26/05/2020 – Urbanistica. Struttura complessa della SCIA

Urbanistica. Struttura complessa della SCIA
Pubblicato: 25 Maggio 2020
Cass. Sez. III n. 13148 del 28 aprile 2020 (CC 3 mar 2020)

La procedura semplificata della SCIA edilizia presenta una struttura complessa la quale non si esaurisce con la segnalazione, ma si sviluppa in fasi ulteriori quali, per prima, quella di ordinaria attività di controllo dell’Amministrazione nel termine di trenta giorni (art. 19, co.6-bis l. 24190), e la successiva, eventuale, in cui può essere esercitata l’autotutela amministrativa. Le condizioni e le modalità di esercizio dell’intervento della Pubblica Amministrazione in tale seconda fase devono considerarsi il necessario completamento della disciplina di tali titoli abilitativi, poiché la individuazione della loro consistenza e della loro efficacia non può prescindere dalla capacità di resistenza degli stessi titoli rispetto alle verifiche effettuate successivamente alla maturazione del termine di verifica previsto ex lege. Il perno è costituito da un istituto avente portata generale, rectius l’autotutela, il quale si innesta sul delicato rapporto fra il potere amministrativo (riesercizio), da un lato, e la tutela dell’affidamento del privato, dall’altro, con necessario bilanciamento dei contrapposti interessi coinvolti.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza emessa in data 07/06/2019, depositata in data 05/11/2019, il Tribunale del riesame di Messina rigettava l’istanza di riesame proposta nell’interesse di Iannello Salvatore, avverso il decreto con cui il GIP/tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto in data 2.05.2019 aveva disposto il sequestro preventivo di un fabbricato ad un’elevazione fuori terra con struttura in cemento armato e di una struttura in legno, in relazione al reato di cui all’art. 44, lett. c), TU Edilizia, contestato nell’imputazione cautelare come commesso in data antecedente e prossima al 12.04.2019, confermando detto decreto e condannando l’istante al pagamento delle spese processuali.

2. Ha proposto ricorso per cassazione lo Iannello, a mezzo del difensore fiduciario cassazionista, deducendo tre motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

2.1. Deduce il ricorrente, con il primo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. b) c.p.p. in relazione all’art. 19, legge n. 241 del 1990, nella parte in cui si omette di dichiarare l’avvenuto consolidamento della scia alternativa al titolo edilizio, stante l’avvenuto decorso del termine previsto dal co. 6-bis del citato art. 19.

In sintesi, la censura investe l’impugnata ordinanza in quanto la stessa si porrebbe in contrasto con la disciplina di cui all’art. 19, legge n. 241/1990. Il giudice del riesame, infatti, non avrebbe tenuto conto del fatto che, rispetto alle segnalazioni poste in essere dallo Iannello, e delle quali si dà atto nella stessa decisione, l’Amministrazione avrebbe tenuto un contegno inerte. Solo con la comunicazione portante prot. 65862 dell’11.12.2019, che il ricorrente assume surrettiziamente datata 28.11.2018, a seguito della SCIA alternativa al permesso di costruire presentata il 5.11.2018, l’ente comunale avrebbe dato riscontro negativo alla suddetta segnalazione, superando il termine di 30 giorni di cui all’art. 19, co.6-bis, L. n. 241/1990.

Il giudice del riesame avrebbe pertanto erroneamente retrocesso il momento di estrinsecazione del potere della P.A. alla data del 28.11.2018, allorché, invece, la comunicazione al ricorrente rechi il prot. n. 65862 del 11.12.2018, sicché prima di tale data non potrebbe ritenersi inviata alcuna raccomandata. A tale ultimo momento, dunque, dovrebbe essere fatto riferimento per stabilire il tempo dell’emissione del provvedimento il quale, in quanto tardivo, dovrebbe ritenersi nullo per carenza di potere.  Il ricorrente, nel corroborare le proprie doglianze, evidenzia che il titolo edilizio abilitativo, successivo alla presentazione della SCIA, si consolida decorso il termine di 30 giorni (art. 19, co. 6bis, L. n. 241/90) senza che la P.A. abbia adottato dei provvedimenti (inibitori, repressivi e/o conformativi), giacché, oltre detto termine, unico rimedio possibile sarebbe quello dell’instaurazione di un nuovo procedimento amministrativo con le forme all’uopo previste per l’esercizio dei poteri in autotutela. Applicando il suddetto principio, nel caso di specie, non potrebbe negarsi la sussistenza del titolo abilitativo, sicché difetterebbe il fumus bonis iuris rispetto all’ipotesi di reato formulata a carico dello Iannello. Si censura, inoltre, il riferimento operato dal Tribunale di Messina all’art. 21 L. n. 241/90. L’infondatezza di tale rinvio emergerebbe dal fatto che nessuna contestazione circa l’ipotesi di falso sarebbe stata contestata al ricorrente.

