22/06/2020 – Urbanistica. Motivazione ordine di demolizione

Urbanistica. Motivazione ordine di demolizione
Pubblicato: 22 Giugno 2020
TAR Campania (SA) Sez. II n. 576 del 25 maggio 2020

L’ordinanza di demolizione è da ritenersi sorretta da adeguata e autosufficiente motivazione, allorquando sia rinvenibile la compiuta descrizione (morfologica, costruttiva, dimensionale, oltre che ubicativa, mediante puntuale indicazione degli estremi di accatastamento urbano) delle opere abusive, nonché l’individuazione delle violazioni accertate

Pubblicato il 25/05/2020

N. 00576/2020 REG.PROV.COLL.

N. 01800/2014 REG.RIC.

N. 00666/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

sezione staccata di Salerno (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1800 del 2014, proposto da

Giuseppe Cappetta, Anna Rubino, rappresentati e difesi dagli avvocati Francesco Accarino, Federico Acocella, Paolo Accarino, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo, in Salerno, corso Vittorio Emanuele, 58;

contro

Comune di Salerno, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Luigi Mea, Maria Grazia Graziani, con domicilio eletto presso l’Avvocatura municipale, in Salerno, via Roma, Palazzo di Città;

nei confronti

Graziano Carucci, non costituito in giudizio;

sul ricorso numero di registro generale 666 del 2015, proposto da

Giuseppe Cappetta, Anna Rubino, rappresentati e difesi dagli avvocati Francesco Accarino, Federico Acocella, Paolo Accarino, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo, in Salerno, corso Vittorio Emanuele, 58;

contro

Comune di Salerno, in persona del Sindaco pro tempore, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Luigi Mea, Maria Grazia Graziani, con domicilio eletto presso l’Avvocatura municipale, in Salerno, via Roma, Palazzo di Città;

nei confronti

Graziano Carucci, non costituito in giudizio;

per l’annullamento,

quanto al ricorso n. 1800 del 2014:

dell’ordinanza di demolizione n. 35 del 21.5.2014 (prot. n. P-82247);

quanto al ricorso n. 666 del 2015:

del diniego di accertamento di conformità n. 44 del 22.12.2014 (prot. n. P-203012 del 24.12.2014) e dell’ordinanza di demolizione n. 8 dell’11.2.2015 (prot. n. P-21825).

Visti i ricorsi e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Salerno;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 26 febbraio 2020 il dott. Olindo Di Popolo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. Con ricorso iscritto a r.g. n. 1800/2014, Cappetta Giuseppe (in appresso, C. G.) e Rubino Anna (in appresso, R. A.) impugnavano, chiedendone l’annullamento, l’ordinanza di demolizione n. 35 del 21 maggio 2014 (prot. n. P-82247), emessa dal Dirigente del Servizio Trasformazioni Urbanistiche del Comune di Salerno, nonché gli atti ad essa presupposti, connessi e consequenziali (tra cui, segnatamente, il rapporto dell’Ufficio Verifiche di Conformità e Demolizioni Edilizie prot. n. P-78182 del 15 maggio 2014 e la comunicazione di avvio del procedimento di cui alla nota del 12 luglio 2012, prot. n. 136143).

2. Gli abusi contestati col provvedimento impugnato erano consistiti nella realizzazione delle seguenti opere, in difformità dalla concessione edilizia n. 114 del 16 settembre 1986, nell’ambito del compendio condominiale ubicato in Salerno, via Castelluccio, n. 1, distribuito su quattro livelli (cantinato, rialzato, primo e secondo), e, precisamente, in corrispondenza dei cespiti immobiliari in proprietà dei ricorrenti, coniugi C. – R., in catasto al foglio 26, particella 1093, sub 3 e 7: «1) locale, originariamente assentito come “deposito/cantina” (part.lla n. 1093, sub 7), accessibile dall’androne del fabbricato lotto “C”, di superficie mq 52,00 circa, con altezza interna m 2,60 … dotato di angolo cottura e locale bagno e di impianti idrico ed elettrico … collegato mediante scala interna in c.a. all’abitazione sovrastante di proprietà; appare, tenuto anche conto dell’avvenuta collocazione di arredi domestici, adibito ad uso residenziale; 2) locale adibito ad uso custodia autovettura (part.lla n. 1093, sub 3), di superficie mq 22 con altezza m 2,20 circa, ubicato all’interno di costruzione monopiano di maggiore consistenza, realizzato in muratura e copertura piana in c.a. nell’area pertinenziale condominiale, originariamente assentita per posti auto scoperti, posta ad est del fabbricato “C” tra questo ed il muro di confine del lotto; il lastrico solare dell’intero manufatto è sistemato a terrazzo posto a servizio dell’appartamento e da questo direttamente accessibile ed, inoltre, collegato a mezzo di rampa di scala alla sottostante area giardino; 3) manufatto con struttura in muratura e copertura piana in c.a., di superficie mq 70,00 circa con altezza m 1,80 circa, adibito a deposito, posto in aderenza al precedente e a questo collegato, realizzato nell’area pertinenziale condominiale, compresa tra il lato sud del fabbricato ed il muro di confine del lotto “C”; il lastrico solare del manufatto è sistemato a terrazzo posto a servizio dell’appartamento ed accessibile dal locale di cui al punto 1 tramite una rampa di scale».

3. Nell’avversare l’adottata misura repressivo-ripristinatoria, i coniugi C. – R. lamentavano, in estrema sintesi, che: a) l’ordinanza di demolizione n. 35 del 21 maggio 2014, in violazione dell’art. 2 della l. n. 241/1990, sarebbe stata emessa ad eccessiva e irragionevole distanza temporale dalla comunicazione di avvio del procedimento di cui alla nota del 12 luglio 2012, prot. n. 136143; b) sarebbe stata, inoltre, emessa in applicazione dell’art. 33 del d.p.r. n. 380/2001, sanzionante le ipotesi di ristrutturazione edilizia abusiva, a dispetto della contestazione di difformità dal rilasciato titolo abilitativo; c) l’addebito di mutamento di destinazione d’uso del locale deposito-cantina (previsto nel progetto assentito con la concessione edilizia n. 114 del 16 settembre 1986) non troverebbe riscontro nella concreta conformazione di quest’ultimo, preesistente al suo acquisto da parte dei proponenti; d) i locali adibiti ad autorimessa e a deposito, sormontati da un terrazzo di copertura, sarebbero entrambi interrati e, di essi, il primo sarebbe preesistito al suo acquisto da parte dei proponenti ed il secondo sarebbe consistito in una mera intercapedine, cosicché non sarebbero stati sanzionabili in via demolitoria, trattandosi, rispettivamente, di un parcheggio pertinenziale realizzabile in deroga agli strumenti pianificatori e di un volume tecnico non computabile sotto il profilo urbanistico-edilizio; e) in difetto di istruttoria e di motivazione, l’amministrazione comunale non avrebbe valutato se le opere abusive contestate fossero o meno rimuovibili senza pregiudizio per le porzioni legittime dell’edificio, e, quindi, se sussistessero presupposti applicativi della sanzione alternativa pecuniaria, ai sensi dell’art. 33, comma 2, ovvero dell’art. 34, comma 2, del d.p.r. n. 380/2001, in luogo della sproporzionata sanzione ripristinatoria; f) ancora in difetto di motivazione, non sarebbe stato ponderato l’interesse pubblico alla rimozione delle opere abusive contestate, consolidatosi nell’arco temporale trascorso dalla loro esecuzione; g) il richiamato vincolo paesaggistico gravante sull’area di intervento non giustificherebbe l’irrogazione della misura demolitoria, essendo sopravvenuto all’edificazione ed avendo natura relativa; h) sempre in difetto di motivazione, non sarebbe stata verificata la sanabilità degli illeciti edilizi accertati.

