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L’accesso civico e i poteri del giudice amministrativo: alla ricerca di una azione in materia di accesso generalizzato[1]
 
SOMMARIO: 1. Premessa 2. L’accesso civico generalizzato: diritto soggettivo o interesse legittimo? 3. Il quadro normativo di riferimento relativo alla tutela giurisdizionale 4. La tutela processuale del cittadino in caso di inerzia dell’amministrazione 5. Individuazione del termine per proporre ricorso in caso di inerzia 6. Le pronunce del giudice amministrativo in caso di silenzio dell’amministrazione 7. Le decisioni del giudice amministrativo in caso di impugnativa del diniego espresso sull’istanza di accesso generalizzato  8. I poteri del giudice amministrativo  9. Alla ricerca di un’azione per l’accesso civico generalizzato: azione di accertamento “atipica”?
 
  1. Premessa 
Può risultare di grande interesse, a volte, seguire il rocambolesco percorso della giurisprudenza nell’affannoso tentativo di assicurare effettività alla tutela giurisdizionale,  paragonabile a un fiume in piena che cerca la sua strada, che, pur segnata, all’inizio potrebbe risultare comunque  difficile da imboccare. 
Potrebbe capitare, quindi, di osservare come a volte si facciano molteplici tentativi, non sempre fortunati, prima di riuscire a  intraprendere  la via più giusta e a delineare un orientamento che appaghi le aspettative di giustizia dei cittadini. 
Può, inoltre, accadere che il fiume in piena di pronunce dei giudici inneschi commenti, rimeditazioni, classificazioni vecchie e nuove e che anche la dottrina dia il suo contributo alla “piena” con  considerazioni e interpretazioni giuridiche, anch’esse alla ricerca di un “letto” sicuro nel quale fluire.  
L’immagine di un fiume in piena è quella che evoca allo studioso il monitoraggio delle pronunce del giudice amministrativo in tema di accesso civico generalizzato, istituto introdotto con il decreto legislativo 97/2016[2], che per certi versi può ritenersi ancora  “nuovo”; si tratta di pronunce  che cercano, in un quadro normativo poco chiaro, incompleto e forse teleologicamente ancora “immaturo”, di dare una risposta di effettività al cittadino e alla sua esigenza di veder soddisfatto il “diritto di conoscere”, “the right to know”, diritto che ancora stenta ad affermarsi quale libertà fondamentale.  
Lasciando da parte la metafora, l’intento di questo lavoro è quello di capire, attraverso l’esame di alcune delle più significative pronunce del giudice amministrativo, quale è, a legislazione invariata,  il rito speciale che  meglio garantisce ovvero potrebbe garantire le aspettative di conoscenza del quisque de populo e se in pratica si possa  intravedere all’orizzonte un ”rito dell’accesso alla informazione amministrativa” che nasce proprio dalla esigenza di dare pienezza ed effettività a quella tutela che la giurisdizione amministrativa assicura  secondo i principi costituzionali e del diritto europeo[3].  
Fatta, quindi,  una premessa sulla natura giuridica dell’accesso civico generalizzato e sul quadro normativo processuale di riferimento, saranno prese in considerazione le pronunce che in alcuni casi scaturiscono dall’impugnativa del silenzio dell’amministrazione che consegue all’istanza di accesso generalizzato, altre volte dall’impugnativa di un diniego espresso,  con l’intento di far emergere, in primo luogo, la differente tipologia  di attività amministrativa che può venire in gioco;  si focalizzerà, poi,  l’attenzione sul  differente avviso del giudice e l’estensione dei suoi poteri in caso di istanza di accesso generalizzato, per  giungere a verificare se la scelta del rito dell’accesso ex art. 116 c.p.a., operata dal legislatore,  possa considerarsi  “adeguata”.  
L’obiettivo finale è, in sostanza, quello di capire se il principio di effettività che regola il processo amministrativo stia portando il giudice verso un’azione di accertamento e di adempimento, che potrebbe in qualche modo classificarsi “atipica”, ovvero se il giudice, consapevolmente o meno, stia invece facendo solo lo sforzo di garantire al cittadino una risposta di effettiva tutela, a fronte di un rito scelto dal legislatore non sempre soddisfacente o facilmente applicabile (in ragione del tipo di attività amministrativa che viene in gioco), utilizzando “tutti” i poteri  messi a sua disposizione.
 
