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Urbanistica. Sequestro di aree demaniali sulle quali siano state realizzate opere abusive
Pubblicato: 15 Gennaio 2020
Cass. Sez. III n. 47829 25 novembre 2019 (CC 20 giu 2019)

Non vi è alcuna preclusione al sequestro di aree demaniali sulle quali siano state realizzate opere abusive, posto che un tale sequestro non incide sulla naturale e intangibile destinazione dei beni del demanio necessario, ma colpisce le porzioni di quei beni che, a causa della illiceità della loro realizzazione, hanno assunto anch’essi carattere di illiceità, carattere che ne consente il sequestro, onde evitare la protrazione o l’aggravamento delle conseguenze del reato, salve le questioni relative alla individuazione dell’avente diritto alla eventuale restituzione di tali beni (per effetto dell’accessione dell’opera al suolo) e alla loro confiscabilità.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 17 dicembre 2018 il Tribunale di Brindisi, provvedendo sulla richiesta di riesame avanzata dalla Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Meridionale, quale terza interessata alla restituzione dei beni sottoposti a sequestro preventivo con decreto del 19 novembre 2018 del Giudice per le indagini preliminari di tale Tribunale (costituiti da un tratto di strada urbana appartenente a un consorzio e concessa in comodato alla Autorità Portuale di Brindisi; da un ponte con impalcato; da una tettoia in cemento armato; di undici dei sedici varchi previsti nel progetto di completamento delle infrastrutture di security del Porto di Brindisi; della recinzione costruita lungo Via del Mare, che si sviluppa lungo l’area portuale dal sito della Stazione Marittima di Brindisi alla banchina di Punta dell’Arco), ha annullato, in applicazione del principio del ne bis in idem cautelare, detto decreto, ma solo con riferimento al reato di cui al capo I della rubrica e limitatamente alle opere già sottoposte a sequestro preventivo con provvedimento del 22 agosto 2018 del medesimo giudice per le indagini preliminari, confermando nel resto il provvedimento impugnato, con cui il vincolo cautelare era stato imposto in relazione ai reati di cui all’art. 44, lett. b) et c), d.P.R. 380/2001 e 181 d.lgs. 42/2004, capi H et I della rubrica provvisoria.

2. Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Brindisi, affidandolo a tre articolati motivi, lamentando, con il primo motivo, l’errata applicazione da parte del Tribunale del principio del ne bis in idem in materia cautelare, con il secondo motivo la violazione e l’errata applicazione degli artt. 3 d.P.R. 383/94, 44, lett. c), d.P.R. 380/2001 e 181 d.lgs. 42/2004, e, con il terzo motivo, la mera apparenza della motivazione, in quanto il nuovo sequestro era stato fondato su elementi nuovi, costituiti dalle dichiarazioni dei testi Carrozzo e Padula, non considerati dal Tribunale.

Si duole, in particolare, il pubblico ministero ricorrente della mancata considerazione da parte del Tribunale degli elementi di novità posti a fondamento del nuovo provvedimento di sequestro, costituiti dalle dichiarazioni di Tommaso Colabufo, Dirigente dell’ufficio amministrativo del Provveditorato Interregionale per le Opere Pubbliche per le Regioni Puglia, Basilicata e Molise, e di Gaetano Padula, Dirigente del settore lavori pubblici e ambiente del Comune di Brindisi, rese successivamente al decreto di sequestro preventivo del 22 agosto 2018 (annullato dal Tribunale di Brindisi con altra precedente ordinanza), dalle quali potevano ricavarsi elementi di novità anche in relazione al reato di cui al capo I della rubrica provvisoria, con riferimento al quale, invece, il Tribunale aveva rilevato la preclusione derivante dalla precedente decisione cautelare.