4. In pendenza del giudizio introdotto dal ricorso iscritto a r.g. n. 1800/2014, i coniugi C. – R., con istanza del 24 luglio 2014, prot. n. A-121438, richiedevano al Comune di Salerno l’accertamento di conformità urbanistico-edilizia ex art. 36 del d.p.r. n. 380/2001 in relazione agli abusi contestati con l’ordinanza di demolizione n. 35 del 21 maggio 2014.

L’istanza in parola era rigettata dal Dirigente dello Sportello Unico per l’Edilizia con provvedimento di diniego n. 44 del 22 dicembre 2014 (prot. n. P-203012 del 24 dicembre 2014), preannunciato, ai sensi dell’art. 10 bis della l. n. 1990, con nota del 29 settembre 2014, n. 176 (prot. n. P-151536 del 30 settembre 2014).

Tanto, in base alla considerazione che gli interventi eseguiti sine titulo risultavano aver comportato incrementi di volumetria e di superficie non consentiti dal PUC di Salerno per la zona (B, di completamento) di localizzazione del fabbricato controverso, oltre che in base al rilievo dell’insufficienza della documentazione a corredo dell’istanza del 24 luglio 2014, prot. n. A-121438.

Più in dettaglio, a tenore del citato provvedimento di diniego n. 44 del 22 dicembre 2014:

«1. Il locale originariamente assentito come deposito-cantina è stato modificato nell’uso … [in] residenziale e collegato tramite scala interna all’appartamento sovrastante quale ampliamento dello stesso, configurando un incremento di volume e di superficie. Inoltre il locale così costituito non rispetta i parametri per i vani residenziali in quanto risulta di altezza netta m 2,60 (art. 190 del vigente RUEC).

2. Il locale adibito a box auto pertinenziale, di superficie mq 22 con altezza m 2,20 circa, realizzato in muratura e copertura piana in c.a. risulta realizzato nell’area che originariamente risultava pertinenziale condominiale ed assentita per posti auto scoperti, per cui detta opera si configura come incremento di volume e superficie in un’area non di proprietà esclusiva.

3. Il “vuoto tecnico” con struttura in muratura e copertura piana in c.a. di superficie mq 70,00 circa con altezza interna di m. 1,80 circa, è stato adibito a deposito. Anche quest’opera si configura come incremento di volume e superficie e risulta realizzata in area pertinenziale condominiale e quindi non di proprietà esclusiva. I volumi tecnici sono definiti dall’art. 27 del vigente RUEC “quelli strettamente necessari a contenere ed a consentire l’accesso di quelle parti degli impianti (idrico, termico …) cosa diversamente riscontrata in sede di sopralluogo.

4. Su due lati dell’appartamento si accede ad un terrazzo su diversi livelli che copre in parte il box auto, il vuoto tecnico, e terrapieno che risulta realizzato nell’area che originariamente risultava in parte pertinenziale condominiale ed in parte assentita per posti auto scoperti e quindi non di proprietà esclusiva.

Per quanto sopra, dopo gli interventi realizzati … si può affermare che il fabbricato presenta una maggiore altezza di quella assentita».

Al pronunciato diniego di sanatoria susseguiva l’ordinanza di demolizione n. 8 dell’11 febbraio 2015 (prot. n. P-21825), emessa dal Dirigente del Settore Trasformazioni Urbanistiche del Comune di Salerno ed avente per oggetto le medesime contestazioni formulate con l’ordinanza di demolizione n. 35 del 21 maggio 2014.

5. I provvedimenti indicati retro, sub n. 4, erano impugnati, unitamente al verbale della Polizia Municipale di Salerno prot. n. 127333 del 5 agosto 2014 (recante l’accertamento dell’inottemperanza all’ingiunzione di demolizione n. 35 del 21 maggio 2014) dai coniugi C. – R. con ricorso iscritto a r.g. n. 666/2015.

6. A sostegno di tale gravame, i proponenti, oltre a reiterare, avverso l’ordinanza di demolizione n. 8 dell’11 febbraio 2015, le censure rassegnate col ricorso iscritto a r.g. n. 1800/2014, lamentavano, in estrema sintesi, che: a) quanto al provvedimento n. 44 del 22 dicembre 2014: aa) il ritenuto contrasto delle opere sottoposte a sanatoria con la disciplina del PUC di Salerno sarebbe stato solo genericamente rappresentato; ab) esso sarebbe stato, in ogni caso, insussistente, in quanto: aba) il locale deposito-cantina non avrebbe subito la contestata trasformazione funzionale in locale abitativo, gli interventi su di esso eseguiti sine titulo essendosi risolti nella realizzazione di una scala interna di collegamento al piano superiore; abb) il box auto (in esclusiva proprietà dei coniugi C. – R.) non sarebbe stato computabile ai fini urbanistici, essendo prevalentemente interrato e rivestendo i connotati del parcheggio pertinenziale, beneficiante della derogatoria disciplina statale e regionale in materia; abc) neppure il “vuoto tecnico” (in esclusiva proprietà dei coniugi C. – R.), sarebbe stato computabile ai fini urbanistici, rivestendo i connotati della mera intercapedine; ac) in violazione dell’art. 10 bis della l. n. 241/1990, non sarebbero state adeguatamente vagliate le osservazioni degli interessati al preavviso di diniego; ad) l’insufficienza della documentazione a corredo dell’istanza del 24 luglio 2014, prot. n. A-121438, non avrebbe potuto determinare un arresto dell’avviato procedimento di sanatoria, ma avrebbe dovuto legittimare l’esercizio del soccorso istruttorio da parte dell’amministrazione; b) quanto al verbale della Polizia Municipale di Salerno prot. n. 127333 del 5 agosto 2014, la pendenza dell’istanza di accertamento di conformità prot. n. A-121438 del 24 luglio 2014 avrebbe dovuto impedire l’esecuzione dell’ordinanza di demolizione n. 35 del 21 maggio 2014; c) quanto all’ordinanza di demolizione n. 8 dell’11 febbraio 2015, essa si sarebbe sostanziata nella mera riproposizione testuale della pregressa ordinanza di demolizione n. 35 del 21 maggio 2014, senza alcuna rivalutazione delle opere contestate.

7. Costituitosi in entrambi i giudizi l’intimato Comune di Salerno, eccepiva l’improcedibilità del ricorso iscritto a r.g. n. 1800/2014 e l’infondatezza del ricorso iscritto a r.g. n. 666/2015.

