28/10/2020 – Opposizione dell’interessato e silenzio dell’amministrazione: gli effetti nel procedimento di assegnazione ERP

Opposizione dell’interessato e silenzio dell’amministrazione: gli effetti nel procedimento di assegnazione ERP
di Michele Deodati – Responsabile SUAP Unione Appennino bolognese e Vicesegretario comunale
 
Esclusione da graduatoria ERP e revoca dell’assegnazione
Un privato ha presentato ricorso davanti al T.A.R. per impugnare gli atti che hanno disposto lo sgombero immediato per revoca dell’assistenza alloggiativa presso un centro di accoglienza temporanea. Tali provvedimenti sono stati emanati per insussistenza in capo all’interessato dei requisiti per continuare a fruire dell’assistenza alloggiativa temporanea. A seguito di istruttoria, è emerso infatti che il richiedente aveva alloggiato abusivamente in un immobile ERP, circostanza che per il Comune comportava l’esclusione dal bando per l’assegnazione di alloggi di edilizia residenziale pubblica. In primo grado, il giudizio si è concluso con il rigetto dei due ricorsi presentati contro la revoca dell’assegnazione temporanea in emergenza e contro l’esclusione dalla graduatoria.
Il rispetto dei requisiti previsti dal bando
Contro la sentenza che ha visto soccombente il privato, è stato presentato appello, che il Consiglio di Stato ha accolto con la sentenza n. 5733 del 30 settembre 2020. A sostegno, il Collegio d’appello è partito dal ricostruire la vigente regolamentazione locale inerente il servizio di assistenza alloggiativa temporanea è erogato a titolo temporaneo e provvisorio al fine di dare soluzione a eventi problematici della vita delle famiglie, non risolvibili in altro modo. Per poter accedere al servizio sono richiesti una serie di requisiti, tra cui la condizione di disagio socio-abitativo e un reddito non superiore ad una determinata soglia.
L’occupazione dell’alloggio ERP, senza aver chiesto la previa autorizzazione dell’autorità competente, ha comportato l’esclusione dell’appellante dal bando per l’assegnazione di alloggi di edilizia residenziale pubblica, esclusione formalmente comunicatale con apposita nota, che aveva dichiarato la domanda non ammissibile: la mancata impugnazione di quest’ultima renderebbe non contestabili gli effetti “a cascata”, relativi allo sgombero dell’edificio occupato e al diniego del buono casa.
Gli effetti del mancato riscontro all’opposizione amministrativa
Il Collegio ha osservato che nonostante la mancanza di un ricorso giurisdizionale, il privato aveva presentato “opposizione amministrativa”, con la quale aveva manifestato le ragioni ostative alla estromissione dalla graduatoria ERP. Su tale opposizione, il Comune non si è mai espresso, ingenerando nel privato il ragionevole affidamento in ordine all’accoglimento delle proprie osservazioni.
Il Giudice d’appello ha osservato nella sentenza n. 5733/2020 che la decisione dei ricorsi amministrativi rappresenta un obbligo per l’amministrazione, trattandosi di rimedi in funzione giustiziale: il silenzio dell’amministrazione decidente, disciplinato dall’art. 6 del D.P.R. n. 1199/1971, non ha, per consolidato intendimento, effetti sostanziali ma processuali, giacché abilita il ricorrente a scegliere fra la proposizione del ricorso giurisdizionale contro il provvedimento nei termini di decadenza, una volta formatosi il silenzio-rigetto, ovvero la proposizione dello stesso ricorso avverso la successiva decisione amministrativa. Tutto ciò rimane in termini di mera facoltà e non di obbligo, in quanto la parte può legittimamente confidare nella decisione del ricorso, se non altro in considerazione dei profili di merito, che com’è noto non possono essere fatti valere ordinariamente in sede giurisdizionale. Il Collegio, fatte queste considerazioni, ha escluso che l’eliminazione dalle graduatorie ERP sia diventata, allo stato, inoppugnabile, e che pertanto possa imputarsi all’appellante di non averla tempestivamente impugnata.
