abolizione segretari – lettera a renzi di carmine medici

Da: avvocatomedici@gmail.com

Data: 05/05/2014 22.53

A:

Ogg: Riforma della P.A.

Ill.mo sig. Presidente del Consiglio,

faccio riferimento alla “lettera ai dipendenti pubblici” del 30/4 u.s. e, recependo l’invito a partecipare alla discussione sul tema della riforma della pubblica amministrazione, colgo l’occasione per alcune brevi riflessioni, limitandole ai soli punti 9), 11), 12), 13) e 33) e 34), concernenti la riforma della dirigenza pubblica, l’abolizione della figura del segretario comunale ed le limitazioni della tutela cautelare dinanzi al giudice amministrativo.

Per quanto i succitati punti di riforma siano enunciati in forma sintetica, se ne comprende chiaramente la portata, per cui, senza perdere tempo con i tecnicismi, devo rilevare che la precarizzazione della dirigenza pubblica, alla quale già si faceva riferimento nel Job Act, costituisce una grave lesione dei diritti fondamentali dei cittadini, con particolare riferimento al diritto ad una buona amministrazione, la quale non può essere assolutamente garantita da personale assunto a titolo precario e (quanto sembra di capire) senza concorso pubblico.

L’assoluta soggezione alla politica dell’intero apparato amministrativo che ne deriverebbe, oltre a configurarsi alla stregua di una palese violazione del principio di separazione tra la politica e la gestione amministrativa, impedisce alla radice che sia assicurata ai cittadini la garanzia che la trattazione dei loro affari sia condotta in maniera legittima e con la dovuta imparzialità.

In definitiva, la questione dell’autonomia della dirigenza non riguarda solo il problema della governance delle pubbliche amministrazioni ma incide in maniera immediata e negativa sui diritti dei cittadini e delle imprese.

Neanche il conseguimento di una patente di idoneità da parte dei soggetti che aspirano ad assumere ruoli dirigenziali nelle pubbliche amministrazioni ed il loro conseguente inserimento nel preannunciato ruolo unico costituisce un rimedio adeguato rispetto alle accennate esigenze di imparzialità, come dimostra eloquentemente l’esempio dei segretari comunali.

Questi ultimi – che, con rarissima imprudenza, si propone addirittura di sopprimere dopo avergli fatto assumere la veste di responsabili della prevenzione della corruzione e dei fenomeni di maladministration – sono iscritti in un apposito Albo a seguito di una quantomai severa procedura che ne garantisce un elevato livello di professionalità; ciò nondimeno, sono stati poi sottoposti ad un raccapricciante regime di nomina politica (spoil system), fonte per simili elevate professionalità di una condizione di notevole comprensibile disagio nell’esercizio di delicatissime funzioni di presidio e tutela della legalità nelle autonomie locali

Debbo dire che anche il metodo seguito per la riforma non mi pare condivisibile, siccome preceduto non da una riflessione attenta e scrupolosa del ruolo della dirigenza pubblica e, negli enti territoriali, del segretario comunale, ma da una campagna mediatica finalizzata a far apparire dirigenti pubblici e segretari comunali come lobby potenti e privilegiate, così spianando il terreno dell’opinione pubblica per poi pervenire alla soppressione dei secondi ed alla sottomissione dei primi alla politica, mediante il conferimento di incarichi dirigenziali in maniera fiduciaria e la minaccia di licenziamento in caso di mancato conferimento.

Un simile obiettivo non può essere certamente conseguito addebitando alla dirigenza pubblica gli intralci ed i costi che la burocrazia crea alle imprese, poiché se questi gli sono realmente addebitabili nessuna stabilità del rapporto di lavoro e’ in grado di proteggere il dirigente che si sia incorso in una tipica responsabilità dirigenziale, che già ora può essere fatta valere dagli organi interni di controllo nei modi e nelle forme di legge.

Il punto e’ proprio questo: se i sistemi di misurazione e valutazione della performance non hanno sinora funzionato (e in molti casi non sono stati neanche attivati), e’ perché chi ha il compito di elaborare politiche pubbliche, di pianificarne gli obiettivi e di misurarne i risultati (la politica) non è affatto in grado di farlo.

E ciò perché l’azione politica non risponde necessariamente a criteri di buona amministrazione ma a logiche diverse, anche di consolidamento del potere, per usare un espressione edulcorata.

Insomma, se si vuole veramente riformare la pubblica amministrazione occorrerebbe riflettere sui metodi con i quali gli attori politici elaborano le politiche pubbliche e su come ne vengono valutati gli effetti rispetto ai bisogni della collettività; una volta stabiliti in maniera corretta gli obiettivi, la dirigenza pubblica – che deve essere formata da un corpo di funzionari assunti a seguito di concorsi pubblici che siano in grado di selezionare le migliori professionalità, secondo criteri di meritocrazia – deve essere autonoma nell’attuazione di quegli obiettivi e deve rispondere dei risultati conseguiti attraverso la gestione.