2. L’accesso civico generalizzato: diritto soggettivo o interesse legittimo? 
Se l’accesso civico generalizzato debba essere considerato un diritto soggettivo o un interesse legittimo è tema che gran parte della dottrina non affronta in maniera diretta, dando per scontato che si possa trattare dell’uno o dell’altro, in ragione della lettura che si preferisce dare alla disciplina sostanziale. 
Come è noto l’art. 1, co. 1 del d. lgs. 33/2013 (da ora anche decreto trasparenza) prevede che «la trasparenza è intesa come accessibilità totale dei dati e documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, allo scopo di tutelare i diritti dei cittadini, promuovere la partecipazione degli interessati all’attività amministrativa e favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche»; segue poi  l’art. 3 dello stesso decreto, che, in modo inequivoco, assicura, a tutti, il “diritto alla conoscibilità”, da esercitare attraverso lo strumento dell’accesso civico; mentre, da ultimo, l’art. 5, co. 2 (come modificato dal decreto legislativo 97/2016) introduce, per la prima volta nell’ordinamento italiano, il “diritto” di chiunque di accedere ai dati e ai documenti detenuti dalle amministrazioni, nel rispetto di un elenco di interessi-limite, pubblici e privati, di cui all’art. 5-bis del medesimo decreto trasparenza. Queste disposizioni dovrebbero consentire, nel loro complesso, di realizzare non solo un diritto individuale all’informazione amministrativa, ma anche una effettiva partecipazione alla vita democratica del Paese e un controllo diffuso sull’attività delle amministrazioni. Il termine “diritto”, nelle norme richiamate, viene utilizzato in modo inequivoco e lascia all’interprete l’idea che si sia voluto assicurare il diritto di conoscere del cittadino, assicurando un’amministrazione aperta e trasparente: quindi, una situazione giuridica  piena di “pretesa”, da far valere non solo nell’ambito della società civile, ma soprattutto in ambito amministrativo e giurisdizionale. 
Come si vedrà più avanti, nonostante l’inequivoco dato letterale, nella sostanza il termine diritto sembra essere stato usato in modo “atecnico”[4]
Prima di addentrarci nella disamina dell’istituto e della sua reale portata, va ricordato che nella Carta costituzionale non si rinviene alcun riferimento al principio della trasparenza amministrativa[5], né vi è alcuna espressa disposizione che assicuri il diritto a conoscere del cittadino ovvero il suo diritto all’informazione amministrativa[6]
Nonostante la mancanza di agganci costituzionali espliciti, tale diritto trova  il proprio riconoscimento nel combinato disposto degli articoli 2, 3,  21,  97 e 117  della Cost.[7] 
Secondo condivisibile dottrina, il diritto a conoscere l’attività amministrativa, e quindi il diritto di informarsi e di essere informati quale esplicazione del principio di trasparenza[8] che caratterizza ogni regime democratico, può certamente essere riguardato come un nuovo diritto individuale e sociale[9], riconducibile all’evoluzione del significato che hanno assunto nel tempo le richiamate disposizioni costituzionali[10]. Potrebbe, infatti, inquadrarsi  come un nuovo diritto costituzionale “emergente”[11], da far rientrare nel “patrimonio irretrattabile della persona umana”[12] e da riconoscere tra i diritti inviolabili dell’individuo[13].  
Il diritto di informarsi e di essere informati è alla base della formazione dell’opinione pubblica e di ogni efficiente sistema democratico: se si vuole garantire la partecipazione del cittadino [14], non si può prescindere dalla conoscenza e dalla libertà di accedere alle informazioni pubbliche[15]. Non a caso, molti  anni fa, un filosofo liberale come Norberto Bobbio affermava che un potere invisibile è solo per questo autoritario, mentre un potere trasparente è già per questo democratico: «La democrazia è idealmente il governo del potere visibile, cioè del governo i cui atti si svolgono in pubblico, sotto il controllo della pubblica opinione….l’opacità del potere è la negazione della democrazia….Non esiste democrazia senza opinione pubblica, senza la formazione di un pubblico che pretende di avere diritto a essere informato delle decisioni che vengono prese nell’interesse collettivo e di esprimere su di esse la propria libera critica»[16].
Più di recente, la stessa Corte costituzionale ha chiarito che il principio di trasparenza, quale corollario del principio democratico, si manifesta nella legislazione interna, nella sua declinazione soggettiva, «nella forma di un diritto dei cittadini ad accedere» ai dati ed alle informazioni detenute dalle  pubbliche amministrazioni[17]; assume pienezza, così, il diritto del cittadino di informarsi, di reperire e di conoscere tutte le informazioni, dati e documenti di interesse pubblico, che attengono a decisioni pubbliche,  per soddisfare il  bisogno di essere un cittadino informato e partecipe  di una società democratica[18].
Inevitabilmente, la democrazia, la trasparenza amministrativa e la libertà di informarsi sono legate da un unico destino e si muovono in senso circolare traendo energia e nutrimento l’una dalle altre: più un sistema politico è democratico, maggiore sarà la trasparenza che vorrà assicurare ai suoi cittadini, più trasparenza si garantisce più libertà di informazione si è disposti a  riconoscere; infine, e chiudendo il cerchio, più libertà di conoscere si assicura ai cittadini, più democrazia ci sarà.
Sul punto va considerata, infine, anche la recentissima decisione del Consiglio di Stato, resa in Adunanza plenaria, che sebbene riferita al tema dell’applicazione dell’accesso civico generalizzato alla disciplina dei contratti pubblici, ha, preliminarmente, definito l’accesso civico generalizzato come diritto fondamentale che contribuisce al miglior soddisfacimento degli altri diritti fondamentali che l’ordinamento giuridico riconosce alla persona, diventando precondizione per l’esercizio di ogni altro diritto fondamentale riconosciuto dall’ordinamento. Secondo le argomentazioni dell’Adunanza plenaria, inoltre, «la natura fondamentale del diritto di accesso generalizzato, oltre che essere evincibile dagli artt. 1, 2, 97 e 117 Cost e riconosciuta dall’art. 42 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea per gli atti delle istituzioni europee, deve però collocarsi anche in una prospettiva convenzionale europea, laddove essa rinviene un sicuro fondamento nell’art. 10 CEDU»[19].   
Oltre alla connotazione personalistica, quale esplicazione di un diritto fondamentale, il diritto di accesso civico generalizzato, reca in sé anche una valenza “ solidaristica”, nel senso che, come chiarito dal Consiglio di Stato, «l’apertura della pubblica amministrazione alla conoscenza collettiva è funzionale alla disponibilità di dati di affidabile provenienza pubblica per informare correttamente i cittadini ed evitare il propagarsi di pseudoconoscenze e pseudocoscienze a livello diffuso»[20].
In disparte i rilevati “agganci” costituzionali[21], va considerato che la disciplina del diritto all’informazione pubblica, nell’ordinamento italiano è, comunque, affidata alla legislazione primaria. Il “diritto” all’accessibilità di cui all’art. 3 del d. lgs. 33/2013, sopra richiamato, non è garantito in modo “assoluto” ma deve essere contemperato con gli altri interessi pubblici e privati di cui all’art. 5 bis, commi 1 e 2  del “decreto trasparenza”, che ne limitano la portata e che vanno anch’essi salvaguardati al fine di evitare che l’ostensione che si garantisce al cittadino non comporti un “pregiudizio concreto” ai detti interessi. Con riguardo ai c.d. limiti relativi (di cui all’art. 5-bis, co. 1 e 2) il legislatore, contrariamente a quanto previsto nel caso dei limiti assoluti (di cui  all’art. 5-bis co. 3), non procede a codificare preventivamente le ipotesi di esclusione dell’accesso generalizzato, ma affida la decisione alla singola amministrazione, la quale dovrebbe procedere con una valutazione caso per caso, bilanciando l’interesse pubblico alla disclosure con la tutela di altri interessi di non minor rilievo anch’essi contemplati dall’ordinamento[22].  
Se questo è il quadro della disciplina ci si chiede, volendosi spingere a individuare la natura giuridica dell’accesso civico generalizzato, se esso sostanzi una  posizione di diritto soggettivo o piuttosto di interesse legittimo.  
A questo proposito, risultano  di grande interesse alcuni spunti di riflessione che giungono da risalente e autorevole dottrina secondo cui «Posta al centro del sistema la Pubblica Amministrazione e raffigurata la situazione giuridica individuale quasi un pianeta che ruoti intorno a quella, detta situazione appare come un diritto subiettivo nei momenti in cui è totalmente illuminata, e come interesse legittimo nei momenti in cui fra essa e la Pubblica Amministrazione s’interpone un concreto interesse pubblico che spetta alla Pubblica Amministrazione di discrezionalmente definire…..un diritto soggettivo, determinato in base ai caratteri di un’utilità specifica riconosciuta e garantita come tale a un soggetto, sussiste se e fin tanto che a un altro soggetto, in questo caso la Pubblica Amministrazione, non sia accordato il potere di sacrificarlo o limitarlo in vista di un concreto interesse pubblico…[23].  
Alla luce di detto insegnamento non deve sorprendere che si possa parlare contestualmente del diritto a conoscere come libertà fondamentale[24] e poi assoggettarlo alle limitazioni derivanti dall’esercizio del  potere pubblico, in quanto ciò accade anche con altri diritti fondamentali come, per esempio, il diritto alla salute per la cui tutela, tranne che per il diritto alla vita, non può esserci tutela illimitata e incondizionata dovendo lo stesso diritto essere contemperato con altrettanti rilevanti interessi pubblici e diritti fondamentali[25]
Nel caso dell’accesso civico generalizzato il legislatore ha previsto un elenco non solo  di interessi pubblici ma anche privati che l’amministrazione deve salvaguardare in occasione del bilanciamento che è chiamata ad effettuare, interessi che in verità sono quasi del tutto  sovrapponibili a quelli posti come limiti all’accesso documentale, ma che rispetto a quest’ultimo risultano maggiormente limitanti  in ragione della diversa posizione sostanziale del richiedente e della valutazione del suo interesse a conoscere: interesse “generale” alla trasparenza, nel primo caso,  interesse del singolo per la tutela e la protezione dei propri interessi individuali (diretti, concreti e attuali), nel secondo caso[26]
Con riferimento all’accesso civico generalizzato, va considerato, quindi, che l’interesse a conoscere viene soddisfatto,  come affermato da condivisibile dottrina,  «se e fintanto che non emergano interessi pubblici o privati potenzialmente confliggenti, rimettendo alla valutazione discrezionale dell’amministrazione la loro contemperazione e quindi la possibilità di soddisfazione dell’interesse alla conoscenza….Bilanciamento caso per caso degli interessi in conflitto. Discrezionalità pura».[27] 
Dello stesso avviso è il giudice amministrativo che nel decidere in merito all’impugnativa del rigetto di una istanza di  accesso generalizzato riferita a documenti attinenti a relazioni internazionali (di questa pronuncia di parlerà anche nel paragrafo 7) ha considerato, con riguardo all’attività di bilanciamento dell’amministrazione, che trattasi spesso di  valutazioni caratterizzate da elevata discrezionalità, se non addirittura di carattere politico[28]
Condividendo l’autorevole dottrina richiamata, se quindi la soddisfazione dell’interesse  a conoscere del quisque de populo previsto dal legislatore dipende “solo” dalla valutazione (quasi sempre) discrezionale rimessa all’amministrazione, la quale sceglierà quale interesse deve considerarsi rilevante sebbene dietro obbligo di adeguata motivazione, ciò certamente non depone per la configurazione del diritto di accesso generalizzato come diritto soggettivo, quanto piuttosto come interesse legittimo[29]. Deve necessariamente prendersi atto che nonostante il diritto di informarsi sia inquadrabile quale libertà fondamentale e nella sua declinazione soggettiva come un diritto, in ragione della scelta operata dal legislatore, tale “diritto” può più agevolmente essere ricondotto a una posizione di interesse legittimo. Va comunque chiarito che non si intende con questa classificazione sminuire la portata e la rilevanza della posizione giuridica del richiedente, ma si intende solo prendere atto del dato normativo e procedere a “un bagno di realtà”, rispetto agli ampi poteri assegnati alle amministrazioni di incidere sulla detta posizione[30]. Non va tralasciato, infatti, di considerare che oggi alle due posizioni giuridiche di diritto soggettivo e interesse legittimo sono assicurate le stesse tutele e che qualificare la posizione del richiedente come interesse legittimo serve a mettere in evidenza che si tratta di una posizione giuridica per la quale il bene della vita da soddisfare necessita dell’intermediazione dell’attività amministrativa, una posizione che dialoga quasi sempre con il potere  amministrativo,  la cui tutela passa necessariamente attraverso l’esercizio di quest’ultimo[31]. E’ per questo che, per come si dirà più avanti, il giudice amministrativo, nel caso di mancato o cattivo esercizio di questo potere, non sempre  riesce a sostituirsi all’amministrazione (a dispetto del potere di accertamento riconosciutogli dal rito dell’accesso ex art. 116 c.p.a.), ostando a ciò l’art. 34, comma 2, cpa, (che prevede che il giudice amministrativo non si pronunci su poteri non ancora esercitati), potendo, in caso di discrezionalità dell’amministrazione, solo verificare la correttezza dell’esercizio del potere. Come chiarito da condivisibile dottrina, «il sindacato giurisdizionale non potrà mai essere volto all’attribuzione immediata bel bene della vita mediante l’inammissibile esercizio diretto e sostitutivo del potere amministrativo, ma riguarderà sempre l’esercizio del potere pubblicistico, sia pure con una intensità che, solo in caso di potere vincolato, si può tradurre nel riconoscimento della spettanza del bene della vita ingiustamente negato dall’amministrazione».[32]  
Il potere di natura pubblicistica di valutare tutti gli interessi coinvolti e di incidere “unilateralmente” sulla sfera giuridica del richiedente implica che la posizione del soggetto leso dall’atto (o dall’inerzia mantenuta dall’amministrazione) risulti meglio qualificabile come posizione di interesse legittimo[33].
Ragionevolmente, solo laddove si rinvengano richieste riguardanti dati e documenti  per i quali l’amministrazione ha già “speso” il suo potere ed esercitato la sua discrezionalità si potrà vantare  una posizione di “diritto” all’ostensione. Come si vedrà più avanti, la consistenza della situazione giuridica vantata dal richiedente è in grado di condizionare anche la portata della pronuncia del giudice amministrativo.  
A chiarimento del tema trattato, può essere utile qui ricordare il dibattito che si è sviluppato quasi due decenni fa con riguardo alla natura giuridica dell’accesso documentale[34], dibattito lasciato sullo sfondo dalle sentenze dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 6 e 7 del 2006 [35]e risolto in parte con la previsione della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia. 
Come si ricorderà, anche per l’accesso documentale, si registrò, da una parte, un  orientamento (minoritario) della giurisprudenza amministrativa[36] che sostenne la tesi che si trattava di un interesse legittimo, in ragione del collegamento della posizione del privato con l’interesse pubblico e facendo leva sulla struttura impugnatoria del relativo giudizio e dall’altra una tesi (poi risultata maggioritaria), consolidatasi nel tempo, che lo qualificava  in termini di diritto soggettivo[37]
A favore della qualificazione dell’accesso documentale in termini di diritto soggettivo depone (anche in questo caso come per l’accesso generalizzato) il dato letterale offerto dall’art. 22 della legge 241/1990, come modificato dalla legge 15/2005, che testualmente definisce l’istituto in parola come «il diritto degli interessati di prendere visione e di estrarre copia di documenti amministrativi». 
La previsione introdotta dalla legge n. 80/2005[38], secondo cui le controversie in materia di accesso ai documenti rientrano nell’ambito della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ha fatto, comunque, perdere interesse al sopra menzionato dibattito, potendo il giudice conoscere delle questioni relative alle richieste di ostensione di documenti quale che sia la natura del “diritto di accesso”. La giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in tema di accesso documentale è stata confermata dal Codice del processo amministrativo, essendo state le relative controversie incluse tra quelle di cui all’art. 133 c.p.a., assoggettate appunto alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.  
La considerazione per cui anche in caso di accesso civico generalizzato sussiste la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo non appaga, invece, lo studioso con riguardo alla questione della natura giuridica dell’accesso generalizzato in quanto approfondire tale tematica consente di comprendere meglio la portata delle pronunce del giudice.
Proseguendo, quindi,  nel confronto tra accesso documentale e accesso civico generalizzato, la distinzione tra le due discipline non risiede tanto nella diversa serie di interessi-limite cui sono sottoposti entrambi gli istituti, che sono in gran parte sovrapponibili e la cui valutazione è rimessa (in entrambi i casi)  al bilanciamento dell’amministrazione per evitarne il pregiudizio concreto[39], quanto nella finalità prevista dalla legge per cui si tratta, nell’un caso, di una trasparenza sancita  per tutelare interessi individuali del richiedente (accesso documentale) che spesso prevalgono rispetto agli interessi pubblici e privati in conflitto e, nell’altro,  di una trasparenza intesa a favorire la conoscenza diffusa e il dibattito pubblico (accesso civico generalizzato), imperniata non sulla considerazione del soggetto che chiede ma sull’oggetto dell’anelito conoscitivo, o se, si preferisce, “non  su chi vuole conoscere ma  su cosa si chiede di sapere”.
Ciò che fa propendere, con riguardo all’accesso documentale, per la configurazione dello stesso come situazione giuridica di diritto soggettivo è la posizione di maggiore forza riconosciuta agli interessi del richiedente che entrano nel bilanciamento con gli altri interessi pubblici e privati  da tutelare e anche per il favor  per la conoscenza (a tutela di interessi individuali)  che la disciplina sostanziale oggettivamente rivela  (art. 24, co. 7 della legge 241/1990), presupposti questi che mancano nella disciplina sulla trasparenza generalizzata nell’ambito del cui bilanciamento non è stata inserita, da parte del legislatore, nemmeno la necessaria valutazione dell’ “interesse pubblico a conoscere”, e cioè la tendenziale preferenza per la trasparenza amministrativa, tipica del modello anglosassone, scelta che si spera, de iure condendo, possa essere rimeditata.  
Basti considerare le seguenti previsioni secondo cui l’accesso documentale è riconosciuto per tutelare «un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso» (art. 22, co. 1, lett. b), della legge 241/1990);  che  «Deve comunque essere garantito ai richiedenti l’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici….» inclusi i documenti contenenti dati sensibili e giudiziari, quando l’accesso sia strettamente indispensabile ovvero quelli idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale quando si tratta di tutelare posizioni di pari rango, diritti  della personalità o  libertà fondamentali (art. 24, co. 7, della legge 241/1990); e, infine, la norma speciale sugli appalti che prevede il c.d. accesso difensionale con la possibilità data all’interessato/concorrente  di superare anche il limite dei segreti tecnici o commerciali ai fini della difesa in giudizio dei propri interessi in relazione alle procedure di affidamento (art. 53, co. 6, d. lgs. 50/2016).  
Queste norme consentono al richiedente (l’accesso documentale) di confidare sulla titolarità di una situazione giuridica ben individuata, forte, da spendere nel corso dell’istruttoria e durante l’attività di bilanciamento che effettua l’amministrazione. Per colui che, invece,  chiede di conoscere con istanza di accesso generalizzato non c’è la possibilità di vedere valutata la sua richiesta alla luce della libertà (diritto) di informarsi che esercita  e del suo interesse a veder assicurata la trasparenza amministrativa che potrebbe realizzarsi con l’ ostensione dei documenti o delle informazioni richieste  in quanto il bilanciamento previsto dal legislatore, attualmente, si incentra  solo sulla necessità di evitare un pregiudizio concreto agli interessi pubblici e privati previsti dall’art. 5 bis del decreto trasparenza, i quali,  inevitabilmente, non avendo un “contrappeso”, finiscono quasi sempre per prevalere.
Al contrario di ciò che si rinviene per l’accesso generalizzato e per completare il quadro normativo di riferimento, va considerato, invece, che la disciplina in tema di accesso alle informazioni ambientali di cui al d. lgs. 195/2005 impone che in sede di bilanciamento con gli interessi-limite, venga sempre considerato l’interesse pubblico a conoscere; infatti, l’autorità pubblica è tenuta ad applicare  le limitazioni previste dal decreto in modo restrittivo, «effettuando, in relazione a ciascuna richiesta di accesso, una valutazione ponderata fra l’interesse pubblico all’informazione ambientale e l’interesse tutelato dall’esclusione dall’accesso»[40].
Come è evidente, in questo caso, l’interesse pubblico a conoscere l’informazione richiesta entra nel bilanciamento e ciò dà maggiore consistenza in termini di “diritto” alla posizione del richiedente, dovendo l’amministrazione necessariamente valutare, accanto al pregiudizio che la diffusione può creare, anche l’interesse del richiedente ad avere conoscenza delle informazioni ambientali e alla diffusione pubblica delle stesse.
Mancando una tale previsione nell’ambito della disciplina sull’accesso generalizzato, deve giocoforza ritenersi che la situazione giuridica di cui è titolare il richiedente,  che si contrappone al potere pubblicistico (discrezionale) di valutare tutti gli interessi coinvolti (evitando il pregiudizio concreto agli stessi),  non è di “diritto” e che il rapporto giuridico che si stabilisce tra cittadino e amministrazione non può considerarsi in termini di diritto-obbligo[41]. Sul punto, tuttavia, si rinvia alle argomentazioni di cui al paragrafo 8, secondo cui, nonostante la scelta “discrezionale” spettante all’amministrazione e riferita alla singola istanza di accesso, quest’ultima, in ragione del bilanciamento da effettuare alla luce dei principi di proporzionalità e ragionevolezza,  dovrà, comunque,  necessariamente, tenere conto anche dell’interesse a conoscere del richiedente che sottende l’istanza.[42]
In conclusione, mutuando la categoria giuridica da un recente articolo di dottrina in tema di tutela dei disabili (e declinando in chiave processuale anche il diritto di informarsi), si potrebbe  parlare dell’accesso civico generalizzato come  di  “interesse legittimo fondamentale”[43], ogni qualvolta lo stesso si inserisce in un rapporto di diritto pubblico, mantenendo così in parte l’enfasi iniziale per cui andrebbe inquadrato tra i diritti fondamentali dell’individuo. 
Muovendo dalle questioni sulla natura giuridica dell’accesso generalizzato,  va ora valutato se la scelta legislativa di affidare al rito sull’accesso (e quindi all’azione di accertamento che ne consegue) la tutela giurisdizionale appaghi o meno le aspettative di tutela del ricorrente, in considerazione sia dell’attività discrezionale dell’amministrazione che dei “poteri” attribuiti  al giudice amministrativo nella prospettiva, anche europea, della piena ed effettiva tutela giurisdizionale.   
 3. Il quadro normativo di riferimento relativo alla tutela giurisdizionale 
All’esito di un’istanza di accesso generalizzato, l’amministrazione (o il soggetto che riceve l’istanza) che non intende accogliere la richiesta ostensiva,  assume, di regola,  una decisione espressa con la quale  nega,  differisce o  accoglie parzialmente l’istanza. A volte  accade, anche,  che l’amministrazione non assuma alcuna decisione facendo registrare quindi mera inerzia. 
Con riguardo alla tutela processuale che ne consegue, deve  in primo luogo considerarsi che l’art. 5, co 6 del d. lgs. 33/2013 prevede, con riguardo alla decisione dell’amministrazione, che «Il procedimento di accesso civico deve concludersi con provvedimento espresso e motivato nel termine di trenta giorni dalla presentazione dell’istanza con la comunicazione al richiedente e agli eventuali controinteressati». Come è evidente, a differenza dell’art. 25, co. 4, della l. 241/1990 (che prevede una ipotesi di silenzio significativo, di segno negativo, in caso di silenzio serbato dall’amministrazione sull’istanza di accesso ai documenti), la disciplina in tema di accesso civico generalizzato, sopra citata, non prevede un’ipotesi di silenzio-rigetto: a fronte di una istanza di accesso civico, quindi,  se l’amministrazione non risponde nel termine assegnato, anche nell’ipotesi di riesame, non si concretizza una ipotesi di silenzio significativo, stante la mancanza di tipizzazione legislativa del silenzio. La norma, infatti, non fa alcun riferimento all’inerzia dell’amministrazione, ma prevede un obbligo per la stessa di adottare, a fronte dell’istanza di accesso civico, un provvedimento espresso[44].
Per quanto concerne più propriamente la tutela giurisdizionale, l’art. 5, co. 7, del d. lgs. 33/2013 prevede che avverso «la decisione dell’amministrazione competente o, in caso di richiesta di riesame, avverso quella del responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza, il richiedente può proporre ricorso al Tribunale amministrativo regionale ai sensi dell’articolo 116 del Codice del processo amministrativo» e cioè secondo il rito dell’accesso. La norma, non disciplinando l’ipotesi in cui l’amministrazione ovvero il Responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza (compulsato in sede di riesame rispetto alla precedente decisione della amministrazione o a fronte di precedente silenzio serbato dall’ufficio competente) non si pronunciano sull’istanza di accesso, impone di qualificare tale inerzia come silenzio non significativo e cioè come silenzio-inadempimento (silenzio-rifiuto)[45]. Nel termine “decisione”, infatti, da considerare impugnabile davanti al giudice amministrativo, non può ritenersi inclusa anche l’ipotesi di “inerzia” proprio perché il decreto trasparenza non la qualifica come ipotesi di silenzio-significativo. 
In ordine alla tutela processuale, l’art. 52 del d.lgs. 33/2013 ha introdotto alcune modifiche al codice del processo amministrativo e, in particolare agli articoli 23, 87,  116 e 133, che devono ritenersi applicabili  anche alle controversie relative all’accesso civico generalizzato. Il d.lgs. 97/2016, che ne ha disposto l’introduzione nel decreto trasparenza, infatti, non ha apportato alcuna modifica ulteriore al codice del processo amministrativo. 
Preliminarmente, deve considerarsi che, per come si ricava dall’art. 133 c.p.a., la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo copre anche le controversie in tema di accesso civico generalizzato (oltre che quelle per l’accesso documentale).  
Va sul punto rilevato, come più volte chiarito dalla giurisprudenza, e come ora definitivamente sancito anche dall’art. 7, co. 1, d.lgs. 104/2010, che la giurisdizione esclusiva presuppone tradizionalmente che l’oggetto della controversia abbia un collegamento, sia pure indiretto o mediato, con l’esercizio del potere pubblico[46], collegamento che necessariamente sussiste nella materia della trasparenza. 
Gli articoli del c.p.a. sopra citati, nella parte in cui contengono un espresso riferimento agli “obblighi di trasparenza”, ricomprendono nella locuzione  anche  l’accesso civico generalizzato e tra “gli obblighi”, in particolare, non solo quelli di pubblicazione di dati e documenti sui siti, ma tutte le procedure e le decisioni necessarie per rendere effettiva la trasparenza quale interesse pubblico da perseguire attraverso i vari adempimenti, tra cui anche quello di dare attuazione al diritto di conoscere[47].  
Per quanto concerne gli aspetti processuali, brevemente in questa sede si delineano le caratteristiche principali del rito sull’accesso previsto dall’art. 116 del c.p.a.  quanto ai ricorsi «contro le determinazioni e contro il silenzio sulle istanze di accesso ai documenti amministrativi, nonché per la tutela del diritto di accesso civico connessa all’inadempimento degli obblighi di trasparenza».  
Come è noto, si tratta di un rito speciale che si svolge in camera di consiglio ed è strutturato come giudizio impugnatorio, in quanto oggetto del ricorso sono le determinazioni e il silenzio serbato sull’istanza di accesso documentale. Il termine per la proposizione del ricorso resta quello di 30 giorni, dimidiato rispetto al termine ordinario dei sessanta giorni per il ricorso al giudice amministrativo. Per proposizione deve intendersi l’avvenuta notifica del ricorso all’amministrazione e ad almeno uno dei controinteressati, se presenti[48]
Per quanto concerne il deposito del ricorso, il termine è dimezzato. Al rito dell’accesso si applica, infatti, l’art. 87 c.p.a. che disciplina i termini per il rito camerale[49].  
Quanto ai poteri riservati al giudice in caso di accoglimento del ricorso, il co. 4 dell’art. 116 del Codice, come modificato dal d.lgs. 33/2013, prevede che, allorquando ne sussistano i presupposti, il giudice ordina l’esibizione dei documenti richiesti e, ove previsto, la pubblicazione dei documenti richiesti, dando un termine non superiore, di norma, a trenta giorni, e dettando, ove occorra, le relative modalità.  
Nonostante il suo carattere impugnatorio, quindi, il giudizio in materia di accesso è rivolto ad accertare la sussistenza o meno del titolo all’accesso nella specifica situazione addotta dal privato, alla luce dei parametri normativi e indipendentemente dalla maggiore o minore correttezza delle ragioni esternate dall’amministrazione per giustificarne il diniego.  
Non può non osservarsi, comunque, che anche la pronuncia di condanna e quindi l’accertamento positivo della posizione vantata dal ricorrente passa attraverso la previa affermazione dell’illegittimità del diniego[50]
Naturalmente, con la pronuncia del giudice il ricorrente potrà ottenere un ordine di esibizione della documentazione richiesta, rivolto all’amministrazione (ovvero che la stessa venga pubblicata sul sito) mentre non potrà ottenere una condanna che imponga all’amministrazione la formazione di atti o documenti nuovi. 
4. La tutela processuale del cittadino in caso di inerzia dell’amministrazione 
Come si è già anticipato, in caso di inerzia dell’amministrazione di fronte a un’istanza di accesso generalizzato, la norma non prevede la formazione di una ipotesi di silenzio significativo, con accezione negativa, ma prevede solo che sia adottato un  provvedimento espresso[51].  
In base al dato normativo, quindi, a fronte dell’istanza di accesso generalizzato, l’amministrazione potrà accordare l’ostensione della documentazione richiesta (e motivare la scelta di trasparenza rispetto all’eventuale diniego opposto dal controinteressato coinvolto nel procedimento) ovvero negare espressamente l’accesso in ragione della necessità di tutelare uno degli interessi previsti dalla norma, che collida con la richiesta di trasparenza, ritenendo in tal caso che l’accesso possa creare un pregiudizio concreto a uno o più interessi considerati ed evidenziando il nesso di causalità sussistente tra l’accesso e il pregiudizio che potrebbe prodursi. 
È evidente che la singola amministrazione, chiamata a pronunciarsi su un’istanza di accesso generalizzato è il soggetto che più di altri, in ragione della specifica conoscenza che ha dell’attività che svolge, della sua organizzazione, potrà valutare se la “conoscenza diffusa” può comportare un pregiudizio agli interessi (pubblici e privati) che è chiamata a tutelare[52]. Ragionevolmente, è per questo che il legislatore ha voluto che rispetto a ogni istanza di accesso civico l’amministrazione dovesse pronunciarsi in modo espresso, per rendere conoscibili, per il controinteressato, le ragioni dell’accoglimento ovvero per il soggetto istante le ragioni dell’eventuale diniego, del differimento e dell’accesso parziale ed è questa pure la ragione, verosimilmente, per cui non è stata attribuita al silenzio una valenza “provvedimentale”. 
Se tali considerazioni sono corrette, allora è necessario che si stabilisca quale può essere la strada processuale da percorrere a fronte del silenzio serbato dall’amministrazione/RPCT.
Al contrario della disciplina sull’accesso ai documenti,  la mancanza di una tipizzazione legislativa del silenzio e cioè la possibilità che si formi un rigetto per silentium,  pone il problema del rito da intentare in caso di inerzia dell’amministrazione e  cioè se deve ritenersi che essa sostanzi una ipotesi di silenzio-inadempimento, la cui illegittimità deve essere fatta valere con un ricorso (avverso il silenzio) da proporre ex art. 117 c.p.a., con la possibilità di chiedere un (eventuale) accertamento sulla fondatezza della pretesa (art. 31, co. 3 del c.p.a.) ovvero se occorra attivare comunque il rito dell’accesso ex art. 116 c.p.a. per come previsto dalla norma (art. 5, co. 8 del d.lgs. 33/2013), che si riferisce, tuttavia, ai soli provvedimenti espressi.
Partendo da considerazioni sistematiche, va osservato che nel caso in cui l’amministrazione, rispetto a una istanza del cittadino sulla quale ha un obbligo di provvedere, non concluda il procedimento con un provvedimento espresso, si ha una ipotesi di silenzio – inadempimento, che consente al cittadino medesimo di proporre l’azione avverso il silenzio, ex art. 117 c.p.a., al fine di far accertare dal giudice la violazione dell’obbligo dell’amministrazione di provvedere e ottenere quindi una condanna dell’amministrazione inadempiente a concludere il procedimento con un provvedimento espresso[53]. Il co. 3 dell’art. 31 del c.p.a. prevede, inoltre, che il giudice amministrativo si pronunci sulla fondatezza della pretesa dedotta in giudizio «quando si tratta di attività vincolata o quando risulta che non residuano ulteriori margini di esercizio della discrezionalità e non sono necessari adempimenti istruttori che debbano essere compiuti dall’amministrazione». Non avendo il legislatore previsto, a fronte dell’inerzia dell’amministrazione sull’istanza di accesso generalizzato, il formarsi di un “provvedimento tacito negativo”, se ne dovrebbe trarre l’avviso per cui il richiedente, decorsi i termini di legge, dovrebbe adire il giudice amministrativo proponendo un ricorso avverso il silenzio dell’amministrazione, per vederne dichiarata l’illegittimità e veder ordinato all’amministrazione di provvedere sull’istanza di accesso civico proposta. Tale scelta sembrerebbe quella più in linea con la volontà del legislatore di prevedere che, a fronte di ogni istanza di accesso generalizzato, si abbia una decisione motivata dell’amministrazione avendo appunto previsto che «il procedimento di accesso civico deve concludersi con provvedimento espresso e motivato».  
Seguendo tale soluzione dovrebbe conclusivamente ritenersi che, in caso di diniego espresso, differimento o accesso parziale, il richiedente potrà adire il giudice amministrativo invocando il rito dell’accesso previsto all’art. 116 c.p.a. (in quanto espressamente voluto solo per avversare “decisioni” esplicite), mentre in caso di silenzio dell’amministrazione/RPCT sull’istanza proposta potrà ricorrere al giudice amministrativo secondo il rito del silenzio con la riconosciuta possibilità di chiedere una espressa pronuncia sulla fondatezza della pretesa in caso di attività vincolata. 
Tale soluzione (che per quanto “tortuosa” potrebbe risultare quella più in linea con il potere attribuito all’amministrazione di tutela degli interessi pubblici e privati individuati e in grado di tutelare meglio  il cittadino/ricorrente rispetto alla conseguenze processuali derivanti dall’applicazione dell’art. 116 c.p.a.) non appaga del tutto se solo si considera che il cittadino, a fronte di una richiesta di accesso civico inoltrata per l’esigenza di sentirsi parte del “dibattito pubblico” e di avere contezza delle scelte amministrative fatte, senza quindi la spinta della diretta tutela dei propri interessi giuridici (che si richiede quando si tratta di accedere ai documenti ex art. 22 della legge 241/1990), dovrebbe prima adire il giudice amministrativo per ottenere una sentenza favorevole a fronte dell’illegittimo silenzio mantenuto dalla PA (se non si applica l’art. 31, co. 3 c.p.a.[54]) e successivamente, in caso di eventuale risposta espressa negativa in ordine all’istanza di accesso, ricorrere nuovamente al Tar per avversare il diniego espresso[55].
Invero deve ritenersi che anche la scelta di ritenere applicabile la strada del rito dell’accesso ex art. 116 c.p.a. non appaga del tutto se solo si considerano le problematiche processuali che tale scelta pone[56].  
In proposito, infatti,  non va dimenticato che sebbene il rito in materia di accesso sia costruito come rito impugnatorio, nel rispetto della regola generale che segna il processo amministrativo (il ricorrente chiede di annullare il provvedimento di rigetto esplicito ovvero il rigetto formatosi per silentium sull’istanza di accesso ai documenti, con azione proposta entro il termine di decadenza di 30 giorni), l’azione presenta i caratteri di un giudizio di accertamento, in cui il giudice dispone di ampi e penetranti poteri cognitori (il ricorrente, infatti, chiede contestualmente l’accertamento del diritto a conoscere) ed è chiamato a valutare se sussistono i presupposti per l’ostensione degli atti richiesti. In definitiva, il giudizio in materia di accesso agli atti dell’amministrazione, pur seguendo il rito impugnatorio, non ne ha sostanzialmente la natura, ma si atteggia come rito rivolto all’accertamento della sussistenza o meno del diritto dell’istante all’accesso medesimo; esso è dunque un giudizio sul rapporto, come del resto si evince dall’art. 116, co. 4 c.p.a., secondo cui «il giudice, sussistendone i presupposti, ordina l’esibizione e, ove previsto, la pubblicazione dei documenti richiesti».  Il giudice, in particolare, è chiamato a verificare la sussistenza del titolo per l’accesso, ossia della situazione soggettiva giuridicamente tutelata e sottesa all’istanza fatta valere dal privato, alla luce dei parametri normativi e a prescindere dalla maggiore o minore correttezza delle ragioni addotte dall’amministrazione a giustificazione del diniego.  
La particolare natura del rito e la sua differenza rispetto a quello ordinario caducatorio-impugnatorio possono cogliersi, inoltre, nel diverso tipo di pronuncia finale, che è quella di condanna dell’amministrazione a un facere specifico, che si concretizza nell’ordine all’esibizione dei documenti di cui era stato chiesto l’accesso[57]. Nel caso di silenzio dell’amministrazione sull’istanza di accesso generalizzato dovrà, quindi, considerarsi   fino a che punto può spingersi il giudice amministrativo quando, in accoglimento delle ragioni del ricorrente, dovrà ordinare un facere all’amministrazione e così garantire il “diritto a conoscere” dei cittadini. 
Il giudice potrà (o “dovrà”) procedere a quell’attività valutativa che l’amministrazione rimasta inerte avrebbe dovuto porre in essere “con la tecnica del bilanciamento caso per caso” sottesa alla istanza di accesso generalizzato?  
Potrebbe soccorrere, sul punto, l’esperienza maturata dalla giurisprudenza amministrativa nel campo dell’accesso documentale, anche se, comunque, quello generalizzato appare per certi versi un accesso più ampio anche se più “superficiale”, risultando, peraltro, più ampio anche il potere attribuito all’amministrazione di intervenire nel senso di limitarlo, muovendosi sul piano della tutela degli interessi pubblici e privati individuati dalla norma[58]
Va, infatti, osservato che, in caso di silenzio serbato dall’amministrazione sull’istanza di accesso documentale, la decisione (in sostituzione) del giudice non pone particolari problematiche in quanto la stessa risulta delimitata dalla posizione legittimante del richiedente, dalle ragioni esposte nell’istanza e dagli interessi pubblici e privati da tutelare. L’operato del giudice si muove, quindi, tra i presupposti dell’accesso e la considerazione dei limiti previsti dall’art. 24 della l. 241/1990. 
Nel caso dell’accesso civico generalizzato, invece, a fronte dell’inerzia dell’amministrazione, il giudice non riceve alcuna utile indicazione dalla titolarità in capo al richiedente di una specifica posizione giuridica tutelata dall’ordinamento (come per l’accesso documentale), se non l’indicazione “generica” che viene dal suo diritto alla trasparenza dell’attività amministrativa, garantito in via generale dall’ordinamento, nei limiti degli interessi pubblici e privati che devono essere tutelati in primis dall’amministrazione. Né può il giudice sostituirsi all’amministrazione nell’assicurare una tutela agli interessi previsti quali potenziali limiti del diritto a conoscere (si pensi, tra gli interessi pubblici da tutelare, alla conduzione di indagini sui reati e il loro perseguimento ovvero al regolare svolgimento di attività ispettive).
In caso di inerzia dell’amministrazione, in esito al ricorso proposto a tutela dell’accesso generalizzato,  si pongono in ipotesi due differenti fattispecie: quella in cui il giudice decide un ricorso riferito a istanza rispetto alla quale, in ragione della natura dei documenti richiesti e di come la loro eventuale conoscenza impatta sull’esercizio dell’azione amministrativa, alla p.a. non è attribuita (o non residua) alcuna discrezionalità nel concedere o meno l’accesso, venendo, quindi, in gioco una attività vincolata e quella in cui decide in esito a una richiesta di accesso rispetto alla quale l’attività dell’amministrazione non presenta i connotati della vincolatività ma piuttosto della discrezionalità. In questo ultimo caso più che ordinare l’ostensione, andrebbe ordinato all’amministrazione di provvedere sull’istanza in ragione del limite generale previsto dall’art. 34 c.p.a., comma 2, secondo cui «In nessun caso il giudice può pronunciare con riferimento a poteri amministrativi non ancora esercitati»[59].  Una diversa soluzione, che attribuisse al giudice  amministrativo il potere di ordinare l’esibizione documentale anche in caso di poteri discrezionali, implicherebbe la qualificazione della  giurisdizione amministrativa in tema di accesso  come giurisdizione di merito non nominata e atipica, integrativa delle materie expressis verbis elencate nell’articolo 134 c.p.a.
Né in questo caso il ricorrente potrebbe confidare sulla natura del rito previsto dall’art. 116 c.p.a. (che è  un giudizio sul rapporto, rivolto all’accertamento del diritto del richiedente). Sul punto va, infatti,  considerato quanto chiarito ancora dalla recente Adunanza plenaria secondo cui « ….il c.d. giudizio sul rapporto, pur in sede di giurisdizione esclusiva, non può essere la ragione né la sede per esaminare la prima volta avanti al giudice questo rapporto perché è il procedimento la sede prima, elettiva, immancabile, nella quale la composizione degli interessi, secondo la tecnica del bilanciamento, deve essere compiuta da parte del soggetto pubblico competente, senza alcuna inversione tra procedimento e processo»[60].
 
