20/10/2020 – Accesso difensivo, chiariti i rapporti con il diritto alla riservatezza

Accesso difensivo, chiariti i rapporti con il diritto alla riservatezza
L’accesso può essere esercitato indipendentemente dall’esercizio dei poteri istruttori di cui agli artt. 155-sexies disp. att. c.p.c. e 492-bis c.p.c., (Ad. Plen. n.19/2020)
di Francesca Idone – Avvocato
Pubblicato il 19/10/2020
 
Fin dall’origine della sua introduzione nell’ordinamento giuridico italiano con la legge n. 241 del 1990, il diritto di accesso agli atti è stato oggetto di numerose pronunce giurisprudenziali e interventi correttivi introdotti a più riprese dal Legislatore, volti ad affrontare le numerose questioni controverse relative al suo esercizio, ai limiti posti dall’ordinamento, agli obblighi di trasparenza e buon andamento della P.A. che gravano sulle pubbliche amministrazioni. Oggi si è arrivati ad avere un quadro normativo vasto, che offre sotto il profilo oggettivo una nozione ampia di “documento amministrativo” suscettibile di formare oggetto di istanza di accesso documentale, purché lo stesso sia inerente un’attività di pubblico interesse o finalizzata alla realizzazione di un interesse generale.
L’Adunanza Plenaria con la pronuncia n. 19 del 2020, è chiamata ad affrontare una problematica fra le più attuali, oggetto del dibattito giurisprudenziale inerente l’applicazione della disciplina del diritto di accesso amministrativo: quella che attiene al rapporto tra l’accesso (difensivo) ed il diritto alla riservatezza.
La legge n. 241 del 1990 individua, quali condizioni legittimanti l’accesso al documento amministrativo, non soltanto la titolarità, da parte del richiedente, di un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata, ma anche l’esistenza di un collegamento tra detta situazione e il documento oggetto della pretesa ostensiva.
Quanto alla riservatezza, la legge – e, di riflesso, l’interpretazione del giudice amministrativo – identifica tre diversi livelli di tutela. Il livello di protezione più elevato riguarda i dati c.d. super-sensibili (stato di salute e vita sessuale). Il Consiglio di Stato (sez. V, 28 settembre 2010, n. 7166) sul punto ha confermato la giurisprudenza dei Tar, ritenendo ostensibili anche dati super-sensibili, se coinvolgono un diritto della personalità ritenendolo di rango pari alla tutela del diritto alla riservatezza.
Di poco inferiore è la protezione che riguarda i dati sensibili (idonei cioè a rivelare l’origine razziale ed etnica, le convinzioni religiose, filosofiche, le opinioni politiche o l’appartenenza a organizzazioni o associazioni di tal genere). In tali ipotesi l’accesso è consentito nei limiti in cui sia “strettamente indispensabile” per curare o difendere i propri interessi giuridici.
Infine, al terzo livello di intensità si pone la protezione dei dati comuni. Per l’accesso a questi ultimi, la legge richiede che la conoscenza sia “necessaria” per la difesa dei propri interessi.
Sull’equilibrio, tutt’altro che scontato, tra esercizio del diritto di accesso e tutela della riservatezza, la casistica giurisprudenziale è ricca. Nel tempo, i giudici hanno avuto modo di affrontare casi tra loro molto diversi, accomunati dal fatto di essere caratterizzati dallo scontro tra tali differenti esigenze.
La regola generale ai fini dell’esercizio del diritto di accesso ai documenti amministrativi, secondo la giurisprudenza prevalente (ex multis Cons. Stato, sez. VI, 19 giugno 2008, n. 3083) è che le esigenze di tutela della segretezza e riservatezza previste dalla legge n. 241/1990, sono recessive rispetto al diritto di accesso difensivo disciplinato dall’art. 24, comma 7, della Legge 241/90, ma non in modo assoluto.
In subiecta materia esistono infatti, due indirizzi ermeneutici contrastanti, che propongono soluzioni diametralmente opposte, in ragione del diverso rilievo (complementare o prevalente) riconosciuto agli strumenti di acquisizione documentale in funzione probatoria previsti dall’ordinamento processualcivilistico.
