24/06/2020 – Demolizione di un pergolato in legno sul lastrico solare abusivo e provvedimenti conseguenziali

 
Gent.ma Redazione
Ai fini della sua pubblicazione, trasmetto, in allegato, il mio lavoro afferente la sentenza del Consiglio di Stato n. 3898/2020 con cui è confermata la sentenza del giudice di primo grado inerente alla demolizione di un pergolato abusivo realizzato su un lastrico solare di un edificio e alla conseguenziale acquisizione al patrimonio comunale della parte del lastrico solare su cui insiste.
Ringrazio sin d’ora per la Vostra cortese disponibilità.
Cordiali saluti. Agostino Galeone
 
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a cura di Agostino Galeone
 
Demolizione di un pergolato in legno sul lastrico solare abusivo e provvedimenti conseguenziali.
Consiglio di Stato – Sezione II – sentenza n. 3898 del 17 giugno 2020
 
La su citata sentenza, nel rigettare il ricorso e nel confermare le motivazioni dell’impugnata decisione del TAR Campania, conferma, secondo il costante indirizzo giurisprudenziale, che un pergolato, anche se realizzato su un lastrico solare, provvisto di tamponatura esterna nonché di una copertura tramite legno e tegole costituisce un ambiente abitabile, e, quindi, essendo stata operata una modificazione stabile e non transitoria del territorio comunale con aumento del carico urbanistico, nonché incidendo su volumi e sagome dell’edificio su cui insiste, necessita del preventivo permesso di costruzione ed è soggetto al regime normativo della onerosità. Nella fattispecie esaminata non essendo stato richiesto il titolo abilitativo, il predetto manufatto risulta a tutti gli effetti abusivo ed è, perciò, meritevole di repressione attraverso la sua demolizione, con conseguente esclusione della possibilità di ricondurre l’intervento abusivo nell’alveo della manutenzione ordinaria.
Con riferimento a quanto sostenuto dall’appellante secondo cui il T.A.R. avrebbe errato nel ritenere irricevibile il ricorso di primo grado per “sopravvenuta carenza di interesse”, non avendo reputato l’ultima ordinanza di demolizione impugnata come atto meramente confermativo della precedente ordinanza di demolizione, quest’ultima annullata dal T.A.R. Campania con precedente decisione, il Consiglio di Stato  rileva che “il secondo provvedimento, a differenza di quanto dedotto dalla parte privata, non è un atto meramente confermativo del primo, bensì una conferma propria, con cui il Comune ha confermato la sostanza della determinazione precedentemente adottata a seguito di un rinnovato iter istruttorio e logico.”
A tale proposito viene spiegata la differenza tra le due predette tipologie di atti: “l’atto meramente confermativo ha un ambito ristretto e ricorre soltanto laddove l’amministrazione si limiti a richiamare il contenuto di un precedente provvedimento, dichiarando che esso esiste, senza svolgere alcuna nuova istruttoria o nuova valutazione degli elementi di fatto e di diritto già considerati in precedenza. Rientrano, per contro, nell’istituto della conferma gli atti che seguono a un riesame della fattispecie e a una nuova valutazione, all’esito dei quali l’amministrazione adotta un nuovo atto di contenuto identico a quello originario.” Ne consegue secondo il giudice di appello che la seconda ordinanza di demolizione, la n. 56/2009, di cui si discute “ha un’efficacia non meramente ricognitiva, ma è espressione di un’autonoma volontà dell’amministrazione, forgiatasi all’esito di un autonomo procedimento amministrativo e di una nuova valutazione della fattispecie. Ciò posto, essa ha sostituito integralmente la precedente ordinanza n. 104/2006 e verso di essa si è totalmente spostato l’interesse sostanziale della parte privata, sicché parallelamente è venuto meno l’interesse sotteso all’impugnazione del primo provvedimento.”