5. Individuazione del termine per proporre ricorso in caso di inerzia  
Una problematica di rilievo che si pone in tema di rito, in caso di inerzia serbata dall’amministrazione, riguarda il termine per proporre il ricorso e quindi l’eventuale regime di decadenza in cui potrebbe facilmente incappare il cittadino, tanto più se si considera che a norma dell’art. 23 c.p.a., nei giudizi in materia di accesso e trasparenza amministrativa «Le parti possono stare in giudizio personalmente senza l’assistenza del difensore …» e che, quindi, il cittadino potrebbe proporre ricorso senza l’ausilio della difesa tecnica. 
Come anticipato, non essendo previsto dall’art. 5, co. 6 del d. lgs. 33/2013 una ipotesi espressa di silenzio diniego, né, con l’art. 5 co. 7, l’immediata impugnabilità del silenzio formatosi con il rito sull’accesso, l’applicazione di quest’ultimo rito pone inevitabilmente il problema della decorrenza del termine per la notifica del ricorso. Nel caso dell’applicazione dell’art. 116 il termine per proporre ricorso è di 30 giorni dalla decisione dell’amministrazione mentre in caso di inerzia,  il termine per proporre ricorso, in base all’art. 31, comma 2, c.p.a. è di un anno e decorre per legge dalla scadenza del termine per provvedere.  
L’ipotesi del silenzio menzionata all’art. 116 c.p.a. è quella collegata alla fattispecie sostanziale di cui all’art. 25, co. 4 della legge 241/1990.  
Il co. 1 dell’art. 116 dispone, infatti, che «Contro le determinazioni e contro il silenzio sulle istanze di accesso ai documenti amministrativi, nonché per la tutela del diritto di accesso civico connessa all’inadempimento degli obblighi di trasparenza il ricorso è proposto entro trenta giorni dalla conoscenza della determinazione impugnata o dalla formazione del silenzio, mediante notificazione all’amministrazione e ad almeno un controinteressato». 
Il “silenzio” impugnabile di cui al primo comma dell’art. 116 è solo quello significativo di cui all’art. 25, comma 4 della l. 241/1990, e non anche quello da inadempimento sulle istanze di accesso generalizzato considerato che la norma fa espresso riferimento al silenzio che si forma sulle istanze di accesso ai documenti amministrativi e che la disciplina sostanziale riferita all’accesso generalizzato di cui all’art. 5, co. 6 non ha tipizzato l’inerzia dell’amministrazione (per la quale la tutela è assicurata con l’attivazione del rito sul silenzio di cui all’art. 117 del c.p.a., come già detto sopra)[61].  
Fatta questa specifica, c’è da chiedersi, quindi,  da quando dovrebbe decorrere il termine per la notifica del ricorso nel caso di inerzia dell’amministrazione. Se si opta per l’applicazione del rito dell’accesso, l’art. 116 citato prevede che il termine dei 30 giorni per proporre ricorso vada calcolato dalla formazione del silenzio (che in caso di accesso generalizzato è difficile da calcolare, in mancanza di una norma che lo preveda). In caso di rito sul silenzio, invece, il termine per proporre ricorso, in base all’art. 31, comma 2, c.p.a. sarebbe di un anno e decorrerebbe per legge dalla scadenza del termine per provvedere.  
Se si dovesse ritenere applicabile il rito sull’accesso si porrebbe, infine, anche il problema della reiterabilità dell’istanza e delle conseguenze processuali riferite alla mancata impugnativa (del silenzio) nel termine di decadenza. Nell’ipotesi in cui l’amministrazione non risponda nei trenta giorni, il cittadino, infatti, dovrebbe necessariamente impugnare “il silenzio”, non potendo proporre, per esempio, istanza “sollecitatoria” oltre il termine poiché potrebbe incorrere in una pronuncia di inammissibilità per mancata impugnativa del precedente diniego “implicito”. Tale conseguenza appare oltremodo penalizzante per il cittadino istante in mancanza di una espressa  ipotesi di silenzio significativo nell’ambito della norma in tema di accesso generalizzato.  
Non si ritiene di condividere, quindi, le conseguenze “processuali” prospettate da quell’orientamento giurisprudenziale secondo cui «in ossequio alla consolidata interpretazione della disciplina sull’accesso documentale, plasticamente applicabile al nuovo istituto dell’accesso civico generalizzato, la tutela da parte dell’aspirante accedente nei confronti del silenzio rifiuto, del provvedimento espresso di diniego, totale o parziale e del provvedimento con cui si dispone il differimento, formatisi o resi dall’amministrazione su una istanza ostensiva, deve essere esercitata entro e non oltre il termine decadenziale di trenta giorni (ai sensi dell’art. 116, comma 1, c.p.a.), decorrente dallo spirare del termine procedimentale di trenta giorni (previsto dall’art. 25, quarto comma, l. 241/1990 per l’accesso documentale e, per l’accesso civico, dall’art. 5, comma 6, d.lgs. 33/2013), sicché la proposizione della domanda giudiziale oltre il termine decadenziale di impugnazione del diniego di accesso civico generalizzato (tenendo conto della impostazione interpretativa riferita all’accesso documentale, cfr. Cons. Stato, Ad. pl., 18 aprile 2006 n. 6 e 20 aprile 2006 n. 7, perfettamente applicabile anche alla simmetrica disciplina processuale riferita dal legislatore all’accesso civico generalizzato nella comune applicazione dell’art. 116 c.p.a.): 1) rende irricevibile il ricorso tardivamente proposto dinanzi al giudice amministrativo (ovvero nelle sedi giustiziali indicate nell’art. 5, commi 8 e 9, d.lgs. 33/2013); 2) rende inammissibile la (ri)proposizione di una domanda di accesso (civico generalizzato) dello stesso tenore di quella fatta oggetto del silenzio diniego, del provvedimento espresso di diniego parziale o totale ovvero del provvedimento di differimento non tempestivamente impugnati» [62].  
Al fine di corroborare la tesi della preferenza per il termine lungo previsto dall’art. 117 e non quello breve di 30 giorni di cui all’art. 116 potrebbero essere richiamati, utilizzandoli a contrario, i principi affermati dall’Adunanza plenaria e riferiti all’accesso documentale, allorquando, nel lontano 2006, si affermò che il giudizio a struttura impugnatoria (e il termine decadenziale) consentiva « …. di assicurare la protezione dell’interesse giuridicamente rilevante e, al contempo, quell’esigenza di stabilità delle situazioni giuridiche e di certezza delle posizioni dei controinteressati che si è visto essere pertinenti ai rapporti amministrativi scaturenti dai principi di pubblicità e trasparenza dell’azione amministrativa» [63]
Come è noto la questione posta all’Adunanza plenaria riguardava la compatibilità, con la qualificazione in termini di diritto soggettivo dell’accesso documentale, del regime di decadenza per impugnare l’eventuale diniego ovvero se, proprio in ragione di tale natura giuridica, dovesse consentirsi l’impugnabilità dei successivi provvedimenti nell’arco temporale della prescrizione[64]
In merito a tale questione il Consiglio di Stato ha statuito in detta occasione che il carattere decadenziale del termine implica che la mancata impugnazione del diniego nel termine non consente la reiterabilità dell’istanza nè la conseguente impugnazione del successivo diniego laddove a questo deve  riconoscersi carattere meramente confermativo del primo.  
Secondo il Consiglio di Stato, «In altre parole, il cittadino potrà reiterare l’istanza di accesso e pretendere riscontro alla stessa in presenza di fatti nuovi, sopravvenuti o meno, non rappresentati nell’originaria istanza o anche a fronte di una diversa prospettazione dell’interesse giuridicamente rilevante, cioè della posizione legittimante all’accesso; e, in tal caso, l’originario diniego, da intendere sempre rebus sic stantibus, ancorché non ritualmente impugnato, non spiegherà alcun rilievo nella successiva vicenda procedimentale e processuale. Ma qualora non ricorrano tali elementi di novità e il cittadino si limiti a reiterare l’originaria istanza precedentemente respinta o, al più, a illustrare ulteriormente le sue ragioni, l’amministrazione ben potrà limitarsi a ribadire la propria precedente determinazione negativa, non potendosi immaginare, anche per ragioni di buon funzionamento dell’azione amministrativa in una cornice di reciproca correttezza dei rapporti tra privato e amministrazione, che l’amministrazione sia tenuta indefinitamente a prendere in esame la medesima istanza che il privato intenda ripetutamente sottoporle senza addurre alcun elemento di novità. Ne consegue che la determinazione successivamente assunta dall’amministrazione, a meno che questa non proceda autonomamente a una nuova valutazione della situazione, assume carattere meramente confermativo del precedente diniego e non è perciò autonomamente impugnabile»[65].    
Le argomentazioni dell’Adunanza plenaria, in particolare in tema di reiterabilità dell’istanza, per dirimere il contrasto sorto sul regime di decadenza[66] previsto in tema di diritto di accesso ai documenti, non sono estensibili all’ipotesi dell’accesso generalizzato;  ragionevolmente, infatti,  l’istanza riproposta dal richiedente avrà sempre lo stesso tenore e contenuto della precedente perché anche in sede di riproposizione, il quisque de populo non dovrà motivarla, né rappresentare un suo interesse o dimostrare la sua legittimazione  per cui sarà difficile (se non impossibile) presentare una “nuova” istanza confidando su «una diversa prospettazione dell’interesse giuridicamente rilevante, cioè della posizione legittimante all’accesso». La risposta dell’amministrazione, in caso di riproposizione dell’istanza di accesso generalizzato, a fronte di un precedente diniego, è destinata ad essere sempre “meramente confermativa di un precedente diniego” e quindi una successiva impugnativa della stessa destinata  sempre ad essere dichiarata inammissibile.  
Va, quindi, conclusivamente valutato, de iure condendo, se la previsione di un termine decadenziale troppo ristretto (come previsto in applicazione del rito ex art. 116 c.p.a.) non pregiudichi in modo irragionevole l’esigenza di garantire l’effettività della tutela giurisdizionale al cittadino che chiede per  “rivendicare” un’amministrazione trasparente, e in particolare in caso di inerzia. Se l’istanza di accesso generalizzato può essere proposta da chiunque e non è mediata dall’interesse personale, attuale e concreto  sarebbe, infatti, necessaria  una diversa considerazione del termine per impugnare, tenuto anche conto che  una pronuncia di  inammissibilità potrebbe essere comunque facilmente aggirata con la riproposizione dell’istanza da parte di un altro “chiunque”, con conseguente inutile aggravio di attività, sia procedimentale che giurisdizionale. Tale riflessione, a legislazione invariata, impone di considerare comunque applicabile, in caso di silenzio, il termine più lungo di cui al rito ex art. 117, scelta che meglio consente di  tutelare le ragioni del richiedente e più in linea con l’obiettivo di assicurare una conoscenza diffusa. 
6. Le pronunce del giudice amministrativo in caso di silenzio dell’amministrazione 
A fronte di tale ricostruzione teorica del quadro processuale applicabile in caso di inerzia dell’amministrazione, deve considerarsi che rispetto alle richieste di accesso generalizzato la “pratica” ha dimostrato che nei casi di silenzio serbato dall’amministrazione il comportamento processuale dei ricorrenti non è sempre uniforme; così le azioni intentate e le domande formulate in giudizio si sono differenziate. In ragione di ciò anche il giudice amministrativo, di fronte a scelte processuali non univoche, e considerata la materia, ha preferito non porre particolari questioni processuali, ma ha privilegiato l’opzione di dare sempre una riposta “di giustizia”  al ricorrente, “adattando” il rito speciale azionato alla domanda processuale avanzata. 
Alla luce delle pronunce registrate in caso di silenzio sull’istanza di accesso generalizzato vanno qui considerati, in particolare, tre orientamenti del giudice amministrativo.  
Con la sentenza del 28 luglio 2017, n. 9076, pronunciata con riguardo al silenzio – inadempimento formatosi sull’istanza rivolta ad ottenere la pubblicazione di dati sul sito istituzionale previsa dal d.lgs. 33/2013 (istanza di accesso civico semplice, ex art. 5, co. 1 del d. lgs. 33/2013, assoggettato alle stesse norme processuali previste per l’accesso generalizzato), il Tribunale amministrativo di Roma, a fronte del ricorso proposto ex art. 117 c.p.a. (quindi oltre il termine dei 30 giorni previsti dall’art. 116 c.p.a.) ha, una volta ritenuto ammissibile il ricorso, accolto lo stesso «con conseguente declaratoria del diritto della ricorrente ad ottenere un provvedimento espresso sulla istanza trasmessa al Ministero della Giustizia…, ordinandosi all’intimato Ministero di pronunciarsi sulla predetta istanza nel termine di giorni 30 (trenta) dalla comunicazione in via amministrativa o, se anteriore, dalla notifica della presente sentenza».  
In altra controversia, promossa innanzi al Tribunale amministrativo di Bari, il ricorrente ha impugnato, questa volta con il rito dell’accesso ex art. 116, il silenzio inadempimento serbato da un Comune sull’istanza di accesso generalizzato intesa a conoscere «i requisiti considerati in sede di nomina dei componenti del C.d.A. attualmente in carica della società …quale ente strumentale del Comune». 
Il giudice amministrativo, considerando come l’istanza ostensiva fosse stata proposta, come espressamente operato dalla parte, ai sensi della disciplina in tema di accesso civico, senza porsi il problema del rito, pur trattandosi di silenzio, ha accolto il ricorso e dichiarato il  diritto di parte ricorrente ad accedere agli atti richiesti nella forma della visione ed estrazione copie. Il giudice ha statuito che se «uno specifico atto di valutazione dei requisiti dei componenti del Consiglio d’Amministrazione attualmente in carica esiste, esso potrà essere de plano esibito e fatto oggetto di accesso. Se detto atto non dovesse esistere, la domanda di accesso resterà legittimamente insoddisfatta..…» [67].   
Il giudice, quindi, valutando l’istanza del ricorrente e la circostanza per cui l’amministrazione, non costituita in giudizio, nulla aveva dedotto, ha ritenuto ostensibili i documenti con conseguente accertamento del diritto, senza porsi alcun problema in merito alla ponderazione di eventuali interessi pubblici o privati in gioco, da ritenersi comunque ragionevolmente soccombenti in questo caso, in ragione  della documentazione richiesta rispetto alla quale non risultavano margini di discrezionalità da esercitare da parte dell’amministrazione. 
Sulla stessa scia si pone la pronuncia del T.A.R. Napoli adottata in esito a ricorso proposto avverso il silenzio dell’amministrazione formatosi sull’istanza tesa ad ottenere gli atti della procedura concorsuale per l’attribuzione della qualifica di dirigente di un funzionario pubblico,  assunto poi da altra amministrazione per mobilità.  La parte ricorrente aveva preliminarmente chiesto con il ricorso, trattandosi di impugnativa avverso il silenzio serbato dall’intimato ente sull’istanza di accesso generalizzato, che,  nell’ipotesi in cui non si ritenesse proponibile il ricorso ai sensi dell’art. 116 c.p.a. (quale effettivamente proposto) con riguardo alla mancata risposta sull’istanza di accesso civico generalizzato di cui all’art. 5, co. 7, del d. lgs. n. 33 del 2013, il Collegio disponesse la conversione ai sensi dell’art. 32, co. 2, c.p.a., dell’azione ex artt. 31 e 117 c.p.a., (rito sul silenzio), nel qual caso chiedendo, in accoglimento del ricorso, che si ordinasse alla parte resistente di provvedere sull’istanza entro il termine di trenta giorni (invece dell’ostensione della documentazione richiesta). Proprio con riferimento alla documentazione oggetto dell’istanza il giudice ha, tuttavia, ritenuto di « … procedere ad accertare direttamente il diritto all’ostensione dei documenti richiesti con l’istanza, in applicazione dell’art. 116 c.p.a, trattandosi di documentazione che non impatta con la sfera di discrezionalità dell’amministrazione ovvero per la quale residuano margini di esercizio di discrezionalità in capo alla stessa. In tal senso depone anche la circostanza per cui il Consorzio intimato non ha fatto valere alcuna ragione per non dare in ostensione i documenti richiesti, né rappresentato eventuali interessi pubblici e privati da salvaguardare previamente, rendendosi disponibile (in sede di memoria depositata in data odierna) a trasmettere i documenti di cui all’istanza di accesso. La documentazione richiesta, infatti, tenuto conto che attiene a procedure concorsuali risalenti, per le quali dovrebbero risultare adottati certamente provvedimenti amministrativi finali, ….. se esistente, potrà essere concessa, con i dovuti accorgimenti che vengono rimessi alla stessa amministrazione per la tutela degli interessi coinvolti, risultando superfluo e contrario al principio di economia dei mezzi processuale impartire solo l’ordine all’amministrazione di provvedere, in ossequio all’art. 117 c.p.a., come conseguenza della ritenuta applicabilità del rito sul silenzio all’accesso generalizzato»[68] 
Infine, si richiama qui  una recente decisione del giudice amministrativo[69] con la quale è stato rigettato il ricorso proposto ex art. 116 c.p.a. avverso il silenzio serbato dall’amministrazione su una istanza di accesso civico generalizzato, per il quale venivano, tuttavia, introdotte dalla parte ricorrente due distinte domande  e cioè «per l’annullamento e/o la declaratoria di illegittimità del silenzio serbato ……..avente ad oggetto richiesta di accesso civico generalizzato…nonché per l’accertamento del diritto del ricorrente ad accedere agli atti di cui sopra e per la condanna dell’Amministrazione intimata all’esibizione dei documenti richiesti dal Consorzio…». Preliminarmente e limitatamente alla questione del rito, il giudice amministrativo ha nel caso di specie chiarito che l’aver proposto i due riti congiuntamente (silenzio e accesso) non poneva alcun problema di ordine processuale «visto che i giudizi di cui, rispettivamente, agli artt. 31 e 117 c.p.a. e 116 c.p.a., seguono entrambi il rito camerale e sono dunque parimenti soggetti alle disposizioni dell’art. 87 del c.p.a.».  
Davanti a un ricorso così formulato il giudice ha preferito assicurare comunque una “risposta immediata” al cittadino che aveva “mixato” i due riti andando a valutare, quanto all’istanza di accesso civico generalizzato, se i documenti richiesti potevano essere dati in ostensione oppure no.  
Alla luce di queste pronunce deve ritenersi che l’esperienza processuale in materia di silenzio-inadempimento maturata sulle istanze di accesso generalizzato dimostra che per il ricorrente non è sempre agevole la individuazione del rito da percorrere, considerata anche la poca chiarezza del dato normativo, per cui inevitabilmente per il giudice l’attenzione si sposta più sul tipo di risposta che si può dare al cittadino e ciò sia che si attivi l’art. 117 c.p.a. sia che si attivi l’art. 116 c.p.a. 
 
