29/01/2020 – Serve una dirigenza autonoma e da valutare in base ai risultati, non arbitrariamente scelta dalla politica

Serve una dirigenza autonoma e da valutare in base ai risultati, non arbitrariamente scelta dalla politica
 
Alla pubblica amministrazione serve una dirigenza formata, preparata, da valutare in relazione alla capacità di cogliere i risultati indicati dagli organi di governo, non un apparato soggetto al ricatto della politica o selezionato in base alle appartenenze di partito, che trasformi la dirigenza da apparato servente ad accozzaglia servile.
Le parole di Carlo Mochi Sismondi su La Repubblica del 28 gennaio 2020, nell’articolo intitolato “Il grido d’allarme della Pa: “Dipendenti pubblici allo stremo. Serve lasvolta con lo sblocco del turnover”” sono la dimostrazione che il pericolo di riforme non ponderate e contrarie a logica e a Costituzione è sempre in agguato, perchè sono ancora in molti a perorarle.
Quanto auspica il presidente di FormuPA altro non è se non la riproposizione della riforma Madia: la creazione di tre albi della dirigenza pubblica, da incaricare a termine con un continuo tourbillon di incarichi dirigenziali, connessi al capriccio della politica.
La riforma Madia della dirigenza, per fortuna, venne sventata dalla sentenza della Consulta 25 novembre 2016, n. 251 e l’intervento dell’Autore appare tanto fuori tempo massimo quanto fuori mira.
La Corte costuzionale bocciò la riforma Madia (per ragioni di natura procedurale) pochissimi giorni prima del 4 dicembre 2016, data del No al referendum sulla riforma costituzionale.
Due bocciature pesantissime a distanza di pochi giorni per il Governo allora in carica per due riforme tra loro non direttamente collegate, ma intrinsecamente connesse.
Il disegno di verticalizzazione del potere sotteso alla modifica della Costituzione era ovviamente completato da una dirigenza precarizzata, incaricata e soprattutto revocata senza necessità di motivazione ed a totale arbitrio degli organi di governo, dunque sottoposta al ricatto del rinnovo dell’incarico come arma per indurla ad agire da un lato per perseguire fini di parte, dall’altro per fare da scudo alle responsabilità.
Non si deve dimenticare che la riforma Madia mai entrata in vigore prevedeva, infatti, l’esimente da responsabilità erariale per gli atti posti in essere dai dirigenti, in attuazione di direttive politiche: un sistema perfetto, per trasformare la dirigenza in parafulmine della politica, soprattutto nell’adozione di decisioni dannose e quindi contrarie all’interesse pubblico, ed estromettere quei dirigenti che non si piegassero alla pressione sostanzialmente ricattatoria del sistema.
Ripresentare ancora come un’ideona, molto malinconica, una riforma della dirigenza volta solo a politicizzarla è come tornare ad un’esperienza di governo estremamente negativa per l’intera PA (basti pensare allo scempio delle province), ponendosi fuori dalla Costituzione.
L’affermazione del Mochi Sismondi secondo la quale occorre “più libertà da parte della politica di scegliere, all’interno dei ruoli, a chi attribuire incarichi di vertice; incarichi a tempo intervallati da rinnovi con concorsi a evidenza pubblica” è a un tempo erronea e contraria alla Costituzione.
Infatti:
1. la politica dispone già della più ampia libertà di scegliere gli incarichi di vertice; come spiega la Consulta a partire dalle sentenze 103 e 104 del 2007, lo spoil system è compatibile con la Costituzione appunto se riferito alla dirigenza di vertice, da individuale negli incarichi di elevatissimo livello ministeriale, come segretari generali e direttori generali dei ministeri, poche centinaia a strettissimo contatto con la politica, selezionati anche in base alla “personale adesione” all’indirizzo politico che l’espletamento del loro incarico li porta a realizzare unitamente all’organo politico;
2. l’articolo 98 della Costituzione, al comma 1 stabilisce: “I pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione”. I dirigenti che non contribuiscono alla formazione dell’indirizzo politico, ma chiamati ad attuarlo con lealtà e competenza, non sono al servizio della politica, ma della Nazione. Una maggiore “libertà” della politica di incaricarli finisce precarizzarli, sottometterli alla politica, stravolgere la loro funzione tecnica per renderla utile all’interesse della parte politica e non della collettività;
3. i dirigenti di ruolo accedono già mediante concorso. Sarebbe il caso di prendere atto che i concorsi sono già tutti “a evidenza pubblica”. Tranne le modalità di reclutamento dei dirigenti a contratto, quei 10% circa di dirigenti dello Stato e 30% circa di dirigenti degli enti locali, spesso selezionati senza concorso ma sulla semplice base dell’appartenenza politica; ciò che contribuisce a creare in Italia uno spoil system estesissimo, che idee desuete, erronee, insostenibili e contrarie a logica e a Costituzione,  finirebbero per trasformare in spoil system selvaggio. A danno di tutti i cittadini che hanno diritto di aspettarsi dalla dirigenza pubblica scelte gestionali connesse al rispetto della legge, della tecnica, dei risultati previsti dai piani e non alla verifica del voto dato o della tessera posseduta.

E non si pensi che si tratti di evocazioni esagerate. Il ricatto della politica alla dirigenza della revoca dell’incarico se non si attuano indicazioni spesso in plateale contrasto con la legge o comunque con l’interesse pubblico sono diffusissime, all’ordine del giorno. Lo dimostra il caso della sentenza della Corte di Cassazione Penale, sentenza n. 1007 del 13 gennaio 2020, pubblicata dal portale Ius&Management.org, con un breve commento. Si tratta di un sindaco che ha imposto al comandante della polizia municipale di non irrogare sanzioni amministrative durante il periodo elettorale, pena la revoca dall’incarico. Non sempre simili pressioni configurano reato, ma si può star certi che per un caso che va all’attenzione di un giudice, migliaia restano nell’ombra. E’ questo ciò che vogliono i fautori della riproposizione di una riforma della dirigenza stile Madia?

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