23/06/2020 – La progressione verticale nel triennio 2020/2020

La progressione verticale nel triennio 2020/2020
 
Gent.ma Redazione
Ai fini della sua pubblicazione, trasmetto, in allegato, il mio lavoro afferente alle progressioni verticali di cui al parere n. 38/2020 della Corte dei Conti – Sez. di Controllo – della Regione Basilicata.
Ringrazio sin d’ora per la Vostra cortese disponibilità.
Cordiali saluti. Agostino Galeone
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a cura di Agostino Galeone
 
LA PROGRESSIONE VERTICALE NEL TRIENNIO 2020-2022
Corte dei Conti – Sez. di Controllo – della Regione Basilicata – Parere 11 giugno 2020, n. 38
 
Il quadro normativo e la finalità.
L’istituto delle progressioni verticali era stato disciplinato, originariamente, dall’art. 52, comma 1-bis del d.lgs. n. 165/2001 (comma inserito dall’art. 62, comma 1, del D. Lgs. n. 150/2009, c.d. Riforma Brunetta), il quale prevede che “Le progressioni all’interno della stessa area avvengono secondo principi di selettività, in funzione delle qualità culturali e professionali, dell’attività’ svolta e dei risultati conseguiti, attraverso l’attribuzione di fasce di merito. Le progressioni fra le aree avvengono tramite concorso pubblico, ferma restando la possibilità per l’amministrazione di destinare al personale interno, in possesso dei titoli di studio richiesti per l’accesso dall’esterno, una riserva di posti comunque non superiore al 50 per cento di quelli messi a concorso. La valutazione positiva conseguita dal dipendente per almeno tre anni costituisce titolo rilevante ai fini della progressione economica e dell’attribuzione dei posti riservati nei concorsi per l’accesso all’area superiore.”.
Successivamente, in deroga a quanto stabilito dalla su riportata norma, l’art. 22, comma 15 del D. Lgs. 25 maggio 2017, n. 75 (decreto Madia), come modificato dall’art. 1, comma 1 ter, del D.L. 30 dicembre 2019, n. 162 (Decreto Milleproroghe) stabilisce che Per il triennio 2020-2022, le pubbliche amministrazioni, al fine di valorizzare le professionalità interne, possono attivare, nei limiti delle vigenti facoltà assunzionali, procedure selettive per la progressione tra le aree riservate al personale di ruolo, fermo restando il possesso dei titoli di studio richiesti per l’accesso dall’esterno. Il numero di posti per tali procedure selettive riservate non può superare il 30 per cento di quelli previsti nei piani dei fabbisogni come nuove assunzioni consentite per la relativa area o categoria. In ogni caso, l’attivazione di dette procedure selettive riservate determina, in relazione al numero di posti individuati, la corrispondente riduzione della percentuale di riserva di posti destinata al personale interno, utilizzabile da ogni amministrazione ai fini delle progressioni tra le aree di cui all’articolo 52 del decreto legislativo n. 165 del 2001. Tali procedure selettive prevedono prove volte ad accertare la capacità dei candidati di utilizzare e applicare nozioni teoriche per la soluzione di problemi specifici e casi concreti. La valutazione positiva conseguita dal dipendente per almeno tre anni, l’attività svolta e i risultati conseguiti, nonché l’eventuale superamento di precedenti procedure selettive, costituiscono titoli rilevanti ai fini dell’attribuzione dei posti riservati per l’accesso all’area superiore.
E’ opportuno precisare che il ricorso alle progressioni verticali è una facoltà – non un obbligo – rimessa alla discrezionalità di ciascuna pubblica amministrazione al fine di “valorizzare le professionalità interne” di ruolo esistenti nella stessa, e ciò conformemente al dettato di cui all’art. 24, comma 2, del d.lgs. n. 150/2009, secondo cui l’attribuzione dei  posti  riservati  al  personale  interno nei concorsi pubblici “è finalizzata a riconoscere e valorizzare le  competenze  professionali sviluppate dai dipendenti,  in  relazione  alle  specifiche  esigenze delle amministrazioni.”.
Tale istituto risulta “in linea con il principio generale del reclutamento nel pubblico impiego mediante concorso (art. 97, comma 4, Cost.) – ribadito più volte dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale (sentenze n. 227 del 2013, n. 90 e n. 62 del 2012, n. 310 e n. 299 del 2011), secondo cui il concorso pubblico costituisce la modalità ordinaria di accesso nei ruoli delle pubbliche amministrazioni, in coerenza con i principi costituzioni di uguaglianza (art. 3) ed i canoni di imparzialità e di buon andamento (art. 97) e che pertanto i concorsi interni sono da considerare come eccezione al principio dell’ammissione in servizio per il tramite del pubblico concorso”. Il ricorso al concorso pubblico per il reclutamento del personale è previsto anche dall’art. 24, comma 1, del d.lgs. n. 150/2009.
Il su citato parere specifica, infatti, che “Qualora l’amministrazione si determini all’esercizio della facoltà di attivare le progressioni verticali, proprio in ragione del fatto che trattasi di strumento derogatorio ed eccezionale di passaggio tra aree o categorie rispetto al pubblico concorso, è necessario che ciò sia adeguatamente motivato dalla necessità o dall’opportunità di dare valore all’esperienza maturata all’interno della stessa pubblica amministrazione e, quindi, di sviluppare e valorizzare professionalità che già sussistono nell’ambito dell’Ente.”
 
