24/06/2020 – Urbanistica. Sanzione per opere soggette a scia

Urbanistica. Sanzione per opere soggette a scia
Pubblicato: 23 Giugno 2020
TAR Campania (SA) Sez. II n. 543 del 19 maggio 2020

È illegittima la sanzione demolitoria irrogata in luogo di quella pecuniaria ex art. 37 t. u. edilizia a fronte della realizzazione di opere che, considerata la modesta consistenza, appaiono rientrare tra gli interventi soggetti a s. c. i. a.

 
Pubblicato il 19/05/2020

N. 00543/2020 REG.PROV.COLL.

N. 00318/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

sezione staccata di Salerno (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso, numero di registro generale 318 del 2019, proposto da:

Francesco Paolo Sellitti, Luigi Sellitti e Gerardo Sellitti, rappresentati e difesi dall’Avv. Luigi D’Andrea, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Comune di Ravello, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituito in giudizio;

per l’annullamento

– A) dell’ordinanza di demolizione e ripristino dello stato dei luoghi, n. 60 del 5.12.2018 (prot. n. 18559), emessa dal Comune di Ravello e notificata, ai ricorrenti, in data 17.12.2018;

– B) ove e per quanto occorra, delle note, prot. n. 13176 e 15973 del 2018, d’avvio della procedura sanzionatoria;

– C) di tutti gli atti presupposti, connessi, collegati e consequenziali;

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore, nell’udienza del giorno 6 maggio 2020, tenuta da remoto in modalità TEAM, il dott. Paolo Severini;

Ritenuto e considerato, in fatto e in diritto, quanto segue;

FATTO

I ricorrenti, proprietari, i primi due, ed usufruttuario, il terzo, di un immobile (distinto in catasto al foglio n. 7, mappale n. 885) ubicato nel Comune di Ravello, località Torre Paradiso, S. S. Amalfitana n. 163, soggetto a vincolo paesaggistico, ricadente in zona “ET” del vigente PRG, in zona omogenea “1/B” del PUT e in zona “B” del Parco dei Monti Lattari, dov’era consentito, tra l’altro, il cambio di destinazione in residenza turistica; premesso che, per tal motivo, avevano trasformato l’immobile in un B&B, denominato “The Small Castle of the Moors II” (giusta SCIA allegata), diventando una delle più rinomate strutture ricettive, presenti in Costiera Amalfitana, conosciuta ed apprezzata da una clientela internazionale; che di recente, avendo necessità di migliorare i servizi offerti – al fine d’adeguarsi ad altre strutture del tipo – avevano realizzato alcune opere di sistemazione dell’area esterna, già pavimentata, di pertinenza dell’edificio ricettivo, e in particolare: a) la posa in opera di mattonelle in gres porcellanato, a copertura della precedente sottostante, vetusta, di color rossiccio e danneggiata in più punti; b) l’innalzamento di un muretto di cinta preesistente di 60 cm.; c) una vasca idromassaggio (definita “piscina”, dal Comune), di ridottissime dimensioni (4 mt. x 3 mt.), a servizio delle “suites”; che tali opere erano state contestate dal Comune e pertanto i proprietari, pur non essendovi tenuti, avevano rimosso la piccola vasca idromassaggio, come da comunicazione del 3.10.2018; lamentavano che, ciò nonostante, il Comune aveva ritenuto di sanzionare le opere, sub a) e b), sull’errato presupposto che le medesime avessero sostituito “la preesistente vegetazione, costituita da alberi da frutta e bouganville”, laddove “le stesse sono state realizzate su un’area già precedentemente assentita, pavimentata e di vecchio impianto”, ed erano “riconducibili ad attività edilizia libera, sia sotto il profilo edilizio, sia sotto il profilo paesaggistico, o, al più, ad attività manutentive, espressamente consentite dalla disciplina urbanistica, paesaggistica e di zona (P.U.T.)”; che, pure, il Comune aveva ingiunto la demolizione delle stesse; ed articolavano, avverso tale provvedimento, le seguenti censure in diritto:

SUL RILIEVO DELL’ELIMINAZIONE DEL GIARDINO:

I) VIOLAZIONE DI LEGGE (ARTT. 3, 6 E 36 D.P.R. 380/2001) – ECCESSO DI POTERE (DIFETTO ASSOLUTO DEL PRESUPPOSTO – ARBITRARIETÀ –TRAVISAMENTO – SVIAMENTO):

la P. A. adduceva che la posa in opera della pavimentazione    contestata avesse sostituito “la preesistente vegetazione, costituita da alberi da frutta e bouganville”, “rilievo documentalmente errato, come da reperti fotografici allegati alla CTP”, dalla quale emergeva l’impossibilità che sul terrazzo potessero mai esserci degli alberi da frutta o bouganville, laddove il mattonellato bianco era stato sovrapposto all’originaria pavimentazione, esistente da almeno 50/60 anni; insomma, non v’era stata alcuna modifica della pretesa “vegetazione”, semplicemente perché inesistente (l’area, da sempre, era un terrazzo pavimentato, per la veduta sul golfo di Salerno);