8. All’udienza pubblica del 26 febbraio 2020, le due cause instaurate con i ricorsi in epigrafe erano trattenute in decisione.

DIRITTO

1. In rito, sono, innanzitutto, ravvisabili i presupposti per disporre, ai sensi dell’art. 70 cod. proc. amm., la riunione dei giudizi instaurati con i ricorsi iscritti a r.g. n. 1800/2014 e n. 666/2015.

Sono evidenti, infatti, le ragioni di connessione che giustificano la trattazione congiunta delle due cause: l’identità delle parti (C. G. e R. A., in veste di proponenti, e Comune di Salerno, in veste di amministrazione resistente), l’unicità della vicenda controversa (afferente alla repressione e alla sanatoria degli abusi edilizi accertati in corrispondenza dei cespiti immobiliari ubicati in Salerno, via Castelluccio, n. 1, e censiti in catasto al foglio 26, particella 1093, sub 3 e 7) e la parziale coincidenza della causa petendi (quanto, segnatamente, all’impugnazione delle ordinanze di demolizione n. 35 del 21 maggio 2014 e n. 8 dell’11 febbraio 2015).

2. Sempre in rito, va rilevata l’improcedibilità del ricorso iscritto a r.g. n. 1800/2014.

L’ordinanza di demolizione n. 35 del 21 maggio 2014, con esso impugnata, è stata, infatti, assorbita e sostituita dall’ordinanza di demolizione n. 8 dell’11 febbraio 2015, impugnata col successivo ricorso iscritto a r.g. n. 666/2015, cosicché nessuna utilità pratica i proponenti potrebbero ritrarre da una pronuncia di relativo accoglimento e di conseguente annullamento della predetta ordinanza di demolizione n. 35 del 21 maggio 2014.

3. Venendo ora a scrutinare nel merito il ricorso iscritto a r.g. n. 666/2015, esso si rivela infondato per le ragioni illustrate in appresso.

4. Innanzitutto, non è accreditabile la tesi attorea di genericità del rilievo di contrasto delle opere abusive de quibus rispetto alla disciplina del PUC di Salerno (cfr. retro, in narrativa, sub n. 6.aa).

Il provvedimento n. 44 del 22 dicembre 2014 è, infatti, del tutto perspicuo e puntuale nell’indicare la previsione dello strumento urbanistico generale ove, tra le categorie di attività edilizie consentite nella zona B, risultano esclusi gli interventi di nuova costruzione, cui, in ragione degli incrementi plano-volumetrici ingenerati, vengono ricondotti quelli controversi.

Si tratta, cioè, dell’art. 85 delle NTA del PUC, il quale ammette per le zone B, unicamente gli interventi di manutenzione ordinaria (A), di manutenzione straordinaria (B), di restauro (C1) e risanamento conservativo (C2), di ristrutturazione edilizia (D), di ristrutturazione urbanistica (E), di demolizione senza ricostruzione (E1).

5. Neppure è fondatamente sostenibile la predicata conformità urbanistico-edilizia delle opere in contestazione rispetto alla suindicata previsione dello strumento urbanistico generale (cfr. retro, in narrativa, sub n. 6.ab).

5.1. In particolare, con riguardo al locale deposito-cantina (cfr. retro, in narrativa, sub n. 6.aba) è agevole avvedersi come esso abbia innegabilmente subito un mutamento di destinazione d’uso in locale residenziale.

Ciò, tenuto conto, precipuamente, della realizzazione di una scala di collegamento all’appartamento al piano rialzato, di un vano wc, di un angolo cottura, di impianti idrico ed elettrico, ossia di una serie organica di opere materiali che hanno finito per conferire, in concreto, al piano sottostante i caratteri di estensione funzionale all’uso abitativo proprio di quello superiore.

In questo senso, del tutto eloquenti sono le riproduzioni fotografiche a corredo del rapporto dell’Ufficio Verifiche di Conformità e Demolizioni Edilizie del Comune di Salerno prot. n. P-78182 del 15 maggio 2014, ove figura ritratto uno spazio abitativo perfettamente dotato di finiture, arredi e suppellettili.

Alla stregua dei recenti arresti in termini sanciti dalla Sezione con riferimento a fattispecie analoghe (sent. n. 699/2019; n. 704/2019; n. 706/2019), trattasi, dunque, di cambio di destinazione d’uso urbanisticamente rilevante per aver convertito l’originario spazio accessorio adibito a deposito-cantina in superficie e volumetria abitabile, a discapito degli standard parametrati in relazione alla superficie ed alla volumetria abitabile originaria dell’immobile e per aver così aggravato il carico urbanistico di zona (cfr. TAR Lazio, Roma, sez. I, 4 aprile 2012, n. 3101; sez. II, 26 luglio 2018, n. 8452; sez. II, 30 agosto 2018, n. 9074; TAR Campania, Salerno, sez. I, 14 maggio 2018, n. 742). Trattasi, cioè, di intervento che, per le relative implicazioni di trasformazione del territorio sotto il profilo del carico insediativo, necessitava del permesso di costruire in virtù del comb. disp. artt. 23 ter e 32, comma 1, lett. a, del d.p.r. n. 380/2001 (cfr. TAR Lazio, Roma, sez. II, 4 aprile 2017, n. 4225; TAR Liguria, Genova, sez. I, 26 luglio 2017, n. 682).

5.2. A dispetto degli assunti attorei (cfr. retro, in narrativa, sub n. 6.abb), nemmeno il vano autorimessa risulta sanabile.

In proposito, dirimente è la circostanza che esso non si presenta completamente interrato.

Sono, infatti, gli stessi coniugi C. – R. a rappresentare, sia nel ricorso sia nella relazione tecnica a corredo dell’istanza di sanatoria prot. n. A-121438 del 24 luglio 2014, che il corpo di fabbrica in parola, sormontato da terrazzo di copertura e adiacente all’edificio condominiale assentito con la concessione edilizia n. 114 del 16 settembre 1986, è non già interamente, bensì «prevalentemente interrato» («essendo per la maggior parte confinante con il terrapieno del retrostante giardino»), ed è, quindi, seminterrato.

Tale conclusione è, d’altronde, corroborata da una serie di elementi probanti. E cioè: – dagli elaborati grafici e dalla documentazione fotografica a corredo della menzionata istanza di sanatoria prot. n. A-121438 del 24 luglio 2014, ritraenti la parziale fuoriuscita del box auto dal piano di campagna; – dalla circostanza che l’area di sedime del locale in contestazione risultava ab origine riservata a «posti auto scoperti», ubicati, in quanto tali, al di sopra, e non al di sotto, del suolo.

Ciò posto, la superficie e la volumetria utilizzata per la realizzazione dell’autorimessa non avrebbe potuto considerarsi irrilevante sotto il profilo urbanistico.

Ed invero, la parziale fuoriuscita dal piano di campagna rende, da un lato, indefettibilmente, computabile la consistenza plano-volumetrica della porzione immobiliare de qua ed elide, d’altro lato, l’invocata operatività del regime derogatorio-premiale in materia di parcheggi pertinenziali.

