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Insegna pubblicitaria e insegna di esercizio nei pressi della strada pubblica: limiti e distinzioni
di Marilisa Bombi – Giornalista. Consulente attività economiche.
 
Si tratta di una insegna d’esercizio e non di un cartello contenente un messaggio pubblicitario, vietato dal comma 7 dell’art. 23 del Codice della Strada. Lo ha sostenuto davanti al giudice amministrativo la società IKEA che si era vista negare l’autorizzazione al posizionamento dell’insegna sul prospetto ovest in vista Anagnina e, contestualmente, riceveva diffida alla rimozione delle insegne abusivamente installate lungo la S.S. n. 511, via Anagnina e S.S. n. 215 via Tuscolana. Il Tar Lazio respingeva il ricorso ma IKEA ha presentato appello ed il Consiglio di Stato, Sezione II, con la sentenza n. 2780 depositata il 30 aprile 2020 ha condiviso la tesi della ricorrente. Sulla base della stessa formulazione della norma (art. 23, comma 7, del Codice della Strada) ritenuta dall’Anas ostativa, in quanto essa prevede, da un lato, che “è vietata qualsiasi forma di pubblicità lungo e in vista degli itinerari internazionali, delle autostrade e delle strade extraurbane principali e relativi accessi” e, dall’altro, che sono “consentite le insegne di esercizio, con esclusione dei cartelli e delle insegne pubblicitarie e altri mezzi pubblicitari, purché autorizzate dall’ente proprietario della strada”.
Dagli atti di causa si era evinto che la società aveva richiesto l’autorizzazione all’installazione di una ulteriore insegna d’esercizio, rispetto a quella già esistente, affinché fosse visibile dalla via Anagnina, ma l’Amministrazione esprimeva diniego ritenendo che l’insegna fosse da intendersi avente carattere pubblicitario e non di esercizio essendo di questa l’insediamento commerciale già munito. Compito del Collegio è stato quindi quello di verificare se sussistano le condizioni per configurare una insegna pubblicitaria come opinato dall’Amministrazione ANAS o insegna di esercizio come ritenuto da IKEA.
Nel caso specifico, la citata sentenza n. 2780 puntualizza che l’insegna recante la semplice scritta “ikea arredamenti”, posta a ridosso del magazzino, presenta un neutro ed asettico riferimento all’attività commerciale svolta dalla società senza essere accompagnato da un qualsivoglia messaggio che possa invogliare la domanda del prodotto offerto. E, sottolinea anche che come evidenziato da IKEA, la disciplina in materia di imposta sulla pubblicità traccia la linea di confine tra messaggio pubblicitario e mera insegna di esercizio secondo alcuni parametri di riferimento che attengono non solo alla presenza o meno della stessa nei pressi dell’esercizio commerciale ma anche all’eventuale presenza di un messaggio rivolto ai potenziali consumatori in grado di esaltare il prodotto e quindi di invogliare la domanda. Trattasi, peraltro, non solo di un’insegna priva di messaggi pubblicitari ma anche destinata ad essere allocata proprio a ridosso del magazzino su via Anagnina che coincide con l’indirizzo della sede dell’azienda.
La tesi è stata fatta propria dal Consiglio di Stato il quale ha anche precisato che, in assenza di un preciso dato normativo, non è dato inferire il carattere pubblicitario dell’insegna dal sol fatto che essa si aggiunga ad altre già presenti presso l’esercizio commerciale. Peraltro la giurisprudenza tributaria accede ad una configurazione restrittiva del concetto di insegna pubblicitaria, osservando che “In materia di imposta sulla pubblicità, l’esenzione di cui all’art. 17, comma 1-bis, D.Lgs. n. 507 del 1993, non consente di introdurre distinzioni in relazione al concorso dello scopo pubblicitario con la funzione propria dell’insegna stessa, purché questa, oltre ad essere installata nella sede dell’attività a cui si riferisce o nelle pertinenze accessorie e ad avere la funzione di indicare al pubblico il luogo di svolgimento dell’attività, si mantenga nel predetto limite dimensionale. L’insegna di esercizio, pertanto, mantiene la sua caratteristica, con il conseguente diritto all’esenzione, anche qualora contiene, oltre alla denominazione dell’azienda, anche un messaggio pubblicitario”. Non solo, quindi, il messaggio pubblicitario può concorrere, senza alterarla, con la funzione propria dell’insegna, ma occorre aggiungere, e questo risulta decisivo, che la soggezione all’imposta pubblicitaria deriva unicamente dalla superficie complessiva delle insegne e non dalla pluralità delle stesse. La Suprema Corte ha tracciato i confini tra i due concetti, osservando che “In tema di imposta comunale sulla pubblicità, il comma 1-bis dell’art. 17D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, aggiunto dall’art. 10L. 28 dicembre 2001, n. 448, che esenta dall’imposta le insegne di attività commerciali e di produzione di beni o servizi nei limiti di un superficie complessiva fino a cinque metri quadrati, non consente di introdurre distinzioni in relazione al concorso dello scopo pubblicitario con la funzione propria dell’insegna stessa, purché la stessa, oltre ad essere installata nella sede dell’attività a cui si riferisce o nelle pertinenze accessorie, e ad avere la funzione di indicare al pubblico il luogo di svolgimento dell’attività, si mantenga nel predetto limite dimensionale, in tal senso deponendo anche l’art. 2, D.M. 4 aprile 2003, che, ai sensi dell’art. 10, comma 3, L. 28 dicembre 2001, n. 448 cit., ha dettato le modalità operative per la determinazione dei trasferimenti compensativi ai comuni a copertura delle minori entrate relative all’imposta sulla pubblicità derivanti dalla esenzione stabilita dall’art. 17, comma 1-bis, cit..” Contrariamente a quanto opinato dall’Amministrazione non è quindi suscettibile di applicazione il comma 7 dell’art. 23 del Codice della Strada proprio in considerazione della rilevata insussistenza della natura pubblicitaria dell’insegna, non ritraibile dalla mera presenza di più insegne presso il medesimo esercizio. Viene cioè in evidenza, secondo il dettame dell’art. 2568 c.c., quella che viene comunemente definita come insegna di esercizio ovverosia un semplice mezzo contenente un messaggio che contraddistingue il locale, sia sede principale che secondaria, nel quale si esercita un’attività commerciale o un’attività diretta alla produzione di beni o servizi.

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