7. Le decisioni del giudice amministrativo in caso di impugnativa del diniego espresso sull’istanza di accesso generalizzato  
Risulta di interesse, a questo punto, considerare anche le pronunce del giudice amministrativo adottate in caso di impugnativa di diniego espresso dell’istanza di accesso generalizzato. 
Si è già detto che in questo caso il cittadino insoddisfatto può adire il giudice amministrativo azionando il rito sull’accesso di cui all’art. 116 c.p.a., in esito al quale, il giudice, previo accertamento della illegittimità del diniego, procederà al suo annullamento e accerterà il diritto ad avere i dati o i documenti ordinando, di conseguenza, all’amministrazione l’ostensione richiesta, anche in parte se ritiene che vi siano interessi da tutelare. Il giudice, quindi, di regola, ordina un facere specifico che gli deriva direttamente dalla domanda formulata in ricorso dal ricorrente in ragione anche della tipicità dell’azione sull’accesso. 
Se questa è la regola, dalla lettura delle sentenze qui di seguito riportate risulta  che non sempre si rinviene una corrispondenza tra “chiesto e pronunciato”, perché il giudice,  pur trovandosi nell’ambito del rito sull’accesso, quando accoglie il ricorso a volte può ritenere di non avere il “potere” per ordinare all’amministrazione un “facere”, ma che piuttosto è necessario ordinare di rieditare l’attività procedimentale che è a monte della decisione avversata;  il giudice amministrativo, quando verifica che la valutazione degli interessi contrapposti non è stata fatta correttamente ovvero che la fase procedimentale partecipativa non è stata completata, nella consapevolezza che  non può (di regola) sostituirsi all’amministrazione, procede ad annullare il diniego impugnato rinviando  all’amministrazione per rieditare l’attività amministrativa e ordinando alla stessa di ripronunciarsi sull’istanza ricevuta (anziché ordinare direttamente l’ostensione dei documenti richiesti). 
In questo senso di grande interesse risulta la sentenza del Tribunale amministrativo di Roma che ha deciso in merito al rigetto della richiesta di accesso avente a oggetto la documentazione riguardante le operazioni effettuate in base alla Convenzione sulla ricerca e il salvataggio in mare concernenti le imbarcazioni dei migranti, riferite a un determinato periodo di tempo. Il giudice, correttamente considerando la finalità della disciplina sull’accesso generalizzato, riferita al perseguimento delle funzioni istituzionali e l’altrettanto corretto utilizzo delle risorse pubbliche, ha ritenuto di accogliere i ricorsi (riuniti) considerando che i dinieghi dell’amministrazione non erano adeguatamente motivati pur considerando necessaria la valutazione dei casi di esclusione di cui all’art. 5 bis del decreto trasparenza. 
In accoglimento del ricorso proposto  il giudice ha, quindi, annullato i dinieghi impugnati con  « declaratoria – ex art. 116 c.p.a. – dell’obbligo dell’Amministrazione di fornire i dati documentali richiesti con entrambe le istanze di accesso e di riesame, entro 30 (trenta) giorni dalla comunicazione in via amministrativa o dalla notifica (se anteriore) della presente sentenza, previa valutazione comparativa di tutti gli interessi coinvolti e individuazione di eventuali ragioni di oscuramento di alcuni dati, ove – motivatamente – non divulgabili senza compromissione di prevalenti interessi pubblici»[70]
 Di grande interesse anche la pronuncia del Consiglio di Stato che si muove nella stessa direzione,  adottata in sede di appello proposto avverso la sentenza[71]  con cui era stato respinto il  ricorso volto a impugnare il rigetto dell’istanza di accesso civico generalizzato avanzata dalla Confederazione nazionale Coldiretti (l’accesso era rivolto a conoscere la quantità di importazione di latte e prodotti lattiero caseari da paesi Ue ed extra Ue da parte di operatori economici italiani).   
Con la citata sentenza il giudice di appello ha preliminarmente riconosciuto l’importanza di tutelare la trasparenza del mercato e del diritto dei consumatori di essere informati ritenendo legittima la richiesta formulata da Coldiretti tesa a indagare «sul latte e sui prodotti caseari al fine di informare e rendere consapevoli i consumatori in linea con la ratio dell’accesso civico generalizzato». Il giudice, quindi, ha accolto l’appello proposto  e per l’effetto ha annullato il diniego impugnato in primo grado statuendo «l’obbligo dell’amministrazione intimata di dare corso, senza alcun indugio, alla […] domanda di “accesso civico” dell’associazione appellante, previa attivazione e conclusione, nei termini di legge, della procedura di confronto con i potenziali controinteressati, i quali, in relazione alla specificità del caso, potranno essere interpellati preliminarmente in via generale secondo modalità telematiche. L’amministrazione potrà, se del caso, tenere conto (mediante il parziale oscuramento dei dati) solo di eventuali specifiche ragioni di riservatezza dei controinteressati, puntualmente motivate e circostanziate, eventualmente ritenute meritevoli di protezione, ma con riferimento a profili diversi ed ulteriori rispetto a quelli già implicitamente superate dai vigenti obblighi di informazione dei consumatori. […]»[72].  
 Uno spunto di riflessione sul tipo di condanna per certi versi “atipica”, che può derivare dall’impugnativa di un diniego operata con il rito dell’accesso viene anche da un’altra pronuncia del T. A.R. del Lazio[73], appunto conseguente ad azione ex art. 116 c.p.a. per l’annullamento di diniego opposto dall’amministrazione e per l’accertamento del diritto ad avere i documenti richiesti e la conseguente condanna ad esibire i documenti. 
Si trattava dell’impugnativa del diniego opposto da AMA s.p.a., alla richiesta di accedere all’elenco dei nominativi dei soggetti che nell’arco degli ultimi quattro mesi avevano svolto operazioni e servizi cimiteriali, fondato sull’assunto che la richiesta non fosse accoglibile perché relativa a un numero manifestamente irragionevole di documenti, tali da imporre un carico di lavoro in grado di compromettere il buon funzionamento dell’azienda. 
Il Tribunale ha ritenuto che il diniego opposto dall’amministrazione non fosse rispettoso dei principi di proporzionalità e ragionevolezza nella parte in cui non aveva considerato, pur in presenza della disponibilità del richiedente in tal senso, la possibilità di invitare il ricorrente a ricercare una soluzione consensuale «ad esempio mediante la sollecitazione del richiedente a rimodulare la propria istanza in modo da ridurne l’ambito, così da salvaguardare sia l’interesse pubblico al buon andamento della PA sia l’interesse, anch’esso di rilievo pubblicistico, di garantire l’accesso generalizzato ai dati in possesso della amministrazione. Alla luce di tale assunto, AMA avrebbe dovuto, prima di respingere l’istanza, prendere atto della disponibilità di parte ricorrente a ridurre l’arco temporale di riferimento e proporre quindi al richiedente di consentire l’accesso ad esempio ad una tipologia più ristretta di atti, limitatamente ad un arco temporale ridotto, previo oscuramento dei dati sensibili relativi alle generalità del defunto. Entro questi termini e ai soli fini di tale rivalutazione dell’istanza di accesso, il ricorso deve essere accolto»[74]
Come è evidente, anche in questo caso il giudice non ha accertato il diritto ad avere i documenti richiesti, né si è sostituito all’amministrazione ma ha accertato piuttosto il diritto della ricorrente ad avere un procedimento corretto e rispettoso delle regole previste, accogliendo il ricorso per difetto di istruttoria e travisamento dei fatti, non avendo recepito l’amministrazione la soluzione collaborativa proposta dalla ricorrente.  
Infine, si prende qui in esame una sentenza scaturita da ricorso proposto per ottenere copia dell’offerta tecnica ed economica e del piano finanziario dell’aggiudicataria di una gara e di una partecipante, da parte di una società che pur essendo stata invitata alla procedura di gara non aveva tuttavia presentato alcuna offerta. Sposando l’interpretazione di maggiore apertura riferita all’accesso generalizzato in materia di procedure di gara[75] il giudice amministrativo, considerando che l’amministrazione non aveva coinvolto nel procedimento le partecipanti controinteressate né aveva valutato l’istanza della richiedente sotto il profilo di concedere almeno un accesso parziale riferito alle parti non coperte da segreto, ha accolto il ricorso per difetto di motivazione ritenendo che la stessa si risolveva in un mero richiamo alla norma preclusiva dell’ostensione, senza un preciso riferimento alle circostanze fattuali e giuridiche impeditive dell’accesso civico. Ha quindi annullato il diniego statuendo che «…… non è allo stato possibile ordinare l’esibizione dei documenti richiesti, spettando viceversa all’Autorità che detiene la documentazione stabilire motivatamente se – e in che misura – vi ostino concretamente i vincoli posti dalla disciplina applicabile» onerando così l’amministrazione «di una nuova valutazione dell’accesso, anche di quello civico, con interpello delle imprese interessate e con eventuale successiva valutazione di un rilascio anche parziale, per le parti dei documenti non coperti da esigenze di riservatezza ai sensi del comma 2 dell’art. 5 bis sopra citato oppure dell’art. 24 della legge 241/1990»[76]
Conclusivamente, ciò che emerge da queste pronunce è che il giudice amministrativo, pur potendo procedere ad imporre l’ostensione della documentazione richiesta, in accoglimento dell’azione di accertamento di cui all’art. 116, finisce sovente nei fatti per ordinare all’amministrazione di (ri)pronunciarsi sull’istanza alla luce di quanto fissato nella motivazione della sentenza, scaturendone quindi una condanna  che evoca quella conseguente all’azione di annullamento o a quella sul silenzio.
 
