21/10/2020 – P.A. e rimozione di barriere architettoniche tra norme di legge e interventi della giurisprudenza

P.A. e rimozione di barriere architettoniche tra norme di legge e interventi della giurisprudenza
di Giuseppe Cassano – Direttore del Dipartimento di Scienze Giuridiche della European School Of Economics
 
La sentenza in esame resa dal Consiglio di Stato – adito per la riforma sentenza del Tar Liguria n. 47/2016 – permette all’interprete di affrontare il tema della eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici pubblici e aperti al aperti al pubblico avuto riguardo alle disposizioni rese in tal senso dalla L. 30 marzo 1971 n. 118art. 27.
Tale disposizione la cui rubrica reca «Barriere architettoniche e trasporti pubblici», prevede, tra l’altro che «per facilitare la vita di relazione dei mutilati e invalidi civili gli edifici pubblici o aperti al pubblico e le istituzioni scolastiche, prescolastiche o di interesse sociale di nuova edificazione dovranno essere costruiti in conformità alla circolare del Ministero dei lavori pubblici del 15 giugno 1968 riguardante la eliminazione delle barriere architettoniche anche apportando le possibili e conformi varianti agli edifici appaltati o già costruiti all’entrata in vigore della presente legge (…)» (I comma).
Giova premettere, al riguardo, come la Suprema Corte abbia affermato che l’esistenza di un’ampia definizione legislativa e regolamentare di «barriere architettoniche» e di «accessibilità» renda la normativa sull’obbligo dell’eliminazione delle prime, e sul diritto alla seconda per le persone con disabilità, immediatamente precettiva ed idonea a far ritenere prive di qualsivoglia legittima giustificazione la discriminazione o la situazione di svantaggio in cui si vengano a trovare queste ultime, consentendo loro il ricorso alla tutela antidiscriminatoria, quando l’accessibilità sia impedita o limitata ciò, a prescindere, dall’esistenza di una norma regolamentare apposita che attribuisca la qualificazione di barriera architettonica ad un determinato stato dei luoghi (Cass. civ., sez. III, 23 settembre 2016, n. 18762Cass. civ., sez. III, 13 febbraio 2020, n. 3691).
Una conclusione, questa, che appare del tutto in linea con la necessità di assicurare alla normativa suddetta un’interpretazione conforme alla Costituzione, se è vero che – come sottolinea la giurisprudenza costituzionale – l’accessibilità è divenuta una «qualitas» essenziale perfino degli edifici privati di nuova costruzione ad uso di civile abitazione, quale conseguenza dell’affermarsi, nella coscienza sociale, del dovere collettivo di rimuovere, preventivamente, ogni possibile ostacolo alla esplicazione dei diritti fondamentali delle persone affette da handicap fisici (Corte Cost., 10 maggio 1999, n. 167Corte Cost., 4 luglio 2008, n. 251).
Del pari, si è sottolineato come il superamento delle barriere architettoniche – tra le quali rientrano, ai sensi del D.P.R. n. 503/1996art. 1, comma 2, lett. b), gli «ostacoli che limitano o impediscono a chiunque la comoda e sicura utilizzazione di spazi, attrezzature o componenti» – è stato previsto (L. n. 118/1971art. 27, comma I) per facilitare la vita di relazione delle persone disabili, evidenziandosi che tali principi rispondono all’esigenza di una generale salvaguardia della personalità e dei diritti dei disabili e trovano base costituzionale nella garanzia della dignità della persona e del fondamentale diritto alla salute degli interessati, intesa quest’ultima nel significato, proprio dell’art. 32 Cost., comprensivo anche della salute psichica oltre che fisica (v. in tal senso Corte Cost. n. 251/2008 cit.).
Tenuto conto della pluralità degli ambiti normativi di intervento a favore delle persone disabili, la Corte Costituzionale ha osservato come, sul tema della condizione giuridica della persona disabile, confluiscano un complesso di valori che attingono ai fondamentali motivi ispiratori del disegno costituzionale, e come, conseguentemente, il canone ermeneutico da impiegare in siffatta materia sia essenzialmente dato dall’interrelazione ed integrazione tra i precetti in cui quei valori trovano espressione e tutela (Corte Cost. sent. n. 215/1987).
