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Urbanistica. Interventi precari
Pubblicato: 08 Luglio 2020
Cass. Sez. III n. 18450 del 17 giugno 2020 (UP 4 mar 2020)

La necessità del previo rilascio del permesso di costruire non può farsi dipendere dalla natura dei materiali utilizzati o dalla più o meno facile amovibilità della struttura. Al fine di ritenere sottratta al preventivo rilascio del permesso di costruire la realizzazione di un manufatto, l’asserita precarietà dello stesso deve invece ricollegarsi – a mente di quanto previsto dall’art. 6, comma secondo, lett. b), d.P.R. n. 380 del 2001, come emendato dall’art. 5, comma primo, d.l. 25 marzo 2010, n. 40 (conv., con modiff., nella l. n. 73 del 2010) – alla circostanza che l’opera sia intrinsecamente destinata a soddisfare obiettive esigenze contingenti e temporanee, e ad essere immediatamente rimossa al venir meno di tale funzione, non rilevando, in difetto di tali requisiti, che essa sia realizzata con materiali non abitualmente utilizzati per costruzioni stabili

 
RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 13 settembre 2019, la Corte d’appello di Palermo, accogliendo l’appello proposto dal pubblico ministero avverso la decisione con cui, in primo grado, l’imputato era stato assolto da tutti i reati a lui ascritti per insussistenza del fatto, ha dichiarato non doversi procedere per estinzione dei reati con riguardo alle più risalenti opere abusive oggetto di contestazione, condannando l’imputato alle pene di legge in ordine ai reati di cui agli art. 44, comma 1, lett. c, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 e 181, comma 1, d.lgs. 30 aprile 2004, n. 42, in relazione all’installazione in zona vincolata di una casa mobile di 18 mq. circa, con struttura in alluminio e vetrate, in assenza di permesso di costruire e di autorizzazione paesaggistica.

 

2. Avverso la sentenza di appello, a mezzo del difensore fiduciario, ha proposto ricorso per cassazione il’imputato, deducendo, con il primo motivo, l’inosservanza o erronea applicazione dell’art. 603, comma 3-bis, cod. proc. pen.

per omessa rinnovazione dell’istruzione dibattimentale con riguardo alla deposizione del teste Rabito, pur essendosi fondato l’accoglimento dell’appello del pubblico ministero su una diversa valutazione delle dichiarazioni dal medesimo rese rispetto a quella datane nel giudizio di primo grado.

    3. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta vizio di motivazione per erronea valutazione delle dichiarazioni rese dal medesimo teste Rabito, avendo la sentenza ritenuto che la casa mobile fosse “fissata al terreno e destinata a soddisfare esigenze di carattere duraturo”, avendo il teste invece dichiarato che la stessa non era fissata al terreno, non era dotata di scarichi ed era un rimorchio.

    4. Con l’ultimo motivo di ricorso si lamenta erronea applicazione dell’art. 44 d.P.R. 380/2001 per essere stato ritenuto necessario il permesso di costruire sull’erroneo presupposto che trattavasi di opera destinata a soddisfare esigenze abitative permanenti, desumendone peraltro la stabilità dal fatto che la stessa fosse rimasta in loco per quattro mesi, laddove era invece stato provato che la struttura veniva utilizzata dall’imputato solo per fare qualche telefonata ai clienti. Se si fosse proceduto alla rinnovazione istruttoria, si sarebbe poi potuto accertare che in quei quattro mesi la casa mobile aveva subito degli spostamenti.

 