Nel novero delle pronunce che affrontano tale tematica, si inserisce, appunto, l’interessante pronuncia dell’Adunanza Plenaria n. 19 del 2020.
La decisione in esame del Supremo Consesso seppur apparentemente inserita nella consolidata giurisprudenza ampliativa con riguardo ai soggetti tenuti a garantire l’ostensione dei documenti amministrativi (ex multis Ad. Plen. n. 4 del 1999), ad un più attento esame, offre l’occasione per alcune riflessioni sui confini dell’accesso difensivo nell’ambito speciale dei rapporti fra la disciplina generale di cui agli artt. 22 e ss. della Legge 241/90 e le norme processuali civilistiche previste per l’acquisizione dei documenti amministrativi al processo, con particolare riferimento ai procedimenti in materia di famiglia (art. 492 bis cod.proc.civ. e art 155 sexies disp. att. del cod. proc.civ.).
La disamina operata dal Supremo Consesso si conclude, quindi, sancendo la possibilità di esercitare l’accesso documentale difensivo – ed in particolare l’accesso difensivo ai documenti contenenti i dati reddituali, patrimoniali e finanziari, presenti nell’anagrafe tributaria – indipendentemente dalla previsione e dall’esercizio dei poteri processuali di esibizione istruttoria di documenti amministrativi e di richiesta di informazioni alla pubblica amministrazione nel processo civile (disciplinati ai sensi degli artt. 210, 211 e 213 cod. proc. civ e, nello specifico, dagli artt. 155-sexies disp. att. cod. proc. civ. e 492-bis cod. proc. civ.).
Sommario
La vexata quaestio
La delicata questione giunta al vaglio dell’Adunanza Plenaria attiene la possibilità di acquisire extra iudicium (tramite accesso difensivo), documenti amministrativi dei quali le parti intendono avvalersi in un giudizio avente ad oggetto un procedimento familiare.
L’occasione per precisare la portata normativa dell’art. 22 e ss. della Legge 241/90 e ss. trae origine da un ricorso avverso il diniego espresso dalla Direzione Provinciale dell’Agenzia delle Entrate, ad una richiesta di accesso agli atti formulata in pendenza di un giudizio di separazione giudiziale e volta ad accedere ed estrarre copia dalla documentazione fiscale, reddituale e patrimoniale del coniuge, conservata nell’anagrafe tributaria. In particolare, la richiesta riguardava l’accesso alle comunicazioni inviate dagli operatori finanziari all’anagrafe tributaria e conservate nella sezione archivio dei rapporti finanziari, relative alle operazioni finanziarie riferibili allo stesso coniuge.
L’Agenzia delle Entrate aveva negato l’accesso sulla base del rilievo che il controinteressato si era opposto e, con specifico riferimento alla documentazione della sezione archivio dei rapporti finanziari, che era comunque necessaria la previa autorizzazione del giudice investito della causa di separazione.
Il TAR accoglieva il ricorso, rilevando che in pendenza del giudizio di separazione o di divorzio l’accesso alla documentazione fiscale, reddituale, patrimoniale e finanziaria dell’altro coniuge doveva ritenersi «oggettivamente utile» al perseguimento del fine di tutela, e ordinando di conseguenza all’amministrazione resistente di esibire alla ricorrente la documentazione richiesta consentendo di estrarne copia
Avverso tale sentenza l’amministrazione soccombente proponeva appello fondato su un unico motivo, con il quale censurava l’erroneità dell’impugnata sentenza nella parte in cui aveva ritenuto accessibili i dati dell’anagrafe tributaria, ivi compresi quelli contenuti nella sezione archivio dei rapporti finanziari, senza l’autorizzazione del giudice della causa principale, ai sensi dell’art. 492-bis cod. proc. civ., avendo il TAR omesso di considerare il rapporto di specialità intercorrente tra la normativa contenuta negli artt. 492-bis cod. proc. civ. e 155-sexies disp. att. cod. proc. civ. e la disciplina dell’accesso documentale di cui alla legge n. 241/1990, ostativo all’applicazione di quest’ultima disciplina, e dovendo l’indispensabilità del documento ai fini della tutela giurisdizionale essere intesa (anche) come impossibilità di acquisire il documento attraverso le forme processuali tipiche già previste dall’ordinamento.
