Print Friendly, PDF & Email
L’accesso civico generalizzato può essere utilizzato solo per evidenti ed esclusive ragioni di tutela di interessi propri della collettività generale dei cittadini.
a cura di Agostino Galeone (Segretario Generale in quiescenza)
 
 
La sentenza in esame concerne la richiesta di accesso generalizzato, di cui all’art. 5, comma 2, del D.Lgs n. 33/2013, come modificato e integrato dal D.Lgs. n. 96/2016, di alcuni documenti afferenti operazioni di salvataggio in mare di migranti operate dal SAR in un certo periodo tempo, presentata da un avvocato.
 
La predetta istanza di accesso generalizzata era stata oggetto di due analoghi dinieghi espressi, dapprima, dal Ministero della Difesa detentore dei documenti richiesti, e, successivamente, in sede di riesame, dal Responsabile della Trasparenza del Ministero delle Infrastrutture e Trasporti.
 
Il TAR del Lazio, Sezione III, con la sentenza n. 10202/2019, accoglieva il ricorso prodotto dall’istante, ritenendo di escludere, come, invece, sostenevano i resistenti Ministeri, “la possibilità di una generalizzata assimilazione delle operazioni di salvataggio di cui trattasi a “programmazione, pianificazione e condotta di attività operative – esercitazioni NATO e nazionali”, non risultando sufficiente in tal senso il mero possibile impiego – peraltro non esclusivo – di natanti militari e non potendo l’eventuale concorso di fattori, meritevoli di riservatezza, soverchiare totalmente il principio di trasparenza.”.
 
Il Consiglio di Stato, in riforma della su citata sentenza di 1° grado, accoglie il ricorso prodotto dagli attuali appellanti Ministeri sopra menzionati, anche rilevando  “l’erroneità della sentenza impugnata, nella parte in cui esclude la riconducibilità delle attività oggetto della richiesta della ricorrente nell’alveo degli atti di “programmazione, pianificazione, condotta e analisi di attività operative- esercitazioni NATO e nazionali” di cui all’art. 1048, comma primo, lett. q) del d.P.R. n. 90 del 2010, fattispecie idonea ad integrare l’ipotesi residuale di cui al comma terzo dell’art. 5-bis d.lgs. n. 33 del 2013.”.
 
In questa sede, al di là delle su richiamate conclusioni, si intende richiamare l’attenzione sulle motivazioni relative alla legittimazione dell’istante a proporre la richiesta di accesso civico generalizzato, da verificare da parte della pubblica amministrazione detentrice dei documenti richiesti, addotte dal Consiglio di Stato anche a fondamento dell’accoglimento del ricorso in questione.
 