Con riferimento alla doglianza che il giudice di primo grado non avrebbe ritenuto applicabile la sanzione pecuniaria di cui all’art. 33 del dPR 380/2001 in luogo della demolizione, il giudice d’appello afferma che la “legittima modalità sanzionatoria dell’abuso edilizio perpetrato nella fattispecie in esame non può che essere demolitoria, poiché la conversione della demolizione in sanzione pecuniaria è consentita, ai sensi dell’articolo 34, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001, soltanto in ipotesi di parziale difformità delle opere dal permesso di costruire.”
Riguardo al successivo motivo di doglianza da parte dell’appellante, ossia che l’ordinanza con cui si ingiunge la demolizione “non sarebbe stata preceduta da adeguata istruttoria, in particolare sull’eventuale sanabilità delle opere, che sarebbero conformi alla normativa e agli strumenti urbanistici”, la sentenza in esame evidenzia, conformemente alla costante giurisprudenza amministrativa, che “nello schema giuridico delineato dall’art. 31 del d.P.R. n. 80/2001 non vi è spazio per apprezzamenti discrezionali, atteso che l’esercizio del potere repressivo di un abuso edilizio consistente nell’esecuzione di un’opera in assenza del titolo abilitativo costituisce atto dovuto, per il quale è in re ipsa l’interesse pubblico alla sua rimozione; e, pertanto, accertata l’esecuzione di opere in assenza di concessione ovvero in difformità totale dal titolo abilitativo, non costituisce onere del Comune verificare la sanabilità delle opere in sede di vigilanza sull’attività edilizia”.
All’ulteriore motivo addotto dall’appellante, secondo il quale, essendo le opere abusive in questione di modesta entità, “l’acquisizione gratuita dell’area di sedime e di pertinenza dell’intero fabbricato sarebbe una sanzione illogica ed eccessiva, mentre sarebbe congrua una sanzione pecuniaria”.
A tale riguardo il CdS, confermando quanto sostenuto dal collegio di primo grado, ritiene che “l’abusività dell’opera, con cui sono stati creati nuovi volumi suscettibili di autonoma utilizzabilità, non può che comportare l’adozione della sanzione demolitoria, senza che l’amministrazione comunale debba analizzare ex ante la possibilità della concreta esecuzione al provvedimento. L’ordine di demolizione, invero, è atto dovuto, mentre la valutazione di non procedere alla rimozione delle parti abusive, qualora questa sia pregiudizievole per le parti legittime, è soltanto un’eventualità della fase esecutiva, successiva e autonoma rispetto all’ordine di demolizione.” E, inoltre, sottolinea che “il tipo di sanzione è stabilito dal legislatore e non è consentito né all’amministrazione né al giudice amministrativo un sindacato sulla proporzionalità tra l’abuso e la sanzione”.
La parte probabilmente più interessante della su citata sentenza (almeno per chi scrive) è riposta nella motivazione con cui è ritenuto infondato anche l’ultimo motivo con cui l’appellante contesta che la sentenza del T.A.R. non ha correttamente valutato il fatto che nell’ordinanza di demolizione “non è stata indicata l’area da acquisire al patrimonio comunale nell’ipotesi di inottemperanza dell’ordine di demolizione”.
In merito a tale doglianza, il giudice di appello, confermando la correttezza della sentenza del T.A.R., afferma che “anche nelle ipotesi di sopraelevazione di un edificio è individuabile l’area sulla quale la sopraelevazione stessa è stata realizzata: l’acquisizione gratuita di una sopraelevazione abusiva di un fabbricato che per la restante parte risulta legittimamente realizzato, si estende esclusivamente alla parte del lastrico solare che rappresenta l’effettiva area di sedime dell’abuso.” E aggiunge: “Ciò peraltro non esclude che una volta demolito l’abuso, il Comune possa anche procedere alla restituzione ai precedenti titolari dell’area non avendo più interesse nel mantenerne la titolarità.”; e ritiene che l’ordinanza di demolizione “è legittima, poiché la mancata esatta identificazione della predetta area non costituisce ragione di illegittimità dell’ingiunzione di demolizione, atteso che siffatta individuazione ben potrà essere compiuta con atti successivi aventi natura meramente dichiarativa e ricognitiva”.
 
data, 22 giugno 2020
 
 

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