Print Friendly, PDF & Email
Acque. Canone di depurazione e prestazione del servizio
Pubblicato: 06 Maggio 2020
Cass.Civ. Sez. III n. 7947 del 20 aprile 2020 (PU 11 set 2019)

Va esclusa la debenza del corrispettivo in tutti i casi di impossibilità materiale di fruizione del servizio di depurazione o di mancato funzionamento dello stesso per fatto non imputabile all’utente, stante l’assenza della controprestazione, cui non può non assimilarsi il caso di un impianto di depurazione che, pur esistente, non realizzi il servizio facendo venire meno il sinallagma previsto dalla legge.

 
FATTI DI CAUSA

Il Condominio (OMISSIS), con sede in (OMISSIS), convenne davanti al Tribunale di Chiavari la società Acque Potabili S.p.A. nella qualità di soggetto deputato alla riscossione della tariffa per l’erogazione del “servizio idrico integrato”, chiedendone la condanna alla restituzione della somma di Euro 4.100, corrisposta per il servizio di depurazione, in ragione della sentenza della Corte costituzionale n. 335 del 2008 che aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale della L. n. 36 del 1994, art. 14, comma 1, nel testo modificato dalla L. n. 179 del 2002, art. 28, nonchè del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 155, comma 1, nella parte in cui prevedevano che la quota del servizio idrico fosse dovuta dagli utenti “anche nel caso in cui la fognatura sia sprovvista di impianti centralizzati di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi”. La declaratoria di illegittimità costituzionale era motivata sul rilievo che, nell’ipotesi suddetta, l’obbligo di pagamento della tariffa risultava non correlato ad alcuna controprestazione.

Il Condominio attore argomentò, per l’appunto, nel senso che la tariffa del servizio idrico integrato si configura, in tutte le sue componenti, come corrispettivo di una prestazione commerciale complessa il quale, ancorchè determinato nel suo ammontare in base alla legge, trova fonte non in un atto autoritativo direttamente incidente sul patrimonio dell’utente bensì nel contratto di utenza, di talchè è irragionevole l’imposizione all’utente dell’obbligo del pagamento della quota, riferita al servizio di depurazione, anche in mancanza della controprestazione, non potendosi in contrario qualificare come controprestazione il fatto che le somme pagate dagli utenti in mancanza del servizio sarebbero destinate, attraverso un apposito fondo vincolato, all’attuazione del piano d’ambito, comprendente anche la realizzazione dei depuratori, e non potendosi ritenere, stante l’unitarietà della tariffa, che le sue singole componenti abbiano natura non omogenea, e conseguentemente che anche solo una di esse, a differenza delle altre, non abbia natura di corrispettivo contrattuale ma di tributo.

La società Acque Potabili S.p.A. costituendosi in giudizio chiese ed ottenne la chiamata in causa di Idrogullio SpA ed intervenne volontariamente anche la società Iride Acqua e Gas (poi Ireti), sollevando un’eccezione di inammissibilità o improcedibilità della domanda per il mancato rispetto di quanto previsto dalla L. 27 febbraio 2009, n. 13 e dal D.M. 30 settembre 2009, n. 102.

Il Tribunale di Chiavari accolse l’eccezione di improcedibilità sollevata da Ireti, senza entrare nel merito della controversia.

La Corte d’Appello di Genova, adita dal Condominio, con sentenza depositata il 16/6/2017, per quel che ancora qui di interesse, ha accolto il motivo di appello relativo all’improcedibilità affermando che il D.M. n. 102 del 2009, invocato dal Tribunale, non poteva essere applicato, pena la violazione dell’art. 11 preleggi, perchè emanato in epoca successiva all’instaurazione del giudizio; che, in ogni caso, nè nella L. n. 13 del 2009, nè nel decreto attuativo era prevista alcuna causa di improcedibilità, che dunque non poteva ritenersi introdotta da una fonte secondaria. Nel merito la Corte territoriale ha accertato che l’impianto non compiva un ciclo completo di depurazione, sicchè, in applicazione della sentenza della Corte costituzionale, non essendo configurabile una controprestazione, il Condominio aveva diritto alla ripetizione delle somme. Conclusivamente il Giudice d’Appello, in accoglimento del gravame, ha dichiarato che l’importo di Euro 4.177,04 versato dal Condominio “(OMISSIS)” non è dovuto e che pertanto esso deve essere restituito, oltre interessi legali dalla data del pagamento al saldo, con condanna di Acque Potabili S.p.A. alle spese del doppio grado del giudizio.

