quest’ultimo fine, l’ipotesi dell’assenza di valide giustificazioni è del tutto assimilabile a quella del licenziamento disposto senza l’osservanza delle prescritte garanzie;

– condannava l’ente al risarcimento del danno patito dal dirigente irregolarmente destituito, pari alle retribuzioni che sarebbero maturate dalla data del recesso fino alla scadenza naturale del contratto di lavoro, oltre alle spese di lite.

A seguito del reclamo proposto dall’ente soccombente, il verdetto di prime cure veniva integralmente confermato dalla Corte d’Appello felsinea, che, giusta sentenza passata in giudicato, poneva a carico del reclamante anche le spese dell’ulteriore grado di giudizio.

Alla luce dell’esito della vertenza giuslavoristica, la Procura emiliana della Corte dei Conti esercitava l’azione di cd. rivalsa contabile nei confronti dei componenti pro tempore del Consiglio di Amministrazione dell’ente pubblico che avevano adottato all’unanimità la delibera di licenziamento “incriminata”, in ragione dell’intero ammontare dei risarcimenti riconosciuti dal Giudice del lavoro all’ex d.g.. Il Collegio pur riconoscendo la validità delle richieste risarcitorie della Procura ha tuttavia fatto applicazione del proprio potere riduttivo dell’addebito in considerazione del fatto che, come risultava dalle pronunce dei Giudici del lavoro, la destituzione del direttore generale non era riconducibile ad azioni connotate da fini discriminatori e ritorsivi ma era espressione dell’intento dei membri del CdA, ancorché perseguito in maniera maldestra, imperita e negligente, di garantire efficienza e buon andamento dell’ente pubblico, che rischiavano, dal loro punto di vista, di essere irrimediabilmente compromessi a fronte delle condotte imputate, a torto o a ragione, al direttore generale.

Situazioni come quelle descritte, di danno erariale “indiretto”, lungi dal rappresentare (quantitativamente e qualitativamente) un contenzioso contabile di scarso rilievo, sono negli anni divenute uno degli addebiti più frequenti per gli impiegati pubblici (cfr., ex multis, per fattispecie analoghe a quella in rassegna di dirigenti illegittimamente revocati: Corte dei Conti, Sez. giur. reg. Lombardia, 20 aprile 2011, n. 228Corte dei Conti, Sez. giur. reg. Abruzzo, 19 dicembre 2011, n. 438Corte dei Conti, Sez. giur. reg. Puglia, 23 dicembre 2014, n. 732), chiamati dalle Procure contabili, per mezzo di azioni cd. di rivalsa (prevista dall’art. 22, comma 2, D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3), a rispondere delle condotte, dolose o (come nel caso di specie) gravemente colpose, che concretamente hanno determinato una lesione dei diritti o degli interessi legittimi dei propri dipendenti o di terzi, successivamente ristorati – sia che il riconoscimento del debito verso il danneggiato avvenga in sede giudiziale (o a seguito di lodo arbitrale), sia che la responsabilità venga riconosciuta con un accordo transattivo – dall’amministrazione di appartenenza del dipendente (direttamente responsabile delle condotte, commissive ed omissive, tenute dai propri agenti nell’esercizio delle funzioni istituzionali attribuite loro). Tra le casistiche più comuni si ricordano i risarcimenti delle amministrazioni nei confronti di: i) pazienti vittime di episodi di malasanità (forma di responsabilità indiretta su cui ha fortemente inciso in maniera innovativa la recente riforma della responsabilità medica di cui alla L. 8 marzo 2017, n. 24, cd. Legge Gelli); ii) dipendenti che abbiano subito mobbing da altri colleghi o superiori; iii) terzi che abbiano subito lesioni a causa di un uso imperito di armi da fuoco da parte di componenti delle FF.OO.; iv) soggetti danneggiati da beni demaniali la cui manutenzione sia stata omessa; v) convenuti in giudizio che abbiano patito una irragionevole durata del processo; vi) di concorrenti di gare d’appalto che abbiano perduto la chance di conseguire l’affidamento a causa di illegittimità perpetrate dagli esponenti delle Stazioni Appaltanti.

Corte dei conti-Emilia Romagna, Sez. giurisdiz., sentenza 26 marzo 2018, n. 72

Art. 22D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 (G.U. 25 gennaio 1957, n. 22, S.O.)

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