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L’ente locale che gestisce la strada ha l’onere di dimostrare che si è attivato per la manutenzione al fine di evitare incidenti stradali
di Federico Gavioli – Dottore commercialista, revisore legale e giornalista pubblicista
 
L’ente locale deve dimostrare che gestisce le proprie strade con cura al fine di evitare possibili incidenti stradali; la rimozione delle insidie è di sua competenza e non è compito del cittadino che ha subito un incidente dimostrare la prova della cattiva manutenzione delle strade comunali. La Corte di Cassazione, sezione civile, con l’ordinanza n. 11096 del 10 giugno 2020, ha accolto il ricorso dei genitori legali rappresentanti dell’allora minore, che aveva avuto un incidente in motorino a causa di una voragine presente sul manto stradale, riportando danni fisici.
Il contenzioso
Con sentenza dell’ottobre 2017 il giudice del merito, in accoglimento del gravame interposto dalla Provincia, ha rigettato la domanda originariamente proposta dai genitori legali rappresentanti del figlio allora minore, finalizzata al risarcimento dei danni per un incidente subito in motorino, per la cattiva manutenzione del manto stradale.
Avverso la sentenza sfavorevole i genitori legali sono ricorsi in Cassazione.
Nel ricorso in Cassazione lamentano, in particolare, che il danno sia derivato dalla cosa e il giudice dell’appello abbia rigettato la domanda affermando che la cosa in custodia non presentava intrinseche connotazioni di concreta pericolosità, senza indicare neppure una delle diverse ipotetiche altre cause cui ha ritenuto doversi ascrivere il sinistro in questione.
Si dolgono non essersi dai giudici di merito considerate le dichiarazioni rilasciate dal sig. (omissis), che ha assistito al sinistro, né quelle del teste (….), dipendente della Provincia, il quale ha dichiarato che dopo il sinistro in argomento l’asfalto della strada è stato ripristinato poiché il minore (omissis) era caduto e attribuiva a quella buca l’incidente “quindi abbiamo provveduto in via cautelativa alla riparazione … cosi riconoscendo … la pericolosità della “cosa” in custodia”.
L’analisi della Cassazione
Per i giudici del merito i motivi, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono fondati e vanno accolti nei termini di seguito indicati.
Come la Cassazione ha già avuto modo di affermare, custodi sono tutti i soggetti -pubblici o privati- che hanno il possesso o la detenzione (legittima o anche abusiva, cfr. Cass. civ. 3 giugno 1976, n. 1992) della cosa (cfr. Cass. civ. 20 febbraio 2006, n. 3651Cass. civ. 20 ottobre 2005, n. 20317).
Custodi sono certamente i proprietari, in quanto tali gravati da obblighi di manutenzione e controllo della cosa custodita.
Poiché ex art. 14 C.d.S., gli enti proprietari delle strade (e delle autostrade) sono tenuti a provvedere:
a) alla manutenzione, gestione e pulizia delle strade, delle loro pertinenze e arredo, nonché delle attrezzature, impianti e servizi;
b) al controllo tecnico dell’efficienza delle strade e relative pertinenze;
c) all’apposizione e manutenzione della segnaletica prescritta;
e considerato che a loro carico (così come dei relativi concessionari) è senz’altro configurabile la responsabilità per cosa in custodia disciplinata dall’art. 2051 c.c., in ragione del particolare rapporto con la cosa che ai medesimi deriva dalla disponibilità e dai poteri di effettivo controllo sulla medesima (cfr. Cass. civ. 19 novembre 2009, n. 24419Cass. civ. 29 marzo 2007, n. 7763), va sottolineato che il principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità in caso di sinistro dei danni conseguenti ad omessa o insufficiente relativa manutenzione il proprietario o il custode (tale essendo anche il possessore, il detentore e il concessionario) risponde ex art. 2051 c.c., salvo che dalla responsabilità presunta a suo carico si liberi dando la prova del fortuito.
In altri termini, il danneggiato che domanda il risarcimento del pregiudizio sofferto in conseguenza dell’omessa o insufficiente manutenzione della cosa in custodia, o di sue pertinenze, invocando la responsabilità del custode è tenuto, secondo le regole generali in tema di responsabilità civile, a dare la prova che i danni subiti derivano dalla cosa, in relazione alle circostanze del caso concreto (cfr. Cass. civ. 20 febbraio 2006, n. 3651).
Tale prova consiste nella dimostrazione del verificarsi dell’evento dannoso e della relativa derivazione dalla cosa in custodia, e può essere data anche con presunzioni, giacché la prova del danno è di per sé indice della sussistenza di un risultato “anomalo”, e cioè dell’obiettiva deviazione dal modello di condotta improntato ad adeguata diligenza che normalmente evita il danno (cfr. Cass. civ. 20 febbraio 2006, n. 3651).
