21/10/2020 – Sullo smart working decidono i dirigenti

Sullo smart working decidono i dirigenti
di Luigi Oliveri

Spetta alla dirigenza e non agli organi politici organizzare le strutture in modo da permettere di effettuare prestazioni lavorativi in modalità agile. Il decreto del ministro della Funzione pubblica del 19 ottobre 2020 (si veda ItaliaOggi di ieri) contribuisce a chiarire quel che avrebbe comunque dovuto risultare evidente fin da subito: il lavoro agile è una modalità di espletamento dell’attività lavorativa. Come tale, quindi, non è materia rientrante tra quelle concernenti la programmazione politico-amministrativa, bensì la gestione o «micro organizzazione», ai sensi degli articoli 4, comma 2, e 5, comma 2, del dlgs 165/2001. Il dm appare particolarmente utile soprattutto per le amministrazioni locali, nelle quali l’ingerenza dei sindaci e delle giunte si è manifestata particolarmente diffusa. Il decreto è tranciante nel disporre che «ciascun dirigente, con immediatezza» è chiamato a predisporre quanto necessario, per permettere la disposizione in smart working del personale.

Ciascun singolo dirigente è quindi tenuto, a organizzare il proprio ufficio assicurando, su base giornaliera, settimanale o plurisettimanale, lo svolgimento del lavoro agile almeno al cinquanta per cento del personale preposto alle attività che possono essere svolte secondo tale modalità. Per quanto questa incombenza sia riferita al singolo vertice organizzativo, è evidente che comunque occorra una funzione di coordinamento complessivo e, in via preliminare, un’indagine seria su quali siano le funzioni svolte, compatibili col lavoro agile, capace anche di specificare quale è il personale ad esse adibito: solo questo personale, infatti, può essere disposto in smart working nella misura di almeno il 50%. Sempre al singolo dirigente tocca porre in essere azioni di particolare tutela per i lavoratori fragili, favorendone in via prioritaria l’attività in modalità agile. A questo proposito, il dm ricorda lo ius variandi del quale dispone il datore: il dirigente, quindi, deve organizzare il lavoro dei dipendenti fragili che magari siano impegnati in funzioni non compatibili con lo smart working, adibendoli a mansioni diverse, compatibili col lavoro agile, purché della medesima categoria o area di inquadramento come definite dai contratti collettivi vigenti. Allo scopo, potranno essere attivate specifiche attività di formazione professionale. Ancora, è il dirigente a curarsi della rotazione del personale, in modo che nell’arco temporale settimanale o plurisettimanale scelto, si assicuri «un’equilibrata alternanza nello svolgimento dell’attività in modalità agile e di quella in presenza». A tale scopo, il dm suggerisce di considerare criteri di priorità, tra i quali le condizioni di salute del dipendente e dei componenti del suo nucleo familiare di questi; la presenza nel medesimo nucleo di figli minori di quattordici anni; la distanza tra la zona di residenza o di domicilio e la sede di lavoro e il numero e della tipologia dei mezzi di trasporto utilizzati e dei relativi tempi di percorrenza.
Il lavoro agile non implica la perdita di contatto coi lavoratori. Se è vero che ad essi possono essere assegnati progetti operativi rendicontabili ed attivabili in autonomia, è altrettanto vero che il lavoratore può essere chiamato a svolgere da remoto porzioni di attività da svolgere in squadra, con esigenze di contatti e confronti. Per questo, il dm specifica che per puntuali esigenze organizzative individuate dal dirigente, il lavoro agile può essere organizzato per specifiche fasce di contattabilità. Incombe, infine, sul dirigente, il compito di verificare le prestazioni rese dai lavoratori in modalità agile.

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