2.2.  Deduce il ricorrente, con il secondo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. b) c.p.p. in relazione agli artt. 3, co.1, lett. b) e/o d), 10, 22, 23 D.P.R. n. 380/2001, nella parte in cui si disapplicano i criteri imposti dalla predetta normativa, ai fini del riconoscimento della tipologia di ristrutturazione de quo senza variazione di volume.

Si censura, in quanto contrario all’art. 3, co.1, lett. b) e/o d) D.P.R. n. 380/2001, l’apprezzamento operato dal giudice del riesame circa la non riconducibilità dell’intervento edilizio alla tipologia della “manutenzione straordinaria” e/o della “ristrutturazione edilizia” in conseguenza della diversità di sagome dell’edificato risultante dai lavori eseguiti. Sia la lett. b) che la lett. d) del summenzionato art. 3 escluderebbero, infatti, l’apprezzabilità della sagoma ai fini della qualificazione dell’intervento quale manutenzione straordinaria o ristrutturazione edilizia. Elemento da valutare sarebbe infatti la sola volumetria. Erroneamente, pertanto, il Tribunale di Messina avrebbe posto in essere una comparazione tra la forma della pianta e la superficie della stessa, essendo tali parametri sconosciuti alla disciplina di riferimento sopra richiamata. Il ricorrente richiama, inoltre, l’art. 10, d.P.R. n. 380/2001 il quale, nel catalogare gli interventi subordinati a permesso di costruire, vi riconduce le ristrutturazioni che “comportino modifiche della volumetria complessiva degli edifici” ovvero che “non comportino modificazioni della sagoma” relativamente agli immobili “sottoposti a vincoli ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42”. Tra questi ultimi non rientrerebbe quello oggetto del presente giudizio.

In ogni caso, ad avviso del ricorrente, ove vi fosse stata una modifica della volumetria tra l’esistente ed il ristrutturato, l’intervento sarebbe da ritenere legittimo in ragione dell’avvenuta presentazione della SCIA ai sensi dell’art. 23, co.1, lett. a) D.P.R. n. 380/2001. L’ordinanza sarebbe dunque illegittima nella parte in cui sostituisce all’accertamento circa la corrispondenza della volumetria il parametro della superficie e della sagoma.

2.3. Deduce il ricorrente, con il terzo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. b) c.p.p. in relazione all’art. 321 c.p.p., in particolare nella parte in cui si affermano esigenze cautelari tese ad impedire il protrarsi o l’aggravamento delle conseguenze dell’asserito reato, rispetto ad un immobile che alla data di applicazione del sequestro era totalmente ultimato.

L’ordinanza impugnata è censurata anche nella parte in cui è stata ritenuta la sussistenza delle esigenze cautelari, trascurando di valutarne l’attualità. L’attività edilizia non sarebbe stata mai inibita sino all’adozione, in data 16.05.2019, del provvedimento cautelare oggetto di impugnazione, intervenuto solo dopo oltre un mese dal sopralluogo eseguito dal personale dipendente del Comune di Barcellona P.G. (10.4.2019). La valutazione circa le esigenze cautelari sarebbe pertanto ancorata ad una situazione di fatto risalente nel tempo. Il manufatto, al momento del sopralluogo, sarebbe stato già completo in ogni sua parte muraria, mancando solo degli infissi, la cui installazione sarebbe un’opera di brevissima durata. La descrizione contenuta nel verbale di esecuzione del sequestro, inoltre, ove viene dato atto dei beni presenti all’interno dei locali, si presenterebbe incompatibile con l’asserita assenza degli infissi.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso è infondato.