Contrariamente a quanto erroneamente ritenuto dal Tribunale, le dichiarazioni di Padula riguardavano tutti i beni colpiti dal secondo provvedimento di sequestro (e cioè la strada urbana di quartiere, il ponte, la tettoia in cemento armato, già oggetto di sequestro nel settembre 2018, e anche i varchi e la recinzione lungo la via del Mare, oggetto del secondo provvedimento di sequestro del 19 novembre 2018), e quindi su di esse avrebbe potuto essere fondato il nuovo provvedimento di sequestro.

3. Ha proposto ricorso per cassazione avverso la medesima ordinanza anche la Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Meridionale, nella veste di terza interessata alla restituzione dei beni sottoposti al sequestro, affidandolo a cinque motivi.

3.1. Con un primo motivo ha denunciato la violazione di legge processuale, a causa del travisamento delle prove e dell’apparenza della motivazione dell’ordinanza impugnata, in quanto le dichiarazioni del teste Colabufo, ritenute dal Tribunale elemento nuovo idoneo a consentire l’adozione del provvedimento di sequestro sui medesimi beni oggetto del precedente sequestro annullato dal medesimo Tribunale, sia pure solamente in relazione ai beni di cui alla contestazione di cui al capo H della rubrica provvisoria, riguardavano solamente le opere cosiddette di security (cioè i varchi e le recinzioni), oggetto della richiesta cautelare del 29 ottobre 2018, e il Tribunale aveva impropriamente sovrapposto l’iter amministrativo relativo alle opere di security con quello relativo alla strada, al ponte e alla tettoia, cosicché difetterebbe per queste ultime il novum necessario a superare la preclusione procedimentale derivante dal precedente provvedimento adottato dal Tribunale. Ha aggiunto che la presenza dell’accertamento di conformità sarebbe stato in ogni caso sufficiente a consentire la realizzazione di tali opere, ai sensi dell’art. 2 d.P.R. 383/1994, mentre per la strada e i varchi, cioè le opere cosiddette di security, occorreva l’esito positivo della conferenza dei servizi.

3.2. In secondo luogo ha lamentato la mancanza della motivazione e la violazione dell’art. 292, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., in riferimento alla idoneità della motivazione del decreto di sequestro oggetto della richiesta di riesame, difettando nello stesso sia la necessaria autonoma valutazione degli elementi costitutivi del reato in relazione alle opere di security (cioè varchi e recinzione), sia la illustrazione degli elementi da cui era stato desunto il pericolo posto a fondamento del provvedimento cautelare, in quanto il decreto di sequestro era frutto di mera e acritica trasposizione degli argomenti posti a fondamento della richiesta di emissione, disgiunti dalla prescritta loro autonoma valutazione da parte del giudice della cautela, che si era limitato a evidenziare il contenuto del decreto del 26 ottobre 2018 del Provveditorato alle Opere Pubbliche (nel quale era stato dato atto dell’esito negativo della conferenza dei servizi) e della nota della Regione Puglia del 19 ottobre 2018 (che evidenziava la presenza nel progetto di un numero di varchi superiore a quanto previsto nel Piano Regolatore Portuale).

3.3. Con il terzo motivo ha lamentato la mancanza assoluta di motivazione in ordine alla eccezione di non sequestrabilità delle aree demaniali, in quanto utilizzate dalla collettività e dalle forze di polizia, come tali, secondo quanto chiarito nella sentenza n. 270 del 27/1/1994, non sequestrabili, non potendo essere sottratte alla finalità loro propria, in quanto il Tribunale, pur investito di tale censura, si era limitato a richiamare principi interpretativi non pertinenti, in quanto concernenti la diversa ipotesi di occupazione illegittima di aree demaniali, non estensibili a quella della realizzazione di opere, asseritamente, illegittime su aree demaniali.

3.4. Con un quarto motivo ha lamentato l’erroneità della affermazione contenuta nella motivazione dell’ordinanza impugnata circa la necessità della approvazione delle opere da parte della Conferenza dei servizi, in quanto l’inerzia del locale Provveditorato alle Opere Pubbliche era da intendere come riscontrato accertamento di conformità, che rendeva superfluo l’intervento della conferenza dei servizi.