I quesiti sottoposti all’Adunanza Plenaria
Pertanto, la sezione IV del Consiglio di Stato, con l’ordinanza n. 890/2020, invocando una maggiore certezza interpretativa a fronte dei contrasti giurisprudenziali insorti sulla questione di diritto devoluta in appello, ha sottoposto all’Adunanza plenaria i seguenti quesiti:
a) se i documenti reddituali (le dichiarazioni dei redditi e le certificazioni reddituali), patrimoniali (i contratti di locazione immobiliare a terzi) e finanziari (gli atti, i dati e le informazioni contenuti nell’Archivio dell’Anagrafe tributaria e le comunicazioni provenienti dagli operatori finanziari) siano qualificabili quali documenti e atti accessibili ai sensi degli artt. 22 e ss. della legge n. 241 del 1990;
b) in caso positivo, quali siano i rapporti tra la disciplina generale riguardante l’accesso agli atti amministrativi ex lege n. 241/1990 e le norme processuali civilistiche previste per l’acquisizione dei documenti amministrativi al processo (secondo le previsioni generali, ai sensi degli artt. 210 e 213 del cod. proc. civ.; per la ricerca telematica nei procedimenti in materia di famiglia, ai sensi del combinato disposto di cui artt. 492-bis del cod. proc. civ. e 155-sexies delle disp. att. del cod. proc. civ.);
c) in particolare, se il diritto di accesso ai documenti amministrativi ai sensi della legge n. 241/1990 sia esercitabile indipendentemente dalle forme di acquisizione probatoria previste dalle menzionate norme processuali civilistiche, o anche – eventualmente – concorrendo con le stesse;
d) ovvero se – all’opposto – la previsione da parte dell’ordinamento di determinati metodi di acquisizione, in funzione probatoria di documenti detenuti dalla Pubblica Amministrazione, escluda o precluda l’azionabilità del rimedio dell’accesso ai medesimi secondo la disciplina generale di cui alla legge n. 241 del 1990;
e) nell’ipotesi in cui si riconosca l’accessibilità agli atti detenuti dall’Agenzia delle Entrate (dichiarazioni dei redditi, certificazioni reddituali, contratti di locazione immobiliare a terzi, comunicazioni provenienti dagli operatori finanziari ed atti, dati e informazioni contenuti nell’Archivio dell’Anagrafe tributaria), in quali modalità va consentito l’accesso ai medesimi, e cioè se nella forma della sola visione, ovvero anche in quella dell’estrazione della copia, ovvero ancora per via telematica.
Il decisum
Innanzitutto, l’Adunanza Plenaria, nel dirimere i contrasti giurisprudenziali sorti in relazione alla vexata quaestio, risolvendo il primo quesito sottoposto alla sua attenzione dalla IV Sezione del Consiglio di Stato, parte dalla considerazione data per pacifica in giurisprudenza, di un concetto ampio di «documento amministrativo» delineato negli artt. 22, comma 1, lettera d), l. n. 241/1990 e 1, comma 1, lettera a), d.P.R. n. 445/2000.
Tale nozione può riguardare ogni documento detenuto dalla pubblica amministrazione o da un soggetto, anche privato, alla stessa equiparato ai fini della specifica normativa dell’accesso agli atti, e formato non solo da una pubblica amministrazione, ma anche da soggetti privati, purché lo stesso concerna un’attività di pubblico interesse o sia utilizzato o sia detenuto o risulti significativamente collegato con lo svolgimento dell’attività amministrativa, nel perseguimento di finalità di interesse generale.