8.  I poteri del giudice amministrativo  
 
Come è stato anticipato, poiché la norma consente l’accesso generalizzato a dati, documenti e informazioni che impattano con l’attività dell’amministrazione,  nei limiti del pregiudizio concreto che l’ostensione può creare agli interessi previsti dall’art. 5 bis, co. 1 e 2 del decreto trasparenza e poiché detto pregiudizio non deve essere meramente ipotetico, così introducendo il tema dei poteri del giudice amministrativo, questi, in primo luogo, dovrebbe censurare per difetto di motivazione quelle decisioni di diniego basate su «mere constatazioni di possibile danno in “astratto”»[77], senza che cioè  diano conto dell’intensità del pregiudizio e del nesso di causalità tra ostensione e danno paventato.  Deve considerarsi che il richiamo normativo al “pregiudizio concreto”, da scongiurare da parte dell’amministrazione, impone che si proceda a valutare il rischio del pregiudizio non come astratta possibilità, ma come conseguenza realistica dell’ostensione. È necessario che sussista, quindi, un nesso preciso di causalità tra l’accesso richiesto e il pregiudizio paventato e che l’amministrazione non prefiguri il rischio del pregiudizio in via astratta e generica. Ciò implica che deve essere indicato, nella ponderazione che effettua l’amministrazione, quale interesse (tra quelli indicati all’art. 5 bis commi 1 e 2) risulta eventualmente pregiudicato, se il pregiudizio è collegato alla disclosure dell’informazione richiesta e, infine, se il pregiudizio paventato è un «evento altamente probabile e non soltanto possibile» [78].  Va, infatti, ricordato che il test del pregiudizio concreto, da applicare per delimitare la conoscenza generalizzata, impone che il pregiudizio non deve essere solo affermato, ma anche dimostrato, superando la soglia del “meramente ipotetico” per emergere quale “probabile”, sebbene futuro; così l’amministrazione, nel rigettare una richiesta di ostensione, deve far emergere che la stessa pregiudicherebbe l’interesse da tutelare ovvero che ciò sarebbe “molto probabile” che accada[79]
Inoltre, il giudice amministrativo dovrebbe sindacare la scelta effettuata dall’amministrazione alla luce dei principi di “ragionevolezza e proporzionalità” che diventano parametri da utilizzare nell’ambito del sindacato di legittimità. Infatti, deve ritenersi che, nonostante la scelta esplicita operata dal legislatore italiano, con riguardo all’accesso generalizzato, per il solo criterio del “pregiudizio concreto”, la scelta finale dell’amministrazione sull’istanza di accesso generalizzato non dovrebbe tenere  conto solo del “pregiudizio concreto” agli interessi pubblici e privati previsti, ma anche dell’interesse alla conoscibilità e alla trasparenza[80] sotteso alla richiesta dell’istante. L’amministrazione nell’esercizio dell’attività discrezionale che esercita quando decide se dare in ostensione i documenti è, infatti, chiamata  non solo a considerare e verificare la serietà e la probabilità del danno all’interesse-limite, ma anche a contemperarlo con l’interesse a conoscere. In caso di pregiudizio concreto a uno degli interessi pubblici e privati, infatti, ciò dovrebbe rappresentare solo una condizione necessaria, ma non sufficiente, per negare l’ostensione.  
L’amministrazione dovrà assumere la decisione nel rispetto dei canoni di proporzionalità e ragionevolezza, a garanzia di tutti gli interessi coinvolti, quindi anche di quello del richiedente[81]
Secondo più recente  giurisprudenza[82], l’amministrazione intimata dovrà, infatti,  operare una valutazione comparativa, secondo il principio di proporzionalità[83], fra il beneficio che potrebbe arrecare la disclosure richiesta e il sacrificio causato agli interessi pubblici e privati contrapposti che vengono in gioco, per cui l’interesse alla conoscenza dell’informazione, del dato o del documento (di cui all’istanza di accesso generalizzato del richiedente) non soccomberà rispetto al pregiudizio concreto di un interesse-limite, se ritenuto quest’ultimo di minore impatto. 
Il principio di proporzionalità impone all’amministrazione di valutare le esigenze di tutti i titolari degli interessi presenti nell’azione amministrativa, compreso quello del richiedente, al fine di ricercare la soluzione che comporti il minor sacrificio per tutti gli interessi coinvolti. 
La necessaria considerazione dell’interesse alla disclosure[84](per quanto non espressamente prevista dal legislatore nella disciplina riferita all’accesso generalizzato) si impone, così, direttamente all’amministrazione nell’esercizio dell’attività discrezionale di cui è titolare e che svolge quando è chiamata a decidere l’istanza di accesso generalizzato. Il risultato di questa ponderazione diventa comprensibile per il cittadino (e per il giudice) con la motivazione[85], strumento di esplicitazione e di comprensione delle ragioni della scelta effettuata e di come sono stati valutati gli interessi contrapposti. 
La previsione di eccezioni poste a tutela di interessi pubblici e privati che possono subire un pregiudizio dalla rivelazione generalizzata di talune informazioni non si trasforma, dunque, in limiti tout court alla trasparenza amministrativa, dovendo essere riguardati anche alla luce dell’interesse pubblico alla conoscibilità delle informazioni, dei dati e dei documenti richiesti. 
In ragione di tali argomentazioni si ritiene di dissentire da quella giurisprudenza che ha ritenuto di valorizzare «…. in chiave selettiva e delimitativa dell’accesso civico generalizzato le finalità per le quali tale strumento è stato previsto dal legislatore, ….. attraverso il riferimento all’obiettivo di favorire forme diffuse di controllo sul “perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico”. … Per quanto, infatti, la legge non richieda l’esplicitazione della motivazione della richiesta di accesso, deve intendersi implicita la rispondenza della stessa al soddisfacimento di un interesse che presenti una valenza pubblica e non resti confinato ad un bisogno conoscitivo esclusivamente privato, individuale, egoistico o peggio emulativo che, lungi dal favorire la consapevole partecipazione del cittadino al dibattito pubblico, rischierebbe di compromettere le stesse istanze alla base dell’introduzione dell’istituto» [86]
Deve infatti ritenersi che le finalità della legge che sono, con riguardo alla trasparenza amministrativa, quella di «promuovere la partecipazione degli interessati all’attività amministrativa e favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche» (cfr. art. 1, co. 1, d.lgs. 33/2013) e, più in particolare, con riguardo all’accesso generalizzo, quella di «favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico» (art. 5, co. 2. d.lgs. 33/2013), rappresentano gli obiettivi che si intendono perseguire, essendo l’accesso civico generalizzato solo uno degli strumenti volti a realizzare un ordinamento democratico, a consentire la partecipazione dei cittadini alla vita politico-amministrativa, a comprendere le scelte effettuate dalle amministrazioni, a promuovere il libero formarsi dell’opinione pubblica. Naturalmente queste finalità non possono trasformarsi in limiti “impliciti”: l’amministrazione non potrà negare un accesso generalizzato ritenendo che la conoscenza dei documenti richiesti non sia utile alle finalità della legge ovvero che l’ostensione richiesta “non risulti finalizzata al controllo diffuso”; così interpretando il dato normativo si corre, infatti, il rischio di introdurre limiti alla libertà di informazione non previsti espressamente dal legislatore. L’obiettivo di favorire le forme di controllo non è altro che la ragione per cui il legislatore conferisce un diritto così ampio a tutti i cittadini[87] dovendosi, invece, escludere una ipotesi di “funzionalizzazione” dell’accesso al raggiungimento delle finalità indicate dalla legge[88]. Lo stesso Consiglio di Stato, in Adunanza plenaria, ha proprio recentemente chiarito, in via definitiva,  che « Non si deve confondere …. la ratio dell’istituto con l’interesse del richiedente, che non necessariamente deve essere altruistico o sociale né deve sottostare ad un giudizio di meritevolezza, per quanto …. certamente non deve essere pretestuoso o contrario a buona fede»[89].
Passando da un piano teorico a uno più pratico, appare opportuno prendere in considerazione alcune pronunce del giudice amministrativo per osservare i poteri in concreto esercitati dallo stesso e fin dove si è spinto per soddisfare la domanda di conoscenza del cittadino, alla luce della natura giuridica dell’accesso, dell’aspettativa del ricorrente, delle “potenzialità” che offre il rito speciale da azionare.
Vale la pena partire da un contenzioso sorto in materia di accesso generalizzato ad  atti e accordi riguardanti l’immigrazione e in particolare da un ricorso avviato per il diniego di accesso riguardante “lo stato di attuazione del Memorandum Italia – Libia”, in relazione alle attività e alle specifiche fonti economiche utilizzate[90]. L’istanza proposta era stata rigettata perché impattante con atti di pubblica sicurezza adottati nel quadro delle relazioni internazionali e quindi per l’esigenza «di salvaguardare le relazioni internazionali in materia di collaborazione intergovernativa di polizia e di tutela dell’ordine pubblico e della prevenzione e repressione della criminalità». Il ricorrente ha lamentato, in particolare, il difetto di motivazione in quanto ritenuta apodittica la motivazione addotta, che non consentiva di comprendere la tipologia di attività poste in essere e in che modo le stesse potevano compromettere le relazioni internazionali, così come non erano state chiarite le fonti di finanziamento delle attività svolte.  
La particolarità di questo contenzioso sta anche nell’aver il ricorrente formulato al giudice una particolare richiesta istruttoria e cioè quella di acquisire agli atti del giudizio, ma da riservare solo al giudice, i documenti  oggetto della istanza di accesso per verificare «se e quali tra essi siano da considerarsi effettivamente non ostensibili e comunque al fine di permettere all’Autorità giudiziaria di conoscere l’estensione e la natura delle attività poste in essere in attuazione del Memorandum , e quindi, la razionalità e logicità del diniego opposto dal Ministero al ricorrente». In definitiva, il ricorrente ha chiesto al giudice di andare a verificare se il Ministero avesse correttamente esercitato «la discrezionalità di cui è tributario nel valutare se ricorrano o meno le condizioni per ritenere la relativa documentazione sottratta all’accesso civico» generalizzato. Inoltre, il ricorrente ha contestato che la sottrazione di documenti potesse giustificarsi sulla base del combinato disposto dell’art. 24 della legge 241/1990 e del d.m. n. 415/94 adottato[91]. 
In sede di decisione, quanto alla richiesta istruttoria, il giudice ha preliminarmente ricordato che il «Collegio non potrebbe esercitare i poteri istruttori per acquisire documenti relativi ad attività la cui esistenza non è ammessa e riconosciuta dal Ministero e che non è provata per altra via….perchè ciò significherebbe disporre una ispezione fuori dai limiti in cui essa è consentita, trasmodando nell’esercizio illegittimo di poteri di polizia giudiziaria rispetto ai quali deve essere tutelata anche una pubblica amministrazione…..nè l’art. 116 cpa, e né il d. l.vo 33/2013 recano previsioni che consentano al giudice amministrativo di ordinare l’ispezione di uffici e locali di una pubblica amministrazione al solo fine di cercare documenti di cui si sospetta l’esistenza». Interessante è anche la risposta del giudice alla richiesta del ricorrente di procedere a una “istruttoria riservata”, respinta perchè inammissibile, chiarendo  che «in sede giudiziale la acquisizione di documenti non può che essere destinata ad alimentare il fascicolo d’ufficio, e dunque a mettere tali documenti nella disponibilità delle parti: la acquisizione di documenti “riservata” al giudice non può considerarsi ammissibile in quanto contraria alla stessa logica del processo, che deve assicurare il contraddittorio e la parità tra le parti del giudizio». 
L’istruttoria “riservata” è certamente istituto sconosciuto al giudice amministrativo, sebbene deve considerarsi che una forma di acquisizione di documenti riservati, destinati a non confluire integralmente nel fascicolo d’ufficio, ma sui quali viene comunque garantito il contraddittorio, si rinviene da sempre nel contenzioso amministrativo con riguardo alle informative interdittive antimafia[92]     e in caso di scioglimento dei consigli comunali per ragioni di infiltrazione mafiosa[93].
Ciò che riveste particolare interesse, nella citata pronuncia, è l’ammissione del giudice, nel respingere il ricorso, della impossibilità, di sostituirsi all’amministrazione e di sindacare, in caso di istanze che impattano con particolari interessi pubblici da salvaguardare, la scelta di rigetto fatta dall’amministrazione. Viene sottolineato nella sentenza, infatti, che il giudice amministrativo non ha gli strumenti per «valutare la sussistenza o meno del pregiudizio ad uno degli interessi indicati all’art. 5 bis, comma 1 e 2 del D. L.vo 33/2013: nel senso che la capacità di un documento di pregiudicare i vari interessi indicati dalla norma può essere apprezzata solo in base ad una serie di circostanze che non necessariamente emergono dagli atti di cui si chiede l’ostensione, e soprattutto per la ragione che i ragionamenti logici che sottendono alla valutazione di tali circostanze non necessariamente sono conosciuti, conoscibili o hanno valore “universale”, tale da poter essere sempre applicati dal Giudice Amministrativo senza tema di sbagliare….. Tenuto conto di ciò il sindacato che il Giudice Amministrativo dovesse svolgere per valutare se un atto riservato abbia, o meno, un contenuto tale da pregiudicare uno degli interessi protetti dall’art. 5 bis comma 1, rischierebbe di essere addirittura arbitrario. Si tratta, comunque, di valutazioni caratterizzate da elevata discrezionalità se non addirittura di valutazioni a carattere politico, a fronte delle quali ….. il sindacato giurisdizionale non può che essere di carattere meramente estrinseco, cioè limitato alla verifica della esistenza della causa di non ostensibilità invocata dalla Amministrazione e della astratta riconducibilità dell’atto, di cui si nega l’ostensione, tra quelli che possono interferire con gli interessi tutelati dalla norma, non riscontrandosi elementi che rendono totalmente implausibile la suddetta interferenza»[94]. Le argomentazioni del giudice di prime cure, nella specie riformato in appello, sono state tuttavia condivise  dal Consiglio di Stato in sede di altro contenzioso[95]. Proprio di recente, infatti,  il Consiglio di Stato ha ulteriormente  ribadito che «… il diniego eventualmente opposto all’istanza, presupponendo una valutazione eminentemente discrezionale che non di rado può involgere – ratione materiae – profili di insindacabile merito politico, non potrebbe in alcun modo essere superato da una parallela valutazione del giudice amministrativo, il cui sindacato in materia va strettamente circoscritto alle ipotesi di manifesta e macroscopica contraddittorietà o irragionevolezza. Il giudice amministrativo può quindi sindacare le valutazioni dell’amministrazione in ordine al diniego opposto solamente sotto il profilo della logicità, ragionevolezza ed adeguatezza dell’istruttoria, ma non procedere ad un’autonoma verifica della necessità del diniego opposto o della sua eventuale superabilità, sia pure parziale. Una siffatta valutazione, infatti, verrebbe ad integrare un’inammissibile invasione della sfera propria della pubblica amministrazione: tale sindacato rimane dunque limitato ai casi di macroscopiche illegittimità, quali errori di valutazione gravi ed evidenti, oppure valutazioni abnormi o inficiate da errori di fatto»[96].
Infine, deve essere richiamata una recentissima sentenza del TAR Lazio[97], con la quale il giudice amministrativo, pur accogliendo il ricorso in tema di accesso generalizzato con conseguente annullamento degli atti, ha affermato  «che non può essere accertato e dichiarato il diritto della ricorrente all’accesso, a ciò ostando il disposto dell’art. 34 comma 2 cod. proc. amm. in quanto la natura del vizio rilevato comporta la riedizione del potere», con ciò richiamando l’ordinario esito che consegue all’azione di annullamento ex art. 29 c.p.a.
Con riguardo allo specifico contenzioso in questione, la ricorrente aveva inoltrato istanza di accesso civico generalizzato al Ministero della salute chiedendo di accedere al progetto di ricerca denominato  “Meccanismi anatomo-fìsiologici soggiacenti il recupero della consapevolezza visiva nelle scimmie con cecità” e in particolare ai documenti presentati, alla valutazione tecnico-scientifica del Consiglio Superiore di Sanità, alla documentazione relativa alla valutazione del grado di gravità dell’esperimento. L’amministrazione, anche in sede di riesame, aveva rigettato l’istanza sulla scorta della considerazione per cui, secondo i limiti previsti dall’art. 5-bis del d.lgs. 33/2013, conoscere la documentazione richiesta comportava la lesione degli interessi economici e commerciali delle persone fisiche e giuridiche coinvolte nella ricerca, compresi il diritto di autore e la tutela della proprietà intellettuale.
E’ importante richiamare alcune parti della motivazione della sentenza, di assoluto interesse, in quanto lasciano ben sperare sulla possibilità che sia il giudice, in attesa dell’intervento del legislatore, a suggerire all’amministrazione come procedere al corretto bilanciamento tra i vari interessi in gioco. Recita infatti la pronuncia in questione: «…che, sebbene l’Amministrazione destinataria di una richiesta di accesso generalizzato debba senz’altro valutare la ricorrenza di uno o più dei casi di esclusione previsti dal più volte citato art. 5 bis d.lgs. 33/2013, nel caso di specie tale valutazione non sia stata correttamente effettuata, essendo del tutto mancato, come lamentato da parte ricorrente, sia il coinvolgimento dei soggetti controinteressati sia, soprattutto, il bilanciamento tra l’interesse alla riservatezza della documentazione oggetto di accesso e quello dell’istante alla relativa conoscenza…. Nel caso di specie, nonostante la già affermata spettanza all’Amministrazione di un potere discrezionale in merito alla valutazione di circostanze concretizzanti le esclusioni individuate dall’art. 5 bis del d.lgs. 33/2013, la stessa non ha in alcun modo rappresentato – limitandosi a dare astrattamente e genericamente atto della ricorrenza di esigenze di riservatezza commerciale e/o industriale – in che cosa le stesse effettivamente consistano e per quale motivo esse prevalgano sull’interesse alla pubblica conoscenza degli atti progettuali sottesi all’autorizzazione, così che l’opposto diniego risulta porsi in evidente contrasto con la ratio dell’accesso civico generalizzato, che è proprio quello di rendere l’attività amministrativa completamente conoscibile al cittadino e dallo stesso controllabile, e con le indicazioni applicative dell’istituto fornite sia dall’ANAC che dalla giurisprudenza…..Dunque il Ministero della Salute non risulta avere effettuato il necessario bilanciamento tra il beneficio che potrebbe arrecare la disclosure richiesta e il sacrificio causato agli interessi (nella specie, privati) contrapposti che vengono in gioco – bilanciamento che lo stesso avrebbe dovuto condurre secondo il principio di proporzionalità – o quanto meno dello stesso, qualora effettuato, non ha dato in alcun modo conto nella motivazione dei provvedimenti reiettivi, nei quali si rinviene esclusivamente la mera – come detto non sufficiente – astratta e generica prefigurazione di un pregiudizio derivante dalla richiesta ostensione degli atti. L’omessa valutazione comparativa assumeva peraltro, ad avviso del Collegio, una particolare rilevanza in considerazione dell’oggetto dell’accesso civico, cioè un progetto di ricerca da realizzarsi tramite sperimentazione su primati non umani, di cui è in via generale vietato l’utilizzo a tali a fini, autorizzabile solo in presenza delle condizioni eccezionali individuate dall’art. 8 del d.lgs. 26/2014, così che l’interesse alla diffusione della stessa, proprio al fine di consentire quella “promozione della partecipazione degli interessati all’attività amministrativa” costituente una delle finalità dell’accesso civico, meritava certamente un’accurata considerazione…. Non è, dunque, sufficiente affermare l’esistenza astratta di ragioni di riservatezza, dovendosi individuare ed esplicitare, previo contraddittorio con i soggetti controinteressati, quali esse esattamente siano e per quale ragione le stesse debbano ritenersi prevalenti sulla pubblica conoscenza degli atti del procedimento, potendo peraltro l’Amministrazione anche avvalersi, al fine di tutelare detti interessi, della tecnica del parziale oscuramento dei dati. Né possono essere condivise le argomentazioni dell’Avvocatura dello Stato secondo cui le disposizioni del d.lgs. 26/2014 imporrebbero la riservatezza dei progetti, sia perché i provvedimenti impugnati non recano tale motivazione, sia in quanto i principi generali dettati dall’art. 5 del d.lgs. 33/2013, per la loro ampia portata, vanno in ogni caso ritenuti prevalenti su eventuali disposizioni contrastanti – che peraltro, nel caso di specie, neppure si rinvengono, limitandosi le norme evocate a richiamare in termini generali la protezione della proprietà intellettuale e delle informazioni riservate».
Ciò che emerge con chiarezza dalle sentenze riportate, e non poteva che essere così, è che l’attività amministrativa che sta alla base delle decisioni relative alle istanze di accesso generalizzato è quasi sempre attività di stampo discrezionale e sulla stessa il sindacato del giudice, a dispetto del rito intentato, è solo di tipo “estrinseco”, arrestandosi alla ragionevolezza della scelta effettuata e all’esaustività della motivazione resa.
Trattandosi di decisioni che derivano da un rito di accertamento, comunque, il giudice dovrebbe sempre verificare, in caso di accoglimento,  se è possibile almeno una ostensione parziale della documentazione richiesta[98]
 
  1. Alla ricerca di un’azione per l’accesso civico generalizzato: azione di accertamento “atipica”?
 
Tirando le fila di queste riflessioni, si può cercare di rispondere al quesito prospettato in apertura.
Alla luce delle pronunce del giudice amministrativo e delle posizioni dottrinarie riportate, si può parlare di un’azione di accertamento “atipica? Oppure si tratta semplicemente di un’azione (quella per l’accesso) per la quale il giudice mutua i suoi poteri direttamente dalla sua esperienza processuale, guidato dal principio di effettività e dalla consapevolezza dell’inadeguatezza del rito speciale previsto dal legislatore al fine di soddisfare le esigenze di tutela del quisque de populo?
 
Prima di dare una risposta a tale quesito, si pone, preliminarmente, l’esigenza di rispondere a un’altra domanda che spesso ricorre e cioè se il codice del processo amministrativo abbia o meno introdotto il principio della tipicità delle azioni, quale corollario indefettibile dell’effettività della tutela[99].
Proprio di recente il Consiglio di Stato ha dato conto, in una importante pronuncia, di come il sistema delle tutele sia segnato da sviluppi che si pongono nella direzione di una maggiore effettività del sindacato del giudice amministrativo con riferimento alla protezione dell’interesse legittimo.  E’ stato affermato, infatti, che: 
 «- il c.p.a. prefigura un sistema aperto di tutele e non di azioni tipiche, il quale riflette l’esigenza di una tutela conformata non alla situazioni giuridiche sostantive (secondo la tradizione romanistica) bensì al bisogno differenziato di tutela dell’interesse protetto, il cui grado e la cui intensità sono spesso definiti ex post dal giudice e non ex ante; 
– per quanto permanga la centralità della struttura impugnatoria, il c.p.a. valorizza al massimo grado le potenzialità cognitive dell’azione di annullamento attraverso istituti che consentono di concentrare nel giudizio di cognizione, per quanto possibile, tutte le questioni dalla cui definizione possa derivare una risposta definitiva alla domanda del privato di acquisizione o conservazione di un certo bene della vita……viene in rilievo il richiamo…. all’esigenza di una tutela piena ed effettiva «secondo i principi della Costituzione e del diritto europeo» (art. 1). Il principio del rimedio effettivo (frutto della convergenza sinergica, in tema di garanzie della tutela giudiziaria, della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo con le previsioni della Carta costituzionale) ha reso oramai recessiva l’idea che la garanzia delle posizioni sostanziali possano restringersi al mero accesso a un giudice e a una procedura regolata dalla legge, implicando invece anche la possibilità di ottenere un provvedimento di tutela adeguato e omogeneo al bisogno di protezione di chi agisce. L’enfasi sulla strumentalità delle regole del processo rispetto alle ragioni della giustizia sostanziale ed il necessario riscontro di adeguatezza tra il mezzo di tutela e la posizione sostanziale segnano il passaggio dal principio di atipicità dell’azione, al principio di atipicità delle forme di tutela. Se l’effettività della tutela giurisdizionale è la capacità del processo di far conseguire i medesimi risultati garantiti dalla sfera sostanziale, l’interesse legittimo abbisogna della predisposizione dei rimedi idonei a garantire il conseguimento dell’utilità “primaria” specificatamente oggetto dell’aspettativa riconosciuta dall’ordinamento. È compito precipuo della giustizia amministrativa approntare i mezzi che consentono di ridurre la distanza che spesso si annida tra l’efficacia delle regole e l’effettività delle tutele. La tutela piena, del resto, risponde anche ad un obiettivo di efficienza complessiva del sistema, dal momento che lo sviluppo economico e sociale del Paese passa anche attraverso una risposta rapida e “conclusiva” delle ragioni di contrasto tra le Amministrazioni ed i cittadini»[100]
Alla luce di tali importanti principi deve considerarsi che l’azione  proposta davanti al giudice amministrativo in caso di accesso generalizzato, in termini di atto o comportamento impugnabile, di tipo di sindacato e di poteri esercitabili  non trova sempre piena corrispondenza nel rito speciale individuato ex art. 116 c.p.a., ma sembra, per come nei fatti si sviluppa,  ricomprendere più azioni (anche quella sul silenzio o di annullamento). Di fronte a questa evidenza emerge anche che il giudice amministrativo, senza ergersi a “paladino” di un particolare “rigore” processuale, ma nel rispetto del tipo di attività amministrativa che viene in gioco, cerca di dare comunque al cittadino una risposta in termini di tutela effettiva.   
L’azione che si configura (anche in caso di silenzio) è tendenzialmente sempre un’azione di accertamento[101] del diritto ad avere i documenti, i dati o le informazioni,  collegata alla richiesta di condanna a un facere, a prescindere dal se – a monte – si registri una inerzia ovvero vi sia un provvedimento espresso da impugnare, che si tratti di attività vincolata e discrezionale[102]
 
Le differenze si rinvengono piuttosto nelle decisioni del giudice.  
 