Rammenta, a tale ultimo riguardo, il Collegio che, a tenore dell’art. 9, comma 1, della l. n. 122/1989: «I proprietari di immobili possono realizzare nel sottosuolo degli stessi ovvero nei locali siti al piano terreno dei fabbricati parcheggi da destinare a pertinenza delle singole unità immobiliari, anche in deroga agli strumenti urbanistici ed ai regolamenti edilizi vigenti. Tali parcheggi possono essere realizzati, ad uso esclusivo dei residenti, anche nel sottosuolo di aree pertinenziali esterne al fabbricato, purché non in contrasto con i piani urbani del traffico, tenuto conto dell’uso della superficie sovrastante e compatibilmente con la tutela dei corpi idrici. Restano in ogni caso fermi i vincoli previsti dalla legislazione in materia paesaggistica ed ambientale ed i poteri attribuiti dalla medesima legislazione alle regioni e ai Ministeri dell’ambiente e per i beni culturali ed ambientali da esercitare motivatamente nel termine di 90 giorni. I parcheggi stessi, ove i piani urbani del traffico non siano stati redatti, potranno comunque essere realizzati nel rispetto delle indicazioni di cui al periodo precedente».

Ora, la giurisprudenza ha chiarito che la sfera applicativa delle agevolazioni contemplate dalla disposizione richiamata, in considerazione delle finalità della legge e in relazione al suo carattere eccezionale e derogatorio, non può estendersi al di fuori delle ipotesi normativamente predeterminate (Cons. Stato, sez. V, 29 marzo 2006, n. 1608). Conseguentemente, ha statuito che la prevista deroga agli strumenti urbanistici è da reputarsi operante, solo quando i parcheggi siano realizzati nel sottosuolo ovvero nei locali ubicati al piano terra dei fabbricati già esistenti, mentre è da escludersi – e, quindi, i parcheggi devono essere realizzati nel rispetto delle disposizioni urbanistiche –, se non vengano a ciò adibiti i locali (preesistenti) ubicati al piano terra di un fabbricato o se le autorimesse non vengano allocate nel sottosuolo dei fabbricati (Cons. Stato, sez. V, 29 marzo 2004, n. 1662; 29 marzo 2006 n. 1608; sez. IV, 11 novembre 2006, n. 6065; 26 settembre 2008 n. 4645; TAR Lazio, Roma, sez. I, 16 aprile 2008, n. 3259). In particolare, la nozione di “sottosuolo” postulata dal citato art. 9, comma 1, della l. n. 122/1989 non può che considerarsi di stretta interpretazione, non potendo attingere le ipotesi di parcheggi parzialmente fuori terra, ossia, in sostanza, seminterrati.

Come statuito da TAR Campania, Napoli, sez. II, sent. 8 giugno 2009, n. 3134; sez. VIII, 11 marzo 2010, n. 1383; 26 ottobre 2011, n. 4945, a conclusioni diverse non può addivenirsi sulla base del dettato dell’art. 6 della l. r. Campania n. 19/2001.

La richiamata disciplina legislativa regionale ha dilatato, sia sotto il profilo soggettivo sia sotto il profilo oggettivo, la portata dell’art. 9, comma 1, della l. n. 122/1989 (che consente la realizzazione di parcheggi pertinenziali ai soli proprietari e non oltre l’area pertinenziale esterna al fabbricato). In dettaglio, ha previsto il rilascio di un permesso di costruire gratuito per la costruzione, anche in deroga agli strumenti urbanistici, di parcheggi in aree (in origine) non pertinenziali, ma con un rapporto di pertinenzialità da determinarsi in una fase successiva (e cioè dopo la realizzazione delle opere e mediante l’acquisto dei box da parte dei soggetti abilitati), ed anche in favore di soggetti non proprietari di immobili e in mancanza di una immediata contiguità spaziale fra l’area destinata a parcheggio e gli immobili da quest’ultimo serviti (cfr. TAR Campania, Napoli, sez. IV 30 aprile 2004, n. 7695). Ha, quindi, consentito di individuare gli acquirenti dei posti auto, in regime di pertinenzialità, anche dopo la realizzazione dei parcheggi, contemplando, a tale scopo, la sottoscrizione di apposito atto d’obbligo.

Tuttavia, nonostante la dilatazione dei casi previsti, pure dalla descritta disciplina legislativa regionale devono ritenersi confermati i principi fondamentali delle disposizioni contenute nell’art. 9, comma 1, della l. n. 122/1989, che ammette, bensì, la costruzione di parcheggi pertinenziali in deroga agli strumenti urbanistici, ma solo nel sottosuolo ovvero nei locali siti al piano terreno dei fabbricati preesistenti.

Siffatto approdo ermeneutico deve essere tenuto fermo, anche se il non perspicuo tenore dell’art. 6, comma 2, della l. r. Campania n. 19/2001 potrebbe suggerire, ove disancorato dal contesto normativo di riferimento, una diversa lettura, volta a ritenere possibile la costruzione di manufatti da destinare a parcheggi, in deroga agli strumenti urbanistici, in tutte le “aree libere, anche non di pertinenza”, non solo al piano terra o nel sottosuolo, ma anche in elevazione rispetto al piano di campagna.

Una opposta interpretazione ‘estensiva’ colliderebbe, infatti, con i generali principi interpretativi, in virtù dei quali una disciplina normativa deve essere riguardata nel complesso delle sue disposizioni, nel contesto sistematico di riferimento e secondo canoni di logica.

Essa non determinerebbe solo l’ampliamento – certamente possibile – della disciplina di favore dettata dalla normativa statale (in precipua funzione di decongestionamento della viabilità urbana senza consumo del suolo mediante creazione di ulteriori volumetrie fuori terra), per agevolare (comunque entro limiti precisi) la realizzazione di parcheggi pertinenziali; ma determinerebbe anche lo svuotamento dei principi fondamentali contenuti nella l. n. 122/1989 – oltre che nel d.p.r. n. 380/2001 –, ponendosi, così, in contrasto con tutte le disposizioni di legge volte a garantire un armonioso ed ordinato sviluppo del territorio (cfr., in termini, TAR Campania, Salerno, sez. II, 27 maggio 2019, n. 860).

5.3. A convergenti conclusioni reiettive occorre pervenire con riferimento alla dedotta irrilevanza urbanistica del “vuoto tecnico” ricavato entro il corpo di fabbrica sormontato dal terrazzo di copertura e dall’adiacente all’edificio condominiale assentito con la concessione edilizia n. 114 del 16 settembre 1986 (cfr. retro, in narrativa, sub n. 6.abb).

In base alle dimensioni di tale locale (avente superficie pari a circa mq 70,00 ed altezza pari a m 1,80), nonché in base alla sua conformazione strutturale e funzionale, emergente dalle riproduzioni fotografiche a corredo del rapporto dell’Ufficio Verifiche di Conformità e Demolizioni Edilizie del Comune di Salerno prot. n. P-78182 del 15 maggio 2014 (ove è riscontrabile la pavimentazione del piano di calpestio e l’acquisita destinazione a deposito-stenditoio), nonché dagli elaborati grafici e dalla documentazione fotografica a corredo della menzionata istanza di sanatoria prot. n. A-121438 del 24 luglio 2014 (ove è riscontrabile, anche in questo caso, la parziale fuoriuscita dal piano di campagna), è, infatti, da escludersi che esso possa configurarsi a guisa di “mera intercapedine”, come, invece, propugnato da parte ricorrente, e, quindi, annoverarsi tra i volumi tecnici contemplati dall’art. 27 del RUEC di Salerno.