Quindi, alla luce di quanto disposto dagli artt. 22 ss. l. n. 241/1990 anche i documenti contenenti i dati reddituali, patrimoniali e finanziari, acquisiti e conservati nell’anagrafe tributaria gestita dall’Agenzia delle Entrate, ossia la banca dati reddituale, la banca dati imposte registro e l’archivio dei rapporti finanziari, rientrano, senza particolari dubbi esegetici, nella sopra riportata ampia nozione di documenti amministrativi, rilevante ai fini dell’accesso documentale in quanto preordinati all’esercizio, a norma dell’art. 1, comma 2, d.P.R. n. 605/1973, delle ivi enunciate funzioni istituzionali dell’amministrazione finanziaria, ancorché non formati da quest’ultima.
Il conseguente corollario è che, tutti i documenti amministrativi sono accessibili in ragione di tale loro qualità oggettiva, salve le eccezioni di cui all’art. 24, commi 1, 2, 3, 5 e 6, nonché nel rispetto dei limiti e delle condizioni previste al comma 7 del citato art. 24.
Dato quanto presupposto, il Supremo Consesso addentrandosi nel secondo è più rilevante quesito posto nell’ordinanza di rimessione, affronta la questione dei rapporti tra l’accesso documentale difensivo ex art. 24 comma 7 Legge 241/90 e lo strumento processuale delineato dall’art. 155-sexies disp. att. cod. proc. civ.   con il quale sono stati ampliati i poteri istruttori del giudice ordinario ai fini della ricostruzione della situazione patrimoniale ed economico-finanziaria delle parti processuali nei procedimenti in materia di famiglia, attraverso il ricorso allo strumento di cui all’art. 492-bis cod. proc. civ.
La questione si inquadra nella più generale problematica costituita dai rapporti tra l’accesso documentale ex artt. 22 ss. l. n. 241/1990 e gli strumenti di acquisizione dei documenti amministrativi nel processo civile, sia secondo la disciplina generale ex artt. 210, 211 e 213 cod. proc. civ., sia secondo la richiamata disciplina particolare introdotta nel settore dei procedimenti in materia di famiglia.
L’analisi qui condotta dall’Adunanza Plenaria si caratterizza da un esame puntuale dal punto di vista sostanziale delle previsioni normative che entrano in gioco e dal conseguente raffronto della fattispecie amministrativa dell’accesso agli atti con quella processualcivilistica dell’acquisizione probatoria dei mezzi istruttori.
Sotto il profilo normativo, quindi, tutti i documenti amministrativi sono accessibili ai sensi degli artt. 22 ss. l. n. 241/1990 anche i documenti contenenti i dati reddituali, patrimoniali e finanziari, acquisiti e conservati nell’anagrafe tributaria gestita dall’Agenzia delle Entrate che includono la banca dati reddituale e l’archivio dei rapporti finanziari, alla luce di quanto disposto dall’art. 6, comma 7, d.P.R. n. 605/1973 e ss. mm. ii.
L’unica eccezione in ordine ai limiti del diritto di accesso e precisamente al rapporto tra diritto di accesso e riservatezza, è data dall’art. 24 comma 7, che riconosce all’interessato un accesso difensivo, stabilendo che deve comunque essere garantito ai richiedenti l’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici.
Ne consegue che all’interno della fattispecie giuridica generale dell’accesso, esistono due fattispecie particolari, 1) l’accesso cd. difensivo e 2) l’accesso partecipativo, che danno vita a due logiche interpretative differenti cui è preposto l’esercizio del potere amministrativo, secondo regole procedimentali nettamente differenziate.
La logica partecipativa è imperniata sul principio generale della massima trasparenza possibile.
La logica difensiva è costruita intorno al principio dell’accessibilità dei documenti amministrativi per esigenze di tutela e si traduce in un onere, che grava sulla parte interessata, di dimostrare che il documento al quale intende accedere è necessario per la cura o la difesa dei propri interessi.
In quest’ottica l’esercizio del diritto di accesso difensivo non necessita l’attualità della pendenza di una lite (dinanzi al giudice civile o ad altro giudice) anche se, certamente, essa può costituire un elemento utile per valutare la concretezza e l’attualità dell’interesse legittimante all’istanza di accesso.