Per i giudici di legittimità facendo eccezione alla regola generale di cui al combinato disposto degli artt. 2043 e 2697 c.c., l’art. 2051 c.c. integra invero un’ipotesi di responsabilità c.d. aggravata, in quanto caratterizzata da un criterio di inversione dell’onere della prova, imponendo al custode, presunto responsabile, di dare eventualmente la prova liberatoria del fortuito.
Osserva la Cassazione che il custode è cioè tenuto, in ragione dei poteri che la particolare relazione con la cosa gli attribuisce cui fanno riscontro corrispondenti obblighi di vigilanza, controllo e diligenza (in base ai quali è tenuto ad adottare tutte le misure idonee a prevenire ed impedire la produzione di danni a terzi, con lo sforzo adeguato alla natura e alla funzione della cosa e alle circostanze del caso concreto) nonché in ossequio al principio di c.d. vicinanza alla prova, a dimostrare che il danno si è verificato in modo non prevedibile, né superabile con lo sforzo diligente adeguato alle concrete circostanze del caso.
Deve cioè dimostrare di avere espletato, con la diligenza adeguata alla natura e alla funzione della cosa in considerazione delle circostanze del caso concreto, tutte le attività di controllo, vigilanza e manutenzione su di esso gravanti in base a specifiche disposizioni normative ( nel caso come detto art. 14 CdS), e già del principio generale del neminem laedere (v. Cass. civ. 20 febbraio 2006, n. 3651).
Siffatta inversione dell’onere probatorio incide indubbiamente sulla posizione sostanziale delle parti, agevolando la posizione del danneggiato e aggravando quella del danneggiale, sul quale grava anche il rischio del fatto ignoto.
Atteso che il custode presunto responsabile può se del caso, in presenza di condotta che valga ad integrare la fattispecie ex art. 1227, comma 1, c.c. dedurre e provare il concorso di colpa del danneggiato, senz’altro configurabile anche nei casi di responsabilità presunta ex art. 2051 c.c. del custode, ai diversi fini della prova liberatoria da fornirsi dal custode per sottrarsi a detta responsabilità è invero necessario distinguere tra le situazioni di pericolo connesse alla struttura o alle pertinenze della strada e quelle provocate da una repentina ed imprevedibile alterazione dello stato della cosa.
Solamente in quest’ultima ipotesi può invero configurarsi il caso fortuito, in particolare allorquando l’evento dannoso si sia verificato prima che l’ente proprietario o gestore abbia potuto rimuovere, nonostante l’attività di controllo espletata con la dovuta diligenza al fine di tempestivamente ovviarvi, la straordinaria ed imprevedibile situazione di pericolo determinatasi.
Si è al riguardo precisato che non spetta al danneggiato dare la prova dell’insidia o del trabocchetto, e in particolare dell’anomalia della strada, incombendo viceversa al proprietario di strade pubbliche dare la c.d. prova liberatoria, dimostrando cioè di avere adottato tutte le misure idonee a prevenire ed impedire che il bene demaniale presenti per l’utente una situazione di pericolo occulto produttiva di danno a terzi, con lo sforzo diligente adeguato alla natura della cosa e alle circostanze del caso concreto, al fine di fare in sostanza valere la propria mancanza di colpa; e, se del caso, invocare il concorso di colpa del danneggiato (per la compatibilità tra la responsabilità della P.A. ex art. 2043 c.c. per c.d. insidia stradale ed il concorso colposo del danneggiato ex art. 1227, comma 1 c.c.).
La Cassazione rileva che “pur dovendo ritenersi provato l’evento ossia che il ciclomotore all’epoca minore, fosse caduto dal proprio ciclomotore e si fosse ferito ad un ginocchio , ciò che non risulta invece provato, e che era onere dell’attore provare, è la sussistenza di una anomalia della sede stradale astrattamente idonea a determinare, di per sé, una situazione di pericolo per gli utenti della strada, nonché la ravvisabilità del nesso causale tra I’evento (e quindi la caduta) ed una anomalia connotabile nel senso anzidetto ossia, una situazione di pericolo che il custode della cosa aveva I’obbligo di eliminare in attuazione del dovere di garanzia sul medesimo incombente”, il giudice dell’appello ha nell’impugnata sentenza invero disatteso i suindicati principi.
Le conclusioni
La Corte di Cassazione accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese del presente giudizio al Tribunale ordinario che si pronuncerà in diversa composizione.

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