11/07/2020 – I buoni pasto non spettano in smart working. Il deleterio travisamento del ruolo dei sindacati nell’ambito del lavoro pubblico.

I buoni pasto non spettano in smart working. Il deleterio travisamento del ruolo dei sindacati nell’ambito del lavoro pubblico.
 
I buoni pasto non spettano, non possono spettare ai lavoratori pubblici in smart working. La contrattazione o il confronto sul tema non può essere attivata, in quanto inutile e comunque non legittimata.
In questo post dello scorso 28 marzo chi scrive di fatto evidenziò molti degli argomenti esplicitati dal giudice del lavoro di Venezia, col decreto  08/07/2020, n. 3463/2020, che ha respinto – con perdite – il ricorso opposto dalla Cgil al più che legittimo ed opportuno diniego del comune di Venezia ad attribuire il buono pasto ai lavoratori in smart working.
Se, da un lato, la decisione del giudice non può che essere accolta con favore, dall’altro si impongono riflessioni serissime sulla normativa che regola il rapporto di lavoro pubblico e sul ruolo dei sindacati.
In quanto alla normativa sul lavoro, la falsa ed incompleta “privatizzazione” ha creato asincronie ed equivoci insanabili.
Il datore di lavoro pubblico deve rispettare limiti e vincoli normativi di molto maggiori rispetto al datore privato, del quale possiede solo una limitatissima frazione dell’autonomia di diritto privato (e anche economica), sicchè a ben vedere il potere di negoziare e trattare della PA è ristrettissimo e spesso solo formale.
Tanto più è ristretto, poi, quando in gioco vi sono anche questioni di immagine ed etica pubblica: oggettivamente, nel caso dei buoni pasto, attivare simile spesa mentre il personale è in lavoro agile, al di là dell’assenza dei presupposti per contrattare la materia, la caduta drammatica di immagine derivante dalla concessione del buono pasto è disastrosa.
Purtroppo, per altro, non sono poche le amministrazioni pubbliche che hanno – erroneamente, come dimostra il giudice di Venezia – continuato ad erogare i buoni pasto, a ciò anche indotti da imprudenti indicazioni provenienti da Palazzo Vidoni. La Funzione Pubblica poteva e doveva risparmiarsi e risparmiarci il passaggio della circolare 2/2020 secondo il quale “il personale in smart working non ha un automatico diritto al buono pasto e che ciascuna p.a. assume le determinazioni di competenza in materia, previo confronto con le organizzazioni sindacali”.
Tale passaggio, per altro giuridicamente erroneo secondo quanto afferma il giudice del lavoro di Venezia, ha dato modo ai sindacati di spargere “diffide” a tutto spiano ed attivare un contenzioso contrattuale ed anche giurisdizionale che andava certamente scongiurato.
Non sarebbe male se, alla luce di questa sentenza, Palazzo Vidoni rivedesse profondamente il contenuto della circolare ed intervenisse nei confronti delle amministrazioni che hanno adottato accordi per consentire la fruizione dei buoni pasto.
C’è, poi, il problema del ruolo dei sindacati. Da un lato, essi agiscono come se il datore pubblico disponesse di quei margini di manovra propri del datore privato, ma dei quali il datore pubblico è carente. Ai sindacati è data la possibilità di chiedere, rivendicare ed agire anche per muovere pretese in evidentissimo contrasto con vincoli normativi molto precisi; spessissimo le enormi pressioni prodotte sulla politica e su delegazioni di parte pubblica troppo spesso indulgenti o non preparate o, comunque, con poca voglia di resistere alla “tenaglia” politico-sindacale, conducono a contratti decentrati e, comunque, a scelte gestionali dannose ed irrazionali.
Dall’altro lato, ai sindacati del pubblico spesso mancano esattamente quella morigeratezza nelle rivendicazioni che dovrebbe caratterizzare l’etica pubblica, della quale anch’essi, come parte, più che controparte della PA, dovrebbero essere i primi difensori.
La richiesta pervicace di benefit come i buoni pasto, per altro fondata sull’inesistente e risibile idea che un diritto, in un ordinamento fondato sulla posizione espressa delle norme, discenderebbe da regole che non lo negano, finisce solo per peggiorare nella pubblica opinione l’immagine dei lavoratori pubblici, già esposta di per sè a critiche troppe volte generiche ed ingenerose.