Con specifico riferimento al settore dei procedimenti in materia di famiglia, il legislatore medesimo, si è preoccupato di disciplinare il fenomeno giuridico della ‘famiglia’ in senso omnicomprensivo, e cioè tale da ricomprendere il momento della sua formazione, quello del suo svolgimento e quello, eventuale, della crisi e del suo scioglimento. Si tratta, all’evidenza, di situazioni giuridiche soggettive predeterminate e costruite secondo il modello dell’astratto paradigma legale, sotto il quale vengono sussunte le singole fattispecie concrete. Al realizzarsi di una di queste fattispecie predeterminate, che giuridicamente corrispondono a necessità e bisogni sociali particolarmente avvertiti dalla comunità (quali, ad esempio, l’equità nella gestione dei rapporti personali e patrimoniali tra i coniugi o i conviventi e rispetto ai figli), l’unico interesse legittimante all’accesso difensivo sarà quello che corrisponderà in modo diretto, concreto ed attuale alla cura in giudizio di tali predeterminate fattispecie, in chiave strettamente difensiva.
Tale ultimo aspetto, chiarisce il secondo dei parametri al quale si è fatto cenno, e cioè quello riguardante il cd. “collegamento al documento del quale è chiesto l’accesso” in modo tale da evidenziare in maniera diretta ed inequivoca il nesso di strumentalità che deve interessare la situazione soggettiva finale al documento di cui viene richiesta l’ostensione, e per l’ottenimento del quale l’accesso difensivo, in quanto situazione strumentale, fa da tramite.
Questa esigenza è soddisfatta, sul piano procedimentale, dal successivo art. 25, comma 2, l. n. 241/1990, ai sensi del quale la richiesta di accesso ai documenti deve essere motivata.
Sono escluse non meglio precisate esigenze probatorie e difensive, siano esse riferite a un processo già pendente oppure ancora instaurando.
Passando ad esaminare la terza questione, posta dall’ordinanza di rimessione perché oggetto di contrasto giurisprudenziale, relativa alla possibile concorrenza tra accesso difensivo e poteri istruttori disciplinati dal codice di procedura civile, la Plenaria depone nel senso della complementarietà tra i due istituti, anziché nel senso della loro reciproca esclusione.
Quanto alle differenze di disciplina ed efficacia delle due situazioni giuridiche si evidenzia che:
1. da un punto di vista sistematico, la situazione legittimante all’accesso è autonoma e distinta da quella legittimante l’impugnativa giudiziale (in particolare, dall’azione di annullamento nel processo amministrativo) e dal relativo esito. Ne consegue che, il diritto di accesso cd. difensivo ex l. n. 241/1990 è strumentale alla difesa di una situazione giuridica tutelata dall’ordinamento ed è azionabile dinanzi al giudice amministrativo, a prescindere dalla circostanza che la situazione giuridica finale si configuri come diritto soggettivo o interesse legittimo, e che quindi rientri nell’ambito di giurisdizione del giudice amministrativo e di quello ordinario (v. Sez. Un. Civ., 14 aprile 2011, n. 8487; id., 28 maggio 1998, n. 5292).
2. proprio in considerazione dell’autonomia della situazione legittimante, l’accesso difensivo non presuppone necessariamente l’instaurazione o la pendenza in concreto di un giudizio. Sia che la controversia tra le parti si componga in una stragiudiziale anteriore al giudizio (per esempio attraverso l’istituto della mediazione obbligatoria), sia che il conflitto sfoci nella instaurazione del giudizio, appare evidente l’esigenza delle parti di acquisire già in sede stragiudiziale e nella fase preprocessuale la conoscenza dei fatti rilevanti ai fini della composizione della res controversa; mentre, nel caso di mancata composizione del conflitto, i documenti amministrativi acquisiti con lo strumento dell’accesso difensivo potranno trovare ingresso nel processo attraverso la loro produzione in giudizio ad opera della parte.