4. Non meritano accoglimento le doglianze, seppur suggestive, espresse nel primo dei motivi dell’atto di impugnazione.

L’art. 19, co.4, L. n. 241/1990 espressamente prevede che «Decorso il termine per l’adozione dei provvedimenti di cui al comma 3, primo periodo, ovvero di cui al comma 6-bis, l’amministrazione competente adotta comunque i provvedimenti previsti dal medesimo comma 3 in presenza delle condizioni previste dall’articolo 21-novies».

La decorrenza del termine per l’esercizio dei poteri inibitori, ripristinatori e/o modificatori da parte della Pubblica Amministrazione non esime la stessa dall’obbligo di intervenire nei casi in cui venga accertato che l’attività de facto posto in essere dal privato è diversa da quella dichiarata ed in violazione delle disposizioni normative disciplinanti la materia in esame. L’impiego del modo verbale indicativo da parte del legislatore (“adotta”) consente di escludere in capo all’ente pubblico margini di discrezionalità ove sussistano i presupposti per l’esercizio del potere di autotutela il quale, come precisato nel sopra richiamato art.19 comma 4, si estrinseca attraverso l’adozione dei medesimi provvedimenti adottabili in pendenza del termine di cui ai commi 3 e 6-bis del medesimo articolo. Non è richiesto, pertanto, l’avvio di uno specifico procedimento, venendo sostanzialmente esteso l’arco temporale entro il quale la P.A., sussistendone le ragioni di interesse pubblico, conserva i propri poteri in riferimento all’attività oggetto della segnalazione del privato. In tali ipotesi, pertanto, non potrebbe essere asserita la carenza di potere in capo all’ente pubblico, anche ove il tempo per l’esercizio dei poteri di verifica sia stato superato, e purché, ovviamente, l’inibizione avvenga entro i termini indicati dal medesimo art. 21-novies L. n. 241/1990.

4.1. Tale interpretazione trova conferma in una recente pronuncia della Corte Costituzionale, la n. 45/2019.

Sembrano opportune, tuttavia, alcune precisazioni preliminari relativamente alla peculiarità della fattispecie in esame: la procedura semplificata della SCIA edilizia presenta una struttura complessa la quale non si esaurisce con la segnalazione, ma si sviluppa in fasi ulteriori quali, per prima, quella di ordinaria attività di controllo dell’Amministrazione nel termine di trenta giorni (art. 19, co.6-bis), e la successiva, eventuale, in cui può essere esercitata l’autotutela amministrativa. Le condizioni e le modalità di esercizio dell’intervento della Pubblica Amministrazione in tale seconda fase devono considerarsi il necessario completamento della disciplina di tali titoli abilitativi, poiché la individuazione della loro consistenza e della loro efficacia non può prescindere dalla capacità di resistenza degli stessi titoli rispetto alle verifiche effettuate successivamente alla maturazione del termine di verifica previsto ex lege. Il perno è costituito da un istituto avente portata generale, rectius l’autotutela, il quale si innesta sul delicato rapporto fra il potere amministrativo (riesercizio), da un lato, e la tutela dell’affidamento del privato, dall’altro (Corte Cost., sent. n. 49/2016), con necessario bilanciamento dei contrapposti interessi coinvolti.

Con la soprarichiamata sentenza del 2019, il Giudice delle Leggi ha evidenziato – sebbene in riferimento al comma 6/ter dell’art. 19, L. n.241/90 – come le verifiche alle quali è chiamata l’Amministrazione siano quelle puntualmente disciplinate dal medesimo art. 19, da esercitarsi entro i sessanta (co.3) o trenta giorni (co.6-bis) dalla presentazione della SCIA e, successivamente, entro i successivi diciotto mesi ai sensi comma 4, facente rinvio all’art. 21-novies. Esclusivamente decorsi detti termini la situazione soggettiva del segnalante può ritenersi consolidata definitivamente nei confronti della P.A. La carenza di poteri, pertanto, con la conseguente inefficacia del provvedimento eventualmente adottato, può essere dichiarata solo al superamento del termine riconosciuto all’ente pubblico per l’esercizio dell’autotutela, e non già alla scadenza dei 60/30 giorni per l’esecuzione delle verifiche sull’attività segnalata dal privato. Del resto, questa stessa Corte ha già avuto modo di affermare che in materia edilizia, la inutile scadenza del termine di legge per contestare all’interessato la carenza dei presupposti e dei requisiti per seguire la disciplina procedimentale della denunzia di inizio attività non configura un provvedimento implicito di silenzio-assenso, rimanendo impregiudicato il potere-dovere del Comune e dell’autorità giudiziaria di intervenire sul piano sanzionatorio nel caso in cui le opere realizzate a seguito della presentazione della D.I.A. risultino invece sottoposte alla disciplina del permesso di costruire (tra le tante: Sez. 3, n. 10740 del 25/11/2014 – dep. 13/03/2015, Albani, Rv. 262653).