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Com’è noto, ancor prima che fosse introdotto nel corpo dell’art. 603 cod. proc. pen. il disposto di cui al comma 3-bis, della cui inosservanza con il primo motivo il ricorrente si duole, nella giurisprudenza di questa Corte si è affermato l’orientamento secondo cui la previsione contenuta nell’art. 6, par. 3, lett. d), della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, relativa al diritto dell’imputato di esaminare o fare esaminare i testimoni a carico ed ottenere la convocazione e l’esame dei testimoni a discarico, come definito dalla giurisprudenza consolidata della Corte EDU – che costituisce parametro interpretativo delle norme processuali interne – implica che il giudice di appello, investito della impugnazione del pubblico ministero avverso la sentenza di assoluzione di primo grado, anche se emessa all’esito del giudizio abbreviato, con cui si adduca una erronea valutazione delle prove dichiarative, non può riformare la sentenza impugnata, affermando la responsabilità penale dell’imputato, senza avere proceduto, anche d’ufficio, ai sensi dell’art. 603, comma terzo, cod. proc. pen., a rinnovare l’istruzione dibattimentale attraverso l’esame dei soggetti che abbiano reso dichiarazioni sui fatti del processo, ritenute decisive ai fini del giudizio assolutorio di primo grado (Sez. U, n. 27620 del 28/04/2016, Dasgupta, Rv. 267487, che ha confermato il prevalente orientamento di legittimità formatosi dopo la nota pronuncia della Corte EDU 5 luglio 2011, Dan c. Repubblica della Moldavia: v., ex plurimis, Sez. 6, n. 47722 del 06/10/2015, Arcone e aa., Rv. 265879; Sez. 5, n. 6403 del 16/09/2014, dep. 2015, Preite e a., Rv. 262674; Sez. 5, n. 16975 del 12/02/2014, Sirsi, Rv. 259843). Conseguentemente, in tali casi, laddove non abbia luogo la rinnovazione dell’istruzione, è affetta da vizio di motivazione ex art. 606, comma primo, lett. e), cod. proc. pen., per mancato rispetto del canone di giudizio “al di là di ogni ragionevole dubbio”, di cui all’art. 533, comma primo, cod. proc. pen., la sentenza di appello che, su impugnazione del pubblico ministero, affermi la responsabilità dell’imputato, in riforma di una sentenza assolutoria, operando una diversa valutazione di prove dichiarative ritenute decisive, delle quali non sia stata disposta la rinnovazione a norma dell’art. 603, comma terzo, cod. proc. pen. (Sez. U, n. 27620 del 28/04/2016, Dasgupta, Rv. 267492).

La richiamata sentenza Dasgupta afferma altresì che costituiscono prove decisive al fine della valutazione della necessità di procedere alla rinnovazione della istruzione dibattimentale quelle che, sulla base della sentenza di primo grado, hanno determinato, o anche soltanto contribuito a determinare, l’assoluzione e che, pur in presenza di altre fonti probatorie di diversa natura, se espunte dal complesso materiale probatorio, si rivelano potenzialmente idonee ad incidere sull’esito del giudizio, nonché quelle che, pur ritenute dal primo giudice di scarso o nullo valore, siano, invece, nella prospettiva dell’appellante, rilevanti – da sole o insieme ad altri elementi di prova – ai fini dell’esito della condanna (Sez. U, n. 27620 del 28/04/2016, Dasgupta, Rv. 267491).

2. Secondo la giurisprudenza di legittimità successiva, il giudice d’appello che intenda procedere alla reformatio in peius di una sentenza assolutoria di primo grado, emessa all’esito di giudizio ordinario o abbreviato non ha tuttavia l’obbligo di rinnovare la prova dichiarativa decisiva qualora emerga che la lettura della prova compiuta dal primo giudice sia stata travisata per omissione, invenzione o falsificazione (Sez. U, n. 18620 del 19/01/2017, Patalano, Rv. 269786), tale obbligo sussistendo soltanto quando si tratti di valutazione “differente” della prova dichiarativa e non di mero “travisamento” di essa, caso quest’ultimo in cui si può pervenire al giudizio di colpevolezza senza necessità di rinnovazione delle prove dichiarative (Sez. 6, n. 35899 del 30/05/2017, Forini, Rv. 270546, resa con riguardo ad una vicenda ove la prova dichiarativa utilizzata per la riforma della sentenza in grado d’appello non era stata in primo grado considerata dal giudice, incorso in travisamento per omissione). Già in precedenza, sulla stessa linea, si era affermato che in tema di valutazione della prova, il giudice di appello che intenda riformare in peius la sentenza assolutoria di primo grado non ha l’obbligo di disporre la rinnovazione di una prova dichiarativa ritenuta decisiva allorché si limiti a valorizzare integralmente una deposizione solo parzialmente considerata – per una svista, una dimenticanza o un vero e proprio “salto logico” – da parte del primo giudice (Sez. 2, n. 54717 del 01/12/2016, Ciardo e aa., Rv. 268826).