3. l’accesso difensivo ha una duplice natura giuridica, sostanziale e processuale. La natura sostanziale dipende dall’essere, l’accesso, una situazione strumentale per la tutela di una situazione giuridica finale (Adunanza plenaria n. 6/2006); la natura processuale consiste nel fatto che il legislatore ha voluto fornire di ‘azione’ la ‘pretesa’ di conoscenza, rendendo effettivo e, a sua volta, giuridicamente tutelabile e giustiziabile l’eventuale illegittimo diniego o silenzio (v. l’art. 116 cod. proc. amm.). Viceversa, gli strumenti di acquisizione probatoria, sia quelli generali di cui agli artt. 210, 211 e 213 cod. proc. civ., sia quelli particolari di cui agli artt. 155-sexies disp. att. cod. proc. civ. e 492-bis cod. proc. civ., si muovono esclusivamente sul piano e all’interno del processo; sono assoggettati alla prudente valutazione del giudice; eventuali rigetti non sono autonomamente impugnabili o ricorribili, potendo gli eventuali vizi dell’istruttoria rilevare come motivi di impugnazione della sentenza.
Il naturale corollario è che l’eventuale rigetto dell’istanza di esibizione di un documento della pubblica amministrazione, proposta ai sensi dell’art. 210 cod. proc. civ., non si pone in contrasto, né elude la ratio legis contenuta negli artt. 22 e ss. l. n. 241/1990, poiché le due disposizioni operano su un piano diverso, avendo la legge n. 241/1990 assunto l’interesse del privato all’accesso ai documenti come interesse sostanziale, mentre l’acquisizione documentale ai sensi dell’art. 210 cod. proc. civ. costituisce esercizio di un potere processuale e l’acquisizione del documento resta pur sempre subordinata alla valutazione della rilevanza dello stesso, ai fini della decisione, da parte del giudice al quale spetta di pronunciarsi sulla richiesta istruttoria ai sensi dell’art. 210 cod. proc. civ. (v. Cass. Civ., Sez. 1, 9 agosto 1996, n. 7318).
Quanto alla complementarietà dei due strumenti la Plenaria sottolinea come lo spirito che ha animato l’ordinamento giuridico nel tempo è stato quello di far progredire gli istituti di garanzia.
Gli ordini di esibizione ex art. 210 e 211 cpc devono assumere carattere residuale di extrema ratio, in quanto gli stessi possono essere adottati solo qualora la parte non sia in condizione di acquisire il documento attraverso altri strumenti offerti dall’ordinamento (art. 22 ss. l. n. 241/1990) al fine di ottenere prove precostituite idonee a dimostrare i fatti da essa allegati, né i menzionati poteri processuali possono essere esercitati per supplire al mancato assolvimento dell’onere della prova a carico della parte istante.
Ne deriva che la disciplina degli strumenti processualcivilistici di esibizione istruttoria ex artt. 210, 211 e 213 cod. proc. civ., quale interpretata e applicata da costante e consolidata giurisprudenza di legittimità, lungi dal costituire un limite all’esperibilità dell’accesso documentale difensivo ex l. n. 241/1990 prima o in pendenza del giudizio sulla situazione giuridica ‘finale’, sembra presupporre il suo previo esperimento, essendo tali mezzi di prova configurati come strumenti istruttori tendenzialmente residuali rispetto alle forme di acquisizione dei documenti da parte dei privati sulla base di correlative discipline di natura sostanziale anche in funzione della loro produzione in giudizio.
Deve pertanto escludersi che la previsione, negli artt. 210, 211 e 213 cod. proc. civ., di strumenti di esibizione istruttoria aventi ad oggetto documenti detenuti dalla pubblica amministrazione possa precludere l’esercizio dell’accesso documentale difensivo secondo la disciplina di cui alla legge n. 241/1990, né prima né in pendenza del processo civile.
Ad analoghe conclusioni deve pervenirsi con riguardo al rapporto tra l’istituto dell’accesso documentale difensivo e i poteri istruttori d’ufficio di acquisizioni documentali attribuiti al giudice ordinario nei procedimenti in materia di famiglia.