Avverso la sentenza Acque Potabili S.p.A. Iren Acqua Tigullio S.p.A. (già Idrotigullio S.p.A.) ed Ireti S.p.A. propongono ricorso per cassazione sulla base di sei motivi, illustrati da memoria. Resiste il Condominio (OMISSIS) con controricorso, pure illustrato da memoria ex art. 378 c.p.c..

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo – violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, art. 11 preleggi e L. n. 13 del 2009, art. 8-sexies – le ricorrenti censurano la sentenza per non aver considerato che la L. n. 13 del 2009, già in vigore alla data di proposizione della domanda, subordinava la restituzione delle quote non dovute alla definizione dei criteri e dei parametri da effettuarsi dal Ministero dell’Ambiente con propri decreti di guisa che, prima dell’emanazione dei suddetti decreti, qualsiasi richiesta di rimborso avrebbe dovuto ritenersi inammissibile. La ricorrente rileva che, dopo la già menzionata sentenza della Corte costituzionale n. 335 del 2008, la restituzione delle somme versate a titolo di canone per depurazione è stata subordinata, dal legislatore, ad un’attività amministrativa volta ad individuare il periodo di inattività del depuratore e la misura dell’indebito.

Infatti, la citata L. n. 13 del 2009, art. 8-sexies, ha stabilito che gli oneri relativi alle attività di progettazione e di realizzazione e completamento degli impianti di depurazione, nonchè quelli relativi ai connessi investimenti, come espressamente individuati e programmati dai piani d’ambito, costituiscono una componente vincolata delle tariffe del servizio idrico, che concorre alla fissazione del corrispettivo dovuto dall’utente. Su tali basi, pertanto, il Ministero delle Finanze ha chiarito che la tariffa per il servizio di fognatura e depurazione è dovuta da tutti coloro che risultano allacciati alla pubblica fognatura, indipendentemente dall’effettivo utilizzo.

Ciò detto, l’odierna ricorrente deduce che gli utenti che hanno agito nel presente giudizio non potevano rifiutarsi di corrispondere le somme dovute, dovendo attendere il compimento di tutte quelle attività, demandate al gestore e all’Autorità d’ambito, in assenza delle quali il credito restitutorio risulta privo delle caratteristiche della certezza, liquidità ed esigibilità.

Il motivo non è fondato.

Sul punto, occorre muovere dalla constatazione che il suddetto art. 8-sexies (introdotto proprio per disciplinare le conseguenze della sentenza n. 335 del 2008 della Corte costituzionale) reca due diverse disposizioni: al comma 1 stabilisce che, nei casi in cui manchino gli impianti di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi, siano comunque dovuti dall’utente gli oneri relativi alle attività di progettazione e di realizzazione o completamento degli impianti “de quibus”, nonchè quelli relativi ai connessi investimenti, e ciò a partire dall’avvio delle procedure di affidamento delle prestazioni di progettazione o di completamento delle suddette opere; al comma 2, prevede che i gestori del servizio idrico integrato provvedano, a decorrere dal 1 ottobre 2009, ed entro il termine massimo di cinque anni, alla restituzione – anche rateale – della quota di tariffa non dovuta riferita all’esercizio del servizio di depurazione, fatta salva la deduzione degli oneri derivati dalle attività di progettazione, di realizzazione o di completamento già avviate.