Il giudice di 2° grado, nella prima parte delle considerazioni in “DIRITTO”, dopo avere richiamato sinteticamente i tre distinti diritti di accesso – documentale, ex artt. 22 e ss. della legge n. 241/2000, accesso civico semplice ex art. 5,comma 1, D.Lgs. n. 33/2013 e accesso civico generalizzato ex art. 5, comma 2, D.Lgs. n. 33/2013, afferma che La diversità strutturale degli interessi giuridici presi in considerazione (e tutelati) non consente quindi una sovrapposizione tra e diverse figure di accesso, destinate ad operare in contesti e per finalità del tutto differenti..
E spiega che :
L’accesso documentale “consente infatti un’ostensione più approfondita, in ragione della sua strutturale correlazione con un interesse privato del richiedente (generalmente a fini difensivi).”
 L’accesso civico, è funzionale ad un controllo diffuso del cittadino, al fine specifico, da un lato, di assicurare la trasparenza dell’azione amministrativa per l’ipotesi in cui non siano stati compiutamente rispettati gli obblighi al riguardo già posti all’amministrazione da una norma di legge, nonché – dall’altro – per operare un più incisivo e preventivo contrasto alla corruzione: in quanto tale consente sì una conoscenza potenzialmente più estesa rispetto a quella accordata dalla l. n. 241 del 1990 ai soggetti privati per la tutela dei propri interessi, ma d’altro canto meno approfondita, in quanto concretamente si traduce nel diritto ad un’ampia diffusione di dati, documenti ed informazioni, fermi però ed in ogni caso i limiti posti dalla legge a salvaguardia di determinati interessi pubblici e privati che in tali condizioni potrebbero essere messi in pericolo.” E, per questo diritto di accesso, chiarisce che “la legge n. 241 del 1990 esclude espressamente l’utilizzabilità del diritto di accesso anche ai fini di un controllo generale dell’azione amministrativa (essendo, quest’ultima, una finalità del tutto estranea alla tutela dell’interesse privato ed individuale che solo legittima e giustifica l’ostensione documentale).”
Il diritto di accesso generalizzato “è invece riconosciuto proprio “allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico”. La trasparenza perseguita dall’istituto in esame altro non è infatti che lo strumento principale con cui può effettivamente assicurarsi un controllo diffuso del rispetto della legalità dell’azione amministrativa.”
Diverse sono conseguentemente le tecniche di bilanciamento degli interessi contrapposti, che giustificano l’esclusione della possibilità di accesso: in particolare, per quanto riguarda l’accesso privato ai documenti amministrativi (ex lege n. 241 del 1990), il legislatore ha preventivamente individuato – in modo preciso – le categorie di atti ad esso sottratte (sia mediante espressa previsione di legge, sia rinviando a specifiche fonti regolamentari di attuazione e dettaglio); per contro, la disciplina dell’accesso generalizzato non reca prescrizioni puntuali, bensì individua delle categorie di interessi, pubblici (art. 5-bis, comma primo, d.lgs. n. 33 del 2013) e privati (art. 5-bis, comma 2) in presenza dei quali il diritto in questione può a priori essere negato (fermi comunque i casi di divieto assoluto, ex art. 5-bis, comma 3) e rinvia ad un atto amministrativo non vincolante (le linee-guida Anac) per ulteriormente precisare l’ambito operativo dei limiti e delle esclusioni dell’accesso civico generalizzato.
Diverse sono anche le conseguenze del mancato accesso, da un punto di vista processuale.
Nel caso di accesso tradizionale si forma il silenzio rigetto, una volta decorsi infruttuosamente 30 giorni dalla richiesta del privato interessato.
Nel caso dell’accesso civico, invece, sia nel caso di diniego parziale o totale che di mancata risposta allo scadere del termine per provvedere, non si forma alcun silenzio rigetto, ma l’istante può attivare una speciale tutela amministrativa interna innanzi al responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza, formulando istanza di riesame alla quale dovrà essere dato riscontro entro i termini di legge.
Sarà quindi onere, per l’interessato, contestare l’inerzia dell’amministrazione attivando lo specifico rito di cui all’art. 117 Cod. proc. amm. ovvero, in ipotesi di diniego espresso (anche sopravvenuto), il rito sull’accesso ex art. 116 Cod. proc. amm.
Alla luce del quadro normativo in materia, deve quindi concludersi che uno solo è il presupposto imprescindibile di ammissibilità dell’istanza di accesso civico generalizzato, ossia la sua strumentalità alla tutela di un interesse generale. La relativa istanza, dunque, andrà in ogni caso disattesa ove tale interesse generale della collettività non emerga in modo evidente, oltre che, a maggior ragione, nel caso in cui la stessa sia stata proposta per finalità di carattere privato ed individuale.
Lo strumento in esame può pertanto essere utilizzato solo per evidenti ed esclusive ragioni di tutela di interessi propri della collettività generale dei cittadini, non anche a favore di interessi riferibili, nel caso concreto, a singoli individui od enti associativi particolari: al riguardo, il giudice amministrativo è tenuto a verificare in concreto l’effettività di ciò, a nulla rilevando – tantomeno in termini presuntivi – la circostanza che tali soggetti eventualmente auto-dichiarino di agire quali enti esponenziali di (più o meno precisati) interessi generali.
Deve pertanto concludersi che, sebbene il legislatore non chieda all’interessato di formalmente motivare la richiesta di accesso generalizzato, la stessa vada disattesa, ove non risulti in modo chiaro ed inequivoco l’esclusiva rispondenza di detta richiesta al soddisfacimento di un interesse che presenti una valenza pubblica, essendo del tutto estraneo al perimetro normativo della fattispecie la strumentalità (anche solo concorrente) ad un bisogno conoscitivo privato.
In tal caso, invero, non si tratterebbe di imporre per via ermeneutica un onere non previsto dal legislatore, bensì di verificare se il soggetto agente sia o meno legittimato a proporre la relativa istanza.”
 
08 marzo 2020
 

Torna in alto