In particolare, quest’ultima disposizione stabilisce che: «Sono volumi tecnici quelli strettamente necessari a contenere ed a consentire l’accesso di quelle parti degli impianti tecnici (idrico, termico, elevatorio, televisivo, di parafulmine, di ventilazione e condizionamento, ecc.) che non possono, per esigenze tecniche di funzionalità degli impianti stessi, trovare luogo entro il corpo dell’edificio realizzabile nei limiti imposti dalle norme. A puro titolo esemplificativo, sono considerati volumi tecnici quelli strettamente necessari a contenere i serbatoi idrici, l’extracorsa degli elevatori, i vasi di espansione dell’impianto di termosifone, le canne fumarie e di ventilazione, il vano scala al di sopra della linea di gronda, i sottotetti non accessibili asserviti alla costruzione quale spazio vuoto utile all’isolamento termico ecc. Non sono considerati volumi tecnici gli stenditoi – ancorché aperti su tutti i lati – le soffitte, i locali di sgombero e simili».

6. Quanto sopra è sufficiente per la reiezione del gravame avverso la base argomentativa sostanziale del gravato diniego di accertamento di conformità, stante la natura plurimotivata di quest’ultimo. In presenza di un atto sorretto da autonome ragioni giuridico-fattuali, è, infatti, bastevole la legittimità di una sola delle argomentazioni poste a suo fondamento, perché l’atto medesimo possa resistere al richiesto sindacato giurisdizionale su di esso, con conseguente assorbimento – per carenza di interesse e per finalità di economia processuale – delle censure dirette a contestare ogni ulteriore nucleo motivazionale della determinazione avversata, quali, nella specie, quelli incentrati sulla titolarità condominiale dell’area occupata dal box auto e dal locale deposito-cantina e sulla carenza della documentazione a corredo dell’istanza di sanatoria prot. n. A-121438 del 24 luglio 2014 (cfr. retro, in narrativa, sub n. 6.abb, n. 6.abc e n. 6.ad).

7. Priva di pregio è, poi, la censura di omessa valutazione delle deduzioni rassegnate dall’interessato in sede di contraddittorio procedimentale (cfr. retro, sub n. 6.ad).

Ed invero, l’impugnato provvedimento n. 44 del 22 dicembre 2014, risulta espressamente menzionare le osservazioni presentate dagli interessati il 5 novembre 2014 (prot. n. 174497) in merito al preavviso di cui alla nota del 29 settembre 2014, n. 176 (prot. n. P-151536 del 30 settembre 2014).

Ciò posto, e tenuto conto della congrua interlocuzione procedimentale avutasi nella vicenda in esame, le garanzie partecipative ex art. 10 bis della l. n. 241/1990 non avrebbero potuto tradursi – a discapito dei principi procedimentali di efficacia e celerità – in un interminabile confronto dialettico con l’interessata e in un’analitica confutazione degli elementi da quest’ultima forniti nelle deduzioni del 5 novembre 2014 (prot. n. 174497), essendo sufficienti, per la loro osservanza, il compiuto apprezzamento e la perspicua esplicazione dei presupposti fattuali e delle ragioni giuridiche che, in positivo, ossia in logica e insuperata antitesi alle anzidette deduzioni, hanno giustificato la determinazione assunta (cfr. TAR Abruzzo, L’Aquila, 26 luglio 2004, n. 836; sez. I, 6 giugno 2007, n. 285; TAR Friuli Venezia Giulia, Trieste, 14 maggio 2005, n. 459; TAR Liguria, Genova, sez. II, 7 luglio 2005, n. 1022; TAR Sicilia, Palermo, sez. II, 7 aprile 2006, n. 772; TAR Lazio, Roma, sez. I, 4 agosto 2006, n. 6950; 14 settembre 2007, n. 8951; TAR Campania, Napoli, sez. VIII, 16 ottobre 2009, n. 5817; 21 settembre 2010, n. 17489; 23 luglio 2014, n. 4131; 21 gennaio 2015, n. 374; 26 agosto 2015, n. 4269; Salerno, sez. II, 12 luglio 2018, n. 1067).

8. L’emissione dell’ingiunzione di demolizione n. 8 dell’11 febbraio 2015, sopravvenuta alla pregressa ingiunzione di demolizione n. 35 del 21 maggio 2014, ha assorbito e sostituito non solo – come rilevato retro, sub n. 2 – quest’ultima, ma anche gli atti ad essa consequenziali, quale, segnatamente, il verbale della Polizia Municipale di Salerno prot. n. 127333 del 5 agosto 2014, recante l’accertamento di inottemperanza all’impartita misura repressivo-ripristinatoria.

Di qui, dunque, l’inammissibilità per carenza di interesse della censura rivolta a tale atto (cfr. retro, sub n. 6.b), ormai superato dalla citata ingiunzione di demolizione n. 8 dell’11 febbraio 2015, destinata ad essere susseguita da una rinnovata attività applicativo-esecutiva.

Inammissibilità, vieppiù, predicabile in ragione dell’autonoma inoppugnabilità del verbale della Polizia Municipale di Salerno prot. n. 127333 del 5 agosto 2014.

Quest’ultimo ha valore chiaramente di atto endoprocedimentale, strumentale alle successive determinazioni dell’ente locale, ed ha efficacia meramente dichiarativa delle operazioni effettuate dalla Polizia Municipale, alla quale non è attribuita, in parte qua, la competenza all’adozione di provvedimenti di amministrazione attiva, all’uopo occorrendo che la competente autorità amministrativa faccia proprio l’esito delle predette operazioni attraverso un formale atto di accertamento (cfr. TAR Campania, sez. II, 18 maggio 2005, n. 6525; 21 novembre 2006, n. 10110; sez. IV, 26 giugno 2008, n. 6254; sez. VII, 13 maggio 2009, n. 2592; sez. VIII, 19 maggio 2015, n. 2763).

In quanto tale, esso non può rivestire quella portata lesiva, avverso la quale si renda concreto ed attuale l’interesse ad ottenere tutela giurisdizionale; portata lesiva ravvisabile soltanto nel cennato atto formale di accertamento ex art. 31, comma 4, del d.p.r. n. 380/2001, con cui l’autorità amministrativa comunale recepisca – come detto – gli esiti dei sopralluoghi effettuati dalla Polizia Municipale e formi, quindi, il titolo ricognitivo idoneo all’acquisizione gratuita dell’immobile al proprio patrimonio.

Ne consegue (anche) l’autonoma inoppugnabilità di un simile atto, non essendo dal suo annullamento ritraibile alcuna utilità effettiva, stante la sua non lesività rispetto all’interesse al mantenimento della titolarità dell’immobile attinto dai contestati interventi edilizi abusivi.