Modalità di reclutamento e intervallo temporale di vigenza.
Stante tale quadro normativo, l’utilizzo facoltativo delle progressioni verticali ha una validità temporanea, in quanto limitato al corrente triennio 2020-2022, e non sono più attuate tramite una riserva di posti da assegnare nell’ambito di concorsi pubblici bensì svolgendo “prove selettive” riservate al personale interno di ruolo e limitatamente ad un numero di posti  che non può superare il 30 per cento dei posti previsti nei piani dei fabbisogni come nuove assunzioni consentite per la relativa area o categoria.
Riguardo le modalità di attribuzione delle progressioni verticali si rammenta che l’art. 23, comma 2, del d.lgs. n. 150/2009 stabilisce che le progressioni economiche di cui all’art. 52, comma 1-bis, del d.lgs. n. 165/2002, sono attribuite in modo selettivo, ad una quota limitata di dipendenti, in relazione allo sviluppo delle competenze professionali ed ai risultati individuali e collettivi rilevati dal sistema di valutazione.”
Le medesime procedure devono comunque avere una natura concorsuale, nel senso di prevedere “prove volte ad accertare la capacità dei candidati di utilizzare e applicare nozioni teoriche per la soluzione di problemi specifici e casi concreti” (art. 22, comma 15, terzo periodo. del d.lgs. n. 75/2017).
Ne consegue che occorre predeterminare, con apposite norme regolamentari, le modalità di svolgimento delle prove selettive e i relativi criteri di valutazione delle qualità culturali e professionali nonché i criteri di valutazione dei titoli con particolare riferimento alle attività svolte e i risultati conseguiti, attraverso l’attribuzione di fasce di merito.
 
