13/10/2020 – Urbanistica. Vincolo paesaggistico e condono edilizio

Urbanistica. Vincolo paesaggistico e condono edilizio
Pubblicato: 12 Ottobre 2020
Cass. Sez. III n.26524 del 23 settembre 2020 (CC 24 giu 2020)

In tema di abusi edilizi commessi in aree sottoposte a vincolo, il condono previsto dall’art. 32 del d.l. n. 269 del 2003, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 326 del 2003, è applicabile esclusivamente agli interventi di minore rilevanza indicati ai numeri 4, 5 e 6 dell’allegato 1 del citato d.l. (restauro, risanamento conservativo e manutenzione straordinaria) e previo parere favorevole dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo, mentre non sono in alcun modo suscettibili di sanatoria le opere abusive di cui ai precedenti numeri 1, 2 e 3 del medesimo allegato, anche se l’area è sottoposta a vincolo di inedificabilità relativa e gli interventi risultano conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici. Dunque, sono del tutto esclusi dal condono del 2003 gli interventi edilizi maggiori nelle aree sottoposti a vincolo; e non sui soli immobili sottoposti a vincolo

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 1° febbraio 2019, la Corte d’appello di Salerno ha rigettato l’incidente di esecuzione proposto da Carmine Carbone, per la revoca dell’ordine di demolizione emesso dalla Procura Generale presso la Corte di appello di Salerno in esecuzione della sentenza della stessa Corte territoriale del 12 ottobre 2007, irrevocabile il 25 gennaio 2008 (di parziale riforma della sentenza del Tribunale di Nocera Inferiore del 8 novembre 2005), relativa a reati edilizi.

L’incidente di esecuzione si fondava sull’intervenuto rilascio, da parte del Comune di Sarno, il 26 marzo 2018, del permesso di costruire in sanatoria richiesto dall’interessato il 10 dicembre 2004, ex art. 32 del d.l. n. 269 del 2003, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 326 del 2003.

2. Avverso l’ordinanza l’interessato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione, lamentando, con un unico articolato motivo di doglianza, che la Corte di appello – incorrendo in violazione di legge e vizio della motivazione – avrebbe erroneamente ritenuto illegittimo il permesso di costruire in sanatoria, perché l’immobile abusivo sarebbe stato realizzato in zona sottoposta a vincolo idrogeologico, in violazione del divieto previsto dall’art. 32, comma 27, lettera d), del d.l. n. 269 del 2003, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 326 del 2003, che vieterebbe il rilascio del permesso di costruire per gli abusi edilizi di tipologia 1, commessi in area sottoposta a vincolo idrogeologico. In altri termini, la Corte territoriale avrebbe «fatto cattivo governo» della documentazione depositata e dei titoli abilitativi sopravvenuti.

Dopo avere riportato il parere contrario all’accoglimento dell’istanza dell’interessato, formulato dalla Procura Generale presso la Corte di appello di Salerno, la difesa procede alla sua disamina, per contestare che: a) le opere non fossero ultimate al rustico, in particolare quanto alla esistenza della copertura (sul punto si riporta il verbale dell’accertamento del 6 novembre 2003); b) l’entità della volumetria realizzata non consentisse la sanatoria, perché sarebbe stata in realtà inferiore a mc 750 ed andrebbe calcolata non in base a quanto occorre demolire, come ritenuto dal c.t. del Procuratore Generale ma, nel caso del cd. terzo condono, allo strumento urbanistico vigente nel comune di Sarno al 32 marzo 2003, cioè in base alla volumetria emergente dal terreno; la volumetria utile ai fini del condono sarebbe di mc 745,78, inferiore quindi a quella di mc 750; c) l’esistenza del vincolo idrogeologico sarebbe stata scorrettamente considerata, perché andrebbe valutata, invece, al momento della presentazione della domanda, a prescindere dall’epoca della sua istituzione, in base al principio tempus regit actum; d) la valutazione effettuata dal Comune concedente sarebbe in realtà corretta, in base al richiamo alla perizia di compatibilità idrogeologica/idraulica, da cui emergerebbe la compatibilità degli interventi edilizi abusivi con le disposizioni del PSAI (Piano stralcio per l’assetto idrogeologico); e) l’inesistenza della elusione del limite massimo di volumetria di mc 750, non dovendo computarsi quella del piano interrato posta a quota inferiore al piano di campagna.