SULLA LEGITTIMITÀ URBANISTICA DELLA PAVIMENTAZIONE:

II) VIOLAZIONE DI LEGGE (ARTT. 3, 6, 36 D.P.R. 380/2001 IN REL. D.M. 2.03.2018 E ALLE N.T.A. DEL COMUNE DI RAVELLO) – ECCESSO DI POTERE (DIFETTO ASSOLUTO DEL PRESUPPOSTO – ARBITRARIETÀ – TRAVISAMENTO –SVIAMENTO):

secondo l’art. 6, comma I, del D.P.R. n. 380/2001, rientrano nell’attività di edilizia libera: – “le opere di pavimentazione e di finitura di spazi esterni (lett. e-ter); – le aree ludiche senza fini di lucro e gli elementi di arredo delle aree pertinenziali degli edifici” (lett. e-quinques); allo stesso modo, ai sensi del D. M. 2.03.2018, il rifacimento e/o sostituzione della “pavimentazione esterna pertinenziale” rientrava nell’edilizia libera; insomma, l’ordinanza di demolizione impugnata riguardava opere del tutto irrilevanti, sotto il profilo volumetrico e/o, comunque, di pertinenza dell’immobile principale, regolarmente assentito; inoltre l’immobile ricadeva in zona “ET” del vigente P. R. G., regolata dalle stesse disposizioni della zona “B2” secondo le quali, oltre ad essere ammessi interventi conservativi, “devono essere rimossi gli elementi di disturbo del paesaggio, come gli infissi in alluminio anodizzato o le coperture di colore rossiccio”, il che era, appunto, ciò che era avvenuto nella specie; ancora, nella zona B2 erano consentiti, relativamente ad immobili e ad aree libere, esistenti prima del 1955, interventi di manutenzione ordinaria di conservazione, del tipo di quelli, realizzati nell’occasione; era, poi, evidente la violazione dell’affidamento formatosi, in capo ai ricorrenti, sulla legittimità delle opere realizzate, in ossequio alle predette N. T. A.;

SULLA LEGITTIMITÀ URBANISTICA DEL MURETTO:

III) VIOLAZIONE DI LEGGE (ARTT. 22 e 37 T.U. IN REL. ART. 2 L.R.C. 19/2001) – ECCESSO DI POTERE (DIFETTO DI MOTIVAZIONE E D’ISTRUTTORIA – ARBITRARIETÀ) – VIOLAZIONE ART. 97 COST.:

il Comune contestava l’innalzamento, di 0,60 cm., di un precedente muro di confine; ma dalla CTP “emerge ictu oculi lo stato di dissesto precedente del predetto muretto, indebolito dalla erosione del tempo e dagli urti causati dagli autobus che attraversano la SS 163 Amalfitana”; pertanto, i ricorrenti, “a tutela della generale incolumità, hanno deciso l’intervento di ripristino”; inoltre, “il muretto de quo è pacificamente da intendersi di “cinta”, in quanto, sia posto sul confine, sia avente un’evidente funzione di separazione e difesa della proprietà privata da quella pubblica (strada statale 163 Amalfitana)”; in ogni caso, soccorreva, in ultima analisi, l’art. 2 della l. r. C. 19/2001, secondo cui possono essere realizzati, in base a semplice denuncia di inizio attività, tra gli altri, “a) gli interventi edilizi, di cui all’art. 4 del decreto legge 5 ottobre 1993, n. 398, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 dicembre 1993, n. 493, come sostituito dall’art. 2, comma 60, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, lettere a), b), c), d), e), f)”; e il richiamato art. 4, co. VII, lettera c), legge 493/93, sottopone a SCIA “la realizzazione di muri di cinta” (era citata giurisprudenza a sostegno); insomma, “nel caso di specie, ferma la preesistenza del muro di confine, il contestato innalzamento di 60 cm. (al dichiarato fine di meglio tutelare la proprietà privata) è assolutamente modesto e supera di poco il piano di campagna”; esso, infatti, “è minimo e non comporta incremento di superficie e/o di volume”; e, pertanto, “il Comune applica, erroneamente, la massima sanzione, di cui all’art. 31, co. 2, T.U. – per gli interventi eseguiti in assenza di permesso di costruire – mentre, nella specie, troverebbero ingresso al massimo quella di cui all’art. 37 T. U., per opere realizzate in assenza della prescritta SCIA e la sanzione pecuniaria ivi prevista”;

SULL’IRRILEVANZA PAESAGGISTICA DELLA PAVIMENTAZIONE:

IV) VIOLAZIONE DI LEGGE (ARTT. 3, 6 D.P.R. 380/2001 IN REL. ART. 2, ALL. “A”, D.P.R. 31/2017) – ECCESSO DI POTERE (DIFETTO ASSOLUTO DEL PRESUPPOSTO – ARBITRARIETÀ – TRAVISAMENTO – SVIAMENTO):

l’area, sulla quale insisteva la struttura ricettiva, di proprietà dei ricorrenti, ricadeva in zona gravata da vincolo paesaggistico; ma, con l’entrata in vigore del D.P.R. n. 31/2017, “sono state individuate una serie di opere e interventi, indicati specificatamente nell’Allegato “A” del decreto, esentati dalla richiesta di qualsiasi forma di autorizzazione paesaggistica, ordinaria o semplificata che sia” (art. 2 – punti A10 e A.12); in definitiva, “la posa in opera di nuova pavimentazione è sicuramente riconducibile alle opere di cui all’Allegato “A”, per le quali non è necessario acquisire alcuna autorizzazione paesaggistica”, con conseguente loro legittimità, anche dal punto di vista paesaggistico;

SULL’IRRILEVANZA PAESAGGISTICA DEL MURETTO:

V) VIOLAZIONE DI LEGGE (ARTT. 3, 6 D.P.R. 380/2001 IN REL. ARTT. 2 E 17 D.P.R. 31/2017) – ECCESSO DI POTERE (DIFETTO ASSOLUTO DEL PRESUPPOSTO – ARBITRARIETÀ – TRAVISAMENTO – SVIAMENTO):

sempre con riferimento all’allegato “A” del d. P. R. n. 31/2017, “il muretto non è soggetto ad autorizzazione paesistica, ai sensi della lettera A.13” (era citata giurisprudenza della Sezione a sostegno); nella specie, “il lieve incremento in altezza del muretto si rivela di così modesta entità, da poter rientrare negli interventi per i quali, secondo le citate considerazioni, l’esigenza di tutela dell’interesse pubblico deve trovare attento e rigoroso bilanciamento con l’applicazione dei principi di ragionevolezza e proporzionalità, già delineate nella nota MIBACT n. 16721 del 13.09.2010”; e quanto detto “vale pure per il vincolo del Parco dei Monti Lattari insistente nell’area”; in ogni caso, “quand’anche le opere realizzate avessero una qualche pur minima rilevanza paesaggistica, l’art. 37, co. III, D.P.R. n. 380/2001 sancisce: “l’obbligo del Comune di richiedere all’Autorità preposta alla tutela del vincolo un parere vincolante circa l’obbligo di restituzione in pristino ovvero l’applicazione della sanzione pecuniaria”, obbligo nella specie non adempiuto;

SUI VIZI PROPRI:

VI) VIOLAZIONE DI LEGGE (ART. 17, CO. I, D.P.R. 31/2017) – ECCESSO DI POTERE (DIFETTO ASSOLUTO DEL PRESUPPOSTO – ARBITRARIETÀ – TRAVISAMENTO – SVIAMENTO):

anche qualora si volessero far rientrare le opere contestate nell’autorizzazione semplificata, di cui all’allegato “B”, l’art. 17, co. I, del Regolamento impone alle Amministrazioni “la rimessione in pristino solo quando non sia in alcun modo possibile dettare prescrizioni che consentano la compatibilità paesaggistica dell’intervento e delle opere”, purché non siano stati creati volumi o superfici utili (come nel caso); d’altro canto, “dal dettato normativo emerge una chiara preferenza del legislatore per la sola sanzione pecuniaria con la prescrizione di misure che rendano l’intervento compatibile con i valori paesaggistici, con disfavore per la rimessione in pristino, da considerarsi solo come extrema ratio” (era citata giurisprudenza a sostegno);

VII) ECCESSO DI POTERE (DIFETTO ASSOLUTO DEL PRESUPPOSTO –ARBITRARIETÀ – ERRONEITÀ) – VIOLAZIONE DEL PRINCIPIO DI PROPORZIONALITÀ DELL’AZIONE AMMINISTRATIVA:

la sanzione demolitoria adottata dal Comune, oltre ad essere stata adottata in violazione dell’art. 37 T. U., appariva “decisamente afflittiva, ponendosi in contrasto pure con il principio di proporzionalità di matrice comunitaria”, implicante che la P. A. deve adottare la soluzione idonea e adeguata, comportante il minor sacrificio possibile per gli interessi compresenti”, risolvendosi nell’affermazione secondo cui “le autorità comunitarie e nazionali non possono imporre, sia con atti normativi, sia con atti amministrativi, obblighi e restrizioni alle libertà del cittadino, tutelate dal diritto comunitario, in misura superiore, cioè sproporzionata, a quella strettamente necessaria nel pubblico interesse per il raggiungimento dello scopo che l’autorità è tenuta a realizzare, in modo che il provvedimento emanato sia idoneo, cioè adeguato all’obiettivo da perseguire, e necessario, nel senso che nessun altro strumento ugualmente efficace, ma meno negativamente incidente, sia disponibile”; laddove, nella specie, la demolizione adottata era “del tutto sproporzionata, in mancanza di un interesse pubblico, concreto ed attuale, tanto più che trattasi di manutenzione di opere risalenti che, per la loro bassa rilevanza, non sono in grado di deturpare il bene territorio o altro pubblico interesse, diverso da quello del mero ripristino della legalità”.