4.2. Nel caso in esame, l’Ente comunale ha rilevato la scorretta inclusione, da parte del privato segnalante, delle aree interessate dall’intervento nella zona E2, risultando le stesse inserite all’interno della diversa zona Fgen, con conseguente inibizione dell’attività in quanto non conforme alle previsioni dello strumento urbanistico vigente. Successivamente al sopralluogo operato dalle forze dell’ordine (10.4.2019), veniva rilevata la realizzazione di opere differenti rispetto a quelle oggetto delle precedenti segnalazioni. Nello specifico: un fabbricato ad una elevazione fuori terra con struttura in cemento armato delle dimensioni complessive in pianta di ml 9,49×9,40 circa, per una superfice complessiva di circa 88,00 meri quadrati ed un volume di metri cubi 287,00 circa; una struttura in legno, addossata al fabbricato sul lato nord, delle dimensioni in pianta di ml 19,00×7,30 per una superficie complessiva di mq 3,90; la collocazione sul perimetro dell’area di blocchi in cemento per un’altezza complessiva di ml 2,00 circa a sostegno del terrapieno realizzato a livellamento della superfice con la sede stradale.

Rispetto a tali dati fattuali, costituenti manifestazione della non conformità al titolo dell’attività in concreto posta in essere, il ricorrente non espone alcuna argomentazione difensiva, né potrebbe in alcun modo asserirsi la formazione di un valido affidamento dello stesso rispetto ad un intervento realizzato non solo in violazione della normativa urbanistica vigente, ma anche non corrispondente con quanto dichiarato dal medesimo in sede di segnalazione, nella quale veniva indicata una zona errata (E2), nonché un intervento non corrispondente a quello effettivamente eseguito ed accertato in sede di sopralluogo.

4.3. L’impossibilità di formazione di un affidamento suscettibile di tutela giuridica nel caso in esame trova conferma, sul piano generale, nella L. n. 241/1990, segnatamente all’art. 21: tale disposizione fonda la doverosità dell’intervento della P.A. nell’inibire un’attività che risulti avviata – come nel caso de quo – sulla base della rappresentazione di presupposti non veritieri, risultandone altrimenti leso il principio di auto responsabilità del dichiarante, alla base del processo di semplificazione ed avente come presupposto la leale collaborazione del privato. Tale principio assume una rilevanza giuridica evidentemente maggiore rispetto a quello della salvaguardia dell’affidamento alla prosecuzione dell’attività avviata, dovendosi escludere che l’eventuale concorso del privato all’erronea valutazione della compatibilità dell’attività con l’interesse pubblico possa de facto consentire al singolo di acquisire il vantaggio conseguente.

In sintesi, dunque, l’attività segnalata dal ricorrente – avviata sulla base di dichiarazioni non corrispondenti al vero e concretizzatasi in un intervento differente rispetto a quello segnalato – realizza una evidente violazione della normativa urbanistica vigente, e nello specifico delle Norme Tecniche di Attuazione del Comune di Barcellona Pozzo di Gotto (artt. 98 ss.), nonché dell’art. 10 D.P.R. n. 380/2001, il che ha determinato il doveroso intervento dell’Amministrazione, diretto all’inibizione (provvedimento dell’11.12.2018) e, successivamente, al ripristino dello status quo ante (provvedimento di demolizione/rimozione del 10.05.2019).

