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Il testo del quesito:

“Una Società consortile ha richiesto al Comune una certificazione per l’applicazione del regime di esenzione Iva ai sensi dell’art. 10, comma 2, del Dpr. n. 633/72.

Precisiamo che il servizio che svolge questa partecipata è quello di coadiuvare il Comune nel reperimento di fondi ministeriali cosiddetti ‘Vato’. Per questo servizio, richiesto dal Comune nell’ambito della propria attività istituzionale,viene versato alla Società un corrispettivo, sul quale si pone il dubbio se poter applicare il regime esentativo di cui sopra.

Il Comune nel periodo indicato da tale norma aveva un pro-rata di detraibilità prossimo al 100%”.

 

La risposta dei nostri esperti.

Con riguardo al quesito posto, osserviamo preliminarmente che siamo di fronte a una disposizione di favore per i Comuni consorziati di Società consortili, in base alle quale queste ultime fatturano i loro servizi ai consorziati in regime di esenzione Iva. Tale norma prevede che “sono altresì esenti dall’Imposta le prestazioni di servizi effettuate nei confronti dei consorziati o soci da Consorzi, ivi comprese le Società consortili e le Società cooperative con funzioni consortili, costituita tra soggetti per i quali, nel triennio solare precedente, la percentuale di detrazione di cui all’art.19-bis, anche per effetto dell’opzione di cui all’art. 36-bis, sia stata non superiore al 10%, a condizione che i corrispettivi dovuti dai consorziati o soci ai predetti Consorzi e Società non superino i costi imputabili alle prestazioni stesse”.

Innanzitutto, occorre verificare che tipo di servizio svolge al Comune la Società consortile in questione: se cioè si tratta di un servizio afferente all’attività istituzionale o commerciale dell’Ente.

Giova precisare poi che la norma in questione (art. 10, comma 2, Dpr. n. 633/72) prevede l’applicazione del regime di esenzione Iva per le forniture di servizi al Comune, da parte di tale tipo di Società, qualora la percentuale di detrazione (c.d. pro-rata di detraibilità ex art. 19-bis del Dpr. n. 633/72) nei 3 anni precedenti sia stata inferiore al 10%.

Al riguardo, è utile citare la Circolare Agenzia Entrate n. 23/E del 2009, che a pag. 9 lascia intendere, per i soggetti Iva, che la percentuale del 10% debba determinarsi tenendo conto del rapporto tra attività imponibili e totale attività imponibili più esenti (come previsto del resto dalla formula di determinazione del pro-rata), non dovendo sommare a nostro avviso al denominatore anche tutte le entrate fuori campo Iva del Comune.

Ipotizzando intanto che la somma in questione, erogata dal Comune, possieda pacificamente la natura di corrispettivo soggetto ad Iva e non di contributo fuori campo Iva (altrimenti il dubbio sul regime di esenzione neppure si porrebbe), se il servizio viene richiesto, come indicato, nell’ambito dell’attività istituzionale, sebbene il Comune sia un soggetto Iva in regime di pro-rata, l’Iva su corrispettivo fatturato risulta totalmente indetraibile.

Leggendo la citata Cm. n. 23/E del 2009, una casistica come questa potrebbe essere pertanto interpretata in 2 modi diversi:

a) il Comune si considera in ogni caso soggetto passivo (non riferito al caso specifico ma in generale, avendo una Posizione Iva attivata) e quindi occorre verificare il regime di pro-rata. In tal caso a nostro avviso, come già sottolineato, non è corretto considerare nel calcolo le entrate non rilevanti Iva in quanto – sebbene a livello comunitario il concetto di esenzione Iva sia assimilabile a quello di fuori campo Iva – ciò si scontrerebbe con la definizione di pro-rata ex art. 19-bis, Dpr. n. 633/72, norma richiamata espressamente dalla disposizione agevolativa. In tale ipotesi, essendo il pro-rata del Comune ampiamente superiore al 10%, la Società consortile non potrebbe fatturare in regime di esenzione ex art. 10, comma 2, Dpr. n. 633/72. Tale ipotesi è certamente quella maggiormente prudenziale in mancanza di pronunciamenti dell’Agenzia delle Entrate;

b) il Comune si considera nel caso di specie soggetto non Iva (in quanto il servizio è acquisto in ambito istituzionale), l’Iva rappresenta un costo pieno e quindi – come indicato dalla stessa Cm. n. 23/E –la Società consortile può applicare il regime di esenzione Iva.

In effetti, la ratio della norma potrebbe far propendere per questa seconda ipotesi, ma si tratta di una interpretazione della stessa, non supportata da pronunciamenti perentori.

Oltretutto se, come indicato nella bozza di certificazione proposta dalla Società consortile il servizio richiesto, a differenza di quanto sostenuto dal Comune, fosse addirittura funzionale non solo all’attività istituzionale ma anche ad attività rilevanti Iva, ciò implicherebbe la determinazione del pro-rata ai sensi dell’art. 19-bis citato e quindi – sulla base di quanto sopra sostenuto – la non applicabilità del regime esentativo, visto che tale percentuale risulta nettamente superiore al 10%.

Anche in tal caso il calcolo potrebbe peraltro determinare una percentuale inferiore al 10% qualora venissero considerate anche le entrate non rilevanti Iva, tale impostazione si scontrerebbe come detto con l’art. 19-bis, del Dpr. n. 633/72, ma potrebbe essere in linea con la ratio della norma (agevolare i Comuni stante l’indetraibilità dell’Iva, sia quando la prestazione richiesta è inerente servizi esenti o a prevalente regime di esenzione, sia quando è inerente servizi fuori campo Iva, essendo in entrambi i casi l’Iva sugli acquisti indetraibile) e con le Direttive comunitarie (in base alle quali come detto il concetto di esenzione equivale alla non rilevanza Iva).

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