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Nelle valutazioni di compatibilità paesaggistica conta l’impatto visivo delle opere
di Massimo Asaro – Specialista in Scienza delle autonomie costituzionali, funzionario universitario Responsabile affari legali e istituzionali
 
La sentenza in commento tratta della tutela del Paesaggio che, a livello nazionale, è disciplinata dalla parte III del Codice dei Beni culturali e del Paesaggio (D.Lgs. n. 42/2004 e smi); essa offre due elementi di interesse che vale la pena di affrontare per ragioni diverse:
a) quando un territorio montuoso è soggetto a vincolo paesaggistico (rectius dichiarazione di notevole interesse pubblico, di cui all’art. 140 del Codice) le nuove opere da edificarsi devono garantire visivamente l’integrità morfologica del monte;
b) le valutazioni degli Enti preposti alla tutela del Paesaggio sono espressione di ampia discrezionalità tecnica e consistono di giudizi non basati sulla ponderazione di interessi ma solo sull’analisi dei fatti, ancorché alla stregua di scienze non esatte che perciò portano a risultati opinabili. Conta il rigore metodologico.
La materia è trattata in modo eterogeneo dalle legislazioni regionali che contengono scelte differenti e spesso fanno uso di nozioni e definizioni autonome rispetto alla legislazione statale. Dato di base, per questo lavoro, è quanto stabilito dall’art. 142, comma 1, lett. d) del Codice secondo cui sono comunque di interesse paesaggistico “le montagne per la parte eccedente 1.600 metri sul livello del mare per la catena alpina e 1.200 metri sul livello del mare per la catena appenninica e per le isole;”. Le opere edilizie da realizzarsi su immobili di interesse paesaggistico, presunto o dichiarato, sono necessariamente soggette ad autorizzazione paesaggistica, secondo quanto stabilito dall’art. 146 del citato Codice il quale stabilisce che su tali immobili non possono introdursi “modificazioni che rechino pregiudizio ai valori paesaggistici oggetto di protezione” (comma 1). La valutazione di compatibilità paesaggistica consiste nella “verifica della compatibilità tra l’interesse paesaggistico tutelato e l’intervento progettato” (comma 3). “Sull’istanza di autorizzazione paesaggistica si pronuncia la regione, dopo avere acquisito il parere vincolante del soprintendente in relazione agli interventi da eseguirsi su immobili ed aree sottoposti a tutela dalla legge o in base alla legge, ai sensi del comma 1, salvo quanto disposto all’articolo 143, commi 4 e 5”.
Nella realizzazione di attività edificatoria in zona paesaggisticamente vincolata, vengono in rilievo interessi contrapposti, facenti capo al soggetto privato e alla collettività. Vi è, da una parte, l’interesse del privato a esercitare l’attività edificatoria, risultando questa espressione del suo diritto dominicale; vi è, dall’altra, l’interesse pubblico alla preservazione dei valori paesistici tutelati. Quando il vincolo non comporti inedificabilità assoluta, i principi di adeguatezza e di proporzionalità dell’azione amministrativa richiedono che l’Autorità preposta al vincolo valuti prioritariamente se i valori da esso espressi possano essere conservati e tutelati anche attraverso la realizzazione del manufatto con prescrizioni oppure con modalità costruttive particolari, diverse rispetto a quelle indicate in progetto. Solo nel caso in cui neppure tali accorgimenti assicurino la tutela del vincolo, potrà procedersi al diniego dell’autorizzazione (opzione “zero”).
Secondo il Consiglio di Stato, tenendo conto della legislazione regionale e dell’atto di pianificazione paesaggistica (previsto dall’art. 143 e segg. del Codice), alcune disposizioni normative, non avendo un proprio glossario autodefinitorio, recano concetti valvola che spetta alle Autorità preposte riempire di significati: in questo caso sono tali la “significatività” dell’impatto paesaggistico di un determinato intervento e la “integrità morfologica” preesistente.
Secondo i principi generali della valutazione di compatibilità paesaggistica, un elemento fondamentale è costituito dal dato della percezione visiva della modificazione dello stato dei luoghi (Cons. Stato, Sez. IV, sent. 11 ottobre 2018, n. 5850). L’alterazione dello skyline, dovuta a qualsiasi ragione o soluzione tecnica, è percepibile visivamente e non compatibile con la tutela del paesaggio. In ambito paesaggistico l’obiettivo dell’Amministrazione è quello «di difendere, mercé un giudizio di comparazione, il contesto vincolato nel quale si collochi l’opera, tenendo sì presenti le effettive e reali condizioni dell’area d’intervento (arg. ex Cons. St., VI, 29 dicembre 2010 n. 9578; id., 14 giugno 2011 n. 4418), ma pure se l’eventuale sovraccarico di plurimi interventi in situ non abbia raggiunto un livello di saturazione incompatibile col vincolo» (Cons. Stato, Sez. VI, sent. 18/09/2017, n. 4369);
Una tale conclusione è necessariamente riconducibile ad apprezzamenti tecnico discrezionali realizzati con canoni extragiuridici presidiati da regole tecniche proprie delle scienze (in questo caso) non esatte e che perciò producono risultati opinabili. Si parla di discrezionalità proprio per indicare che tali giudizi, ancorché compiuti alla stregua di regole della scienza e della tecnica, restano opinabili, ciò in quanto l’applicazione della norma tecnica non determina un risultato univoco, posto che molte discipline tecniche e scientifiche non sono scienze esatte (Cons. Stato, Sez. I, par. 16/07/2020, n. 1338). Certamente si tratta di risultati ottenuti applicando una metodologia riconosciuta e attendibile che il giudice amministrativo può controllare con un “sindacato intrinseco debole”. Ciò significa che il giudice può svolgere non un mero controllo formale ed estrinseco dell’iter logico seguito dalla P.A., ma può condurre una verifica diretta dell’attendibilità delle operazioni tecniche, sia sotto il profilo della loro correttezza, sia con riguardo al criterio tecnico e al relativo procedimento applicativo. In sede di giurisdizione di legittimità, può essere censurata la sola valutazione che si ponga al di fuori dell’ambito di opinabilità, affinché il sindacato giudiziale non divenga sostitutivo di quello dell’amministrazione attraverso la sovrapposizione di una valutazione alternativa, parimenti opinabile (Cons. Stato, Sez. VI, sent. 23/07/2018, n. 4466). Nel rispetto del principio di separazione dei poteri, non è infatti consentito al giudice amministrativo sostituire alle valutazioni della P.A. (cd. riserva di amministrazione), ancorché opinabili, le proprie valutazioni. Perché siano configurabili profili di eccesso di potere, la determinazione amministrativa deve risultare contraria al principio di ragionevolezza/attendibilità tecnica (T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. II, sent. 13/02/2020, n. 206; Cons. Stato, Sez. VI, sent. 23/09/2019, n. 631515/07/2019, n. 4990).
Per consentire di comprendere (e confermare) la fondatezza di un provvedimento, soprattutto se afflittivo come un diniego di autorizzazione paesaggistica, la P.A. non può limitarsi a esprimere valutazioni apodittiche e stereotipate, dovendo specificare le ragioni del rigetto dell’istanza con riferimento concreto alla fattispecie coinvolta (sia in relazione al vincolo che ai caratteri del manufatto) ovvero esplicitare i motivi del contrasto tra le opere da realizzarsi e le ragioni di tutela dell’area interessata dall’apposizione del vincolo (Cons. Stato, Sez. VI, sent. 29/07/2020, n. 4830)

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