Si sostiene, in secondo luogo, che la Corte di appello avrebbe erroneamente ritenuto sussistente il vincolo, mentre dal certificato del Comune di Sarno del 4 dicembre 2019, allegato al ricorso, risulta che l’immobile non ricade nelle aree sottoposte a vincolo idrogeologico di cui al r.d. n. 3267 del 1923. Dunque, il vincolo non sarebbe stato esistente al momento della edificazione del manufatto e la Corte di appello avrebbe dovuto applicare il principio tempus regit actum; e il rilascio del titolo abilitativo estinguerebbe il reato anche per la violazione del vincolo.

Il richiamo effettuato dalla Corte territoriale al comma 27, lettera d), dell’art. 32 del d.l. n. 269 del 2003 sarebbe inconferente, perché tale norma va interpretata collegandola al precedente comma 26 ed agli artt. 32 e 33 della legge n. 47 del 1985, come modificati dal d.l. n. 269 del 2003. Si richiama la sentenza della Corte Costituzionale n. 196 del 2004, di incostituzionalità del comma 26 citato, e si afferma che sarebbero suscettibili di sanatoria gli abusi più gravi, ad eccezione di quelli commessi su monumenti nazionali e beni culturali di notevole interesse, nonché quelli di minore gravità in quanto realizzati su immobili sottoposti ai vincoli di cui all’art. 32 del d.l. n. 269 del 2003. Quanto ai vincoli di cui al richiamato comma 27 imposti dalla legge statale e regionale, in base all’interpretazione delle norme fornita dal ricorrente, si tratterebbe di vincoli di inedificabilità relativa superabili dall’autorità preposta alla tutela in base alla legge regionale della Campania n. 10 del 18 novembre 2004, non rilevando la dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 3 di tale legge, ad eccezione delle lettere b) e c) del comma 2. La Corte di appello, in ogni caso, non avrebbe tenuto conto delle «emergenze processuali» introdotte dal ricorrente; il rilascio del permesso di costruire in sanatoria avrebbe generato una situazione incompatibile con l’ordine di demolizione ed imporrebbe la revoca da parte del giudice dell’esecuzione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile, perché manifestamente infondato.

La Corte di appello ha rigettato l’incidente di esecuzione proposto dall’interessato, ritenendo inapplicabile il condono edilizio del 2003, sulla base di due elementi: la preesistenza alla costruzione del vincolo idrogeologico; la natura dell’intervento edilizio, trattandosi di nuova costruzione e non di intervento minore.