Il Comune di Ravello non si costituiva in giudizio.

Con ordinanza, resa all’esito dell’udienza in camera di consiglio del 20.03.2019, la Sezione accoglieva la domanda cautelare, proposta dai ricorrenti, e compensava le spese di fase, con la seguente motivazione:

“Rilevato, preliminarmente, che, delle opere attinte del gravato ordine di demolizione, la “piccola vasca idromassaggio” è stata rimossa, spontaneamente, dai ricorrenti (come da comunicazione inoltrata al Comune il 3.10.2018, di cui è menzione nello stesso testo dell’ordinanza impugnata); che, quanto alle altre opere, costituite dalla posa in opera di pavimentazione in gres porcellanato e dal modesto innalzamento di un muro di cinta, al pregiudizio irreparabile, dedotto in ricorso, ed anche tenuta presente l’obiettiva esiguità delle stesse opere, può ovviarsi, in sede cautelare, sospendendo gli effetti del provvedimento impugnato, onde pervenire alla definizione del contesto, re adhuc integra;

Rilevato che, per la natura stessa della controversia, le spese di fase possono eccezionalmente compensarsi tra le parti”.

Dopo il deposito di memoria riepilogativa, per i ricorrenti, all’udienza del 6 maggio 2020, tenuta da remoto con modalità TEAM, il ricorso era trattenuto in decisione.

DIRITTO

Ritiene il Collegio che, al fine di pervenire alla decisione, occorre preliminarmente dar conto della consistenza delle opere, delle quali è stata ordinata la demolizione, da parte del Comune di Ravello, con l’ordinanza gravata, e delle ragioni a fondamento della stessa, quali risultano dalla descrizione, ivi contenuta.

Ebbene, nel provvedimento impugnato, il Responsabile del Servizio Edilizia Privata del predetto Comune, “vista la relazione di verifica redatta dal Responsabile del Sevizio Edilizia Privata del Comune di Ravello, acquisita al prot. gen. dí questo Comune in data 29.08.2018 al n. 13176, dalla quale si evince, “(…) nell’area esterna dell’unità immobiliare denominata Villa La Levantina, sita prospiciente alla strada statale Amalfitana 163, l’installazione di una piscina di forma trapezoidale di dimensioni m 4.00 x 1.93 x 3.80 x 3.10, ancorata al suolo mediante struttura metallica bullonata e rivestita in legno. L’area risulta, inoltre, completamente pavimentata in quadrotti di gres porcellanato di dimensioni 0,60 m x 0.60 m, in luogo della preesistente vegetazione, costituita da alberi da frutto e bouganville; si rileva, infine, un aumento di altezza da 0,00 a 0,60 mt. del muro perimetrale di cemento, posto sul lato est ed a confine della proprietà”; inoltre, “vista la nota inoltrata al prot. gen. di questo Comune in data 3.09.2018 al n. 13465 da parte del (primo dei ricorrenti) in cui dichiara che “(…) avendo montato le pannellature in laminato in data 23.06.2018 (installazione quadro elettrico e completamento delta pannellatura di rivestimento) di una piccola piscina movibile sulla particella 885, sebbene senza darne comunicazione, in ogni caso oggettivamente attività libera, perché opera facilmente smontabile, ai sensi dell’art. 6, comma 1 lettera e-bis) del d. P. R. 380/2001, rientrante nelle attività non soggette al rilascio dell’autorizzazione paesaggistica ai sensi del d. P. R. 31/2017 (attività n. A.16 ed A.17), comunica che il 27.09.2018 si procederà allo smontaggio della suddetta piccola piscina”, allegando documentazione fotografica, attestante l’assenza di opere di fondazione e la compatibilità dell’opera”; e “vista la nota, inoltrata al prot. gen. di questo Comune, in data 3.10.2018 al n. 15281 da parte del (primo dei ricorrenti), in cui dichiara che “in data 27.09.2018 s’è proceduto al completo smontaggio della soprindicata piccola piscina”, allegando documentazione fotografica attestante il medesimo”; nonché, “vista la comunicazione d’avvio del procedimento sanzionatorio e dato atto che non erano pervenute osservazioni da parte degli interessati”, e richiamata la normativa di settore e i vincoli paesaggistici gravanti sull’area, nonché i regolamenti e gli strumenti edilizi ed urbanistici vigenti nel territorio comunale, rilevata l’assenza del titoli abilitativi edilizi prescritti dal d. P. R. 380/2001 e s. m. i., dell’autorizzazione paesaggistica ex art. 146 del D. Lgs. 42/04 e s. m. i. e del nulla osta, ex art. 13, co. 1, legge 394/91 e s. m. i.; ordinava, ai sensi dell’art. 31 del d. P. R. 380/01 e dell’art. 167, co.1, del D. Lgs. 42/04 e s. m. i., la demolizione “delle opere in premessa individuate e descritte e il ripristino dello status quo ante dei luoghi, entro novanta giorni dalla data di notifica, con l’avvertenza che, in caso di inottemperanza, si procederà secondo quanto previsto dall’art. 31, commi 4 e ss. del d. P. R. 380/2001 e dall’art. 167, comma 3, del D. Lgs. n. 42/2004”.