Il potere di autotutela amministrativa risulta, dunque, essere stato esercitato entro i termini legali (art. 21-novies L. n. 241/1990), anche facendo riferimento alla prima segnalazione presentata dal ricorrente in data 3.9.2018.

5. Non merita accoglimento anche il secondo motivo del ricorso.

Sembra opportuno richiamare l’evoluzione normativa e giurisprudenziale in materia di “ristrutturazione” avente ad oggetto un “rudere”. Prima della modifica legislativa intervenuta nel 2013, la formulazione dell’art. 3 D.P.R. n. 380/2001 non apriva alla possibilità di ricondurre la ricostruzione di un rudere entro la nozione di ristrutturazione, venendo al contrario qualificata come intervento del tutto nuovo per il quale, pertanto, doveva ritenersi indefettibile la sussistenza del permesso di costruire (Cass., Sez. III, 26 ottobre 2007, n. 45240; Cass., Sez. III, 23 gennaio 2007, n. 15054; Cass., Sez. III, 13 gennaio 2006, n. 20776). In seguito alla modifica del suddetto art. 3, lett. d), con il c.d. Decreto “del fare” (D.L. n. 69/2013), il concetto di ristrutturazione è stato ampliato, limitando l’obbligo del rispetto della sagoma ai soli immobili vincolati ai sensi del D.lgs. n. 42/2004, introducendo la possibilità di ristrutturazione degli edifici crollati o demoliti. La disposizione in esame, nella formulazione attualmente vigente, definisce come “interventi di ristrutturazione edilizia quelli «rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell’edificio, l’eliminazione, la modifica e l’inserimento di nuovi elementi ed impianti. Nell’ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica, nonché quelli volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile 7 accertarne la preesistente consistenza. Rimane fermo che, con riferimento agli immobili sottoposti a vincoli ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni, gli interventi di demolizione e ricostruzione e gli interventi di ripristino di edifici crollati o demoliti costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia soltanto ove sia rispettata la medesima sagoma dell’edificio preesistente».

Il testo della norma consente di individuare due distinte ipotesi di ristrutturazione: la prima attiene ad una tipologia di intervento che può comportare il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell’edificio, nonché l’eliminazione, la modifica e l’inserimento di nuovi elementi ed impianti; la seconda, invece, considera la possibilità della demolizione e ricostruzione nel rispetto dell’originaria volumetria ed, in presenza di vincolo, anche della sagoma.

La giurisprudenza amministrativa ha denominato la prima ristrutturazione “conservativa” e la seconda ristrutturazione “ricostruttiva” (Cons. di Stato, Sez. V, 5 dicembre 2014, n. 5988). Questa Corte, inoltre, ha avuto modo di precisare che, considerata la disciplina vigente, gli interventi di ristrutturazione edilizia consistenti nel ripristino o nella ricostruzione di edifici o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, debbono ritenersi assoggettati a permesso di costruire se non è possibile accertare la preesistente volumetria delle opere, le quali, qualora ricadano in zona paesaggisticamente vincolata, hanno l’obbligo di rispettare anche la precedente sagoma dell’edificio. Diversamente, sono assoggettati alla procedura semplificata della SCIA gli interventi aventi ad oggetto opere non rientranti in zona paesaggisticamente vincolata, rispettando la preesistente volumetria, anche ove venga modificata la sagoma dell’edificio (Cass., Sez. III, 3 giugno 2014, n. 40342).

5.1. Nel caso in esame, tenuto conto del P.R.G. ed in modo particolare delle Norme Tecniche di Attuazione (NTA – artt. 98 ss.) vigenti presso il Comune di Barcellona Pozzo di Gotto, i terreni interessati dall’intervento risultano essere ricompresi nella zona Fgen, in conformità all’art. 4, co.5, D.M. n. 1444/1968, che detta le “Quantità minime di spazi pubblici o riservati alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi da osservare in rapporto agli insediamenti residenziali nelle singole zone territoriali omogenee”.