In questa “guerra” dei buoni pasto, chi ha da perdere è comunque il lavoratore pubblico. Già, se in smart working, è tacciato di non far nulla e godere di ferie senza titolo; aggiungendo anche la pretesa della percezione del buono pasto, si riesce solo ad innescare ulteriore fastidio e stizza nella popolazione. E’ a questo che serve l’opera di un sindacato?
 
 
Decreto di rigetto n. cronol. 3463/2020 del 08/07/2020 
RG n. 1069/2020 
REPUBBLICA ITALIANA 
TRIBUNALE DI VENEZIA 
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO 
Il Giudice, dr. Barbara BORTOT, giudice delle controversie individuali di lavoro e delle controversie in materia di previdenza e di assistenza obbligatorie, ha pronunciato il seguente 
DECRETO 
nella controversia iscritta al no 1069 Reg. Gen. 2020 e promossa con ricorso depositato in Cancelleria in data 13/06/2020 
da 
– FEDERAZIONE METROPOLITANA DELLA FUNZIONE PUBBLICA CGIL DI VENEZIA (avv. MASON FRANCESCO) 
contro 
– COMUNE DI VENEZIA (avv. O NGARO NICOLETTA) 
Oggetto: art. 28 L. n.300/1970 
Il GL, a scioglimento della riserva che precede, osserva: 
Federazione Metropolitana della Funzione Pubblica CGIL di Venezia lamenta l’esclusione dal godimento dei buoni pasto dei lavoratori in lavoro agile senza previa contrattazione con le 00.SS., e ritenendo lese le prerogative sindacali, propone ricorso ex art. 28 I. n.300/78, chiedendo la condanna del Comune convenuto a porre fine al suddetto comportamento. 
E’ pacifico che in virtù della legislazione di emergenza le Direzioni del Comune di Venezia, in stretta ottemperanza al dettato normativo, abbiano avviato il cd, smart working, prevedendo lo svolgimento della prestazione lavorativa dal domicilio del lavoratore. Come ricordato dalla stessa parte ricorrente, l’art. 87, comma 1, del d.l. 18 del 2020 ha stabilito che nelle pubbliche amministrazioni il lavoro agile, nel periodo emergenziale, è “la modalità ordinaria di svolgimento della prestazione lavorativa” ed anche in precedenza il DPCM dell’11 marzo 2020 aveva previsto che le pubbliche amministrazioni fossero tenute ad assicurare lo “svolgimento in via ordinaria delle prestazioni lavorative in forma agile del proprio personale dipendente, anche in deroga agli accordi individuali e agli obblighi informativi”. L’utilizzo del lavoro agile non è dunque il frutto di una scelta discrezionale dell’Amministrazione, ma è imposto dal legislatore quale modalità ordinaria e generale..
Il lavoro agile è incompatibile con la fruizione dei buoni pasto. Come infatti ancora ricordato dall’O.S. ricorrente il diritto ai buoni pasto in favore dei lavoratori degli enti locali è previsto al titolo VI del CCNL 14 settembre 2000, rubricato “Trattamento Economico”, e in particolare agli artt. 45 e 46 – richiamati all’art. 26 del CCNL di comparto, che ne subordinano la fruizione soltanto a determinati requisiti di durata giornaliera della prestazione. Per la maturazione del buono pasto, sostitutivo del servizio mensa (v. art. 45 CCNL di comparto), è necessario che l’orario di lavoro sia organizzato con specifiche scadenze orarie e che il lavoratore consumi il pasto al di fuori dell’orario di servizio. Quando la prestazione è resa in modalità di lavoro agile, questi presupposti non sussistono, proprio perché il lavoratore è libero di organizzare come meglio ritiene la prestazione sotto il profilo della collocazione temporale. 