La preesistenza del vincolo idrogeologico è stata affermata in base alla consulenza tecnica depositata dal Procuratore generale e, soprattutto, alla domanda di condono depositata dallo stesso ricorrente, nella quale si afferma, come riportato nell’ordinanza impugnata, che l’immobile realizzato era da contraddistinguersi con il n. 1 (abuso cd. maggiore), e che l’area in cui era intervenuto l’abuso edilizio era sottoposta a vincolo idrogeologico, oltre che costruito in zona agricola. In punto di fatto, per smentire l’affermazione della Corte territoriale, il ricorrente ha allegato esclusivamente un certificato del Comune di Sarno del 4 dicembre 2019 che escluderebbe l’esistenza del vincolo. Tale produzione documentale, avvenuta per la prima volta in sede di legittimità, è però inammissibile, trattandosi di una prova nuova il cui esame comporterebbe un’attività di apprezzamento circa la sua validità formale e la sua efficacia, nel contesto delle prove già raccolte e valutate dai giudici del merito; il che implicherebbe una valutazione di merito preclusa alla Corte di cassazione, per i limiti al suo sindacato, fissati dall’art. 606 cod. proc. pen. Dunque, non risulta dimostrato, mediante le necessarie allegazioni, che la Corte d’appello sia incorsa nel travisamento della prova quanto alla valutazione del contenuto dell’istanza di condono, nella quale si fa riferimento sia alla tipologia dell’abuso che alla preesistenza del vincolo idrogeologico. Ritenuta dunque l’esistenza di tale vincolo, ed essendo incontestato che l’intervento edilizio è una nuova costruzione, la decisione della Corte territoriale risulta del tutto corretta, essendo invece l’interpretazione del ricorrente delle norme sul condono edilizio del 2003 manifestamente infondata, perché contraria al costante orientamento della Corte di cassazione. Deve richiamarsi, in particolare, Sez. 3, n. 37865 del 04/05/2004, Rv. 230030, la quale ha affermato che, in tema di abusi edilizi commessi in aree sottoposte a vincolo, il condono previsto dall’art. 32 del d.l. n. 269 del 2003, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 326 del 2003, è applicabile esclusivamente agli interventi di minore rilevanza indicati ai numeri 4, 5 e 6 dell’allegato 1 del citato d.l. (restauro, risanamento conservativo e manutenzione straordinaria) e previo parere favorevole dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo, mentre non sono in alcun modo suscettibili di sanatoria le opere abusive di cui ai precedenti numeri 1, 2 e 3 del medesimo allegato, anche se l’area è sottoposta a vincolo di inedificabilità relativa e gli interventi risultano conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici. Dunque, sono del tutto esclusi dal condono del 2003 gli interventi edilizi maggiori nelle aree sottoposti a vincolo; e non sui soli immobili sottoposti a vincolo, come invece sostiene il ricorrente nel caso di specie. Tale principio è stato ribadito da Sez. 3, n. 40676 del 20/05/2016, Rv. 268079, la quale ha anche richiamato le sentenze della Corte Costituzionale n. 54 del 2009, n. 150 del 2009 e 290 del 2009, nonché quella del Consiglio di Stato, Sez. 6, n. 1664 del 02/05/2016, evidenziando che la sentenza della Corte Costituzionale n. 196 del 2004, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del comma 26 dell’art. 32 del d.l. n. 269 del 2003, nella parte in cui non consentiva alle leggi regionali di determinare le condizioni e le modalità di ammissibilità a sanatoria di tutte le tipologie di abuso edilizio di cui all’Allegato 1 della stessa legge, non ha inciso anche sulla disciplina dettata dal citato comma 27, lettera d), dello stesso art. 32 della L. n. 326 del 2003 che, come si è detto, non consente la sanatoria di opere – delle tipologie indicate nei numeri 1, 2 e 3 di cui all’Allegato 1 – realizzate in aree sottoposte a vincolo paesaggistico. E tale conclusione trova conferma nella Relazione governativa al decreto legge secondo cui «è fissata la tipologia di opere assolutamente insanabili tra le quali si evidenziano […], quelle realizzate in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio nelle aree sottoposte ai vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici, ambientali e paesistici […] Per gli interventi di minore rilevanza (restauro e risanamento conservativo) si ammette la possibilità di ottenere la sanatoria edilizia negli immobili soggetti a vincolo previo parere favorevole da parte dell’autorità preposta alla tutela. Per i medesimi interventi, nelle aree diverse da quelle soggetto a vincolo, l’ammissibilità alla sanatoria è rimessa ad uno specifico provvedimento regionale)». Come correttamente rilevato dalla Corte territoriale nel presente procedimento, l’art. 3, comma 2, lettera a), della legge reg. Campania 28 novembre 2004, n. 10, estendeva la possibilità del condono a tutte le tipologie di abuso (anche quelle cd. maggiori) eseguite su immobili soggetti a vincoli di tutela, se conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici vigenti alla data di esecuzione delle stesse. Tale norma è però stata dichiarata costituzionalmente illegittima con sentenza n. 49 del 6 febbraio 2006 della Corte costituzionale; con la conseguenza che anche in Campania si applica solo ed esclusivamente il più rigoroso regime previsto dal richiamato art. 32, comma 27, lettera d), del d.l. n. 269 del 2003. Deve infine ricordarsi che, nel rigettare, per infondatezza, la questione di legittimità costituzionale della norma, come modificata dalla citata legge reg. Campania n. 16 del 2014, la Corte costituzionale, oltre a ricordare che non spetta alla legge regionale allargare l’area del condono edilizio rispetto a quanto stabilito dalla legge dello Stato (sentenza n. 196 del 24/06/2004), ha anche espressamente affermato che «l’art. 9 della L.R. n. 10 del 2004, e perciò la norma impugnata che lo ha modificato, non ha per oggetto il cosiddetto terzo condono, ma esclusivamente i precedenti, di cui intende sollecitare la definizione. Ne consegue che la disposizione censurata, inapplicabile alle domande presentate ai sensi dell’art. 32 del d.l. n. 269 del 2003, si limita a recepire quanto previsto dall’ art. 33 della L. n. 47 del 1985, con riguardo al carattere assoluto della inedificabilità» (sentenza n. 117 del 25/06/2015).

Tali principi – che vanno ribaditi – sono stati correttamente applicati dalla Corte di appello, nel ritenere macroscopicamente illegittimo il permesso di costruire in sanatoria invocato dall’interessato.

2. Sulla base delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere, dunque, dichiarato inammissibile. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso il 24/06/2020.

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