Ha ribadito l’affermazione, già disattesa dal Tribunale, secondo cui il Piano regolatore portuale non poteva essere considerato uno strumento di pianificazione urbanistica, cosicché l’accertamento di conformità delle opere da realizzare non doveva essere rapportato a esso.

3.5. Infine ha denunciato la violazione delle proprie prerogative difensive per l’impossibilità di controdedurre alle produzioni documentali effettuate dal pubblico ministero nel corso dell’udienza camerale di discussione della richiesta di riesame (tra cui la nota della Autorità di Bacino del 5/11/2018, dalla quale era stato il pericolo idraulico e geomorfologico, prodotta nel corso dell’udienza camerale di discussione del 17/12/2018), essendo state eseguite tali produzioni dopo che la discussione della difesa. Ha richiamato il principio affermato nella sentenza n. 22137 del 2015 di questa stessa Terza Sezione, circa la necessità, per il caso dell’introduzione di nuovi elementi probatori a carico nel corso dell’udienza di riesame, della assegnazione all’indagato di un congruo termine a difesa, in difetto del quale è configurabile una nullità ex art. 178, lett. c), cod. proc. pen.

3.6. Con memoria depositata il 31 maggio 2019 la ricorrente ha dato atto della dichiarazione di inammissibilità del ricorso per cassazione proposto dal pubblico ministero nei confronti della precedente ordinanza di annullamento del 26 settembre 2018 da parte del medesimo Tribunale di Brindisi e ha sottolineato la correttezza della decisione di annullamento impugnata dal pubblico ministero.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso del pubblico ministero è inammissibile, mentre quello proposto dalla Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Meridionale, quale terza interessata alla restituzione dei beni sottoposti al sequestro, è infondato.

2. Preliminarmente va precisato, in relazione a entrambi i ricorsi in esame, che il ricorso per cassazione in materia di misure cautelari reali può essere esaminato solo in relazione al vizio di violazione di legge, non essendo consentita, in tale materia, la deduzione del vizio di motivazione, per espresso dettato dell’art. 325, comma 1, cod. proc. pen. Nondimeno, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito come nella violazione di legge siano ricompresi anche i vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento del tutto mancante o comunque privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza, come tale inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice, con conseguente violazione dell’art. 125 cod. proc. pen.  (cfr., ex multis, Sez. U., n. 25932 del 29/05/2008, Ivanov, Rv. 239692 e, da ultimo, Sez. 6, n. 6589 del 10/01/2013, Gabriele, Rv.254893; Sez. 2, n. 5807 del 18/01/2017, Zaharia, Rv. 269119; Sez. 2, n. 18951 del 14/03/2017, Napoli, Rv. 269656).

Sempre in premessa è necessario rammentare che alla Corte di cassazione è preclusa la possibilità non solo di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi, ma anche di saggiare la tenuta logica della pronuncia portata alla sua cognizione mediante un raffronto tra l’apparato argomentativo che la sorregge ed eventuali altri modelli di ragionamento mutuati dall’esterno (tra le altre, Sez. U., n. 12 del 31/05/2000, Jakani, Rv. 216260; Sez. 2, n. 20806 del 5/05/2011, Tosto, Rv. 250362; Sez. 5, n. 51604 del 19/09/2017, D’Ippedico, Rv. 271623). Resta, dunque, esclusa, pur dopo la modifica dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. la possibilità di una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura, sia pure anch’essa logica, dei dati processuali, o una diversa ricostruzione storica dei fatti, o un diverso giudizio di rilevanza, o comunque di attendibilità delle fonti di prova (Sez. 2, n. 7667 del 29/01/2015, Cammarota, Rv. 262575; Sez. 3, n. 12226 del 22/01/2015, G.F.S., non massimata; Sez. 3, n. 40350, del 05/06/2014, C.C. in proc. M.M., non massimata; Sez. 3, n. 13976 del 12/02/2014, P.G., non massimata; Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, Minervini, Rv. 253099; Sez. 2, n. 7380 del 11/01/2007, Messina ed altro, Rv. 235716).