(es. art. 337-ter, ultimo comma, cod. civ., l’art. 5, comma 9, l. n. 898/1970, l’art. 736-bis, comma 2, cod. proc. civ., l’art. 155-sexies disp. att. cod. proc. civ.)
Tali previsioni normative non contengono alcuna clausola di esclusività, specialità e/o prevalenza rispetto alla disciplina dell’accesso documentale difensivo ex l. n. 241/1990 ai documenti reddituali, patrimoniali e finanziari dell’anagrafe tributaria del rispettivo coniuge e/o genitore di figli minorenni (o maggiorenni non economicamente dipendenti), esercitato al fine della ricostruzione dei rapporti patrimoniali e finanziari in funzione della determinazione degli assegni di divorzio, di separazione e di mantenimento dei figli, si rileva che, anche in relazione a tali previsioni normative, si rinviene un costante orientamento giurisprudenziale nel senso che tali poteri istruttori d’ufficio non possono essere esercitati per sopperire alla carenza probatoria della parte onerata, la quale abbia la possibilità di acquisire le prove aliunde e non le abbia prodotte in giudizio (v. Cass. Civ., Sez. 6, ord. 15 novembre 2016, n. 23263; nello stesso senso, Cass. Civ., Sez. 1, 28 gennaio 2011, n. 2098). Solo in materia di determinazione del contributo di mantenimento per i figli minori (oggi, art. 337-ter cod. civ.; olim art. 155, comma 6, cod. civ.), il potere istruttorio d’ufficio appare più accentuato, nel senso che la domanda non può essere respinta per carenza di prova senza l’esercizio del potere d’ufficio.
Resta con ciò riaffermato, anche per i procedimenti in materia di famiglia, il principio per cui l’esercizio dei poteri, anche officiosi, di indagine attribuiti al giudice civile nei procedimenti in materia di famiglia richiede, da un lato, che la parte abbia fatto tutto quanto è in suo potere per offrire la prova dei fatti che è interessata a dimostrare, non essendo i poteri d’ufficio esercitabili per supplire eventuali carenze probatorie addebitabili alla parte che ne solleciti l’esercizio, e, dall’altro, che la stessa fornisca elementi di fatto specifici e circostanziati, idonei a rendere la contestazione della documentazione prodotta dalla controparte sufficientemente specifica da imporre un approfondimento istruttorio.
Ne consegue che non si ravvisa ragione alcuna di escludere o precludere l’esperibilità dell’accesso documentale difensivo ai documenti della anagrafe tributaria, ivi incluso l’archivio dei rapporti finanziari, contenenti i dati reddituali, patrimoniali e finanziari della rispettiva parte antagonista, nell’ambito dei procedimenti in materia di famiglia al fine di accertare le sostanze patrimoniali e le disponibilità reddituali di ognuno dei coniugi e, così, determinare l’entità dell’assegno disposto a beneficio di quello più bisognoso nonché dell’eventuale prole, sia prima che in pendenza del processo civile, in particolare non ostandovi l’attribuzione, al giudice delle controversie familiari, dei poteri istruttori di ufficio sopra menzionati.
Né l’esperibilità, in controversie di natura civilistica, dell’accesso difensivo ai documenti amministrativi – e ciò vale sia con riferimento al rapporto con gli ordini di esibizione istruttoria ex artt. 210, 211 e 213 cod. proc. civ., sia con riferimento al rapporto con i poteri istruttori d’ufficio nei procedimenti in materia familiare – può ritenersi lesivo del diritto di difesa e/o riservatezza della rispettiva parte controinteressata.
Ebbene, ai fini del bilanciamento tra diritto di accesso difensivo (preordinato all’esercizio del diritto alla tutela giurisdizionale in senso lato) e tutela della riservatezza (nella specie, cd. finanziaria ed economica), secondo la previsione dell’art. 24, comma 7, l. n. 241/1990, trova applicazione il criterio generale della «necessità» ai fini della ‘cura’ e della ‘difesa’ di un proprio interesse giuridico, ritenuto dal legislatore tendenzialmente prevalente sulla tutela della riservatezza, a condizione del riscontro della sussistenza dei presupposti generali dell’accesso difensivo.