Questa sarebbe una vera rivoluzione della pubblica amministrazione, non certo quella di soggiogare la dirigenza pubblica alle logiche della politica dei partiti ed alla necessità di utilizzare gli incarichi pubblici per consolidare la propria posizione all’interno degli apparati.

Altri ben più autorevoli studiosi hanno osservato che la privatizzazione della dirigenza pubblica non aveva certo questo obiettivo ma che la negazione del principio di separazione della politica dall’amministrazione è stata nei fatti tradita nel momento della sua attuazione, valutando i risultati di quella riforma in termini di eterogenesi dei fini.

L’ulteriore passo verso la precarizzazione della dirigenza pubblica che oggi si propone rischia di condurre addirittura verso un sovvertimento radicale di quei fini, producendo un risultato sicuramente non voluto dai cittadini.

Se si chiedesse a questi ultimi in maniera chiara ed esplicita se intendessero consegnare le chiavi della pubblica amministrazione nelle mani della politica, la risposta sarebbe del tutto scontata, per quanto negativa possa essere la reputazione della dirigenza pubblica, abilmente costruita su campagne mediatiche fondate sugli elevati stipendi dei manager pubblici (volutamente confusi con la dirigenza pubblica).

La distorta visione della dirigenza pubblica e del ruolo del segretario comunale negli enti territoriali, ai quali deve essere assicurata la più ampia autonomia dagli organi di indirizzo-politico, tanto più con riferimento al ruolo del segretario comunale, tradizionalmente considerato quale presidio di legalità all’interno dell’amministrazione, sembra essere alla base anche della proposta di limitazione della tutela cautelare che i cittadini e le imprese hanno diritto ad ottenere dal giudice amministrativo qualora l’amministrazione adotti provvedimenti illegittimi e lesivi dei loro diritti ed interessi legittimi.

Non si può proprio condividere l’idea che la tutela cautelare, la quale assolve all’esigenza fondamentale di assicurare agli interessati un tutela giurisdizionale immediata ed effettiva, possa essere limitata col pretesto di ridurre lo strapotere dei TAR.

La questione e’, invece, un’altra: il giudice amministrativo sospende l’esecuzione di un provvedimento dell’amministrazione perché ha accertato, già in sede cautelare, che quel provvedimento e’ illegittimo, per cui solo una visione distorta dei rapporti tra pubblica amministrazione e giustizia amministrativa può alimentare l’idea che, sospendendo provvedimenti illegittimi, il giudice intenda affermare una qualche forma di supremazia, ritardando capricciosamente il compimento dell’azione amministrativa.

Proprio al fine di evitare la formazione di contenziosi in sede giudiziaria, e’ essenziale che nella pubblica amministrazione trovino ragione di lavoro persone di elevata qualificazione professionale, che siano capaci di combinare adeguatamente l’efficace perseguimento degli interessi pubblici con il rispetto dei principi e delle regole che, in un qualunque stato di diritto, disciplinano l’esercizio dei poteri pubblici.

In quest’ottica, la figura del segretario comunale, che non agisce negli enti locali solo nella vituperata (per la politica) veste di controllore ma anche supportando gli organi di governo in sede di consulenza giuridico-amministrativa, e’ allora essenziale al buon funzionamento dell’apparato amministrativo; allo stesso modo e’ essenziale una dirigenza pubblica che possa portare a compimento gli obiettivi e risultati attesi in sede di programmazione dagli organi di indirizzo politico in maniera autonoma ed imparziale, impedendo, in ogni caso, il compiersi di attività illegittime.

Così come risulta disdicevole che un’impresa immetta sul mercato prodotti difettosi e lesivi per la salute dei consumatori, e’ altrettanto disdicevole che la pubblica amministrazione persegua le proprie finalità attraverso provvedimenti difettosi perché illegittimi, tanto più che i destinatari ne subiscono gli effetti a prescindere dalle loro scelte.

Per evitare simili rischi occorre, dunque, rafforzare gli organi che all’interno dell’amministrazione garantiscono che la sua azione sia condotta in maniera legittima e nel rispetto degli obiettivi e risultati attesi in sede di indirizzo politico, così riducendo anche la possibilità che il giudice amministrativo debba intervenire, su ricorso degli interessati, per paralizzarne gli effetti lesivi.

Le presenti riflessioni sono proposte con spirito costruttivo, muovendo dalla constatazione per cui al vertice delle pubbliche amministrazioni ci sono non già i dirigenti pubblici ed i segretari comunali ma gli organi di indirizzo politico, per cui per risolvere i mali dell’amministrazione italiana e’ necessario rivoluzionare la politica, come Lei, sig. Presidente, ha meritoriamente iniziato a fare all’interno del Suo Partito.

Con stima

Uti cives, 

Avv. Carmine Medici

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