In pratica, in caso di inerzia dell’amministrazione, se il cittadino attiva il rito sul silenzio, il giudice, nel considerare l’istanza di accesso civico generalizzato, se ritiene necessario che  l’amministrazione si esprima direttamente al fine di effettuare la ponderazione degli interessi e dei limiti che vengono in gioco, in quanto trattasi di scelta riconducibile alla discrezionalità di cui essa è titolare (e che solo essa può effettuare), per evitare di incappare nella limitazione di cui al menzionato art. 34 c.p.a., comma 2 (secondo cui in nessun caso il giudice può pronunciare con riferimento a poteri amministrativi non ancora esercitati), accoglierà il ricorso, previa dichiarazione della illegittimità del silenzio serbato dall’amministrazione e ordinerà all’amministrazione di provvedere in merito all’istanza, potendo il cittadino confidare sull’effetto conformativo della sentenza per la soddisfazione della pretesa a conoscere. Se invece si tratta di attività vincolata (o di documenti per i quali pende un obbligo di pubblicazione) o di istanza per la quale il giudice ritiene che alcuna valutazione ulteriore sia necessaria da parte dell’amministrazione, ovvero che non sussistono interessi pubblici o privati da tutelare, allora, in applicazione dell’art. 31, comma 3, del codice del processo amministrativo, dichiarerà illegittimo il silenzio dell’amministrazione, accerterà direttamente il diritto a conoscere i documenti (ovvero l’obbligo alla pubblicazione degli stessi) e ordinerà di provvedere in senso satisfattivo sulla istanza del richiedente.
  
Allo stesso modo, nel caso in cui il cittadino, rispetto al silenzio serbato dall’amministrazione sulla richiesta di accesso civico generalizzato, dovesse proporre ricorso ex art. 116 c.p.a.: se si tratta di attività vincolata facente capo all’amministrazione, il giudice accoglierà il ricorso e accerterà il diritto all’ostensione ordinando l’esibizione dei documenti;  se si tratta di attività discrezionale, in caso di accoglimento, accerterà il diritto a provvedere in favore del ricorrente e ordinerà all’amministrazione di procedere alla definizione dell’istanza, ovvero a rieditare il procedimento. 
 
Nel caso in cui, infine, si impugna il provvedimento di diniego espresso e il giudice ritenga fondato il ricorso, in caso di attività vincolata ovvero se non vi sono limiti da soppesare, il giudice annullerà il diniego, accerterà il diritto e condannerà l’amministrazione all’ostensione, per come prevede l’art. 116 c.p.a.. Nel caso in cui, invece, valuterà  che si tratti  – a monte – di attività discrezionale e la scelta operata risulti affetta dal vizio di eccesso di potere o di difetto di motivazione, il giudice  annullerà l’atto e rinvierà all’amministrazione per rieditare la propria scelta alla luce dell’effetto conformativo   della sentenza,  alla stregua di ciò che accade con l’ordinaria azione di annullamento, non potendosi configurare,  con riferimento all’accesso civico generalizzato, una ulteriore ipotesi di giurisdizione di merito senza una espressa volontà del legislatore. 
 
In conclusione, con riferimento alla tutela in tema di accesso civico generalizzato, il giudice amministrativo ha finora dimostrato che sia in caso di diniego espresso che di inerzia, ciò che fa la differenza, in termini di rito e di poteri del giudice, come è la regola nell’ambito del diritto sostanziale e del processo amministrativo, è il tipo di potere, discrezionale o vincolato, che si rinviene in capo all’amministrazione, incidendo ciò anche sul facere che il giudice può ordinare.  
 
Le azioni del processo amministrativo diventano, quindi, degli “archetipi” processuali nell’ambito dei quali il giudice amministrativo si muove esercitando i suoi poteri in una prospettiva di effettiva pienezza della tutela giurisdizionale.
 
Il fiume in piena delle sentenze e delle interpretazioni dottrinarie trova, quindi, un letto sicuro dove irrompere nel ruolo precipuo assunto da tempo dalla giustizia amministrativa nel ridurre le distanze tra “l’efficacia delle regole e l’effettività delle tutele”.
 
Anna Corrado
 
Consigliere Tar Napoli
 
Pubblicato il 6 giugno 2020
 
 
 
 
 
 

[1] Questo lavoro è stato pubblicato su www.federalismi.it, n.10 del 15 aprile 2020. Rispetto alla versione pubblicata sono state aggiunte  alcune sentenze del giudice amministrativo successive alla data di pubblicazione.
[2] L’accesso civico generalizzato è stato introdotto in Italia con il d. lgs. 25 maggio 2016, n. 97, il cui art. 6  ha modificato l’art. 5 del d. lgs. 14 marzo 2013, n. 33 introducendo al co. 2 questa disposizione: «Allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico, chiunque ha diritto di accedere ai dati e ai documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, ulteriori rispetto a quelli oggetto di pubblicazione ai sensi del presente decreto, nel rispetto dei limiti relativi alla tutela di interessi giuridicamente rilevanti secondo quanto previsto dall’articolo 5-bis».
[3] Il principio di effettività apre il Codice del processo amministrativo (d. lgs. 2 luglio 2010, n. 104), che all’art. 1 dispone che “ La giurisdizione amministrativa assicura una tutela piena ed effettiva secondo i principi della Costituzione e del diritto europeo ”.Il principio di effettività è inteso anche come un «sistema efficiente ed efficace di tutela giurisdizionale, in grado di rendere reali e tangibili i diritti e le posizioni giuridiche soggettive attribuiti al singolo dalle pertinenti norme sostanziali….la possibilità concreta che il sistema processuale sia efficace e consenta al privato di ottenere, se possibile agevolmente, il bene della vita ovvero l’utilitas sottesa al diritto azionato, pur tenendo nella debita considerazione il carattere di “risorsa scarsa” del processo» F. CARINGELLA – M. GIUSTINIANI, Manuale del processo amministrativo, DIKE Editrice Roma 2016, pag. 29.
 