Alla luce delle considerazioni sopra svolte deve ritenersi che la previsione, nell’ordinamento processualcivilistico, di strumenti di esibizione istruttoria di documenti (anche) amministrativi ai sensi degli artt. 210, 211 e 213 cod. proc. civ., nonché, nell’ambito dei procedimenti di famiglia, dello strumento di acquisizione di documenti contenenti dati reddituali, patrimoniali e finanziari dell’anagrafe tributaria di cui artt. 155-sexies disp. att. cod. proc. civ. e 492-bis cod. proc. civ., ivi compresi i documenti conservati nell’archivio dei rapporti finanziari, non escluda l’esperibilità dell’accesso documentale difensivo. Infatti, sulla base di una lettura unitaria e integratrice tra le singole discipline, nonché costituzionalmente orientata a garanzia dell’effettività del diritto alla tutela giurisdizionale da intendere in senso ampio e non ristretto al solo momento processuale, il rapporto tra l’istituto dell’accesso documentale difensivo e i menzionati istituti processualcivilistici non può che essere ricostruito in termini di complementarietà delle forme di tutela.
Quanto all’ultima questione deferita all’Adunanza Plenaria, relativa alle modalità ostensive dei documenti dell’anagrafe tributaria, ivi inclusi i documenti dell’archivio dei rapporti finanziari – se, cioè, l’accesso possa essere esercitato solo attraverso visione, oppure anche attraverso estrazione di copia –, la stessa deve essere risolta in quest’ultimo senso, in quanto proprio con riguardo all’accesso difensivo, l’unica modalità ontologicamente idonea a soddisfare la funzione di acquisire la documentazione extra iudicium ai fini della ‘cura’ e ‘difesa’ della situazione giuridica facente capo al richiedente l’accesso è l’estrazione di copia, ai fini di un eventuale utilizzo del documento in sede stragiudiziale e, a maggior ragione, in sede processuale, impossibile se non attraverso l’offerta in comunicazione e la produzione materiale della relativa copia in giudizio.
L’Adunanza Plenaria ai sensi dell’art. 99, comma 5, c.p.a., sulla base delle motivazioni esposte, enuncia i seguenti principi di diritto:
  1. Le dichiarazioni, le comunicazioni e gli atti presentati o acquisiti (d)agli uffici dell’amministrazione finanziaria, contenenti i dati reddituali, patrimoniali e finanziari ed inseriti nelle banche dati dell’anagrafe tributaria, ivi compreso l’archivio dei rapporti finanziari, costituiscono documenti amministrativi ai fini dell’accesso documentale difensivo ai sensi degli artt. 22 e ss. della legge n. 241/1990;
     
  2. L’accesso documentale difensivo può essere esercitato indipendentemente dalla previsione e dall’esercizio dei poteri processuali di esibizione istruttoria di documenti amministrativi e di richiesta di informazioni alla pubblica amministrazione nel processo civile ai sensi degli artt. 210, 211 e 213 cod. proc. civ;
     
  3. L’accesso difensivo ai documenti contenenti i dati reddituali, patrimoniali e finanziari, presenti nell’anagrafe tributaria, ivi compreso l’archivio dei rapporti finanziari, può essere esercitato indipendentemente dalla previsione e dall’esercizio dei poteri istruttori di cui agli artt. 155-sexies disp. att. cod. proc. civ. e 492-bis cod. proc. civ., nonché, più in generale, dalla previsione e dall’esercizio dei poteri istruttori d’ufficio del giudice civile nei procedimenti in materia di famiglia;
     
  4. L’accesso difensivo ai documenti contenenti i dati reddituali, patrimoniali e finanziari, presenti nell’anagrafe tributaria, ivi compreso l’archivio dei rapporti finanziari, può essere esercitato mediante estrazione di copia.

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