04/05/2020 – Le misure restrittive COVID-19 quali illeciti amministrativi

Le misure restrittive COVID-19 quali illeciti amministrativi
Analisi giuridica e degli aspetti procedurali dell’impugnazione
Di Denaura Bordandini
Pubblicato il 30/04/2020
L’art. 4 del decreto-legge n. 19/2020 prevede che il mancato rispetto delle misure urgenti per evitare la diffusione del COVD-19, come previste dall’art. 1 ed attuate dai DPCM, costituisca un illecito amministrativo punito con la sanzione pecuniaria da € 400,00 a € 3.000,00, della quale è previsto il raddoppio in caso di uso di veicolo. In caso di violazione dell’obbligo di sospensione dell’attività produttiva, secondo le previsioni del DPCM 10 aprile 2020, è prevista la sanzione accessoria della chiusura dell’esercizio o dell’attività da 5 a 30 giorni. Medesima sorte in caso di mancata adozione delle misure anti-contagio per gli esercizi aperti al pubblico o di quelle previste dal Protocollo condiviso per i luoghi di lavoro.
 Sommario
Introduzione
L’art. 4 del decreto-legge n. 19/2020 prevede che il mancato rispetto delle misure urgenti per evitare la diffusione del COVD-19, come previste dall’art. 1 ed attuate dai DPCM, costituisca un illecito amministrativo punito con la sanzione pecuniaria da € 400,00 a € 3.000,00, della quale è previsto il raddoppio in caso di uso di veicolo.
In caso di violazione dell’obbligo di sospensione dell’attività produttiva, secondo le previsioni del DPCM 10 aprile 2020, è prevista la sanzione accessoria della chiusura dell’esercizio o dell’attività da 5 a 30 giorni. Medesima sorte in caso di mancata adozione delle misure anti-contagio per gli esercizi aperti al pubblico o di quelle previste dal Protocollo condiviso per i luoghi di lavoro.  In questo caso, se all’atto dell’accertamento della violazione si rende necessario impedire la prosecuzione o reiterazione della violazione, l’autorità procedente può disporre – in via cautelare – la chiusura provvisoria dell’attività o esercizio per 5 giorni in attesa dell’irrogazione del provvedimento definitivo.
In caso di reiterazione della violazione la sanzione principale della multa viene raddoppiata e quella accessoria applicata nella misura massima di 30 giorni.
La condotta
Si tratta di illeciti amministrativi che disciplinati dalla legge n. 689/1981, il cui art. 1 esprime il rispetto del principio di legalità ricalcando l’art. 25 della Costituzione “Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso”, in questo caso il decreto-legge n. 19/2020, entrato in vigore il 26 marzo 2020. È ammesso, infatti, che i precetti sufficientemente individuati dalla legge siano etero integrati da norme regolamentari delegate[1], ovvero i Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri (DPCM) e gli altri provvedimenti attuativi richiamati dall’art. 3 del decreto-legge.
Il principio di legalità in ambito amministrativo si fonda sul tempus regit actum e non contempla anche il corollario della irretroattività della disposizione più favorevole[2]; al riguardo soccorre il comma 6 dell’art. 4 del decreto-legge in esame, che ha esteso le sanzioni amministrative alle condotte “commesse anteriormente alla data di entrata in vigore del decreto”. La natura emergenziale di quest’ultima norma, finalizzata al contrasto alla diffusione del Covid-19, saranno il criterio di interpretazione della validità derogativa della stessa, alla luce del contrasto con il principio di legalità come espresso dall’art. 1 della Legge n. 689/2020, che richiama espressamente l’art. 25 della Costituzione.
L’elemento soggettivo
Nella dinamica di accertamento dell’illecito amministrativo, a mente dell’art. 3 della Legge di Depenalizzazione, opera la presunzione di colpa in ordine al fatto vietato, riservando poi al contravventore l’onere di provare di aver agito senza colpa[3]. Il caso fortuito e la forza maggiore incidono, escludendoli, sulla colpevolezza e sulla coscienza e volontarietà dell’azione: pur non trovando espressa positivizzazione, sono comunque ritenuti ostativi all’affermazione della responsabilità[4], rientrando nella previsione dello stato di necessità di cui all’art. 4 della Legge n. 689/1981 che coincide con quanto previsto dal codice penale agli artt. 54 e 59.
Responsabilità della persona giuridica
Il fatto che una persona fisica abbia agito come organo o rappresentante di un soggetto giuridico (ente, impresa, associazione, ecc.) comporta la responsabilità solidale di quest’ultimo[5] (art. 6, comma 3, legge n. 689/1981). Tale norma può intervenire nel caso della in cui una persona giuridica prosegua l’attività produttiva non consentita ai sensi del DPCM del 10 aprile 2020 o dello stesso decreto-legge, ovvero ometta l’osservanza delle misure anti-contagio previste dal Protocollo condiviso per i luoghi di lavoro. 
L’accertamento e la contestazione
L’accertamento è attività svolta da ufficiali e agenti di polizia giudiziaria o altri organi addetti al controllo, svolta mediante diretta osservazione che viene incorporata nel verbale. Gli agenti, mediante il verbale, attestano quanto avvenuto in loro presenza. La validità probatoria del verbale è, infatti, limitato a tali fatti, relativamente ai quali gode di cd. fede privilegiata ex art. 2699 e 2700 cod. civ.