Tal essendo il contenuto, motivazionale e dispositivo, dell’ordinanza gravata, e ribadito (cfr. la riferita ordinanza cautelare della Sezione, n. 130/2019) che la piccola piscina (dai ricorrenti definita vasca idromassaggio) è stata smontata dai medesimi, e pertanto fuoriesce tanto dall’oggetto dell’intimata demolizione, quanto dal fuoco della presente decisione, si rileva che occorre concentrarsi sulle residue opere, di cui è stata ingiunta la rimozione da parte del Comune, con ripristino dell’originario stato dei luoghi, vale a dire la pavimentazione dell’area “in quadrotti di gres porcellanato di dimensioni 0,60 m. x 0.60 m., in luogo della preesistente vegetazione, costituita da alberi da frutto e bouganville” nonché “l’aumento di altezza da 0,00 a 0,60 mt. del muro perimetrale di cemento, posto sul lato est ed a confine della proprietà”.

Quanto alla predetta pavimentazione dell’area in gres porcellanato, osserva il Tribunale come l’ordinanza sia viziata in radice, in accoglimento della doglianza sub 1), da eccesso di potere, per difetto del presupposto.

Dalla c. t. p. giurata, prodotta in giudizio dai ricorrenti, e dalla documentazione, anche fotografica, allegata, risulta infatti provata – in assenza, per di più, di contrarie deduzioni da parte del Comune, rimasto estraneo alla causa – l’insussistenza del presupposto, evidentemente fondante l’ordinanza impugnata, in parte qua, della preesistenza di vegetazione, costituita da alberi da frutto e bouganville, sull’area, ora pavimentata in gres porcellanato.

In particolare, al punto 5 della ridetta c. t. p., sotto il titolo “Risalenza della pavimentazione”, s’afferma: “La pavimentazione in listelli in cotto (all’allegato 2), stante le condizioni manutentive, risale a 30 – 35 anni fa. La foto della Regione Campania del 1985 (all’allegato 4) ci dà certezza dell’inesistenza di un frutteto e di coltivazioni. Sull’area, presumibilmente, crescevano erbacce e non è da escludere che poteva essere utilizzata come area di cantiere, per deposito di materiali di risulta, visto che fin dall’inizio degli anni ‘80 erano in atto lavori di manutenzione (vedi allegato 8)”.

Le asserzioni del tecnico di parte sono comprovate dalla documentazione fotografica, allegata alla sua relazione, dalla quale si ricava ictu oculi come gli attuali quadrotti di gres siano stati sovrapposti ad una preesistente pavimentazione in cotto di colore rossiccio, piuttosto risalente e chiaramente ormai deteriorata.

Ebbene, in tale situazione, non si vede davvero come un’opera di manutenzione, sia pure straordinaria, quale il descritto intervento di sovrapposizione, a un pavimento in cotto ormai in condizioni di degrado, di un nuovo pavimento di colore bianco in gres porcellanato, possa essere sanzionato, dal Comune, con la più grave misura della demolizione e del ripristino dello status quo ante, ex art. 31 del d. P. R. 380/2001.

Tra l’altro, osserva il Tribunale, l’ordinato ripristino (stante l’acclarata assenza, da tempo remoto, dell’ipotizzata vegetazione di alberi di frutto e di bouganville), dovrebbe consistere nella rimozione dei pannelli in gres e nella riemersione dell’antica pavimentazione in cotto, ormai deteriorata, con effetti peggiorativi, anziché, migliorativi, dell’assetto paesaggistico dell’area.

In giurisprudenza, circa l’impossibilità di sanzionare opere di manutenzione, anche straordinaria, con la demolizione, cfr. le massime seguenti: T. A. R. Veneto, Sez. II, 27/11/2017, n. 1056: “È illegittimo il provvedimento con cui il Comune ordina la demolizione delle opere di intonacatura degli esterni, rimozione di marmi e ringhiere dalle scale esterne, ricostruzione di parapetti in mattoni, messa in opera di marmi sugli scalini, perché abusive, dal momento che tali opere hanno carattere manutentivo degli immobili e, in quanto tali, non richiedono il permesso di costruire”; T. A. R. Campania – Napoli, sez. VII, 25/05/2017, n. 2803: “È illegittimo l’ordine di demolizione disposto in relazione ad opere di manutenzione ordinaria e straordinaria (rimozione degli infissi interni ed esterni nonché dei pavimenti, rifacimento degli impianti e degli intonaci interni ed esterni, apertura di un vano di passaggio interno, trasformazione di tre locali al piano terra in un unico ampio locale, installazione di due montacarichi interni di collegamento tra il piano terra e il piano primo; realizzazione di tramezzi interni, messa in opera di guaina impermeabile ai terrazzi) che non esigono il permesso di costruire”.