3. Nel caso in esame il ricorso del pubblico ministero, pur prospettando la violazione e l’errata applicazione di norme penali, censura, in realtà, la sufficienza, l’adeguatezza e la logicità della motivazione dell’ordinanza impugnata, nella parte in cui è stato annullato il sequestro in relazione alla contestazione di cui al capo I, come, peraltro, espressamente esposto nello stesso ricorso (v. pag. 12, laddove si lamenta la mancanza dei requisiti minimi di esistenza, completezza e logicità del discorso argomentativo e di un vero esame critico degli elementi di fatto e di diritto a disposizione), benché il Tribunale abbia giustificato in modo sufficiente il rilievo della preclusione derivante dalla precedente decisione cautelare, cosicché il ricorso risulta volto, in maniera non consentita nel giudizio di legittimità relativo a misure cautelari reali, a censurare la adeguatezza e la logicità della motivazione.

Quest’ultima, infatti, non risulta affatto mancante o apparente, come affermato dal pubblico ministero ricorrente, peraltro genericamente e in assenza di un autentico confronto critico con la struttura argomentativa del provvedimento impugnato, in quanto il Tribunale ha sottolineato che la richiesta di sequestro preventivo del 5 ottobre 2018 (in accoglimento della quale è stato emesso il decreto di sequestro preventivo del 19 novembre 2018 oggetto della richiesta di riesame) aveva quale oggetto gli stessi beni oggetto del primo decreto di sequestro preventivo del 22 agosto 2018, annullato dal Tribunale di Brindisi con ordinanza del 24 settembre 2018 (in relazione al quale questa stessa Sezione Terza, con la sentenza n. 36242 del 12 marzo 2019, ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto dal pubblico ministero), beni costituiti da un tratto di strada, un ponte e una tettoia realizzati in area concessa in comodato alla Autorità Portuale di Brindisi, sottolineando che gli addebiti provvisori erano del tutto identici e che gli elementi di novità, costituiti dalle dichiarazioni rese dalle persone informate sui fatti Carrozzo, Padula, Colabufo e Scaravaglione, erano già stati considerati in relazione alla precedente misura cautelare (quanto alle dichiarazioni rese da Marina Carrozzo), o risultavano irrilevanti (quanto alle dichiarazioni rese da Gaetano Padula, non contenenti elementi di novità, e da Tommaso Colabufo, relative alle opere di cui al capo H della rubrica), concludendo per l’assenza di elementi di novità rispetto alla precedente ordinanza quanto alle condotte concernenti le opere di cui al capo I della rubrica provvisoria. Si tratta di motivazione che non può dirsi apparente, avendo il Tribunale indicato le ragioni del rilievo della preclusione derivante dal precedente giudizio cautelare, con specifico riferimento alle opere oggetto della contestazione di cui al capo I, esaminando gli elementi di novità indicati dal pubblico ministero e giudicandoli privi di rilievo in tale prospettiva, cosicché i rilievi formulati da quest’ultimo con il ricorso in esame risultano inammissibili, essendo volti a censurare la motivazione dell’ordinanza impugnata.

4. Il ricorso proposto dalla Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Meridionale, nella veste di terza interessata alla restituzione dei beni sottoposti al sequestro, non è fondato.

4.1. Il primo motivo, mediante il quale è stata prospettata una violazione di norme processuali, per la mancanza di motivazione e il travisamento delle prove, in particolare delle dichiarazioni del teste Colabufo, da cui non emergerebbero gli elementi di novità necessari per poter superare la preclusione processuale derivante dalla precedente pronuncia cautelare, è, in realtà, anch’esso volto a censurare la adeguatezza e la logicità del percorso argomentativo seguito dal giudice per le indagini preliminari e dal Tribunale, circa gli elementi di novità derivanti dalle dichiarazioni del Colabufo, idonei a consentire il superamento di detta preclusione processuale, sia pure solo con riferimento alle opere di cui al capo H della rubrica.