9. Transitando, a questo punto, agli ordini di doglianze avverso l’ordinanza di demolizione n. 8 dell’11 febbraio 2015, nessuna portata infirmante è ricollegabile alla lamentata circostanza dell’avvenuta riproposizione testuale della pregressa ordinanza di demolizione n. 35 del 21 maggio 2014 (cfr. retro, sub n. 6.c).

In argomento, giova rammentare che l’ingiunta misura repressivo-ripristinatoria è da ritenersi sorretta da adeguata e autosufficiente motivazione, allorquando – come, appunto, nella specie – sia rinvenibile la compiuta descrizione (morfologica, costruttiva, dimensionale, oltre che ubicativa, mediante puntuale indicazione degli estremi di accatastamento urbano) delle opere abusive (cfr. retro, in narrativa, sub n. 2), nonché l’individuazione delle violazioni accertate (interventi eseguiti in difformità dal rilasciato titolo edilizio) (cfr., ex multis, Cons. Stato sez. IV, n. 2441/2007; n. 2705/2008; sez. V, n. 4926/2014; TAR Campania, Napoli, sez. IV, n. 367/2008; sez. VI, n. 49/2008; sez. IV, n. 57/2008; sez. VIII, n. 4556/2008; sez. III, n. 5255/2008; sez. IV, n. 7798/2008; sez. VI, n. 8761/2008; sez. IV, n. 9720/2008; sez. II, n. 13456/2008; sez. IV, n. 11820/2008; sez. VI, n. 18243/2008; sez. III, n. 19257/2008; sez. IV, n. 20564/2008; n. 20794/2008; sez. VI, n. 21346/2008; n. 1032/2009; n. 1100/2009; sez. IV, n. 1304/2009; n. 1597/2009; n. 3368/2009; sez. VI, n. 5672/2014; sez. III, n. 1770/2015; n. 677/2017; Salerno, sez. II, n. 397/2017; Napoli, sez. III, n. 1303/2017; sez. IV, n. 1434/2017; sez. VIII, n. 2870/2017; sez. VII, n. 3447/2017; TAR Lombardia, Milano, sez. II, n. 57/2008; n. 1318/2009; n. 1768/2009; TAR Sicilia, Catania, sez. I, n. 475/2008; Palermo, sez. II, n. 866/2015; TAR Lazio, Roma, sez. II, n. 8117/2008; n. 2358/2009; TAR Liguria, Genova, sez. I, n. 781/2009; TAR Puglia, Lecce, sez. III, n. 1601/2016; TAR Basilicata, Potenza, n. 951/2016; TAR Piemonte, Torino, sez. I, n. 1435/2016).

Ciò posto, ed a fronte di alcuna documentata variazione dello stato dei luoghi dal momento dell’emissione dell’ordinanza di demolizione n. 35 del 21 maggio 2014, null’altro si imponeva all’amministrazione comunale in sede di emissione della nuova ordinanza di demolizione n. 8 dell’11 febbraio 2015.

10. Ferma restando l’improcedibilità della censura rubricata retro, in narrativa, sub n. 3.a, siccome specificamente rivolta all’ordinanza di demolizione n. 35 del 21 maggio 2014, osserva il Collegio che alcuna portata infirmante neppure è ricollegabile al lamentato ritardo nell’adozione della misura repressivo-ripristinatoria rispetto alla comunicazione di avvio del procedimento di cui alla nota del 12 luglio 2012, prot. n. 136143.

Ed invero, la proposizione attorea si infrange contro la duplice obiezione che, da un lato, l’ordinanza di demolizione, per la sua natura di atto dovuto urgente e rigorosamente vincolato, non necessita della previa comunicazione di avvio del procedimento con essa definito e che, d’altro lato, per la natura permanente dell’illecito con essa sanzionato, non era ancorata ad un tempo massimo di reazione repressivo-ripristinatoria.

Sotto il primo profilo, occorre rimarcare che essa, per la sua cennata natura di atto urgente dovuto e rigorosamente vincolato, non implicante valutazioni discrezionali, ma risolventesi in meri accertamenti tecnici, fondato, cioè, su un presupposto di fatto rientrante nella sfera di controllo dei soggetti interessati, non richiedeva apporti partecipativi di questi ultimi, i quali, in relazione alla disciplina tipizzata dei procedimenti repressivi, contemplante la preventiva contestazione dell’abuso, ai fini del ripristino di loro iniziativa dell’originario assetto dei luoghi, sono stati, in ogni caso, posti in condizione di interloquire con l’amministrazione prima di ogni definitiva statuizione di rimozione d’ufficio delle opere abusive. Ciò, tanto più che, in relazione ad una simile tipologia provvedimentale, può trovare applicazione l’art. 21 octies della l. n. 241/1990, che statuisce la non annullabilità dell’atto adottato in violazione delle norme sul procedimento, qualora, per la sua natura vincolata, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello concretamente enucleato (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. V, n. 6071/2012; sez. VI, n. 2873/2013; n. 4075/2013; sez. V, n. 3438/2014; sez. III, n. 2411/2015; sez. VI, n. 3620/2016; TAR Campania, Napoli, sez. III, n. 107/2015; Salerno, sez. II, n. 69/2015; Napoli, sez. IV, n. 685/2015; sez. II, n. 1534/2015; Salerno, sez. II, n. 664/2015; n. 1036/2015; Napoli, sez. III, n. 4392/2015; n. 4968/2015; sez. VIII, n. 1767/2016; sez. IV, n. 4495/2016; n. 4574/2016; sez. III, n. 121/2017; n. 677/2017; sez. VI, n. 995/2017; sez. IV, n. 2320/2017; sez. VIII, n. 4122/2017; sez. III, n. 5967/2017; Salerno, sez. II, n. 24/2018; Napoli, sez. III, n. 898/2018; n. 1093/2018; sez. IV, n. 1434/2018; n. 1719/2018; n. 2241/2018; TAR Lazio, Roma, sez. I, n. 2098/2015; n. 10829/2015; n. 10957/2015; n. 2588/2016; TAR Puglia, Lecce, sez. III, n. 1708/2016; n. 1552/2017).

Sotto il secondo profilo, ed a ripudio anche del motivo di gravame rubricato retro, in narrativa, sub n. 3.f (esteso avverso l’ordinanza di demolizione n. 8 dell’11 febbraio 2015), valga, poi, ricordare che la stessa, sempre in quanto atto dovuto e rigorosamente vincolato, è affrancata dalla ponderazione discrezionale del confliggente interesse al mantenimento in loco della res, dove l’interesse pubblico risiede in re ipsa nella riparazione (tramite ripristino dello stato dei luoghi) dell’illecito edilizio e, stante il carattere permanente di quest’ultimo, non viene meno per il mero decorso del tempo, insuscettibile di ingenerare affidamenti nel soggetto trasgressore (cfr., ex multis, Cons. Stato, ad. plen., n. 9/2017; sez. IV, n. 3955/2010; sez. V, n. 79/2011; sez. IV, n. 2592/2012; sez. V, n. 2696/2014; sez. VI, n. 3210/2017; TAR Campania, sez. VI, n. 17306/2010; sez. VII, n. 22291/2010; sez. VIII, n. 4/2011; n. 1945/2011; sez. III, n. 4624/2016; n. 5973/2016; sez. VI, n. 2368/2017; sez. VIII, n. 2870/2017; TAR Puglia, Lecce, sez. III, n. 1962/2010; n. 2631/2010; TAR Piemonte, Torino, sez. I, n. 4164/2010; TAR Lazio, Roma, sez. II, n. 35404/2010; TAR Liguria, Genova, sez. I, n. 432/2011).