Orbene, delle due disposizioni va data un’interpretazione coordinata, e soprattutto conforme a Costituzione, che porta ad escludere – per le ragioni di cui si dirà appena di seguito – che il decorso del quinquennio, a far data dal 1 ottobre 2009, si ponga come condizione di procedibilità della domanda restitutoria, secondo un’opzione ermeneutica fatta propria da una parte della giurisprudenza di merito ma, per vero, mai esaminata “ex professo” da questa Corte negli arresti sopra menzionati (ovvero, Cass. Sez. 3, sent. n. 9323 del 2019, cit.; Cass. Sez. 3, sent. n. 8334 del 2017, cit. Cass. Sez. 3, sent. n. 19887 del 2015, cit.), limitatisi ad affrontare censure che concernevano la questione dell’applicazione intertemporale delle predette disposizioni, e non la loro esatta interpretazione.

Orbene, nel procedere all’ermeneutica delle stesse si deve muovere dalla premessa che, ponendosi l’improcedibilità della domanda “quale conseguenza sanzionatoria di un comportamento procedurale omissivo, derivante dal mancato compimento di un atto espressamente configurato come necessario nella sequenza procedimentale”, la stessa “dev’essere espressamente prevista” (così, in motivazione, Cass. Sez. 2, sent. 8 settembre 2017, n. 20975, Rv. 645551-01). Se è vero, infatti, che “l’art. 24 Cost., laddove tutela il diritto di azione, non comporta l’assoluta immediatezza del suo esperimento, ben potendo la legge imporre oneri finalizzati a salvaguardare “interessi generali”, con le dilazioni conseguenti” (così Corte Cost. n. 276 del 2000), resta, nondimeno, inteso che il rispetto del diritto costituzionale di azione non solo esige che la cd. “giurisdizione condizionata” sia oggetto di un’espressa previsione di legge, ma anche “che le condizioni di procedibilità stabilite dalla legge non possono esser aggravate da una interpretazione che conduca ad estenderne la portata” (così, in motivazione, Cass. Sez. Lav., sent. 21 gennaio 2004, n. 967, Rv. 569540-01).

Tanto premesso, deve, dunque, escludersi la possibilità di interpretare come introduttiva di una condizione di procedibilità della domanda restitutoria la previsione (di cui del D.L. n. 208 del 2008, art. 8-sexies, comma 2, convertito in L. n. 13 del 2009) secondo cui i “gestori del servizio idrico integrato provvedono anche in forma rateizzata, entro il termine massimo di cinque anni, a decorrere dal 1 ottobre 2009, alla restituzione della quota di tariffa non dovuta riferita all’esercizio del servizio di depurazione”. La norma va piuttosto interpretata nel senso che i gestori possono dilazionare fino a cinque anni la restituzione, non solo erogando l’importo in forma rateale, ma eventualmente – come è tipico dei contratti di fornitura – “sub specie” di parziale compensazione con l’importo, comunque, dovuto per il complessivo servizio assicurato.

Per contro, ove tale riconosciuta possibilità di dilazione di pagamento tragga origine dalla necessità di dedurre, dal “quantum” del credito restitutorio spettante all’utente, gli oneri – a suo carico – derivanti dalle attività, peraltro già avviate, di progettazione, di realizzazione o di completamento dell’impianto (secondo la previsione di cui del medesimo art. 8-sexies, precedente comma 1), si è al cospetto di un’evenienza che, rendendo illiquido tale credito, si pone alla stregua di un fatto impeditivo del diritto alla restituzione azionato dall’utente, fatto, ovviamente, la cui prova è a carico del convenuto, secondo la regola di cui all’art. 2697 c.c., comma 2.

Su tali basi, dunque, deve escludersi che, nel caso che qui occupa, sussista una condizione di improcedibilità dell’azione restitutoria esperita dal Condominio.