Al riguardo, infatti, il Tribunale, come già evidenziato al paragrafo 3 a proposito del ricorso del pubblico ministero, ha rilevato che dalle dichiarazioni rese dal Colabufo, che ha dichiarato che agli atti del proprio ufficio, cioè il Provveditorato Regionale alle Opere Pubbliche, non vi è alcun documento che consenta di ritenere legittime, dal punto di vista urbanistico, la strada, il ponte e la tettoia oggetto del provvedimento di sequestro, e ha ritenuto pertanto ravvisabile, in relazione a tali opere, sia pure a livello indiziario, il reato di cui all’art. 44, lett. b) et c), d.P.R. 380/2001, di cui al capo H della rubrica provvisoria: si tratta di motivazione sufficiente, essendo stati indicati gli elementi probatori nuovi idonei a consentire una diversa valutazione riguardo alla configurabilità di detto reato, che la ricorrente ha censurato sul piano della logicità e della adeguatezza della motivazione, senza prospettare o individuare errate applicazioni di legge penale o processuale, con la conseguente inammissibilità della censura, affidata a doglianze non consentite nel giudizio di legittimità avverso provvedimenti impositivi o confermativi di misure cautelari reali.

4.2. Anche il secondo motivo del ricorso della Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Meridionale, mediante il quale è stato lamentato un ulteriore vizio della motivazione, che sarebbe insufficiente nella indicazione degli elementi indiziari a carico e delle ragioni di pericolo necessarie per poter disporre il sequestro, che sarebbero state recepite dalla richiesta del pubblico ministero in modo acritico, sia da parte del giudice per le indagini preliminari sia dal Tribunale, è inammissibile per le medesime ragioni, in quanto con esso si censura, nuovamente, la completezza e la logicità della motivazione, motivazione che non può dirsi mancante o apparente, e dunque non è censurabile in sede di legittimità nella materia, quale quella in esame, delle misure cautelari reali.

Il Tribunale, infatti, attraverso il richiamo a quanto esposto alle pagine da 47 a 49 del decreto di sequestro, nelle quali il giudice per le indagini preliminari ha sottolineato la conclusione negativa della Conferenza di Servizi avviata allo scopo di valutare dette opere e quanto esposto nella nota n. 9373/2018 della Regione Puglia, nella quale è stata evidenziata la evidente e notevole difformità tra le opere edili realizzate e quelle previste in progetto, nonché il pericolo idrico e geomorfologico conseguente al possibile utilizzo di tali opere, in quanto ultimate, ha adeguatamente dato conto della autonoma valutazione delle esigenze cautelari da parte del giudice della cautela.

Ne consegue la inammissibilità della censura formulata sul punto, volta anch’essa a sindacare la logicità e la adeguatezza della motivazione, non mancante né apparente.

4.3. Il terzo motivo, relativo alla sequestrabilità delle aree demaniali sulle quali sono state realizzate le opere oggetto della contestazione, attiene anch’esso alla completezza e alla sufficienza della motivazione del provvedimento impugnato, che neppure a questo proposito può dirsi mancante o apparente, posto che il Tribunale, nel disattendere l’analoga doglianza sollevata con i motivi aggiunti depositati nel corso dell’udienza camerale di discussione, ha evidenziato che il sequestro riguarda solo le aree interessate dalla realizzazione di opere ritenute abusive e non anche altre porzioni di beni demaniali, che quindi non sono state sottratte alla loro naturale e vincolante destinazione: si tratta di considerazioni pienamente corrette, non essendovi alcuna preclusione al sequestro di aree demaniali sulle quali siano state realizzate opere abusive, posto che un tale sequestro non incide sulla naturale e intangibile destinazione dei beni del demanio necessario, ma colpisce le porzioni di quei beni che, a causa della illiceità della loro realizzazione, hanno assunto anch’essi carattere di illiceità, carattere che ne consente il sequestro, onde evitare la protrazione o l’aggravamento delle conseguenze del reato (cfr. Sez. 3, n. 28911 del 24/01/2013, Romeo, Rv. 255590, e Sez. 3, n. 34101 del 23/05/2006, Jonni, Rv. 235050), salve le questioni relative alla individuazione dell’avente diritto alla eventuale restituzione di tali beni (per effetto dell’accessione dell’opera al suolo) e alla loro confiscabilità.