11. Non è, inoltre, meritevole di favorevole apprezzamento l’ordine di doglianze secondo cui l’ordinanza di demolizione n. 8 dell’11 febbraio 2015 sarebbe stata emessa in applicazione dell’art. 33 del d.p.r. n. 380/2001, sanzionante le ipotesi di ristrutturazione edilizia abusiva, a dispetto della contestazione di difformità dal rilasciato titolo abilitativo (cfr. retro, in narrativa, sub n. 3.b).

Sul rilievo formalistico-nominalistico della norma richiamata – in termini asseritamente erronei – dall’amministrazione comunale fa, infatti, premio la corretta rappresentazione sostanziale della fattispecie colpita, la quale, all’evidenza, alla stregua delle statuizioni formulate retro, sub n. 5, è quella delle variazioni essenziali di cui all’art. 32, comma 1, lett. a, b e c, del d.p.r. n. 380/2001, ossia del «mutamento della destinazione d’uso che implichi variazione degli standards previsti dal d.m. 2 aprile 1968, n. 1444», dell’«aumento consistente della cubatura o della superficie di solaio da valutare in relazione al progetto approvato» e delle «modifiche sostanziali di parametri urbanistico-edilizi del progetto approvato».

A suffragio di un simile approccio, occorre sottolineare che gli atti amministrativi vanno interpretati risalendo al relativo contenuto e al potere in concreto esercitato dall’autorità promanante, dovendosi prescindere dalle qualificazioni ivi contenute (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 27 luglio 2010, n. 4902; TAR Lazio, Roma, sez. III, 17 giugno 2008, n. 5916; TAR Campania, Napoli, sez. VIII, 17 settembre 2009, n. 4977).

12. Il superiore approdo induce a dequotare il motivo di impugnazione incentrato sull’omessa valutazione dei presupposti applicativi della sanzione alternativa pecuniaria (cfr. retro, in narrativa, sub n. 3.e).

Sul punto, è agevole obiettare che le tipologie di abusi edilizi codificati ex art. 32, comma 1, lett. a), b) e c), del d.p.r. n. 380/2001 sono assoggettati dal precedente art. 31, comma 2, unicamente alla misura demolitoria.

Orbene, il citato art. 31, comma 2, del d.p.r. n. 380/2001, cui finisce per essere attratta la fattispecie in esame (integrante gli estremi delle variazioni essenziali di cui al successivo art. 32), non contempla l’irrogazione di una sanzione alternativa a quella ripristinatoria (cfr. TAR Campania, Napoli, sez. VI, n. 4899/2009; sez. III, n. 1411/2015; sez. II, n. 5022/2016).

La misura alternativa pecuniaria è, infatti, prevista unicamente per le diverse ipotesi di opere di ristrutturazione eseguite in assenza o in totale difformità dal permesso di costruire ovvero di opere di nuova costruzione eseguite in parziale difformità dal permesso di costruire, mentre non è prevista dal comma 2 dell’art. 31 cit. per gli interventi eseguiti in assenza di permesso di costruire. «Il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale, – recita la disposizione richiamata – accertata l’esecuzione di interventi in assenza di permesso, in totale difformità dal medesimo, ovvero con variazioni essenziali, determinate ai sensi dell’articolo 32, ingiunge al proprietario e al responsabile dell’abuso la rimozione o la demolizione, indicando nel provvedimento l’area che viene acquisita di diritto, ai sensi del comma 3»; in altri termini, nello schema giuridico delineato dal legislatore, non vi è spazio per apprezzamenti discrezionali sulla sanzione da irrogare, atteso che l’esercizio del potere repressivo dell’abuso edilizio costituisce atto dovuto, per il quale è in re ipsa l’interesse pubblico alla sua rimozione (cfr. TAR Campania, Napoli, sez. II, n. 443/2009; sez. VIII, n. 4645/2011).

In ogni caso, anche a voler reputare gli abusi contestati riconducibili all’orbita applicativa dell’art. 33 del d.p.r. n. 380/2001 (interventi di ristrutturazione edilizia in assenza di permesso di costruire o in totale difformità), occorre rimarcare che la regola immanente a tale disposizione è rappresentata dall’operatività della misura ripristinatoria, la quale non richiede all’amministrazione un particolare impegno valutativo-motivazionale.

Ed invero, nel caso di ristrutturazione edilizia abusiva, il modello legale tipico e vincolato di atto sanzionatorio è proprio quello dell’ingiunzione di demolizione, in quanto unico atto idoneo a soddisfare pienamente l’interesse pubblico risiedente, – come detto – in re ipsa, nella rimozione dell’illecito e nella ricostituzione dell’assetto urbanistico-edilizio violato; cosicché, ove l’iter repressivo si incanali nell’alveo naturale della riduzione in pristino, nessun onere di apposita motivazione ricade sull’amministrazione procedente, il cui operato è obbligatoriamente scandito dallo stesso legislatore (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 30 agosto 2002, n. 4374; TAR Campania, Napoli, sez. IV, 3 giugno 2003, n. 7107; 2 dicembre 2003, n. 15208; 13 novembre 2006, n. 9463; 8 giugno 2007, n. 6038; TAR Sicilia, Palermo, sez. I, 2 agosto 2007, n. 1877; TAR Lazio, Roma, sez. I, 21 luglio 2009, n. 7285); mentre, solo in caso di oggettiva impossibilità di attuare la misura ordinaria della riduzione in pristino, si rende applicabile la misura residuale della sanzione pecuniaria, occorrendo, però, in siffatta evenienza, giustificare la deroga alla soluzione di ‘tutela in forma specifica’ privilegiata dal legislatore mediante una congrua motivazione che dia adeguatamente conto delle valutazioni effettuate (cfr. TAR Lazio, Roma, sez. II, 24 settembre 2002, n. 8106).

Anche nella distinta ipotesi (qui non ravvisabile) di interventi edilizi eseguiti in parziale difformità, la valutazione circa la possibilità o meno di dar corso alla misura ripristinatoria e la conseguente scelta tra la demolizione d’ufficio e l’irrogazione della sanzione pecuniaria costituisce solo un’eventualità della fase esecutiva successiva alla disposta ingiunzione (cfr. TAR Basilicata, Potenza, n. 921/2008; TAR Campania, Napoli, sez. VII, n. 5244/2008; sez. VI, n. 3044/2014).