[4] Anche con riguardo all’accesso documentale per lungo tempo si è ritenuto che il termine diritto utilizzato per definire l’istituto dovesse essere considerato in senso “atecnico” (cfr. anche Cons. Stato  9 settembre 2005, n. 4019).
[5] L’art. 27 del Testo di legge costituzionale approvato in seconda votazione a maggioranza assoluta, ma inferiore ai due terzi dei membri di ciascuna Camera, recante Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del titolo V della parte II della Costituzione (16A03075) (GU Serie Generale n. 88 del 15-04-2016) prevedeva la seguente modifica dell’art. 97 della Costituzione, secondo co.: «I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento, l’imparzialità e la trasparenza dell’amministrazione», con il riferimento espresso alla trasparenza amministrativa.
[6] La Costituzione italiana non prevede espressamente nemmeno un diritto alla riservatezza o alla protezione dei dati personali, la cui rilevanza si rinviene dagli artt. 14, 15, 21 e 32 della Cost.
[7] Sul punto autorevole dottrina già da tempo ha affermato, a proposito dell’art. 21 Cost. che «Accanto alla tradizionale libertà di informare, come libertà di comunicare, di trasmettere ad altri fatti e notizie di cui si è a conoscenza, si è fatta strada la considerazione del momento di apprendimento e di ricezione di tali fatti e notizie, come momento autonomo e distinto da quella. ….Si è detto: il nostro è un sistema democratico; la democrazia …è scelta; e per scegliere, per decidere è necessario conoscere. L’uomo dev’essere cioè messo in grado di inserirsi completamente nel meccanismo di gestione del potere: e ciò non solo mediante il sistema elettivo, ma anche in qualsiasi momento, esercitando un controllo cosciente sull’operato di coloro che ha eletto come suoi rappresentanti; è pertanto indispensabile che egli possa ampliare l’ambito delle proprie conoscenze ed acquistare così una più ampia consapevolezza delle sue determinazioni; ne deriva che l’informazione costituisce un momento essenziale nella condizione e nella vita dello Stato democratico: questo trova  appunto in una esauriente e puntuale formazione dell’opinione pubblica e pertanto in una completa e obiettiva utilizzazione delle fonti di informazione il presupposto della sua piena espansione.  Tale costruzione “a catena” è certamente da condividere nella misura in cui da essa voglia trarsi il fondamento costituzionale di un interesse “generale” (pubblico) all’informazione (inteso come interesse all’utilizzazione dei mezzi per la formazione di una piena ed efficace conoscenza)» così in M.A. SANDULLI, Note in tema di diritto all’informazione radiotelevisiva, in Giurisprudenza italiana, 1978. Della stessa A. si vedano anche Accesso alle notizie e ai documenti amministrativi, Enciclopedia del diritto, 2000; Riflessioni in tema di trasparenza anche alla luce del diritto di accesso civico, N AUT, 1/2015, 63. Si veda anche D.U. GALETTA, Accesso civico e trasparenza della pubblica amministrazione alla luce delle (previste) modifiche alle disposizioni del decreto legislativo n. 33/2013, in www.federalismi.it, n. 5/2016. Sulla libertà d’informazione, ex plurimis, tra i classici, A. LOIODICE, Contributo allo studio sulla libertà di informazione, Jovene, Napoli, 1969; A.M. SANDULLI, La libertà di informazione, in Dir. soc., 1978, 71 ss. e ivi ulteriori richiami.
[8]   Cfr. B.G. MATTARELLA, Lezioni di diritto amministrativo, Giappichelli Editore, Torino, 2018, pag. 92. Secondo l’A. « La trasparenza amministrativa può essere intesa e declinata in diversi modi. Vi sono varie possibilità in ordine: all’oggetto della trasparenza, che può essere costituito dalle informazioni, dai dati o dai documenti che racchiudano le une e gli altri; alle eccezioni, perché i casi di segreto e di esclusione dell’accesso possono essere più o meno numerosi; ai soggetti titolari del diritto, che può essere riconosciuto a tutti i cittadini o solo a chi vi abbia un particolare interesse; agli obblighi delle amministrazioni, a cui può essere richiesto di informare i cittadini di propria iniziativa, magari con forme di pubblicazione, o solo di rispondere alle richieste di accesso; ai profili organizzativi, che possono contemplare per esempio l’uso di strumenti telematici. Si può dire comunque che in molte esperienze, compresa quella italiana, vi sono due modelli fondamentali: quello, più prudente, dell’accesso individuale dei soli interessati ai documenti che li riguardino; e quello, più deciso, della trasparenza totale di tutte le informazioni in possesso delle amministrazioni, a favore di tutti i cittadini».
[9] C. COLAPIETRO, La terza generazione della trasparenza amministrativa, Editoriale Scientifica, Napoli, 2019, p. 58
[10] L’art. 1, co. 2 del d.lg. 33/2013 prevede che «La trasparenza, nel rispetto delle disposizioni in materia di segreto di Stato, di segreto d’ufficio, di segreto statistico e di protezione dei dati personali, concorre ad attuare il principio democratico e i principi costituzionali di eguaglianza, di imparzialità, buon andamento, responsabilità, efficacia ed efficienza nell’utilizzo di risorse pubbliche, integrità e lealtà nel servizio alla nazione. Essa è condizione di garanzia delle libertà individuali e collettive, nonché dei diritti civili, politici e sociali, integra il diritto ad una buona amministrazione e concorre alla realizzazione di una amministrazione aperta, al servizio del cittadino».
[11] C. COLAPIETRO, La terza generazione della trasparenza amministrativa, cit., p. 41
[12] Corte Cost., 3 luglio 1956, n. 11. Si veda anche Corte Cost., 1° agosto 1979, n. 98 dove si afferma che «nella costante interpretazione della Corte, l’invocato art. 2 Cost., nel riconoscere i diritti inviolabili dell’uomo, che costituiscono patrimonio irretrattabile della sua personalità, deve essere ricollegato alle norme costituzionali concernenti singoli diritti e garanzie fondamentali (sent. n. 11 del 1956, sent. n. 29 del 1962, sent. n. 1 del 1969, sent. n. 29 del 1969 e sent. n. 37 del 1969, sent. n. 102 del 1975, sent. n. 238 del 1975), quanto meno nel senso che non esistono altri diritti fondamentali inviolabili che non siano necessariamente conseguenti a quelli costituzionalmente previsti».
[13] C. COLAPRIETRO, M. RUOTOLO, Diritti e libertà, in Diritto pubblico, a cura di F. MODUGNO, Giappichelli, Torino 2017, p. 592 e ss. Gli Autori affermano come in dottrina si rinvenga sia una lettura restrittiva dell’art. 2 della Cost., secondo cui i diritti inviolabili sarebbero solo quelli espressamente qualificati tali dalle norme costituzionali sia una lettura della norma come clausola aperta riferibile ad ogni situazione di libertà emergente a livello di costituzione materiale. Secondo gli Autori entrambe queste tesi non sono soddisfacenti al fine di considerare i nuovi diritti costituzionali che emergono dall’evoluzione sociale. Viene quindi in evidenza una terza posizione (MODUGNO) secondo cui l’enucleazione dei c.d. nuovi diritti non può andar disgiunta dal riconoscimento della loro inviolabilità. Sarebbero i diritti riconosciuti come inviolabili ossia quelli assunti come valori primari e principi supremi dell’ordinamento costituzionale i soli idonei a consentire interpretazioni ed esplicazioni evolutive della loro potenzialità normativa. Secondo questa tesi la stessa possibilità di enucleare un nuovo diritto è sottoposto ad una duplice condizione dovendo essere ricondotto a un diritto enumerato nella Carta costituzionale e, a monte, essere riferibile al principio supremo della libertà dignità. Ancora si veda C. COLAPIETRO, La terza generazione della trasparenza amministrativa, cit., p. 41. L’A. afferma che «… non v’è dubbio che il diritto alla conoscibilità dell’agere pubblico sia qualificabile come un nuovo diritto emergente, in quanto strumento decisivo per il mantenimento della democrazia sostanziale, esplicazione dell’istanza solidarista nonché personalista che pervade il programma costituzionale di emancipazione sociale e che si traduce, nella prospettiva sostanziale, del principio di eguaglianza di cui al co. 2 dell’art. 3 Cost. nell’impegno concreto della Repubblica alla rimozione di quegli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana».
[14]   Sulla considerazione della trasparenza anche come strumento di prevenzione della corruzione si veda R.CANTONE, Il sistema della prevenzione della corruzione, Giappichelli Editore, Torino, 2020, pag. 197. Secondo l’A. «Le informazioni acquisite consentono tanto ai media quanto alla cittadinanza attiva di denunciare alla pubblica opinione  o alle autorità competenti comportamenti scorretti degli amministratori della res pubblica, rappresentando de facto uno strumento per l’avvio di indagini e accertamento; al tempo stesso, la consapevolezza da parte degli amministratori pubblici dell’esistenza di queste nuove forme di controllo diffuso e civico funge da deterrente  dalla commissione di illeciti e finisce per essere, quindi, un efficace meccanismo di prevenzione».
[15] A. CORRADO, Conoscere per partecipare: la strada tracciata dalla trasparenza amministrativa, ESI Napoli, 2018.
[16] N.BOBBIO, Democrazia e segreto, Einaudi Torino, 2011, tra cui gli articoli pubblicati su “La Stampa” il 23 novembre 1980 e “Paese sera” il 13 ottobre 1981
[17] Corte Cost., 21 febbraio 2019, n. 20.
[18] Vedi sul punto anche le considerazioni di G. GARDINI, L’incerta natura della trasparenza amministrativa, in Il FOIA italiano: vincitori e vinti a cura di G. Gardini e M. Magri, Maggioli Editore, 2019
[19] L’art. 10 CEDU sancisce, al comma 1, che ogni persona ha diritto alla libertà di espressione e che tale diritto include «la libertà di ricevere […] informazioni […] senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche», mentre il successivo comma 2 stabilisce che l’esercizio delle libertà garantite «può essere sottoposto alle formalità, condizioni, restrizioni o sanzioni che sono previste dalla legge e che costituiscono misure necessarie, in una società democratica» alla tutela di una serie di interessi, pubblici e privati, pressoché corrispondenti alle eccezioni relative previste dall’art. 5-bis, commi 1 e 2, del d. lgs. n. 33 del 2013.così  Cons. Stato, Ad. plenaria 2 aprile 2020, n. 10
[20] Cons. Stato, Ad. plenaria, n. 10/2020, cit.
[21] Secondo la dottrina «l’assenza di qualsivoglia riferimento al diritto di essere informati e di informarsi nel testo della Costituzione italiana, non ha favorito la configurazione dell’accesso civico generalizzato come diritto individuale all’informazione pubblica, causando anzi una pericolosa confusione di caratteri, all’interno dell’istituto, tra libertà personale, tecnica di lotta alla corruzione, strumento di controllo generalizzato dell’amministrazione» cosi G. GARDINI, L’incerta natura della trasparenza amministrativa, in Il FOIA italiano: vincitori e vinti a cura di G. Gardini e M. Magri, cit.
[22] Cfr. Delibera ANAC n. 1309/2016, paragrafo 5.2. Sul punto si consideri anche Cons. Stato, Ad. plenaria 10/2020, cit. secondo cui « ….ciò che distingue le eccezioni relative dalle eccezioni assolute è proprio il fatto che non sussista a monte, nella scala valoriale del legislatore, una priorità ontologica o una prevalenza assiologica di alcuni interessi rispetto ad altri, sicché è rimesso all’amministrazione effettuare un adeguato e proporzionato bilanciamento degli interessi coinvolti».
[23] G. MIELE, Questioni vecchie e nuove in materia di distinzione del diritto dall’interesse nella giustizia amministrativa, in Il Foro Amministrativo, 1940, pubblicato anche in Scritti Giuridici, Milano, 1987.
[24] Sul punto la Dottrina ha affermato che «… la natura di “diritto fondamentale” della nuova pretesa all’informazione consentirebbe di ricavare, come corollari (o, forse meglio, criteri) interpretativi a supporto del bilanciamento discrezionale del funzionario, almeno due principi-regole: 1) il principio di tutela preferenziale dell’interesse conoscitivo e 2) il criterio di minor aggravio possibile dell’esercizio del diritto fondamentale di accesso civico», cosi  S. VACCARI, Decisioni amministrative e interessi pubblici sensibili: le nuove regole sulla trasparenza, in Istituzioni del federalismo, 4/2017.
[25] cfr. sul punto M. MAZZAMUTO, La discrezionalità come criterio di riparto della giurisdizione e gli interessi legittimi fondamentali, in www.giustizia-amministrativa.i, 2020
[26] F. FRANCARIO, Il diritto di accesso deve essere una garanzia effettiva e non una mera declamazione retorica, in www.federalismi.it, n. 10/2019; si veda anche G. GARDINI, L’incerta natura della trasparenza amministrativa, in Il FOIA italiano: vincitori e vinti, a cura di G. Gardini e M. Magri, Maggioli Editore, 2019
[27]  F. FRANCARIO, Il diritto di accesso deve essere una garanzia effettiva e non una mera declamazione retorica, cit.;
[28] TAR. Lazio, Roma, sez. I ter, 7 agosto 2018, n. 8892, confermata da Cons Stato, sez. III, 2 settembre 2019, n. 6028; recentemente nella stessa direzione anche Cons. Stato, sez. V. 12 febbraio 2020, n. 1121;
[29] Su punto si veda anche V. LOPILATO, Manuale di diritto amministrativo, Giappichelli Editore, 2020, pag. 218. L’A. chiarisce che «In definitiva, l’interesse legittimo è una situazione giuridica sostanziale di vantaggio e dinamica che si correla ad un bene della vita e che si confronta costantemente con il potere pubblico che rappresenta anch’esso una situazione giuridica dinamica finalizzata al perseguimento dell’interesse pubblico il quale a sua volta, si riferisce a beni o utilità pubbliche. »
[30] Secondo la dottrina si potrebbe giungere a qualificare la figura dell’accesso civico generalizzato  quasi in termini di interesse semplice se non fosse per la «dimensione procedimentale in cui è destinato comunque a svolgersi, l’accesso e le regole e i principi che governano l’esercizio del potere discrezionale consentano di qualificare la situazione soggettiva anche in termini di interesse legittimo» F. FRANCARIO, Il diritto di accesso deve essere una garanzia effettiva e non una mera declamazione retorica, cit.; Si veda anche sul punto il  contributo di S. VACCARI, Decisioni amministrative e interessi pubblici sensibili: le nuove regole sulla trasparenza, cit. In particolare l’A. afferma  «Che il nuovo accesso civico sia qualcosa di ben differente – dal punto di vista strutturale – rispetto all’originario diritto di accesso civico … è evidente. Il legislatore, infatti, prevedendo che, al fine di incrementare le forme di controllo diffuso sulla funzione amministrativa e la partecipazione alla “cosa pubblica”, il cives possa anche pretendere di visionare, non soltanto i documenti, dati e informazioni già oggetto degli obblighi di pubblicazione online, bensì qualsiasi documento o dato ulteriore detenuto dalle P.A. nel rispetto di una serie cospicua di limiti a presidio di interessi giuridicamente rilevanti, ha contribuito a creare un qualcosa che, dal punto di vista strutturale, difficilmente può essere inquadrato come “diritto soggettivo”. Detto altrimenti, l’apposizione normativa di una serie di limiti di condizionamento (e, quindi, di legittimo diniego) della pretesa informativa del singolo postula la scelta di non voler risolvere a priori (ossia, ex ante) il conflitto tra trasparenza e interessi pubblici/privati confliggenti, preferendo la via del bilanciamento discrezionale ex post e in concreto da parte dell’amministrazione destinataria dell’istanza. Ciò, tuttavia, fa sì che la P.A., poiché fornita dalla fattispecie normativa in esame di un potere di tipo discrezionale, diverrà il soggetto incaricato della cura e dell’armonizzazione tra istanze confliggenti, non potendo, perciò, ritenersi assoggettata a un mero obbligo correlato a una posizione di diritto soggettivo a risultato garantito. Si è al cospetto, dunque, non più di un rapporto giuridico nel quale si contrappongono diritti a obblighi, bensì di un differente rapporto ove dialogano potere discrezionale e interesse legittimo giacché non è possibile stabilire con certezza ex ante (ossia, dalla semplice lettura del precetto normativo) se l’istanza del privato possa ritenersi meritevole di accoglimento o meno».
[31] F.CARINGELLA, Manuale ragionato di diritto amministrativo, DIKE Editrice, 2019, pag. 370
[32] Ibidem
[33] In più, poiché il diritto a conoscere e a formarsi una propria idea sulle scelte politico-amministrative confluisce nell’interesse pubblico più generale alla trasparenza che fa capo a tutti, (potendo in verità tutti chiedere di conoscere la stessa documentazione) potrebbe anche considerarsi che a fianco all’interesse legittimo  riconosciuto al singolo si individua un interesse legittimo comune a una pluralità di soggetti. Sul punto risultano di particolare interesse le  considerazioni di F. CINTIOLI, Note sulla cosiddetta class action amministrativa, in www.giustamm.it, 2010
[34] Dibattito su cui si rinvia, ancora una volta, alla voce di M.A. SANDULLI, Accesso alle notizie e ai documenti amministrativi, Enciclopedia del diritto, 2000, nonché ai contributi di S. BACCARINI  in M.A. SANDULLI (a cura di) Codice dell’azione amministrativa, I ed, Giuffrè, Milano, 2011 e di A. SIMONATI, ivi, II ed., 2017.
[35] cfr. Cons. Stato, Ad. plenaria  18 aprile 2006, nn. 6 e 7.  L’affermazione del carattere decadenziale del termine per impugnare il diniego (espresso o tacito) di cui all’art. 116 c.p.a. ha fatto concettualmente pendere la bilancia della qualificazione dell’accesso in direzione dell’interesse legittimo, anche se invero le citate pronunce dell’Adunanza plenaria del 2006 non prendono posizione sul punto, privilegiando una lettura del diritto di accesso quale situazione giuridica soggettiva che, più che fornire utilità finali, «risulta caratterizzata per il fatto di offrire al titolare dell’interesse poteri di natura procedimentale volti in senso strumentale alla tutela di un interesse giuridicamente rilevante».
Verosimilmente, poiché nulla vieta che il legislatore possa sottoporre a un termine di decadenza l’azione a tutela di un diritto soggettivo, appare improprio ricercare l’esatta qualificazione di una situazione giuridica soggettiva partendo dalla tecnica di tutela giurisdizionale in concreto apprestata dal legislatore.
[36] Cfr. Cons. St., Ad. plenaria, 24 giugno 1999, n. 16. Secondo le argomentazioni della plenaria «Il termine ‘diritto’, più volte adoperato nel suo senso più generico dal legislatore nei richiamati articoli da 22 a 25 (legge 241/1990) va interpretato alla luce della norma che prescrive il termine perentorio per la proposizione del ricorso, nonché delle regole generali del processo amministrativo di legittimità, compatibili con il rito speciale previsto dall’art. 25. Sussiste una notevole similitudine tra i principi riguardanti altri settori del diritto amministrativo (e delle correlative regole processuali) e quelli concernenti la tutela del diritto d’accesso: chi aspira a concludere un contratto di appalto con la pubblica amministrazione o ad essere proclamato eletto in una competizione elettorale (anche al Parlamento europeo: art. 42 della legge 24 gennaio 1979, n. 18) ne ha ‘diritto secondo il linguaggio comune, ma sul piano giuridico può impugnare innanzi al giudice amministrativo, entro il prescritto termine di decadenza, il provvedimento concretamente lesivo che abbia disconosciuto tale posizione, da qualificare come interesse legittimo. Più in generale (e tranne i casi in cui una legge compatibile con la Costituzione determini la giurisdizione ordinaria), è ravvisabile la posizione di interesse legittimo, tutelata dall’art. 103 della Costituzione, quando un provvedimento amministrativo è impugnabile come di regola entro un termine perentorio, pure se esso incide su posizioni che, nel linguaggio comune, sono più spesso definite come di diritto’. Ad esempio, per l’ordinamento (sia sul piano sostanziale che ai fini del riparto delle giurisdizioni) hanno natura di interessi legittimi il ‘diritto di concludere il contratto da parte di chi ritenga di dovere risultare vincitore di una gara d’appalto’, il ‘diritto del candidato di essere proclamato eletto in una competizione elettorale’, il ‘diritto di svolgere una certa attività, economica, professionale o costruttiva da parte di chi ritenga che sia illegittimo un diniego di licenza, di autorizzazione o di concessione’, il ‘diritto di essere nominato pubblico dipendente all’esito di un concorso per la nomina’, il ‘diritto di non essere estradato in un Paese ove è eseguibile la pena di morte (Corte Cost. 25 giugno 1996, n. 223)’, il ‘diritto all’attivazione di impianti radiotelevisivi (Corte Cost., 2 marzo 1990, n. 102)’, gli altri ‘diritti richiamati dalla sez. V con la decisione 2 dicembre 1998, n. 1725’. In tutti tali settori (in cui le leggi attribuiscono all’amministrazione il potere di natura pubblicistica di valutare tutti gli interessi coinvolti e di incidere unilateralmente col provvedimento autoritativo sull’altrui sfera giuridica), la posizione del soggetto leso dall’atto è presa in considerazione dalle specifiche norme costituzionali che regolano i settori, è qualificata come interesse legittimo (v. articoli 24, 103 e 113 della Costituzione) ed è pienamente tutelata in sede giurisdizionale con un giudizio di impugnazione del provvedimento lesivo, nel corso del quale può verificarsi se l’atto sia affetto non solo da vizi formali, ma anche da profili di eccesso di potere. Come per la tutela del diritto di accesso, le normative riferibili ai richiamati settori mirano al soddisfacimento dell’interesse individuale, nell’ambito del contestuale e coessenziale soddisfacimento dell’interesse pubblico».
[37] Cfr. esemplificativamente, Cons. Stato, sez. VI, 12 aprile 2005, n. 1679 e 27 maggio 2003, n. 2938. Diverse le considerazioni che portavano alla qualificazione dell’accesso documentale quale diritto soggettivo tra cui il carattere vincolato dei poteri rimessi all’amministrazione in sede di esame dell’istanza di accesso, poteri aventi ad oggetto la ricognizione della sussistenza dei presupposti di legge e dell’assenza di elementi ostativi all’accesso.
[38] L’art. 3, co. 6 decies del d.l. .L. 14/03/2005, n. 35, come convertito in legge   14 maggio 2005, n. 80, recante Disposizioni urgenti nell’ambito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale ha previsto che  «Le controversie relative all’accesso ai documenti amministrativi sono attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo».
[39]  Si veda art. 8, co. 2, del d.P.R. 352/1992, ancora in vigore in ragione dell’art. 15 del d.P.R. 184/2006 , in attesa  dell’adozione del regolamento di cui all’articolo 24, comma 6, della legge 241/1990
[40] Art. 5, co. 3 del d. lgs. 19/08/2005, n. 195, recante Attuazione della direttiva 2003/4/CE sull’accesso del pubblico all’informazione ambientale.  
[41] Su punto si veda anche V. LOPILATO, Manuale di diritto amministrativo, cit., pag. 213. L’A. chiarisce che «Nel diritto amministrativo le situazioni giuridiche soggettive che, normalmente, si confrontano sono il pubblico potere della pubblica amministrazione e l’interesse legittimo del privato, Esse definiscono il rapporto giuridico di diritto privato. Il potere pubblico unilaterale rappresenta la situazione giuridica soggettiva di vantaggio della pubblica amministrazione dinamica che la norma disciplina, configurando un’attività amministrativa vincolata o discrezionale per il perseguimento dell’interesse pubblico che, a sua volta, si correla a beni o utilità di rilevanza pubblica».
[42] Cfr. anche sul punto TAR Campania, Napoli, sez. VI, 9 maggio 2019, n. 2486, TAR, Lazio, Roma, sez. III quater, 18 febbraio 2020, n. 2174, e da ultimo Cons. Stato, Ad. plenaria n.10/2020, cit..
[43]  M. MAZZAMUTO, La discrezionalità come criterio di riparto della giurisdizione e gli interessi legittimi fondamentali, in www.giustizia-amministrativa.it, 13 gennaio 2020.
[44] A supporto di tale ricostruzione normativa si consideri il parere reso dalle Commissioni parlamentari in data 20 aprile 2016 sullo schema di d. lgs. 97/2016 (che ha introdotto l’accesso generalizzato nell’ambito del decreto 33/2013) il quale espressamente richiedeva di «eliminare il silenzio diniego e prevedere che il rifiuto debba essere motivato da parte dell’amministrazione».
[45] cfr., in senso adesivo, TAR Campania, Napoli, sez. VI, 13 dicembre 2017, n. 5901 e 23 luglio 2018, n. 4913; TAR Lazio, Roma, sez. I, 28 luglio 2017, n. 9076;  sez. II bis, 2 luglio 2018, n. 7326, 5 febbraio 2019, n. 1458; sez. III quater, 17 settembre 2019, n. 11024, 27 agosto 2019, n. 10620; Cons. Stato, sez.V, 12 febbraio 2020, n. 1121.
[46] Corte Cost. n. 204 del 2004 e n. 191 del 2006; Cons. Stato, sez. V, 31 gennaio 2017, n. 382; cfr. anche in tal senso Cass. sez. unite., 4 settembre 2015, n. 17586.
[47] Cfr. sul punto anche TAR Lazio, Roma, sez. I quater, ord. 19 settembre 2017 n. 9828.
[48] In tema di notifica del ricorso per l’accesso ai controinteressati, la disciplina recata dal primo co. dell’art. 116 del Codice costituisce una novità di rilievo per il fatto stesso di aver espressamente posto la regola, già invero costantemente affermata dalla giurisprudenza, della notifica del ricorso de quo ad eventuali controinteressati.
Per “controinteressati” in materia di accesso devono infatti intendersi non già tutti coloro che, a qualsiasi titolo, siano nominati o comunque coinvolti nel documento oggetto dell’istanza ostensiva, ma solo coloro che per effetto dell’ostensione vedrebbero pregiudicato il loro diritto alla riservatezza: pertanto, non basta che taluno venga chiamato in qualche modo in causa dal documento in richiesta, ma occorre in capo a tale soggetto un “quid pluris”, vale a dire la titolarità di un diritto alla riservatezza sui dati racchiusi nel documento stesso   (Cfr. Cons. Stato, sez. V, 27 maggio 2011, n. 3190,  sez. V, n. 3714 del 2016; sez. V, n. 3190 del 2011; sez. VI, n. 3601 del 2007). La obbligatorietà di tale notifica, pena la inammissibilità del ricorso, costantemente affermata dalla giurisprudenza, era stata ricavata in via interpretativa dall’applicazione delle norme generali sul processo amministrativo e dunque posta anche per il rito speciale sull’accesso (TAR Lazio, Roma, sez. I, 8 febbraio 2010, n. 1662; TAR Lazio, Roma, sez. II, 8 febbraio 2010, n. 1624). Il controinteressato potrà adire il giudice amministrativo, ex art. 116 c.p.a. per tutelare il suo diritto alla riservatezza nel caso in cui viene accolta l’istanza di accesso così come, si ritiene, possa richiedere la tutela cautelare per impedire che avvenga la temuta ostensione da parte dell’amministrazione. In linea con tale tutela la disciplina in tema di accesso generalizzato prevede che se l’accesso civico è consentito nonostante l’opposizione del controinteressato, salvi i casi di comprovata indifferibilità, l’amministrazione dovrà trasmettere i dati o i documenti richiesti non prima di quindici giorni dalla ricezione della stessa comunicazione da parte del controinteressato (art. 5, co. 6, d.lgs. 33/2013). Questo iter si spiega proprio con l’intento di consentire al controinteressato di attivare i meccanismi di tutela amministrativa e processuale previsti. Per un approfondimento sul tema si veda anche di A. CORRADO, Conoscere per partecipare: la strada tracciata dalla trasparenza amministrativa, cit.
[49] Detto articolo espressamente prevede che nel giudizio in materia di accesso ai documenti amministrativi (così come per quelli in materia di silenzio, di ottemperanza e per i giudizi in opposizione ai decreti che pronunciano l’estinzione o l’improcedibilità del giudizio) «tutti i termini processuali sono dimezzati rispetto a quelli del processo ordinario, tranne quelli per la notificazione del ricorso introduttivo, del ricorso incidentale e dei motivi aggiunti».
[50] Quando a ricorrere al giudice non è il richiedente l’accesso ma il titolare del diritto alla riservatezza che lamenta l’accesso concesso questi sarà interessato solo ad ottenere l’annullamento dell’atto che impugna, in linea con la struttura impugnatoria del processo relativo all’accesso.
[51] Sul punto cfr.  F. LOMBARDI, L’inerzia della p.a. a fronte di richieste di accesso civico. Un nuovo rito per il silenzio inadempimento?, Istituzioni del federalismo, n. 3/2019; A. CORRADO, Il silenzio dell’amministrazione sull’istanza di accesso civico generalizzato: quale possibile tutela processuale, in www.federalismi.it, n. 5/2017. A. CORRADO, Conoscere per partecipare…cit. pag. 205
[52] S. VILLAMENA, Il c.d. FOIA (o accesso civico 2016) ed il suo coordinamento con istituti consimili, in www.federalismi.it, n. 23/2016
[53] V. LOPILATO, Manuale di diritto amministrativo, cit.
 
[54] In base al co. 3 dell’art. 31 c.p.a.,  a fronte dell’inerzia dell’amministrazione, il cittadino che intende intraprendere direttamente la strada processuale potrà chiedere non solo che venga dichiarata illegittima l’inerzia serbata dall’amministrazione, ma anche che il giudice si pronunci sulla fondatezza della istanza e quindi che il giudice, qualora ritenga che sia in presenza di attività vincolata, decida direttamente in merito all’istanza del richiedente ordinando all’amministrazione di fornire i dati, i documenti e le informazioni richieste e lasciando alla stessa amministrazione la tutela degli interessi in concreto coinvolti solo laddove si sia in presenza di attività discrezionale.   
[55] Tra l’altro va considerato che per questi riti va versato, sebbene dimezzato, il contributo unificato, mentre solo quando si richiedono informazioni ambientali a norma del d. lgs. 195/2005, il ricorso è gratuito. L’art. 13, co. 6-bis del d.P.R. 30/05/2002, n. 115  (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia ) prevede che il «contributo unificato per i ricorsi proposti davanti ai Tribunali amministrativi regionali e al Consiglio di Stato è dovuto nei seguenti importi:
a) per i ricorsi previsti dagli articoli 116 e 117 del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104, …… il contributo dovuto è di euro 300. Non è dovuto alcun contributo per i ricorsi previsti dall’articolo 25 della citata legge n. 241 del 1990 avverso il diniego di accesso alle informazioni di cui al decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 195, di attuazione della direttiva 2003/4/CE sull’accesso del pubblico all’informazione ambientale……».
[56] F. DINELLI, Le sanzioni per le violazioni degli obblighi di pubblicazione e la tutela giurisdizionale dell’accesso civico, in Nuova trasparenza amministrativa e libertà di accesso alle informazioni, a cura di B. PONTI, Maggioli, Rimini 2016.
[57] F. Caringella, M. Giustiniani, Manuale del processo amministrativo, cit, p. 693.
[58] L’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato in tema di accesso documentale ha affermato che «L’accesso è collegato a una riforma di fondo dell’amministrazione, informata ai principi di pubblicità e trasparenza dell’azione amministrativa, che si inserisce a livello comunitario nel più generale diritto all’informazione dei cittadini rispetto all’organizzazione e alla attività amministrativa. Ed è evidente in tale contesto, che si creino ambiti soggettivi normativamente riconosciuti di interessi giuridicamente rilevanti, anche in contrapposizione tra di loro: interesse all’accesso; interesse alla riservatezza di terzi; tutela del segreto. Trattasi, a ben vedere, di situazioni soggettive che, più che fornire utilità finali (caratteristica da riconoscere, oramai, non solo ai diritti soggettivi ma anche agli interessi legittimi), risultano caratterizzate per il fatto di offrire al titolare dell’interesse poteri di natura procedimentale volti in senso strumentale alla tutela di un interesse giuridicamente rilevante (diritti o interessi). Il carattere essenzialmente strumentale di tali posizioni si riflette inevitabilmente sulla relativa azione, con la quale la tutela della posizione soggettiva è assicurata. In altre parole, la natura strumentale della posizione soggettiva riconosciuta e tutelata dall’ordinamento caratterizza marcatamente la strumentalità dell’azione correlata e concentra l’attenzione del legislatore, e quindi dell’interprete, sul regime giuridico concretamente riferibile all’azione, al fine di assicurare, al tempo stesso, la tutela dell’interesse ma anche la certezza dei rapporti amministrativi e delle posizioni giuridiche di terzi controinteressati» cfr. Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, 18 aprile 2006, n. 6.
 
[59]  Sul punto vedi anche Cassazione, Sez. Unite, 10 aprile 2018, n. 8823.
 