Limiti assunzionali
Il numero dei posti da occupare attraverso le progressioni verticali non può superare il 30 per cento di quelli previsti nei piani dei fabbisogni come nuove assunzioni consentite per la relativa area o categoria.
Per quanto riguarda il tetto del 30%, lo stesso va considerato come limite massimo e invalicabile e, quindi, non suscettibile di arrotondamenti.
La base di calcolo da prendere in considerazione per definire tale percentuale è quella delle assunzioni programmate, categoria per categoria o area per area, nel triennio 2020-2022 nell’ambito del PTFP.
La Sez. di Controllo autrice del parere in esame, condividendo l’orientamento giurisprudenziale di cui alle pronunce della Sezione regionale di controllo della Campania, n. 103/2019/PAR e della Sezione regionale di controllo della Puglia, n. 71/2019/PAR, afferma che la percentuale del 30 per cento “debba riguardare il numero di posti previsti per i concorsi di PARI categoria – e non il numero di posti previsti per i concorsi di QUALSIASI categoria”, fermo restando il possesso dei titoli di studio richiesti per l’accesso dall’esterno.
Per dar corso a una progressione verticale occorre prevedere nel PTRP l’assunzione di almeno quattro dipendenti della stessa categoria.
La giurisprudenza contabile, infatti, ha ritenuto che “l’esplicito riferimento della norma al “…numero di posti…” non lascia alcun dubbio in merito alla computabilità numerica dei dipendenti da considerare ai fini delle progressioni verticali, indipendentemente dall’entità (percentuale) della spesa sulla quale tali “nuove assunzioni” possono incidere” (SRC Puglia, deliberazione n.42/2018/PAR).
Nella sentenza di cui trattasi è chiarito che “l’assunzione del dipendente interno al livello superiore erode il budget assunzionale di quell’esercizio finanziario. In tal senso si è già espressa la giurisprudenza di questa Corte, che, di recente, ha precisato che “mentre la spesa annuale per il personale risulterà incrementata solo per l’importo differenziale fra la categoria di provenienza e quella di destinazione, il budget assunzionale deve ritenersi eroso per l’integrale importo della retribuzione. Milita a sostegno di tale interpretazione, da un lato, la diversa composizione (e finalità) dei parametri relativi alla spesa del personale ed ai limiti connessi al budget assunzionale, dall’altro la circostanza che la progressione verticale debba considerarsi, come sopra premesso, equipollente ad un’assunzione tout court. Di conseguenza l’importo da sottrarre al budget assunzionale deve ritenersi pari all’entità complessiva della retribuzione del dipendente progredito. In conformità con tale assunto si è già pronunciata la Sezione regionale del controllo della Campania, affermando che “il riferimento espresso nella normativa è al numero dei posti … tal denominatore deve essere posto in relazione con i posti previsti nei piani dei fabbisogni come nuove assunzioni consentite” (Corte dei conti Campania, parere 17 dicembre 2018, n. 140/2018/PAR).” (SRC Abruzzo,             deliberazione n. 38/2019/PAR).
 
Presupposto della procedura
Per “il combinato disposto del citato art. 6 con il successivo art. 35, comma 4, del d. lgs. 165/2001 e s.m.i. … tutte le “determinazioni relative all’avvio delle procedure di reclutamento sono adottate (…) sulla base del piano triennale dei fabbisogni”, il quale provvedimento programmatorio assume la natura di condicio sine qua non per ogni eventuale procedura assunzionale di personale nella pubblica amministrazione, indipendentemente dalle modalità di acquisizione.”
Le pubbliche amministrazioni sono tenute a predisporre i piani triennali dei fabbisogni del personale (PTFP) in conformità alle apposite “Linee di indirizzo” fornite dal Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione con il Decreto 8 maggio 2018.
Secondo le predette Linee di indirizzo “il PTFP si sviluppa, come previsto dall’art. 6 citato, in prospettiva triennale e deve essere adottato annualmente con la conseguenza che di anno in anno può essere modificato in relazione alle mutate esigenze di contesto normativo, organizzativo o funzionale. L’eventuale modifica in corso di anno del PTFP è consentita solo a fronte di situazioni nuove e non prevedibili e deve essere in ogni caso adeguatamente motivata”.
Ne consegue che “ le amministrazioni, nell’ambito del PTFP, potranno quindi procedere annualmente alla rimodulazione qualitativa e quantitativa della propria consistenza di personale, in base ai fabbisogni programmati, nel rispetto di quanto previsto dall’articolo 2, comma 10-bis, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 e garantendo la neutralità finanziaria della rimodulazione. Tale rimodulazione individuerà quindi volta per volta la dotazione di personale che l’amministrazione ritiene rispondente ai propri fabbisogni e che farà da riferimento per l’applicazione di quelle disposizioni di legge che assumono la dotazione o la pianta organica come parametro di riferimento” (Linee guida, par. 2.1.).
“Il piano triennale dei fabbisogni deve “indicare, sempre nello spirito del miglior utilizzo delle risorse, eventuali progressioni tra le aree o le categorie rivolte al personale in servizio secondo quanto previsto dall’art. 22, comma 15, del d. lgs. n. 75 del 2017.”
data, 22 giugno 2020
 

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