Del pari, la Corte (Corte Cost. sent. n. 406/1992 e Corte Cost. n. 325/1996), nell’affermare che la L. n. 104/1992 è diretta ad assicurare in un quadro globale ed organico la tutela del disabile – con la conseguenza che la stessa incide necessariamente in settori diversi – ha ribadito le finalità che la tutela delle persone disabili intende perseguire attraverso i valori espressi dal disegno costituzionale.
Alla luce dei suddetti principi, deve, pertanto, ritenersi che sussistono ambiti specifici di libertà di scelta del Legislatore nella individuazione delle misure concrete che possono essere adottate in un corretto bilanciamento di tutti gli interessi coinvolti dal suddetto tipo di tutela.
La giurisprudenza della Corte Costituzionale, nel delineare il contenuto dei diritti che la Costituzione riconosce e attribuisce ai disabili, ha sottolineato l’introduzione di disposizioni generali per la costruzione di nuovi edifici e per la ristrutturazione di quelli preesistenti, intese alla eliminazione delle barriere architettoniche, indipendentemente dalla effettiva utilizzazione degli edifici stessi da parte delle persone portatrici di handicap (v. art. 27in esame).
Analoghi principi ispirano disposizioni comunitarie e internazionali contenute, in particolare, nel Trattato istitutivo della Comunità europea, nella Convenzione sui diritti delle persone con disabilità, adottata il 13 dicembre 2006 dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite e nella «Risoluzione del Consiglio dell’Unione europea e dei rappresentanti dei governi degli Stati membri, riuniti in sede di Consiglio, del 17 marzo 2008, sulla situazione delle persone con disabilità nell’Unione europea».
Il tema della eliminazione delle barriere architettoniche si avverte in maniera preponderante negli edifici privati / condominiali (spesso i più datati essendo privi di ascensore).
Come evidenziato dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 167/1999 cit., la legislazione relativa ai portatori di handicap (ed in particolare la L. 9 gennaio 1989, n. 13 recante “Disposizioni per favorire il superamento e l’eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati” e la L. 5 febbraio 1992, n. 104, “Legge quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate”) non si è limitata ad innalzare il livello di tutela in favore di tali soggetti, ma, come affermato anche dalla Suprema Corte (Cass. civ., n. 18334/2012), ha segnato un radicale mutamento di prospettiva rispetto al modo stesso di affrontare i problemi delle persone affette da invalidità, tali da dover essere assunti dall’intera collettività.
La L. n. 13 del 1989 costituisce espressione di un principio di solidarietà sociale e persegue finalità di carattere pubblicistico, volte a favorire, nell’interesse generale, l’accessibilità agli edifici (Cass. civ., n. 7938/2017), sicchè, avuto riguardo al pregiudizio lamentato dal compossessore, l’installazione di un ascensore su area comune, allo scopo di eliminare delle barriere architettoniche, rientra fra le opere di cui alla L. n. 118 del 1971art. 27, comma 1, ed al D.P.R. n. 384 del 1978art. 1, comma 1: deve pertanto tenersi conto del principio di solidarietà condominiale, che implica il contemperamento di vari interessi, tra i quali deve includersi anche quello delle persone disabili all’eliminazione delle barriere architettoniche.
Si tratta infatti di un diritto fondamentale che prescinde dall’effettiva utilizzazione, da parte di costoro, degli edifici interessati e che conferisce comunque legittimità all’intervento innovativo, purchè lo stesso sia idoneo, anche se non ad eliminare del tutto, quantomeno ad attenuare sensibilmente le condizioni di disagio nella fruizione del bene primario dell’abitazione.
L’installazione di un ascensore rientra dunque nei poteri dei condomini rendendosi unicamente necessario verificare il rispetto dei limiti previsti dall’art. 1102 c.c. (Cass. civ., sez. II, 26 settembre 2018, n. 23076Cass. civ., sez. II, 12 aprile 2018, n. 9101Cass. civ., sez. VI – 2, Ord., 9 marzo 2017, n. 6129)
Nel solco di questo insegnamento giurisprudenziale si pone la sentenza in esame con cui l’adito Collegio di Palazzo Spada conferma la pronuncia resa dal G.A. di prime cure e, quindi, il principio di diritto ivi affermato secondo cui l’amministrazione deve rendere in maniera esplicita le ragioni che in concreto che le inibiscono la possibilità di procedere alla (richiesta) eliminazione delle barriere architettoniche che insistono su di una strada pubblica

Print Friendly, PDF & Email
Torna in alto