24/06/2020 – Le controversie in merito all’attribuzione del grado all’operatore di Polizia Locale sono devolute al giudice ordinario

Le controversie in merito all’attribuzione del grado all’operatore di Polizia Locale sono devolute al giudice ordinario
di Roberto Rossetti – Comandante Polizia Locale
 
Alcuni operatori di Polizia Locale ricorrono in appello contro la sentenza del T.A.R. il quale aveva sancito l’incompetenza del giudice amministrativo sul ricorso presentato per l’annullamento della determinazione del Dirigente di conferimento dei distintivi di grado al personale della Polizia Locale, nonché del Regolamento regionale presupposto e di alcuni ordini di servizio di assegnazione delle attività da svolgere.
Secondo i ricorrenti, la determinazione impugnata avrebbe illegittimamente conferito ai ricorrenti il grado di sovrintendenti, anziché di ispettori, come invece ai controinteressati.
Il Tribunale aveva affermato che la controversia in questione appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario in quanto si verte in materia di atti di micro-organizzazione, rispetto ai quali l’amministrazione esercita i poteri del datore di lavoro e anche gli ordini di servizio sono atti negoziali espressione del potere datoriale.
Gli interessati hanno chiesto al Consiglio di Stato la riforma di tale sentenza ritenendo erronee la conclusione del giudice di primo grado che aveva attribuito la competenza al giudice ordinario, interpretando in maniera errata l’art. 63D.Lgs. n. 165/2001, sulle “controversie relative ai rapporti di lavoro”.
Gli interessati sostengono che l’atto di attribuzione dei distintivi di grado sia espressione del potere amministrativo di conformazione interna del Corpo di Polizia Locale, la controversia concerne interessi legittimi e non diritti soggettivi, poiché i gradi hanno solo valore simbolico e non incidono sullo stato giuridico ed economico del personale.
I gradi attribuiti agli operatori di Polizia Locale traggono la loro legittimazione nell’art. 9, c. 2, L. 7 marzo 1986, n. 65 (legge quadro sull’ordinamento della Polizia Locale), che testualmente recita: “Gli addetti alle attività di polizia municipale sono tenuti ad eseguire le direttive impartite dai superiori gerarchici e dalle autorità competenti per i singoli settori operativi, nei limiti del loro stato giuridico e delle leggi“. La stessa L. n. 65/1986 all’art. 6, c. 2. n. 4), stabilisce che le Regioni sono tenute a “determinare le caratteristiche delle uniformi e dei relativi distintivi di grado per gli addetti al servizio di polizia municipale dei comuni della regione stessa e stabilire i criteri generali concernenti l’obbligo e le modalità d’uso”.
La giurisprudenza è costante nel ritenere che la Polizia Locale dà vita ad una entità organizzativa unitaria ed autonoma da altre strutture organizzative del comune, tanto da potersi definire un “Corpo”, che somiglia ad un corpo militare, dai quali mutuano anche i gradi gerarchici che stabiliscono i vari livelli di assunzione di potere decisionale, al di là delle categorie economiche di appartenenza e stabilite con i diversi parametri fissati nei contratti collettivi nazionali di lavoro.
L’ordinamento gerarchico dato dai distintivi di grado, così come disegnato dalle norme regionali, determina il rapporto di subordinazione dell’inferiore nei confronti del superiore, dal quale deriva il “dovere di obbedienza”.
Tale dovere è stato fatto proprio dalle sezioni penali della Corte di Cassazione, le quali con svariate sentenze hanno statuito la configurabilità del reato ex art. 329 c.p. (Rifiuto o ritardo di obbedienza commesso da un militare o da un agente della forza pubblica) pure agli appartenenti alla polizia locale, che disobbediscono ai propri superiori gerarchici (cfr. Cass. Pen. Sez. VI, Sent., 13 febbraio 2006, n. 539; Cass. Pen. Sez. VI, Sent., 28 settembre 2009, n. 38119).
Per pronunciarsi sulla controversia in esame i giudici di appello si richiamano un consolidato indirizzo giurisprudenziale per il quale “sono devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo le controversie concernenti gli atti amministrativi adottati dalle Pubbliche Amministrazioni nell’esercizio del potere loro conferito dall’art. 2D.Lgs. n. 165/2001, aventi ad oggetto la fissazione delle linee e dei principi fondamentali della organizzazione degli uffici, nel cui quadro i rapporti di lavoro si costituiscono e si svolgono; spetta, invece, al giudice ordinario pronunciarsi sull’illegittimità e/o inefficacia di atti assunti dalle stesse Pubbliche Amministrazioni con la capacità e i poteri del datore di lavoro privato ai sensi dell’art. 5 dello stesso decreto, di fronte ai quali sono configurabili solo diritti soggettivi, restando irrilevante il fatto che venga in questione un atto amministrativo presupposto, che può essere disapplicato a tutela del diritto azionato” (cfr. Cass., Sez. Lav., 26 giugno 2019, n. 17140SS.UU., 23 ottobre 2018, n. 2680215 dicembre 2016, n. 258403 novembre 2011, n. 227334 aprile 2007, n. 8363).
Nel caso di specie, il Consiglio di Stato ritiene che la questione non riguardi alcun atto di organizzazione dell’ufficio, né la fissazione delle linee fondamentali della relativa organizzazione, disciplinati dall’art. 2, c. 1, D.Lgs. n. 165/2001, ma il mero inquadramento funzionale dei singoli dipendenti, che rientra fra gli atti di gestione del rapporto di lavoro, ai sensi dell’art. 5, c. 2, D.Lgs. n. 165/2001.
La normativa regionale di riferimento (nel caso di specie un regolamento) stabilisce che “i simboli distintivi di grado hanno funzione simbolica e mirano a distinguere l’ordinazione dei ruoli e delle funzioni nella Polizia locale; non incidono sullo stato giuridico ed economico del personale addetto che è regolato esclusivamente dai contratti collettivi nazionali di lavoro e dalle altre disposizioni normative e regolamentari vigenti in materia“.
I gradi mirano quindi solo a distinguere ruoli e funzioni dalle persone all’interno di un gruppo di lavoro organizzato e secondo la normativa regionale di riferimento rientrano nei compiti dell’operatore che veste di gradi di “Ispettore” le attività di Coordinamento o di Controllo, mentre competono al “Sovrintendente” le (funzionalmente subordinate) attività di Servizio.
La controversia incide sul rapporto di lavoro e si risolve nella contestazione dell’erroneo e pregiudizievole inquadramento funzionale attribuito ai ricorrenti, che origina un giudizio in materia di diritti soggettivi nell’ambito del rapporto di pubblico impiego contrattualizzato, che è devoluto alla giurisdizione del giudice ordinario, a norma dell’art. 63, c. 1, D.Lgs. n. 165/2001.
Per questo motivo il Consiglio di Stato respinge l’appello.

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