Di conseguenza, i provvedimenti di diniego oggetto di impugnazione risultano adottati in assenza di adeguata istruttoria circa l’abusiva occupazione di alloggio ERP.
Altre ipotesi d’interesse: la portata delle autocertificazioni dei requisiti da parte degli stranieri
sempre in materia di accesso all’edilizia residenziale pubblica, una recente sentenza del T.A.R. Lombardia, Milano, 31 gennaio 2019, n. 208, ha chiarito alcuni elementi fondamentali in tema di autocertificazione dei requisiti. Gli stranieri extracomunitari possono ricorrere alle autocertificazioni limitatamente agli stati, fatti e qualità personali certificabili o attestabili da parte di soggetti pubblici o privati italiani. Altri tipi di status e fatti sono documentati mediante certificati o attestazioni rilasciati dalla competente autorità dello Stato estero, da legalizzare e tradurre, fatte salve le diverse disposizioni contenute nelle convenzioni internazionali in vigore per l’Italia.
Vale la pena di ricordare che di fronte all’impossibilità, per le Autorità straniere, di certificare o attestare determinati status o fatti, a causa della mancanza di un’Autorità riconosciuta o della presunta inaffidabilità dei documenti rilasciati dall’Autorità locale, le rappresentanze diplomatiche o consolari provvedono al rilascio di certificazioni, ai sensi dell’art. 49D.P.R. 5 gennaio 1967, n. 200, sulla base delle verifiche ritenute necessarie, effettuate a spese degli interessati (art. 2D.P.R. 31 agosto 1999, n. 394).
In particolare, il giudice milanese ha stabilito che è esclusa senza alcun margine di incertezza la possibilità per lo straniero di avvalersi di una dichiarazione sostitutiva per attestare la propria impossidenza nel Paese di provenienza. Restano salvi specifici accordi internazionali.
Nel caso di specie tali accordi non esistevano, e ha trovato applicazione il principio per cui tutto il sistema dell’autocertificazione si fonda sul necessario bilanciamento tra semplificazione e tutela della certezza, che ammette la produzione di dichiarazioni sostitutive solo se e nei casi in cui l’Amministrazione destinataria mantenga comunque la possibilità di riscontrarne la veridicità.
Il Collegio ha insistito inoltre nel sottolineare che la disciplina italiana sulla dichiarazione sostitutiva non viola il principio di parità di trattamento tra italiani e stranieri nei rapporti con la P.A., semplicemente assoggetta anche gli stranieri all’obbligo di sottoporsi alle prescrizioni stabilite per gli italiani, pur se il rispetto delle stesse comporti per i primi un onere documentale aggiuntivo, quantomeno se ciò dipende dal sistema normativo o dall’assetto amministrativo del Paese d’origine.
In conclusione – per il Collegio milanese – una dichiarazione sostitutiva proveniente da un cittadino dell’Unione o extracomunitario, relativa a situazioni esistenti fuori dall’Italia e diretta ad una pubblica amministrazione italiana, potrà essere ammessa solo se a favore di quest’ultima sono disponibili mezzi di controllo adeguati, corrispondenti a quelli di cui dispone rispetto alla dichiarazione resa in Italia dal cittadino italiano. Le verifiche devono potersi eseguire direttamente o indirettamente, e cioè con l’apporto prestabilito dell’Autorità estera del luogo interessato. In mancanza di mezzi di verifica adeguati, l’interessato dovrà produrre i certificati indicati dall’art. 3, comma 4, D.P.R. n. 445 del 2000 (certificati o attestazioni rilasciati dalla competente autorità dello Stato estero, corredati di traduzione in lingua italiana autenticata dall’autorità consolare italiana che ne attesta la conformità all’originale). Oppure, in caso d’impossibilità oggettiva, il console in Italia dello Stato straniero potrà certificare il fatto richiesto, pur non essendo il depositario istituzionale dei relativi dati, effettuando in proprio e direttamente le indagini necessarie a consentire ad esso di raggiungere la prova della veridicità dei dati stessi.

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