Il diverso apprezzamento di una dichiarazione ritenuta decisiva ricorre anche nel caso in cui non si sia proceduto a valutare diversamente l’attendibilità del dichiarante, quanto, piuttosto, a dare una differente interpretazione del significato delle sue dichiarazioni (Sez. 3, n. 24306 del 19/01/2017, I., Rv. 270630).

Per contro, non sussiste l’obbligo di procedere alla rinnovazione della prova testimoniale decisiva per la riforma in appello dell’assoluzione, quando la deposizione è valutata in maniera del tutto identica sotto il profilo contenutistico, ma il suo significato probatorio viene diversamente apprezzato nel rapporto con le altre prove (Sez. 3, n. 19958 del 21/09/2016, dep. 2017, Chiri, Rv. 269782), magari nell’ambito di una valutazione organica, globale ed unitaria degli ulteriori elementi indiziari a carico (esterni alle dichiarazioni), erroneamente considerati in maniera atomistica dalla decisione del primo giudice (Sez. 2, n. 3917 del 13/09/2016, dep. 2017, Fazi, Rv. 269592) ovvero affatto considerati (Sez. 5, n. 45847 del 28/06/2016, Colombo, Rv. 268470). Si è ulteriormente precisato che nel caso di condanna in appello, non sussiste l’obbligo di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale quando l’attendibilità della deposizione sia valutata in maniera del tutto identica dal giudice di appello, il quale si limita a procedere ad un diverso apprezzamento del complessivo compendio probatorio ovvero ad una diversa interpretazione della fattispecie incriminatrice (Sez. 5, n. 33272 del 28/03/2017, Carosella, Rv. 270471), come pure qualora non vengano messi in dubbio la credibilità dei testi o il contenuto delle loro deposizioni, ma la decisione in sede di gravame sia invece fondata solo su una diversa valutazione del medesimo materiale probatorio utilizzato in primo grado (Sez.  5, n. 53415 del 18/06/2018, Boggi, Rv. 274593) e, più in generale, qualora il giudice abbia riformato la sentenza assolutoria di primo grado non già in base al diverso apprezzamento di una prova dichiarativa, bensì all’esito della differente interpretazione della fattispecie concreta, fondata su una complessiva valutazione dell’intero compendio probatorio (Sez. 5, n. 42746 del 09/05/2017, Fazzini, Rv. 271012). Tantomeno occorre procedere alla rinnovazione dibattimentale della prova nel caso di riforma della sentenza di assoluzione fondata non già sulla base di un diverso apprezzamento dell’attendibilità di una dichiarazione ritenuta decisiva, ma in forza della rivalutazione di un compendio probatorio di carattere documentale (Sez. 3, n. 31949 del 20/09/2016, dep. 2017, Felice, Rv. 270632; Sez.  2, n. 53594 del 16/11/2017, Piano, Rv. 271694), ovvero in base alla valorizzazione delle intercettazioni telefoniche, quasi ignorate dal giudice di primo grado, rispetto alle quali le prove dichiarative sono state ritenute di marginale rilevanza (Sez.  6, n. 49067 del 21/09/2017, Bertolini, Rv. 271503).

 

3. L’orientamento giurisprudenziale sopra delineato è stato sostanzialmente recepito dalla recente legge 23 giugno 2017, n. 103, che, con l’art. 1, comma 58, ha introdotto un nuovo comma nella disposizione relativa alla rinnovazione dell’istruzione dibattimentale nel giudizio di secondo grado, statuendo che «nel caso di appello del pubblico ministero contro una sentenza di proscioglimento per motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa, il giudice dispone la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale» (art. 603, comma 3-bis, cod. proc. pen.). La citata disposizione, peraltro, non contiene elementi distonici rispetto alle linee interpretative elaborate dalla giurisprudenza in precedenza formatasi quali più sopra riepilogate (per analoghe considerazioni v., in motivazione, Sez.  U, n. 14800 del 21/12/2017, dep. 2018, Troise, Rv. 272430).

    4. Alla luce di tali chiare – ed univoche – affermazioni di principio, il primo motivo ricorso è infondato.

    4.1. Diversamente da quanto allega il ricorrente, anche per quel che concerne la casa mobile – nulla viene contestato, in ricorso, con riguardo alle ulteriori opere edilizie fatte oggetto della pronuncia di non doversi procedere per intervenuta prescrizione – l’integrale riforma della sentenza di primo grado non si è fondata sulla diversa valutazione delle dichiarazioni rese dal teste Rabito, il commissario di polizia municipale che ebbe ad accertare il reato.