2. Con il secondo motivo di ricorso – violazione e falsa applicazione ex art. 360, comma 1 n. 4, con riguardo all’art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4, omessa e/o contraddittoria e/o apparente motivazione – censurano l’impugnata sentenza per aver ritenuto fondata la domanda di restituzione della quota di tariffa del servizio idrico integrato con mero richiamo alle conclusioni della CTU, senza fornire l’illustrazione del percorso logico svolto a dimostrare perchè l’impianto di (OMISSIS) non potesse essere ritenuto rientrante nel concetto di “impianto di depurazione” ai sensi del D.M. 30 settembre 2009, n. 102, art. 2. Ciò sarebbe tanto più grave in quanto riferito alle norme di un decreto che la stessa Corte d’Appello ha ritenuto inapplicabile al caso in esame perchè non ancora entrato in vigore. Ancora, la motivazione sarebbe viziata anche con riguardo alla mancata considerazione di altre consulenze in atti, esperite in contesti diversi e comunque non relative alla normativa sugli scarichi: la Corte d’Appello avrebbe dovuto motivare sulle ragioni per le quali riteneva prevalenti e condivisibili le conclusioni del CTU e non anche quella di altre consulenze di parte versate in giudizio.

2.2 Il motivo è infondato in quanto la sentenza ha fatto proprie le conclusioni del CTU ed ha altresì motivato in relazione alle ragioni per le quali ha ritenuto di non accogliere le critiche provenienti da altre consulenze versate in atti. La sentenza si pone in continuità con la consolidata giurisprudenza di questa Corte secondo la quale “Non è carente di motivazione la sentenza che recepisce “per relationem” le conclusioni ed i passi salienti di una relazione di consulenza tecnica d’ufficio di cui dichiari di condividere il merito, ancorchè si limiti a riconoscere quelle conclusioni come giustificate dalle indagini esperite e dalle spiegazioni contenute nella relativa relazione” (Cass., 5, n. 7364 dell’11/5/2012; Cass. 6-3n. 4352 del 14/2/2019); ed è altresì coerente con l’indirizzo giurisprudenziale che richiede una motivazione specifica in presenza di critiche alla CTU, alle cui conclusioni il Giudice abbia deciso di aderire (Cass., 1, n. 15147 dell’11/6/2018).

3. Con il terzo motivo – violazione e falsa applicazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, L. n. 36 del 1994, art. 14,D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 155, così come modificati dalla sentenza Corte Cost. n. 35/2008, D.M. n. 102 del 2009, art. 2 e principi generali in materia di canone di depurazione delle acque fissati dalla citata sentenza – censurano la sentenza per aver violato le citate disposizioni che tutte richiederebbero, ai fini dell’indebito pagamento del canone di depurazione delle acque reflue, l’inesistenza di un impianto di depurazione servente il Comune di residenza o la sua temporanea inattività. Ad avviso della ricorrente occorrerebbe distinguere l’ipotesi della inesistenza dell’impianto di depurazione da quella della temporanea interruzione del servizio, giacchè solo nel primo caso sarebbe prospettabile un indebito oggettivo, visto che, nel secondo, sarebbe, al più, ipotizzabile una responsabilità di natura contrattuale per inadempimento delle prestazioni afferenti la gestione dell’impianto stesso. In altri termini, sebbene l’attore e gli intervenuti in giudizio abbiano fatto riferimento all’art. 2033 c.c., avrebbero, nella sostanza, azionato una responsabilità civile per inadempimento, visto che la ripetizione di indebito è prospettabile solo quando il vincolo contrattuale non sia mai sorto, o sia venuto meno (anche per effetto di caducazione), e non quando, come nella specie, si verta in tema di inesatto adempimento di una prestazione ricompresa nel contratto di somministrazione.

4. Con il quarto motivo di ricorso – violazione e/o falsa applicazione ex art. 360, comma 1, n. 3, degli artt. 2033,1218,1453 c.c. – censurano la sentenza nella parte in cui ha condannato Acque Potabili S.p.A. all’integrale restituzione di somme pagate a titolo di corrispettivo per l’espletamento di un servizio che, almeno in relazione ad alcune fasi del ciclo, sarebbe stato reso.