Né a diversa soluzione può indurre l’art. 20 della legge n.81 del 2017, che nel disciplinare il lavoro agile prevede che il lavoratore in smart working abbia diritto ad un trattamento economico e normativo non inferiore a quello complessivamente applicato nei confronti dei lavoratori che svolgono le proprie mansioni esclusivamente all’interno dell’azienda. La S.C., in una nota pronuncia citata anche dal Comune convenuto, è intervenuta per definire la natura dei buoni pasto, sebbene in una diversa fattispecie di congedo parentale, escludendone la natura di elemento “normale” della retribuzione trattandosi di una “agevolazione di carattere assistenziale collegata al rapporto di lavoro da un nesso meramente occasionale” (v. Cass. 29.11.2019 n.31137). Come ben spiegato dalla Corte, “il buono pasto è un beneficio che non viene attribuito senza scopo, in quanto la sua corresponsione è finalizzata a far sì che, nell’ambito dell’organizzazione di lavoro, si possano conciliare le esigenze di servizio con le esigenze quotidiane del lavoratore, al quale viene così consentita – laddove non sia previsto un servizio mensa – la fruizione del pasto, i cui costi vengono assunti dall’Amministrazione, al fine di garantire allo stesso il benessere fisico necessario per la prosecuzione dell’attività lavorativa, nelle ipotesi in cui l’orario giornaliero corrisponda a quello contrattualmente stabilito per la fruizione del beneficio […]”. Non si tratta quindi di un elemento della retribuzione, né di un trattamento comunque necessariamente conseguente alla prestazione di lavoro in quanto tale, ma piuttosto di un beneficio conseguente alle modalità concrete di organizzazione dell’orario di lavoro. Se così è, i buoni pasto non rientrano sic et simpliciter nella nozione di trattamento economico e normativo, che deve essere garantito in ogni caso al lavoratore in smart working ex art.20 Legge n. 81 del 2017. 
A fronte di questa ricostruzione non può assumere valore dirimente il cd. argomento a contrario prospettato da parte ricorrente, che rileva come il Legislatore all’art. 87 del D.L. 18 del 2020 non abbia escluso la fruizione dei buoni pasto in favore di chi è sottoposto allo smart working, laddove per converso, proprio nello stesso articolo, quando disciplina al comma 3 la diversa fattispecie dell’esenzione dal servizio indica che, in tale ipotesi, “l’amministrazione non corrisponde l’indennità sostitutiva di mensa”. Se ne dovrebbe dedurre – a detta della ricorrente – che ove il Legislatore abbia voluto escludere il pagamento dell’indennità sostitutiva di mensa, lo ha fatto espressamente. L’argomentazione non convince, perché dinnanzi alla prospettata incompatibilità, logica e giuridica, tra buoni pasto e lavoro agile, il silenzio del legislatore non è sufficiente per consentire una diversa ricostruzione. 
In sostanza dunque i buoni pasto non sono dovuti al lavoratore in smart working e di conseguenza la mancata corresponsione degli stessi non doveva essere oggetto di contrattazione e confronto con le sigle sindacali. D’altro canto è anche difficile ipotizzare quale potrebbe essere l’esito di tale confronto: se i buoni pasto non spettano, non possono erogati e l’atto del Comune con cui se ne sospende l’erogazione al lavoratore in smart working è sostanzialmente un atto “necessitato”. 
L’indicazione fornita dal Ministero della P.A. (circolare n. 2 del 2020, richiamata da parte ricorrente), secondo cui ciascuna amministrazione assume le determinazioni di competenza in materia “previo confronto sul punto con le 0.0.S.S.”, non solo non è giuridicamente vincolante nella valutazione della legittimità del comportamento del Comune, ma è comunque priva di qualunque utilità, non potendosi neppure ipotizzare che si giunga a soluzioni differenti a seconda dell’esito del confronto sindacale..
Se non è necessario il confronto sindacale, men che meno è fondata la doglianza relativa alla mancata informativa, posto che non si è in presenza di un atto gestionale e discrezionale del datore di lavoro in materia di organizzazione degli uffici, ma dell’applicazione del dettato normativo, che impone di ritenere incompatibile la fruizione del buono pasto con il lavoro del dipendente svolto dal proprio domicilio.
Tanto è sufficiente per il rigetto del ricorso. 
La particolarità e la novità delle questioni impone la compensazione delle spese di lite. 
PQM 
Rigetta il ricorso. 

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