In tale ipotesi, l’ingiunzione di demolizione costituisce, cioè, la prima ed obbligatoria fase del procedimento repressivo, in quanto ha natura di diffida e presuppone solo un giudizio di tipo analitico-ricognitivo dell’abuso commesso, mentre il giudizio sintetico-valutativo, di natura discrezionale, circa la rilevanza dell’abuso e la possibilità di sostituire la demolizione con la sanzione pecuniaria, disciplinato dall’art. 34, comma 2, del d.p.r. n. 380/2001, viene effettuato soltanto in un secondo momento (successivo ed autonomo rispetto all’atto di diffida), ossia quando il soggetto privato non abbia ottemperato spontaneamente alla demolizione e l’organo competente emana l’ordine (stavolta non indirizzato all’autore dell’abuso edilizio, ma agli uffici dell’amministrazione competenti e/o preposti in materia di sanzioni edilizie) di demolizione in danno delle opere edili costruite in parziale difformità dal permesso di costruire; conseguentemente, soltanto nella predetta seconda fase può, in linea puramente teorica, ritenersi illegittimo l’ordine di demolire che risulti sprovvisto di qualsiasi valutazione (ex officio o su istanza di parte), ai sensi dell’art. 34, comma 2, del d.p.r. n. 380/2001, intorno all’entità degli abusi commessi ed alla possibile sostituzione della demolizione con la sanzione pecuniaria.

Per di più, l’adombrata fiscalizzazione dell’abuso ai sensi dell’art. 34 del d.p.r. n. 380/2001 non trova giustificazione nell’ipotetica impossibilità di eseguire la demolizione senza pregiudizio dell’edificio preesistente: nessuna prova concreta è, infatti, fornita dai ricorrenti, ai sensi e per gli effetti dell’art. 64, comma 1, cod. proc. amm., circa il pregiudizio derivante a detto edificio dalla eliminazione delle opere contestate con l’ordinanza di demolizione n. 8 dell’11 febbraio 2015.

13. Le statuizioni formulate retro, sub n. 5, denotano anche l’infondatezza delle censure avverso le contestazioni di abusività del mutamento dell’ex locale deposito-cantina in appartamento residenziale, nonché della realizzazione del box auto e del locale deposito entro il corpo adiacente all’edificio condominiale e sormontato da terrazzo di copertura (cfr. retro, in narrativa, sub n. 3.c-d).

Ad esse è solo il caso di soggiungere, a ripudio della prospettata irresponsabilità dei ricorrenti, che, a norma dell’art. 31, comma 1, del d.p.r. n. 380/2001, la demolizione è ingiunta, oltre che all’autore dell’abuso edilizio, anche al proprietario del bene, seppure non responsabile dell’abuso medesimo, integrando, quest’ultimo, come detto, un illecito permanente sanzionato in via ripristinatoria a prescindere dall’accertamento del dolo o della colpa del soggetto trasgressore (cfr. Cons. Stato, ad. plen., 17 ottobre 2017, n. 9; sez. VI, 28 luglio 2017, n. 3789; TAR Liguria, Genova, sez. I, 16 dicembre 2015, n. 1003; TAR Campania, Napoli, sez. III, 8 gennaio 2016, n. 14; Salerno, sez. I, 6 giugno 2017, n. 1028; sez. II, 6 novembre 2017, n. 1574; TAR Lazio, Roma, sez. I, 24 febbraio 2016, n. 2588; TAR Umbria, Perugia, 24 giugno 2016, n. 521; TAR Toscana, Firenze, sez. III, 28 febbraio 2017, n. 313; TAR Valle d’Aosta, Aosta, 24 maggio 2017, n. 32).

14. Fuori sesto è l’assunto attoreo di inconferenza del richiamo al vincolo paesaggistico gravante sull’area di intervento, siccome sopravvenuto all’edificazione ed avente natura relativa (cfr. retro, in narrativa, sub n. 3.g).

Il richiamo in parola vale, segnatamente, a giustificare l’applicabilità dell’art. 27, comma 2, del d.p.r. n. 380/2001 alla fattispecie in esame.

In virtù di tale norma, nonché in omaggio al canone generale di indifferenza della richiesta tipologia di titolo abilitativo rispetto all’individuazione del regime sanzionatorio applicabile agli abusi edilizi commessi in zone vincolate, gli interventi contestati non sfuggono, in ogni caso, alla misura demolitorio-ripristinatoria, essendo eseguiti in area paesaggisticamente vincolata (sul punto, cfr., ex multis, TAR Campania, Napoli, sez. VI, n. 2644/2012; sez. IV, n. 2898/2013; sez. VI, n. 5116/2013; n. 5119/2013; n. 3774/2018; sez. III, n. 1093/2018; Salerno, sez. II, n. 1789/2018; Napoli, sez. III, n. 26/2019; TAR Lombardia, Brescia, sez. II, n. 539/2018).

Ebbene, la dedotta sopravvenienza del vincolo paesaggistico è, di per sé, insuscettibile di elidere l’applicabilità del citato art. 27, comma 2, del d.p.r. n. 380/2001, stante il perdurare dell’illecito edilizio all’indomani della sua imposizione.

Nel contempo, la dedotta natura relativa del medesimo vincolo paesaggistico è insuscettibile di elidere l’irrogabilità della misura demolitoria, fintantoché esso non sia sanato (il che rimane escluso nel caso in esame dal pronunciato diniego n. 44 del 22 dicembre 2014).

15. A dispetto, infine, delle proposizioni di parte ricorrente (cfr. retro, in narrativa, sub n. 3.h), in assenza di previa istanza ex art. 36 del d.p.r. n. 380/2001, la pretesa sanabilità degli abusi accertati non avrebbe potuto precludere l’adozione della misura repressivo-ripristinatoria.

L’emessa ordinanza di demolizione n. 44 del 30 aprile 2010 non necessitava, infatti, di valutazione ex officio in ordine alla conformità o meno delle opere abusive agli strumenti urbanistici, posto che, una volta accertata l’esecuzione di interventi privi di permesso di costruire, ne doveva essere disposta la rimozione, indipendentemente dalla loro eventuale conformità allo strumento urbanistico e dalla loro ipotetica sanabilità: ciò, in quanto, l’abusività di un’opera edilizia costituisce, già di per sé, presupposto per l’applicazione della prescritta sanzione demolitoria (cfr. TAR Campania, Napoli, sez. VIII, n. 416/2017).

16. In conclusione, essendo venuto meno l’interesse a proporlo, il ricorso iscritto a r.g. n. 1800/2014 va dichiarato improcedibile, mentre, essendosene ravvisata la totale infondatezza, il ricorso iscritto a r.g. n. 666/2015 va respinto.

17. Quanto alle spese di lite, esse devono seguire la soccombenza e, quindi, liquidarsi nella misura indicata in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, Sezione staccata di Salerno (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando:

– riunisce i ricorsi in epigrafe;

– dichiara improcedibile il ricorso iscritto a r.g. n. 1800/2014;

– respinge il ricorso iscritto a r.g. n. 666/2015;

– condanna Cappetta Giuseppe e Rubino Anna al pagamento, in solido tra loro, delle spese di lite, che si liquidano nella misura complessiva di € 3.000,00 (oltre oneri accessori, se dovuti), in favore del Comune di Salerno.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Salerno nella camera di consiglio del giorno 26 febbraio 2020 con l’intervento dei magistrati:

Maria Abbruzzese, Presidente

Paolo Severini, Consigliere

Olindo Di Popolo, Consigliere, Estensore

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