    Ed invero, va in primo luogo osservato come la sentenza di primo grado non menzioni mai il suddetto teste, né riporti le dichiarazioni dal medesimo rilasciate. Affermando che «il giudizio è stato istruito con testi e attraverso l’acquisizione degli atti irripetibili e del fascicolo fotografico formati dalla pg operante nel corso del sopralluogo», detta sentenza, per contro, mostra di fondare l’accertamento su un materiale istruttorio composito, formato non soltanto da prove dichiarative, in particolare dall’unica della cui mancata riassunzione in grado d’appello il ricorrente si duole.

Proprio perché la deposizione del teste Rabito è richiamata dalla sentenza qui impugnata, può tuttavia ritenersi che essa abbia costituito uno degli elementi considerati anche dal giudice di primo grado nel ricostruire la condotta come consistita «semplicemente nel posizionamento di una sorta di container dotato di due ruote e avente le caratteristiche di fatto e i requisiti legali di un rimorchio», sì da non essere assoggettata al regime del previo rilascio del permesso di costruire non presentando «le caratteristiche di una struttura stabilmente e definitivamente ancorata al suolo, essendo invero dotata di ruote e perciò suscettibile di agevole e immediata rimozione, così da rimostrare la natura meramente temporanea della sua destinazione d’uso». Sul piano paesaggistico, poi, il primo giudice ha del pari ritenuto insussistente la compromissione del contesto ambientale stante la «mancanza di alcun collegamento strutturale e funzionale del manufatto in contestazione rispetto a un corpo edilizio strictu sensu inteso», in particolare sottolineandosi che «il materiale fotografico evidenzia il carattere strutturalmente marginale e del tutto trascurabile dell’intervento in questione».

    Il giudice di primo grado, in sostanza, ha ritenuto che dal complesso delle prove assunte – si noti come il passaggio da ultimo richiamato si fondi sul materiale fotografico – si ricavasse, da un lato, la natura non permanente della casa mobile (in particolare desunta dalla sua mancanza di stabilità e di ancoraggio al suolo e dall’assenza di collegamento strutturale o funzionale con altro corpo edilizio), d’altro lato la “trascurabilità” dell’intervento rispetto ai beni protetti dalle fattispecie incriminatrici.

    4.2. La sentenza impugnata – che parimenti fonda la propria valutazione su un compendio istruttorio composito (la testimonianza del commissario di polizia municipale Maurizio Rabito, il verbale di sequestro, il fascicolo fotografico) – ha invece accertato, per quanto qui rileva, la «installazione di una casa mobile di 18,00 mq. circa con struttura in alluminio e vetrate adibita ad ufficio (si veda il fascicolo fotografico in atti)». Come immediatamente balza agli occhi, la prima fonte di prova utilizzata per descrivere il manufatto – in termini significativamente diversi da quanto avvenuto in primo grado, dove si parla genericamente di una “sorta di container” avente le caratteristiche di un rimorchio – sono i documenti fotografici, e non già la deposizione del teste Rabito. Questa viene richiamata per aggiungere che si trattava di «struttura prefabbricata adibita ad ufficio, poggiata su un piedistallo…dotata di rimorchio e priva di scarichi». Nessuno di questi elementi, tuttavia, è contrario alla ricostruzione del fatto operata dal giudice di primo grado e nemmeno lo è la successiva, generica, notazione secondo cui la struttura «seppur potenzialmente mobile e precaria, era fissata al terreno», non ricavandosi dalla stessa che si trattasse di uno stabile ancoraggio al suolo, ciò che il giudice di primo grado aveva escluso.

    4.3. La vera ratio decidendi che ha giustificato il ribaltamento dell’epilogo assolutorio cui si era giunti in primo grado è invece da ravvisarsi, quanto al reato urbanistico, nel fatto che la struttura – adibita ad ufficio – fosse destinata a soddisfare esigenze di carattere duraturo, comportasse pertanto una trasformazione urbanistica del territorio assoggettata a permesso di costruire (come anche si desumeva dalla circostanza che fosse stata installata a luglio 2014 e fosse ancora lì a dicembre 2014) e, essendo affatto di minima entità, fosse del pari idonea a pregiudicare il bene paesaggistico-ambientale.

