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Revoca dell’aggiudicazione definitiva: quando la Stazione Appaltante incorre nella responsabilità precontrattuale
di Domenico Irollo – Commercialista/revisore contabile/pubblicista
 
In caso di revoca in autotutela dell’aggiudicazione definitiva di una gara d’appalto per carenza di copertura finanziaria dovuta ad un comportamento non improntato alla ordinaria diligenza tenuto dalla stessa Stazione Appaltante nel parallelo iter procedurale di reperimento dei fondi necessari al finanziamento della commessa, detta S.A. deve risarcire a titolo di culpa in contraendo l’operatore economico già individuato come affidatario. Lo ha chiarito il TAR Campania con la sentenza n. 939/2020 in commento.
Nella fattispecie era accaduto che una società partecipata aveva indetto una procedura aperta per l’affidamento di lavori di riqualificazione. Il provvedimento di aggiudicazione definitiva in favore dell’o.e. risultato primo classificato, dopo aver superato indenne anche il vaglio giurisdizionale promosso da altri partecipanti alla gara, dopo ben 21 mesi e ripetuti solleciti rivolti dalla ditta vincitrice alla S.A. affinché si addivenisse alla regolare sottoscrizione del contratto di appalto, rimasti tutti privi di riscontro, veniva revocato dalla Stazione Appaltante in quanto la Regione che avrebbe dovuto sovvenzionare l’opera si determinava nel senso di non finanziarla, dal momento che i relativi progetti posti a base della procedura ad evidenza pubblica “incriminata” erano risultati affetti da carenze documentali – rimaste tali anche dopo le inutili, reiterate richieste di allegazione integrativa indirizzate alla S.A. – insanabili: nello specifico, detta carenza afferiva agli originali dei verbali di verifica e validazione del progetto che erano andati irrimediabilmente smarriti.
In esito alla revoca, la S.A. e l’aggiudicatario (revocato) adivano entrambi il G.A. partenopeo, la prima per contestare il diniego di ammissione al finanziamento da parte della Regione, il secondo affinché fosse accertata la responsabilità precontrattuale della S.A. per il comportamento complessivamente tenuto nel corso delle trattative e della gara, ai sensi dell’art. 1337 c.c., secondo cui “le parti, nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto, devono comportarsi secondo buona fede”.
Sennonché il TAR campano (con separata pronuncia) ha respinto il primo gravame avendo acclarato la legittimità del rifiuto opposto dalla Regionale all’accesso al finanziamento dell’opera de qua e nel contempo, con il verdetto in rassegna, ha invece accolto il ricorso dell’o.e.. Il Collegio ha infatti osservato che la negativa determinazione regionale cui era indiscutibilmente condizionata l’esecuzione dell’appalto, ancorché sopravvenuta e non prevedibile rispetto al momento della indizione della procedura di gara ed alla aggiudicazione, era tuttavia evitabile attraverso l’adozione dal lato della S.A. della comune diligenza. Pertanto se è vero che la revoca dell’aggiudicazione si atteggia a “provvedimento legittimo” perché vale a porre al riparo l’interesse pubblico dalla stipula di un contratto che non avrebbe potuto essere fronteggiato per carenza delle risorse finanziarie occorrenti, dall’altro resta però il “comportamento illecito” e scorretto della S.A., la quale, con una condotta contraria a buona fede, ha permesso che nell’impresa aggiudicataria si radicasse, al di là del tempo strettamente indispensabile, un legittimo affidamento nella conclusione del contratto, non avendo fornito rapide notizie sulla criticità della procedura di non ammissione al finanziamento “a monte” ed andando in ultima analisi ad incidere sfavorevolmente sul diritto dell’o.e. all’autodeterminazione in ambito negoziale e a non essere coinvolto in trattative inutili (principio della reciproca autonomia e differenziazione tra illegittimità dell’atto amministrativo e illiceità del comportamento dell’amministrazione).
Ciò posto, il TAR napoletano ha ritenuto la configurabilità nella fattispecie in esame di una cd. “responsabilità precontrattuale pura”, ovvero riconducibile al modello civilistico di cui al citato art. 1337 c.c.. – distinta da quella cd. di tipo “spurio” che si ha in caso di illegittimità del provvedimento amministrativo di una procedura ad evidenza pubblica, nel qual caso la fonte del danno cagionato al privato non risiede nella violazione della regola della buona fede precontrattuale ma nella violazione di specifiche regole pubblicistiche, da cui scaturisce un illecito aquiliano, ex art. 2043 c.c. – risultato di un comportamento contrario a buona fede dell’Amministrazione (anche definita dalla Corte regolatrice in termini di “responsabilità da contatto sociale qualificato” inteso come fatto idoneo a produrre obbligazioni, ai sensi dell’art. 1173 c.c. e dal quale derivano, a carico delle parti, non obblighi di prestazione ai sensi dell’art. 1174 c.c., bensì reciproci obblighi di buona fede, di protezione e di informazione, ai sensi degli artt. 1175 e 1375 c.c.); responsabilità integrata appunto dalla mancanza della idonea diligenza della S.A., successiva alla conclusione della procedura di evidenza pubblica, non avendo essa nella circostanza custodito il verbale di verifica e validazione del progetto dei lavori, e non essendo stata in grado di riprodurne validamente il contenuto, sì da giungere a subire il diniego di ammissione a finanziamento per effetto di tale carenza formale-sostanziale. A cui deve aggiungersi la mancanza di adeguata tempestività nel comunicare alla impresa vincitrice la sussistenza delle criticità della procedura di ammissione a finanziamento.
Di qui, in definitiva, il diritto al risarcimento invocato dall’impresa ricorrente, che può riguardare tuttavia il solo “interesse negativo”, rappresentato dalle spese sostenute per partecipare alla procedura nonché da quelle per coltivare i contenziosi conseguenti alle impugnative delle ditte non aggiudicatarie, nonché, in tesi, dai mancati profitti da occasioni perdute a causa dell’impegno profuso nella partecipazione alla gara (perdita di chance contrattuale alternativa), che nella fattispecie la ditta ricorrente ha allegato, adducendo di aver dovuto rinunciare, nell’arco di tempo dall’aggiudicazione all’attualità, a numerose proposte di lavori in sub-appalto, senza però fornire evidenze adeguate, mediante cioè l’indicazione della titolarità in capo alle ditte proponenti di un appalto in essere e la prova che le trattative erano giunte ad uno stato affidante idoneo a farle configurare come occasioni di guadagno mancate e non mere proposte, non avendo peraltro neppure dimostrato l’o.e. di non avere sufficienti risorse umane e mezzi da distrarre per l’affidamento di questi ulteriori, prospettati (sub)appalti.

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