[60] Cons. stato. Ad. Plenaria n. 10/2020, cit.
[61] Sulla problematica si veda A. CORRADO, il giudice amministrativo e l’ “effettività” della trasparenza amministrativa, in Il FOIA ITALIANO: VINCITORI E VINTI, a cura di G. Gardini e M. Magri, Maggioli Editore 2019 e  l’approfondimento di V. Parisio, La tutela dei diritti di accesso ai documenti amministrativi e alle informazioni nella prospettiva giurisdizionale, in www.federalismi.it, n. 11/2018. Da ultimo Cons. Stato, sez. V, 12 febbraio 2020, n. 1121.
 
[62] Cons. Stato, sez. VI, 29 aprile 2019, n. 2737. Di contrario avviso recentissima sentenza del Cons. Stato, sez. V, 12 febbraio 2020, n. 1121.
[63] Cons. Stato, Ad. plenaria, 18 aprile 2006, nn. 6 e 7
[64] Cons. Stato, sez. VI, ordinanza del 9 settembre 2005, n. 4686
[65] Cons. Stato, Ad. plenaria, 18 aprile 2006, n. 6
[66] L’affermazione del carattere decadenziale del termine per impugnare il diniego (espresso o tacito) fa concettualmente pendere la bilancia della qualificazione dell’accesso in direzione dell’interesse legittimo, anche se invero le citate pronunce dell’Adunanza plenaria del 2006 non prendono posizione sul punto, privilegiando una lettura del diritto di accesso quale situazione giuridica soggettiva che, più che fornire utilità finali, «risulta caratterizzata per il fatto di offrire al titolare dell’interesse poteri di natura procedimentale volti in senso strumentale alla tutela di un interesse giuridicamente rilevante». Verosimilmente, poiché nulla vieta che il legislatore possa sottoporre a un termine di decadenza l’azione a tutela di un diritto soggettivo, appare improprio ricercare l’esatta qualificazione di una situazione giuridica soggettiva partendo dalla tecnica di tutela giurisdizionale in concreto apprestata dal legislatore.
 
[67] Cfr. T.A.R., Puglia, Bari, sez. I, 18 ottobre 2018, n. 1344.
 
[68] TAR Campania, Napoli, sez. VI, 27 agosto 2019, n. 4418.
[69] TAR Marche, 18 ottobre 2018 n. 677.
 
[70] TAR Lazio, Roma, sez. III, 1 agosto 2019, n. 10202. Detta sentenza è stata riformata da Cons. Stato, sez. V, 12 febbraio 2020, n. 1121 ritenendo, invece,  sottratte le dette attività di salvataggio in mare  alla conoscenza diffusa. Si legge in questa ultima decisione, a proposito della discrezionalità dell’amministrazione sulla materia che «….. il diniego eventualmente opposto all’istanza, presupponendo una valutazione eminentemente discrezionale che non di rado può involgere – ratione materiae – profili di insindacabile merito politico, non potrebbe in alcun modo essere superato da una parallela valutazione del giudice amministrativo, il cui sindacato in materia va strettamente circoscritto alle ipotesi di manifesta e macroscopica contraddittorietà o irragionevolezza.
Il giudice amministrativo può quindi sindacare le valutazioni dell’amministrazione in ordine al diniego opposto solamente sotto il profilo della logicità, ragionevolezza ed adeguatezza dell’istruttoria, ma non procedere ad un’autonoma verifica della necessità del diniego opposto o della sua eventuale superabilità, sia pure parziale.
Una siffatta valutazione, infatti, verrebbe ad integrare un’inammissibile invasione della sfera propria della pubblica amministrazione: tale sindacato rimane dunque limitato ai casi di macroscopiche illegittimità, quali errori di valutazione gravi ed evidenti, oppure valutazioni abnormi o inficiate da errori di fatto».
 
[71] T.A.R. Lazio, Roma, sez. III, 16 marzo 2018, n. 2994.
[72] Cons. Stato, sez. III, 6 marzo 2019, n. 1546.
[73] TAR. Lazio, Roma, sez. II ter, 4 maggio 2018, n. 4977
 
[74] In merito alla possibilità di attivare il dialogo collaborativo si veda anche TAR Bari, sez. III, 19 febbraio 2018, n. 234, TAR Toscana, sez. I, 28 gennaio 2019, n. 133, TAR Campania, Napoli, sez. VI, 9 maggio 2019, n. 2486.
[75]  TAR Lombardia, Milano, sez. IV, 11 gennaio 2019, n. 45, Cons. Stato, sez. III, 5 giugno 2019, n. 3780, TAR Campania, Napoli, 10 dicembre 2019, n. 5837, Cons. Stato, Sez. III, ord. 15 dicembre 2019, n. 8501. Il Consiglio di Stato, con l’Ad. plenaria n. 10/2020 cit. ha ritenuto applicabile la disciplina dell’accesso civico generalizzato anche alla materia dei contratti pubblici.
 
[76] TAR Lombardia, Milano, sez. IV, 11 gennaio 2019, n. 45
[77] S. VACCARI, Decisioni amministrativi e interessi pubblici sensibili: le nuove regole sulla trasparenza, cit. L’A. chiarisce che « il test del pregiudizio favorisce, più che generici bilanciamenti tra interessi, le attività di valutazione in concreto funzionali alla ricerca dei “nessi di causalità” tra ostensione di certi dati o documenti e possibili danni agli interessi implicati. ….. il segnalato criterio esplicitato dalla fattispecie normativa, in quanto regola “sostanziale” di limite/guida al potere discrezionale dell’amministrazione procedente, diviene anche parametro utile di raffronto per la sindacabilità giudiziale del provvedimento amministrativo finale, consentendo un più penetrante e incisivo controllo di legittimità sulle decisioni in materia di trasparenza amministrativa».
[78] Cfr. Delibera ANAC n. 1309/2016, paragrafo 5.2.
[79]  Cfr. TAR Campania, Napoli, sez. VI, 10 dicembre 2019, n. 5837.
[80] Ibidem; si veda anche M. SAVINO, Il FOIA italiano. La fine della trasparenza di Bertoldo, in Giornale di diritto amministrativo, 5/2016
[81] Questa interpretazione risulta confortata dalle argomentazioni della recente decisione resa dal Consiglio di Stato in Adunanza plenaria  già citata in precedenza secondo cui « Tutte le eccezioni relative all’accesso civico generalizzato implicano e richiedono un bilanciamento da parte della pubblica amministrazione, in concreto, tra l’interesse pubblico alla conoscibilità e il danno all’interesse-limite, pubblico o privato, alla segretezza e/o alla riservatezza, secondo i criteri utilizzati anche in altri ordinamenti, quali il cd. test del danno (harm test), utilizzato per esempio in Germania, o il c.d. public interest test o public interest override, tipico dell’ordinamento statunitense o di quello dell’Unione europea (art. 4, par. 2, del reg. (CE) n. 1049/2001: …… È vero, infatti, che escludere dall’accesso anche generalizzato la documentazione suscettibile di rivelare gli aspetti tecnologici, produttivi, commerciali e organizzativi, costituenti i punti di forza o di debolezza delle offerte nel confronto competitivo, costituisce un obiettivo delle norme in materia di appalti pubblici dell’Unione, e che per conseguire tale obiettivo è necessario che le autorità aggiudicatrici non divulghino informazioni il cui contenuto potrebbe essere utilizzato per falsare la concorrenza, (Trib. I grado UE, sez. II, 29 gennaio 2013, in T-339/10 e in T-532/10 nonché Corte Giust UE, sez. III, 14 febbraio 2008, in C-450/06). 35.3. E tuttavia questo obiettivo può e deve essere conseguito appunto, in una equilibrata applicazione del limite previsto dall’art. 5-bis, comma 2, lett. c), del d. lgs. n. 33 del 2013, secondo un canone di proporzionalità, proprio del test del danno (c.d. harm test), che preservi il know-how industriale e commerciale dell’aggiudicatario o di altro operatore economico partecipante senza sacrificare del tutto l’esigenza di una anche parziale conoscibilità di elementi fattuali, estranei a tale know-how o comunque ad essi non necessariamente legati, e ciò nell’interesse pubblico a conoscere, per esempio, come certe opere pubbliche di rilevanza strategica siano realizzate o certi livelli essenziali di assistenza vengano erogati da pubblici concessionari. 35.4. Va ribadito – concludendo sul punto – che ciò che distingue le eccezioni relative dalle eccezioni assolute è proprio il fatto che non sussista a monte, nella scala valoriale del legislatore, una priorità ontologica o una prevalenza assiologica di alcuni interessi rispetto ad altri, sicché è rimesso all’amministrazione effettuare un adeguato e proporzionato bilanciamento degli interessi coinvolti» Cons. Stato, Ad. plenaria n. 10/2020 cit.
[82] TAR Campania, Napoli, sez. VI, 9 maggio 2019, n. 2486, 27 agosto 2019, n. 4418; TAR, Lazio, Roma, sez. III quater, 18 febbraio 2020, n. 2174.
[83] Sull’applicazione di tale principio in materia di trasparenza e obblighi di pubblicazione si veda anche la recente sentenza della Corte Cost. n. 20/2019 cit.
[84] In pratica l’amministrazione, nonostante il riferimento nella norma al solo “test del pregiudizio concreto”, dovrà considerare non solo il danno che l’ostensione può creare all’interesse (limite) “protetto” dall’ordinamento, ma anche l’aspettativa che ha il richiedente di conoscere i dati, le informazioni o i documenti oggetto dell’istanza (riferibili all’attività e all’organizzazione amministrativa) e quale potrebbe essere il contributo positivo alla “conoscenza diffusa” dell’attività amministrativa che l’ostensione richiesta potrebbe comportare.
[85] A proposito della motivazione deve darsi conto, come osserva attenta dottrina,  che nell’ambito del procedimento che si crea si verifica una disparità di posizione tra il richiedente l’accesso e in controinteressato: mentre per il primo la norma che il richiedente non deve esplicitare la motivazione per cui è spinto a conoscere il controinteressato adito in sede procedimentale, invece, va a motivare proprio contro la eventuale scelta di ostendere per cui si verifica uno sbilanciamento tra un soggetto che certamente enfatizza il pregiudizio concreto contro il richiedente che resta silente. Chi dovrebbe, quindi, bilanciare queste due posizioni? Dovrebbe attivarsi in caso di intervento del controinteressato un “dialogo collaborativo”  oppure d’ufficio l’amministrazione dovrebbe valorizzare le ragioni dell’interesse pubblico a conoscere i documenti richiesti in quanto idonei a dare conto dell’attività e delle scelte amministrativa, ricordando sempre, come dicono gli inglesi che l’interesse pubblico non sempre coincide con l’interesse del pubblico. cfr. sul punto anche S. VACCARI, Decisioni amministrativi e interessi pubblici sensibili: le nuove regole sulla trasparenza, cit  
[86] TAR Lazio, Roma, sez, II bis, 2 luglio 2018, n. 7326, confermata in appello con sentenza Cons. Stato, sez. V, 25 luglio 2019, n. 5256. Ancora Cons. Stato, sez. V, 12 febbraio 2020, n. 1121
[87] TAR Emilia Romagna, Parma, sez. I, 28 novembre 2018, n. 325. Condivisibilmente il giudice ha stabilito che «Reintrodurre tramite interpretazione non sorretta dal dato normativo un limite costituito dal controllo della finalità esercitata dal cittadino implica, da un lato, la creazione di un’importante barriera di natura soggettiva all’esercizio del diritto stesso (in aperto contrasto con la voluntas legis, secondo cui la regola è la conoscibilità dei documenti pubblici), dall’altro, la rimessione della valutazione di tale finalità all’esercizio di un’ampia discrezionalità da parte della stessa amministrazione procedente, in ragione della natura apertissima della formula di controllo operata, con sostanziale vanificazione del diritto accordato dal legislatore».
[88] Cons. Stato, sez. V., 2 agosto 2019, n. 5502.
[89] Cons. Stato, Ad. plenaria n. 10/2020 cit.. Qualche mese prima della pronuncia dell’Adunanza plenaria il giudice di appello aveva ancora affermato che «Alla luce del quadro normativo in materia, deve quindi concludersi che uno solo è il presupposto imprescindibile di ammissibilità dell’istanza di accesso civico generalizzato, ossia la sua strumentalità alla tutela di un interesse generale. La relativa istanza, dunque, andrà in ogni caso disattesa ove tale interesse generale della collettività non emerga in modo evidente, oltre che, a maggior ragione, nel caso in cui la stessa sia stata proposta per finalità di carattere privato ed individuale. Lo strumento in esame può pertanto essere utilizzato solo per evidenti ed esclusive ragioni di tutela di interessi propri della collettività generale dei cittadini, non anche a favore di interessi riferibili, nel caso concreto, a singoli individui od enti associativi particolari: al riguardo, il giudice amministrativo è tenuto a verificare in concreto l’effettività di ciò, a nulla rilevando – tantomeno in termini presuntivi – la circostanza che tali soggetti eventualmente auto-dichiarino di agire quali enti esponenziali di (più o meno precisati) interessi generali (Cons. Stato, sez. V, 12 febbraio 2020, n. 1121). In tema di buona fede del richiedente si veda TAR Lombardia, Milano, sez. III, 11 ottobre 2017, n. 1951
[90] TAR Lazio, Roma, sez. I ter, 7 agosto 2018, n. 8892, confermata in appello con Cons. Stato, sez.III, 2 settembre 2019, n. 6028; TAR Lazio, Roma, sez. III ter, 16 novembre 2018, n. 11125.
 
[91]I limiti previsti dai regolamenti adottati alla luce dell’art. 24 della legge 241/1990, secondo il testo previgente alla  riforma della legge del 2005, devono essere considerati non come limiti assoluti ma solo come indici per effettuare un bilanciamento sugli interessi di cui all’art. 5 bis co. 1 e 2. Sul punto si veda anche la Circolare n. 1/2019 del Ministro della Pubblica Amministrazione recante Attuazione delle norme sull’accesso civico generalizzato (c.d. FOIA).  
[92]Cons.  Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, ord. 23 ottobre 2017, n. 444. L’art. 42, co. 8 della legge 3 agosto 2007, n. 124 in tema di “Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica e nuova disciplina del segreto” dispone che « Qualora l’autorità giudiziaria ordini l’esibizione di documenti classificati per i quali non sia opposto il segreto di Stato, gli atti sono consegnati all’autorità giudiziaria richiedente, che ne cura la conservazione con modalità che ne tutelino la riservatezza, garantendo il diritto delle parti nel procedimento a prenderne visione senza estrarne copia».
[93] TAR Lazio, sez. I, ord. 5 dicembre 2014, n. 12285
[94] TAR Lazio, Roma, sez. III ter, 28 ottobre 2019, n. 12349. La sentenza è stata, infatti, riformata dal giudice di appello per difetto di motivazione dell’avversato diniego; pertanto, ha annullato i provvedimenti di diniego dell’accesso, accolto la domanda di accertamento del diritto di accesso al documento, ad esclusione , in sede di ostensione  dei dati relativi ai nomi propri di singoli e di aziende e ai luoghi sensibili in esso contenuti. Ha dichiarato, quindi, in dispositivo il diritto della parte ricorrente ad ottenere l’accesso ai sensi dell’art. 5, comma 2, del d. lgs. 33/2013 e con i limiti di cui in motivazione, il  Report redatto dall’OIM ordinandone  al Ministero l’esibizione ai sensi dell’art. 116, comma 4, c.p.a. nel termine di trenta giorni dalla comunicazione o notificazione di qin ragione delle seguenti considerazoni (cfr. Cons. Stato, sez, IV, 13 maggio 2020, n. 3012)
[95] Cons. Stato, sez. III, 2 settembre 2019, n. 6028.
[96] Cons. Stato, sez, V, 12 febbraio 2020, n. 1121.
[97] TAR, Lazio, Roma, sez. III – quater, 18 febbraio 2020, n. 2174
[98] TAR Lazio, Roma, sez. III Ter,  28 ottobre 2019, n. 12349; Cons. Stato, sez, IV, 13 maggio 2020, n. 3012. 
[99] Sul punto va considerato quanto già affermato dal Consiglio di Stato in Adunanza plenaria, con la decisione 29 luglio 2011 n. 15 secondo cui «Sviluppando il discorso già avviato dall’Adunanza plenaria con la richiamata decisione n. 3/2011, si deve, infatti, ritenere che, nell’ambito di un quadro normativo sensibile all’esigenza costituzionale di una piena protezione dell’interesse legittimo come posizione sostanziale correlata ad un bene della vita, la mancata previsione, nel testo finale del codice del processo, dell’azione generale di accertamento non precluda la praticabilità di una tecnica di tutela, ammessa dai principali ordinamenti europei, che, ove necessaria al fine di colmare esigenze di tutela non suscettibili di essere soddisfatte in modo adeguato dalle azioni tipizzate, ha un fondamento nelle norme immediatamente precettive dettate dalla Carta fondamentale al fine di garantire la piena e completa protezione dell’interesse legittimo (artt. 24, 103 e 113). Anche per gli interessi legittimi, infatti, come pacificamente ritenuto nel processo civile per i diritti soggettivi, la garanzia costituzionale impone di riconoscere l’esperibilità dell’azione di accertamento autonomo, con particolare riguardo a tutti i casi in cui, mancando il provvedimento da impugnare, una simile azione risulti indispensabile per la soddisfazione concreta della pretesa sostanziale del ricorrente. A tale risultato non può del resto opporsi il principio di tipicità delle azioni, in quanto corollario indefettibile dell’effettività della tutela è proprio il principio della atipicità delle forme di tutela. In questo quadro la mancata previsione, nel testo finale del codice, di una norma esplicita sull’azione generale di accertamento, non è sintomatica della volontà legislativa di sancire una preclusione di dubbia costituzionalità, ma è spiegabile, anche alla luce degli elementi ricavabili dai lavori preparatori, con la considerazione che le azioni tipizzate, idonee a conseguire statuizioni dichiarative, di condanna e costitutive, consentono di norma una tutela idonea ed adeguata che non ha bisogno di pronunce meramente dichiarative in cui la funzione di accertamento non si appalesa strumentale all’adozione di altra pronuncia di cognizione ma si presenta, per così dire, allo stato puro, ossia senza sovrapposizione di altre funzioni. Ne deriva, di contro, che, ove dette azioni tipizzate non soddisfino in modo efficiente il bisogno di tutela, l’azione di accertamento atipica, ove sorretta da un interesse ad agire concreto ed attuale ex art. 100 c.p.c., risulta praticabile in forza delle coordinate costituzionali e comunitarie richiamate dallo stesso art 1 del codice oltre che dai criteri di delega di cui all’art. 44 della legge n. 69/2009».
 
[100] Cons. Stato, sez. VI, 25 febbraio 2019, n. 1321
[101] In questi limiti si potrebbe in qualche modo parlare di “azione atipica di accertamento”. L’azione di accertamento in caso di silenzio  avrà come esito una sentenza rivolta ad accertare la violazione dell’obbligo di provvedere (in caso di attività vincolata o di discrezionalità già esercitata si avrà una contestuale condanna dell’amministrazione a provvedere secondo la pretesa rappresentata). In caso di azione di annullamento (di un diniego) si avrà una sentenza di accertamento nell’ipotesi in cui il giudice amministrativo limiti la produzione degli effetti dell’azione al solo effetto conformativo dello stessa. In ragione dell’effetto conformativo se si tratta di attività vincolata, il giudice accerta «totalmente il rapporto dedotto in giudizio e pertanto l’effetto conformativo derivante dalla sentenza di annullamento è pieno. Se invece l’attività amministrativa è discrezionale, poiché il principio di separazione dei poteri vieta al giudice un accertamento totale del rapporto, l’effetto conformativo derivante dalla sentenza di annullamento è semipieno; ne deriva che, in tale caso, l’amministrazione, nel riesercizio del potere non deve incorrere negli stessi vizi accertati dal giudice in sentenza ma è libera di riesercitare la sua discrezionalità negli spazi non coperti dalla sentenza» Cfr. V. LOPILATO, Manuale di diritto amministrativo cit
[102] sul punto si veda anche F. LOMBARDI, L’inerzia della p.a. a fronte di richieste di accesso civico. Un nuovo rito per il silenzio inadempimento, cit.
 
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