    La decisione della Corte territoriale, dunque, non ha avuto riguardo ad una diversa ricostruzione del contenuto delle dichiarazioni rese dal teste Rabito – tantomeno ad un diverso giudizio di attendibilità del teste, mai posto in discussione da alcuno – bensì ad una diversa valutazione degli elementi costitutivi delle fattispecie incriminatrici contestate. In particolare, mentre il giudice di primo grado ha attribuito primaria rilevanza, ai fini del giudizio sulla permanenza dell’opera e sull’idoneità a ledere i beni giuridici oggetto di tutela, ai requisiti strutturali della stessa, la Corte territoriale ha operato una valutazione per lo più fondata sulla destinazione della medesima a soddisfare esigenze durature, al di là delle sue caratteristiche potenzialmente mobili e precarie.

    5. Nel giungere a tali conclusioni, la sentenza impugnata ha fatto buon governo dei consolidati principi affermati sul punto da questa Corte e la motivazione resa non è manifestamente illogica e viene soltanto genericamente contestata in ricorso, sicché vanno disattesi anche il secondo ed il terzo motivo d’impugnazione, da trattarsi congiuntamente perché obiettivamente connessi.

Per consolidata giurisprudenza, di fatti, la necessità del previo rilascio del permesso di costruire non può farsi dipendere dalla natura dei materiali utilizzati o dalla più o meno facile amovibilità della struttura (Sez. 3, n. 966 del 26/11/2014, dep. 2015, Manfredini, Rv. 261636; Sez. 3, n. 37572 del 14/05/2013, Doppiù e a., Rv. 256511; Sez. 3, n. 22054 del 25/02/2009, Frank, Rv. 243710). Al fine di ritenere sottratta al preventivo rilascio del permesso di costruire la realizzazione di un manufatto, l’asserita precarietà dello stesso deve invece ricollegarsi – a mente di quanto previsto dall’art. 6, comma secondo, lett. b), d.P.R. n. 380 del 2001, come emendato dall’art. 5, comma primo, d.l. 25 marzo 2010, n. 40 (conv., con modiff., nella l. n. 73 del 2010) – alla circostanza che l’opera sia intrinsecamente destinata a soddisfare obiettive esigenze contingenti e temporanee, e ad essere immediatamente rimossa al venir meno di tale funzione (Sez. 3, n. 36107 del 30/06/2016, Arrigoni e a., Rv. 267759; Sez. 3, n. 966 del 26/11/2014, dep. 2015, Manfredini, Rv. 261636), non rilevando, in difetto di tali requisiti, che essa sia realizzata con materiali non abitualmente utilizzati per costruzioni stabili (Sez.  3, n. 5821 del 15/01/2019, Dule Saimir, Rv. 275697).

La motivazione resa dalla Corte territoriale circa l’adibizione della struttura ad ufficio, dunque ad un’attività di per sé non temporanea, non è manifestamente illogica e non viene in alcun modo contestata dal ricorso, che, non allegando la sua destinazione ad un diverso utilizzo contingente o temporaneo, è sul punto irrimediabilmente generico.

Non pertinente, peraltro, è il riferimento al periodo di appena quattro mesi di permanenza della struttura, posto che la stessa non fu rimossa al termine di detto periodo, ma continuava ad essere concretamente utilizzata e soltanto il sopralluogo di polizia – effettuato a seguito di esposto anonimo – consentì di accertare i reati, peraltro, come detto, riferiti ad ulteriori episodi di abuso in precedenza commessi che all’epoca della sentenza di secondo grado erano già prescritti.

6. Non essendo ancora maturato il termine di prescrizione con riguardo all’abusiva installazione della casa mobile – giusta le sospensioni del corso della prescrizione verificatesi nel giudizio di primo grado, di cui dà atto, sia pur solo parzialmente, la sentenza impugnata (pag. 5), dovendo, in aggiunta, calcolarsi anche il rinvio su richiesta della difesa dal 16 febbraio al 23 marzo 2017 – il ricorso deve pertanto essere rigettato con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Si dà atto che il presente provvedimento è sottoscritto dal solo presidente del collegio per impedimento dell’estensore, ai sensi dell’art. 1, comma 1, lett. a), del d.p.c.m. 8 marzo 2020.

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