La contestazione è la comunicazione fatta (immediatamente dopo l’accertamento) al destinatario della pendenza di un procedimento amministrativo sanzionatorio a suo carico. Ha la funzione di informare legalmente il soggetto circa la natura, il contenuto sanzionatorio e le modalità di estinzione dell’obbligazione e della possibilità di ricorso, per cui ha forma scritta è requisito sostanziale[6]. Altri vizi del procedimento possono riferirsi alla mancanza degli elementi fondamentali come l’omessa indicazione delle modalità di estinzione della violazione. La validità del verbale di contestazione è condizione di procedibilità del procedimento sanzionatorio: una eventuale invalidità impatta sull’intero procedimento, tuttavia può essere sanata dall’organo accertatore con una nuova contestazione, da notificarsi entro i termini perentori previsti.
La notificazione, se non avvenuta nell’immediatezza dei fatti ed a mani del trasgressore entro il termine perentorio di novanta giorni dall’accertamento, per i residenti in Italia.
Il procedimento sanzionatorio
Le sanzioni sono irrogate dal Prefetto del luogo dove è stato accertato il fatto, per quanto concerne la violazione delle misure previste dall’art. 1 del decreto-legge adottate tramite DPCM; quanto alla violazione delle misure adottate ex art. 3 dalle Regioni ovvero dai Sindaci, le sanzioni verranno irrogate dal Presidente della Regione o dal Sindaco competenti per territorio.
Il richiamo espresso all’art. 202 co. 1, 2 e 2.1 del decreto legislativo n. 285/1992 rende possibile il pagamento in misura ridotta, corrispondente al minimo della sanzione entro i 60 giorni ed alla ridotta del 30% se il pagamento è effettuato entro 5 giorni dalla contestazione o notificazione.
L’impugnazione ed il giudizio
La procedura di impugnazione segue le regole di cui alla Legge di Depenalizzazione, come modificata dal decreto legislativo n. 150/2011, ed ha come oggetto l’ordinanza-ingiunzione emessa dal Prefetto o da altra autorità di cui all’art. 3 del decreto-legge citato.
La difesa, tuttavia, può essere intrapresa anche prima. L’art. 18 prevede la possibilità di sollecitare l’autorità amministrativa all’emissione di un’ordinanza di archiviazione, mediante l’invio di scritti difensivi ed eventuali allegazioni documentali, nel termine dei 30 giorni dalla contestazione, con possibilità di fare richiesta di audizione (richiesta che non è associata ad alcun obbligo di accoglimento). Si apre così una fase di contraddittorio preventivo che dovrà necessariamente essere tenuto in adeguata considerazione da parte dell’autorità competente, come previsto dall’art. 18 della legge 689/1981 e dell’art. 3 della legge 241/90 ai fini dell’emissione dell’eventuale provvedimento sanzionatorio successivo.
Questa fase potrà essere utile per documentare l’eventuale corrispondenza della condotta contestata alle scriminanti previste espressamente dalla legge. Un esempio attuale sono quelle previste relativamente alle misure anti Covid-19, che annoverano le esigenze di lavoro e di salute, quelle di necessità, come l’approvvigionamento alimentare e di farmaci, le previsioni metriche per l’attività motoria.
Qualora la tesi difensiva non venga accolta e venga ritenuto fondato l’accertamento, è emessa l’ordinanza-ingiunzione con indicazione motivata della sanzione. La motivazione deve comprendere anche la fase difensiva eventualmente espletata in precedenza.  In caso di applicazione della misura accessoria della chiusura dell’esercizio o dell’attività, dovrà essere scorporato il periodo già eventualmente scontato in via cautelare. Dalla ricezione della notificazione, decorre il termine di 30 giorni che vale per il pagamento, così come per l’impugnazione a pena di inammissibilità.
La procedura segue il rito del lavoro e sarà incardinata innanzi all’autorità giudiziaria del luogo in cui è stata commessa la violazione, a mente dell’art. 6 del decreto legislativo n. 150/2011. Nel giudizio di primo grado l’opponente e l’autorità che ha emesso l’ordinanza possono stare in giudizio personalmente.
La competenza è del Giudice di Pace, salvo i casi previsti dai commi 4 e 5, che prevedono la competenza del Tribunale, tra i quali l’ipotesi in cui le violazioni siano accertate nel contesto della “tutela del lavoro, di igiene sui luoghi di lavoro e di prevenzione degli infortuni sul lavoro” (comma 4 lettera a).
A tale proposito si segnala la lettera gg) dell’art. 1 del decreto-legge citato, che pone in capo al titolare dell’attività produttiva consentita, o al gestore, l’adozione di misure di contenimento del contagio da Covid-19 sui luoghi di lavoro, quali il distanziamento ed i DPI come mascherine, guanti, gel igienizzanti, come previste dal Protocollo condiviso per i luoghi di lavoro. Misure finalizzate alla sicurezza dei lavoratori sul posto di lavoro, poste a condizione della prosecuzione dell’attività, che rientrano pienamente nel tema della tutela del lavoro, materia di competenza del Tribunale.
Con la sentenza che accoglie l’opposizione, il giudice può annullare in tutto o in parte l’ordinanza, così come modificare in melius l’entità della sanzione dovuta, entro i limiti edittali.
 
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[1] Cassazione civile sez. 1, 7 aprile 1999 n. 3351; Cass., Sez. I, 23 marzo 2004, n. 5743; Cassazione civile sez. 1, 27 agosto 1999 n. 8986.
[2] Corte Costituzionale, ordinanza n. 140 del 11 aprile 2002.
[3] Cassazione civile sez. 1, 11 febbraio 1999 n. 1142; Cassazione civile sez. 1, 9 dicembre 1998, n. 1239; Cassazione civile sez. lav., 18 novembre 1997, n. 11473.
[4] Cassazione civile, sez. 1, 2 ottobre 1989 n. 3961.
[5] Cass., Sez. I, 9 aprile 2006, n. 9880.
[6] Cass. civ. sez. I 21.2.1997 n. 1609; sez II 23 gennaio 2007, n. 1400).
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