Si tenga altresì presente quanto contestato dai ricorrenti nella seconda censura dell’atto introduttivo del giudizio, che di seguito si riporta: “Secondo l’art. 6, comma I, del d. P. R. 380/2001, rientrano nell’attività di edilizia libera: – “le opere di pavimentazione e di finitura di spazi esterni (lett. e-ter); – le aree ludiche senza fini di lucro e gli elementi di arredo delle aree pertinenziali degli edifici” (lett. e-quinquies); allo stesso modo, ai sensi del D. M. 2.03.2018, il rifacimento e/o sostituzione della “pavimentazione esterna pertinenziale” rientra nell’edilizia libera”; “l’ordinanza di demolizione impugnata riguarda opere del tutto irrilevanti, sotto il profilo volumetrico e/o, comunque, di pertinenza dell’immobile principale, regolarmente assentito”; inoltre, “l’immobile ricade in zona “ET” del vigente P. R. G., regolata dalle stesse disposizioni della zona “B2” secondo le quali, oltre ad essere ammessi interventi conservativi”, “devono essere rimossi gli elementi di disturbo del paesaggio, come gli infissi in alluminio anodizzato o le coperture di colore rossiccio”, il che era, appunto, ciò che era avvenuto nella specie; ancora, nella zona B2 “sono consentiti, relativamente ad immobili e ad aree libere, esistenti prima del 1955, interventi di manutenzione ordinaria di conservazione”, del tipo di quelli, realizzati nell’occasione.

In conformità a tutte le suddette ragioni, ed ancora una volta in assenza di qualsivoglia controdeduzione da parte del Comune di Ravello, il ricorso va accolto, in parte qua (quanto all’ingiunta demolizione della pavimentazione in gres porcellanato), con assorbimento delle residue doglianze.

Quanto all’altra opera, della quale s’è ordinata la demolizione, vale a dire l’innalzamento di un muretto di 0,60 cm., a protezione della predetta area scoperta e pavimentata in gres porcellanato, anche in considerazione della prospicienza dell’area sulla S. S. Amalfitana, nella prefata c. t. p. s’osserva: “Il muretto è stato riconfigurato e – in parte – abbassato, in maniera tale da non creare impatto sul paesaggio rispetto allo stato precedente (vedi allegato 9); infatti, trattasi di un modesto intervento di risanamento conservativo conseguente a un episodio di danneggiamento da parte di un motocarro che non impatta neanche sul paesaggio, trattandosi di modifiche dell’ordine di pochi centimetri”.

Orbene, in relazione a tale muretto, verificata altresì l’obiettiva consistenza, assolutamente modesta, del medesimo, nonché la sua funzione di delimitazione e protezione dell’area di cui sopra, alla luce della documentazione fotografica allegata alla c. t. p., e rimarcata ancora una volta l’assenza di contrarie deduzioni da parte dell’Amministrazione Comunale di Ravello, ritiene il Tribunale come fondata, e dirimente, si presenti la censura, rubricata sub III), imperniata sulla non necessità di permesso di costruire, per un’opera siffatta.

Tanto alla luce della massima che segue: Consiglio di Stato, sez. VI, 4/01/2016, n. 10: “In linea generale, la realizzazione di recinzioni, muri di cinta e cancellate rimane assoggettata al regime della d. i. a. (ora s. c. i. a.) ove dette opere non superino in concreto la soglia della trasformazione urbanistico – edilizia, occorrendo — invece — il permesso di costruire, ove detti interventi superino tale soglia”.

Si tenga altresì presente l’art. 2 della l. r. C. 19/2001, secondo cui possono essere realizzati, in base a semplice denuncia di inizio attività, tra gli altri, “a) gli interventi edilizi, di cui all’art. 4 del decreto legge 5 ottobre 1993, n. 398, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 dicembre 1993, n. 493, come sostituito dall’art. 2, comma 60, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, lettere a), b), c), d), e), f)”; e il richiamato art. 4, co. VII, lettera c), legge 493/93, sottopone a SCIA “la realizzazione di muri di cinta” (“I seguenti interventi sono subordinati alla denuncia di inizio attività ai sensi e per gli effetti dell’articolo 2 della legge 24 dicembre 1993, n. 537: (…) c) recinzioni, muri di cinta e cancellate”).