L’art. 142 D.lgs. n. 42/2004, nell’individuare le aree tutelate per legge, al comma 2, lett. b), stabilisce che la disposizione di cui al comma 1, lettere a), b), c), d), e), g), h), l), m), – che espressamente considera “comunque” di interesse paesaggistico, sottoponendole alle disposizioni del relativo Titolo, le aree indicate dalle predette lettere – non si applica alle aree che alla data del 6 settembre 1985 “(omissis) b) erano delimitate negli strumenti urbanistici ai sensi del decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444, come zone territoriali omogenee diverse dalle zone A e B, limitatamente alle parti di esse ricomprese in piani pluriennali di attuazione, a condizione che le relative previsioni siano state concretamente realizzate; (omissis)”.

In applicazione di tale disposizione normativa appare evidente la non estensibilità della procedura semplificata (SCIA), ai sensi dell’art. 10, lett. c), D.P.R. n. 380/2001, in forza del quale: «Costituiscono interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio e sono subordinati a permesso di costruire: […] c) gli interventi di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino modifiche della volumetria complessiva degli edifici o dei prospetti, ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d’uso, nonché gli interventi che comportino modificazioni della sagoma di immobili sottoposti a vincoli ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni».

La decisione impugnata, pertanto, non presenta i vizi oggetto di doglianza del ricorrente.

5.2. A conferma della correttezza giuridica dell’iter argomentativo seguito dal giudice a quo, si rileva che nella relazione tecnica allegata alla SCIA in variante (rispetto a quella presentata in data 03.09.2018) veniva comunicato testualmente che «Considerate le condizioni in cui versa la struttura […] la scelta progettuale più adeguata fra quelle ammissibili nell’ambito della ristrutturazione edilizia ovvero creazione di un nuovo organismo strutturale con stessa sagoma e stessa volumetria». Tale dichiarazione, d’altronde, si presentava conforme a quanto richiesto dall’art. 31-bis P.R.G. del Comune di Barcellona Pozzo di Gotto, in forza del quale il previo rilascio della concessione edilizia non è richiesto, potendosi procedere a Dichiarazione di Inizio Attività (solo) ove “gli interventi di ristrutturazione edilizia, ivi compresi gli interventi di demolizione e ricostruzione non comportino aumento di volume e/o modifica della sagoma”.

L’intervento in concreto eseguito dal ricorrente, pertanto, non solo non poteva essere avviato in assenza di un valido permesso di costruire rilasciato dall’ente pubblico competente, ma è risultato anche non corrispondente a quanto comunicato in sede di segnalazione in variante. Si precisa, inoltre, che nessuna argomentazione difensiva è stata avanzata con riferimento alle ulteriori opere realizzate ed oggetto dell’accertamento operato dalle forze dell’ordine in sede di sopralluogo (rectius: struttura in legno e collocazione sul perimetro laterale dell’area di blocchi in cemento), rispetto alle quali non era stato richiesto, né conseguentemente rilasciato, alcun atto assentivo da parte della P.A.

6. Non merita accoglimento, infine, anche l’ultimo motivo di ricorso.

La difesa, al fine di escludere la sussistenza di un periculum in mora giustificante l’applicazione della misura cautelare reale, pone l’accento esclusivamente sull’accertata mancanza di infissi rilevata al momento del sopraluogo, non confrontandosi tuttavia con il dato testuale dell’ordinanza impugnata. Il giudice del riesame, infatti, nell’affermare la non ultimazione dell’opera giustificante il sequestro preventivo della stessa, risulta aver fatto espresso riferimento non solo al difetto di infissi, interni ed esterni nel fabbricato di cemento armato, ma anche a parti non rifinite, “come si evince dalla documentazione fotografica”, applicando correttamente il principio di diritto espresso da questa Suprema Corte secondo il quale l’esigenza di impedire la prosecuzione dei lavori di edificazione di un immobile abusivo ancora in corso è ex se condizione sufficiente per disporne e mantenerne il sequestro preventivo, e ciò indipendentemente dalla natura, nonché dall’entità degli interventi da eseguire per il suo completamento (Cass., Sez. III, 27 novembre 2019, n. 6251; Cass., Sez. III, 6 novembre 2014, n.49220; Cass., Sez. III, 28 settembre 2011, n.38216).

7. Il ricorso dev’essere, conclusivamente, rigettato, conseguendone, ex art. 616, cod. proc. pen., la condanna al pagamento delle spese processuali del ricorrente.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, nella sede della S.C. di Cassazione, il 3 marzo 2020

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