3-4 I motivi sono entrambi infondati. La sentenza ha chiaramente escluso la sussistenza della causa del contratto di utenza in ragione della non completezza del ciclo di depurazione e della non rilevabilità di dati relativi al suddetto ciclo. La pronuncia è pienamente conforme alla giurisprudenza di questa Corte secondo la quale la portata della sentenza della Corte costituzionale è tale da escludere la debenza del corrispettivo in tutti i casi di impossibilità materiale di fruizione del servizio di depurazione o di mancato funzionamento dello stesso per fatto non imputabile all’utente, stante l’assenza della controprestazione (Cass., 5, n. 9500 del 18/4/2018; Cass., 5, n. 13781 del 22/5/2019), alla quale fattispecie non può non assimilarsi il caso di un impianto di depurazione che, pur esistente, non realizzi il servizio facendo venire meno il sinallagma previsto dalla legge.

5. Con il quinto motivo di ricorso – violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 117, comma 1, L. 5 gennaio 1994, n. 36, art. 13, commi 1 e 2, D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 149, commi 4 e 6 – le società ricorrenti censurano l’impugnata sentenza per aver violato le disposizioni indicate in epigrafe le quali correlano la quantificazione della tariffa dovuta per il servizio di depurazione non solo al servizio fornito ma anche alla quantità dei costi di gestione delle opere, in modo da assicurare il raggiungimento dell’equilibrio economico-finanziario. In altri termini la sentenza non avrebbe tenuto conto del fatto che la tariffa del Servizio Idrico Integrato è funzionale a ripartire tra gli utenti i costi necessari all’espletamento del servizio.

5.1 Il motivo è inammissibile perchè, d’un lato, è nuovo – essendo introdotto per la prima volta in cassazione l’argomento dell’equilibrio di bilancio – dall’altro è privo di decisività perchè, in ogni caso, l’esigenza di equilibrio del bilancio non può autorizzare l’ente a pretendere un corrispettivo non correlato ad alcuna prestazione.

6. Con il sesto motivo di ricorso – violazione e falsa applicazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, art. 2697 c.c. e dell’art. 115 c.p.c. – censurano l’impugnata sentenza nella parte in cui ha ritenuto spettare ai convenuti e non agli attori che avevano agito ex art. 2033 c.c., l’onere di provare l’inesistenza di una causa giustificativa della prestazione eseguita e quindi il diritto alla ripetizione.

6.1 Il motivo è inammissibile, ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., comma 1 n. 1, in quanto la sentenza impugnata ha deciso la questione dell’onere della prova dell’esistenza di un impianto funzionante ponendolo a carico del soggetto erogatore del servizio in modo conforme alla giurisprudenza di questa Corte (Cass., 3, n. 14042 del 4/6/2013: “Configurandosi la tariffa del servizio idrico integrato, in tutte le sue componenti, come il corrispettivo di una prestazione commerciale complessa, è il soggetto esercente detto servizio, il quale pretenda il pagamento anche degli oneri relativi al servizio di depurazione delle acque reflue domestiche, ad essere tenuto a dimostrare l’esistenza di un impianto funzionante nel periodo oggetto della fatturazione, in relazione al quale pretende la riscossione”; cfr. anche Cass., 5, n. 24312 del 14/11/2014).

7. Conclusivamente il ricorso va rigettato e le società ricorrenti condannate, in solido, al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo. Si dà atto della sussistenza dei presupposti per il pagamento, da parte delle ricorrenti in solido, del cd. “raddoppio” del contributo unificato.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna le ricorrenti in solido a pagare in favore del Condominio “(OMISSIS)” le spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 2000 (oltre Euro 200 per esborsi), oltre accessori di legge e spese generali al 15%. Si dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte delle società ricorrenti in solido, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, a seguito di trattazione in pubblica udienza, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 11 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 aprile 2020

Torna in alto