In giurisprudenza, cfr., a contrario, Consiglio di Stato, Sez. V, 8/04/2014, n.1651: “Per muro di cinta, nella dizione contenuta nell’art. 4 comma 7 lett. c), d.l. 5 ottobre 1993 n. 398, convertito con modificazioni in l. 4 dicembre 1993 n. 493, e sostituito per effetto dell’art. 2 comma 60, l. 23 dicembre 1996 n. 662, devono intendersi le opere di recinzione, non suscettibili di modificare o alterare sostanzialmente la conformazione del terreno, che assumono natura pertinenziale in quanto hanno esclusivamente la funzione di delimitare, proteggere o eventualmente abbellire la proprietà; ben diversa è invece la consistenza e la funzione dei cc.dd. “muri di contenimento”, i quali si differenziano sostanzialmente dalle mere recinzioni non solo per la funzione, ma anche perché servono a sostenere il terreno al fine di evitare movimenti franosi dello stesso e quindi devono necessariamente presentare una struttura a ciò idonea per consistenza e modalità costruttive. Di conseguenza il muro di contenimento, pur potendo assolvere, in rapporto alla situazione dei luoghi, anche una concomitante funzione di recinzione, sotto il profilo edilizio è un’opera ben più consistente di una recinzione in quanto non esclusivamente preordinata a recingere la proprietà e, soprattutto, è dotata di propria specificità ed autonomia, in relazione alla sua funzione principale; il che esclude la sua riconducibilità al concetto di pertinenza, conseguendone sia la necessità del suo assoggettamento al regime concessorio, sia la legittimità della sanzione della demolizione prevista per il caso di assenza di concessione”.

Nella specie, si deve concordare con la qualificazione del muretto in questione come muro di cinta, ovvero come “opera di recinzione, non suscettibile di modificare o alterare sostanzialmente la conformazione del terreno, che assume natura pertinenziale in quanto ha esclusivamente la funzione di delimitare, proteggere o eventualmente abbellire la proprietà”, opera la quale, pertanto, non supera, in concreto, “la soglia della trasformazione urbanistico – edilizia”, come elaborata dalla giurisprudenza citata.

Ne deriva l’impossibilità di sanzionare, con la più grave misura della demolizione, l’opera in questione (cfr. T. A. R. Piemonte, Sez. I, 12/04/2010, n. 1761: “Se all’epoca dell’adozione dell’ordine di demolizione le recinzioni, i muri di cinta e le cancellate erano annoverati tra gli interventi edilizi minori, assoggettati alla semplice d.i.a. ai sensi dell’art. 4, comma 7 d. l. n. 398/1993, conv., con modificazioni, nella l. n. 493/1993 (s.m.i.) la cui mancanza comportava la sola sanzione pecuniaria, l’ordine risulta illegittimo”).

Ciò posto, quanto all’aspetto edilizio della questione, concernente entrambe le opere de quibus, attinte illegittimamente da ordine di demolizione, e osservato come ovviamente l’assenza di un quadro normativo di riferimento, cui ancorare la disposta rimessione in pristino, già comporterebbe evidentemente l’annullamento del provvedimento gravato, si rileva come, in ogni caso, fondate si presentino anche le successive doglianze, segnatamente sub IV) e V), nella misura in cui le stesse sono volte a porre in risalto la riconducibilità di entrambi gli interventi in oggetto alle disposizioni di cui al d. P. R. 31/2017, rientrando gli stessi tra le opere, indicate nell’Allegato “A” di tale decreto, “esentate dalla richiesta di qualsiasi forma di autorizzazione paesaggistica, ordinaria o semplificata che sia” (giusta l’art. 2 del d. P. R. 31/2017: “Non sono soggetti ad autorizzazione paesaggistica gli interventi e le opere di cui all’Allegato «A» nonché quelli di cui all’articolo 4”).

Vengono in rilievo, in particolare, quanto alla pavimentazione dell’area esterna in oggetto con gres porcellanato, le previsioni di cui all’allegato A al d. P. R. 31/2017, lettera A.10 (“opere di manutenzione e adeguamento degli spazi esterni, pubblici o privati, relative a manufatti esistenti, quali marciapiedi, banchine stradali, aiuole, componenti di arredo urbano, purché eseguite nel rispetto delle caratteristiche morfo-tipologiche, dei materiali e delle finiture preesistenti, e dei caratteri tipici del contesto locale”) e lettera A.12 (“interventi da eseguirsi nelle aree di pertinenza degli edifici non comportanti significative modifiche degli assetti planimetrici e vegetazionali, quali l’adeguamento di spazi pavimentati, la realizzazione di camminamenti, sistemazioni a verde e opere consimili che non incidano sulla morfologia del terreno, nonché, nelle medesime aree, la demolizione parziale o totale, senza ricostruzione, di volumi tecnici e manufatti accessori privi di valenza architettonica, storica o testimoniale, l’installazione di serre ad uso domestico con superficie non superiore a 20 mq, a condizione che tali interventi non interessino i beni di cui all’art. 136, comma 1, lettera b) del Codice”); e, quanto alla realizzazione del modesto muretto di cinta, quella di cui alla lettera A.13 dell’allegato A in questione (“interventi di manutenzione, sostituzione o adeguamento di cancelli, recinzioni, muri di cinta o di contenimento del terreno, inserimento di elementi antintrusione sui cancelli, le recinzioni e sui muri di cinta eseguiti nel rispetto delle caratteristiche morfotipologiche, dei materiali e delle finiture esistenti che non interessino i beni vincolati ai sensi del Codice, art. 136, comma 1, lettere a), b) e c) limitatamente, per quest’ultima, agli immobili di interesse storico-architettonico o storico-testimoniale, ivi compresa l’edilizia rurale tradizionale, isolati o ricompresi nei centri o nuclei storici”).

Si consideri, al riguardo, segnatamente per quanto concerne l’innalzamento del muretto (non comportando, la pavimentazione in gres porcellanato, francamente alcun problema interpretativo di riconduzione alle fattispecie di cui all’all. A al d. P. R. 31/2017, lett. A.10 e A.12, come sopra riportate), la parte motiva della sentenza della Sezione, n. 1623 del 13.11.2018: “(…) Oltre a ciò, si consideri che appare anche condivisibile, in linea di massima – in assenza, per di più, di controdeduzioni da parte dell’Amministrazione Comunale di Furore, non costituita in giudizio – la riconduzione degli interventi realizzati al concetto d’attività edilizia libera, ex art. 6 d. P. R. 380/2001, nonché a quelli, per i quali non è richiesta l’autorizzazione paesaggistica, ex art. 2 ed all. A del d. P. R. 31/2017.

Si richiama, a tale riguardo, l’ampia esposizione contenuta in narrativa, che appare conforme all’analisi dei suddetti dati normativi ed è confortata, segnatamente per quanto riguarda l’innalzamento del preesistente cancello di recinzione, dall’analisi della giurisprudenza di settore: “L’apposizione di un cancello, in quanto intervento rivolto, in base ad un rapporto pertinenziale tra cosa accessoria e principale, ad assicurare il miglior uso, godimento e funzionalità dell’immobile e quindi all’esercizio di una facoltà insita nel diritto di proprietà, non comporta di norma trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio e, quindi, la necessità del previo rilascio del permesso di costruire” (T. A. R. Marche, Sez. I, 8/07/2014, n. 706); “L’apposizione di un cancello, in quanto intervento rivolto, in base ad un rapporto pertinenziale tra cosa accessoria e principale, ad assicurare il miglior uso, godimento e funzionalità dell’immobile e quindi all’esercizio di una facoltà insita nel diritto di proprietà, non comporta di norma trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio e pertanto, esula dall’assoggettamento ad autorizzazione paesaggistica in ossequio all’art. 149 del d.lgs. n. 42/2004, non potendosi conseguentemente comminare ex art. 167 stesso decreto, la sanzione della riduzione in pristino per la sua mancata previa acquisizione” (T. A. R. Campania – Napoli, Sez. III, 11/05/2015, n. 2600); e ciò vale a fortiori quando, come nella specie, non si tratta di realizzazione ex novo di un cancello, bensì di mero innalzamento di quello preesistente”.

Nel contesto della parte motiva della citata sentenza della Sezione, si ricava, altresì, la citazione delle ulteriori massime, secondo le quali: “È illegittima la sanzione demolitoria irrogata in luogo di quella pecuniaria ex art. 37 t. u. edilizia a fronte della realizzazione di opere che, considerata la modesta consistenza, appaiono rientrare tra gli interventi soggetti a s. c. i. a.” (T. A. R. Calabria – Catanzaro, Sez. II, 3/05/2016, n. 977); “Per gli interventi realizzati in violazione del regime di denuncia (o segnalazione) di attività, ai sensi dell’art. 37, comma 1, del d. p. r. n. 380 del 2001, l’amministrazione può comminare unicamente una sanzione pecuniaria e non anche la demolizione delle opere, salvo i casi ivi previsti” (T. A. R. Calabria – Catanzaro, Sez. II, 11/01/2016, n. 8)”.

In conformità alle prefate argomentazioni, in conclusione, l’ordinanza impugnata va – in accoglimento del ricorso, ed assorbite le residue censure – annullata.

Le spese seguono la soccombenza del Comune di Ravello, e sono liquidate come in dispositivo, con attribuzione all’Avv. Luigi D’Andrea, antistatario, ex art. 93 c. p. c.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania – Sezione staccata di Salerno (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, l’accoglie, e per l’effetto annulla l’ordinanza di demolizione impugnata.

Condanna il Comune di Ravello al pagamento, in favore dei ricorrenti, di spese e competenze di lite, che complessivamente liquida in € 2.000,00 (duemila/00), oltre accessori come per legge, e lo condanna altresì al rimborso, in favore dei medesimi ricorrenti, del contributo unificato versato; con attribuzione all’Avv. Luigi D’Andrea, antistatario, ex art. 93 c. p. c.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso, in Salerno, nella camera di consiglio del giorno 6 maggio 2020, tenuta da remoto con modalità TEAM, con l’intervento dei magistrati:

Maria Abbruzzese, Presidente

Paolo Severini, Consigliere, Estensore

Gaetana Marena, Referendario

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