Ne consegue l’inammissibilità anche di tale motivo, affidato a doglianze non consentite in sede di legittimità e, comunque, manifestamente infondate.

4.4. Il quarto motivo, relativo allo strumento urbanistico necessario per realizzare le opere oggetto della contestazione e sottoposte a sequestro, non è fondato.

Va ricordato il consolidato orientamento interpretativo di questa Corte a proposito delle opere realizzate da pubbliche amministrazioni, secondo il quale anche le opere realizzate dai Comuni sono soggette all’obbligo di conformarsi alle disposizioni urbanistiche vigenti e ai relativi controlli, salvo restando che, per effetto dell’art. 7 del d.P.R. n. 380 del 2001 e della contestuale abrogazione del d.l. n. 398 del 1993 e successive modifiche, per dette opere non è richiesto il previo rilascio del permesso di costruire, cui deve ritenersi equipollente la delibera del consiglio o della giunta comunale accompagnata da un progetto riscontrato conforme alle prescrizioni urbanistiche ed edilizie (v. Sez. 3, n. 18900 del 02/04/2008, Vinci, Rv. 239918; nello stesso senso Sez. 3, n. 40115 del 22/05/2012, Massa, Rv. 253671, secondo cui integra il reato previsto dall’art. 44 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 la realizzazione di opere da parte dei comuni in difformità dalle previsioni degli strumenti urbanistici, anche nel caso in cui sia stata perfezionata la procedura di validazione del progetto, di cui all’art. 7 del citato d.P.R. n. 380 del 2001, che è sostitutiva del permesso di costruire; conf. Sez. 3, n. 27298 del 10/05/2019, Blandina, Rv. 276017).

Nel caso in esame il Tribunale ha rilevato la illegittimità delle opere a causa dell’esito non favorevole della Conferenza di Servizi, necessaria per l’accertamento di conformità urbanistica, non sostituibile dal silenzio assenso, non contemplato dagli artt. 14, 14 bis et 14 quater l. 241/90, che disciplinano il funzionamento della Conferenza di Servizi.

Si tratta di rilievi corretti, sia quanto alla necessità del titolo abilitativo, sia quanto alla inapplicabilità dell’istituto del silenzio assenso, non applicabile alla Conferenza di Servizi, con la conseguente infondatezza della doglianza formulata sul punto dalla ricorrente.

4.5. Il quinto motivo, relativo alla violazione del diritto di difesa, per la mancata instaurazione del contraddittorio sui nuovi documenti prodotti dal pubblico ministero nel corso dell’udienza camerale di discussione della richiesta di riesame, non è fondato.

Benché, come sottolineato nel ricorso, il tribunale abbia l’obbligo, qualora il pubblico ministero introduca all’udienza di riesame nuovi elementi probatori a carico, di assicurare la piena applicazione del contraddittorio, assegnando all’indagato (o alle altre parti private) un congruo termine a difesa, in difetto del quale si configura un’ipotesi di nullità ex art. 178, lett. c), cod. proc. pen. in relazione all’assistenza del medesimo (Sez. 3, n. 22137 del 06/05/2015, Benocci, Rv. 263664; conf. Sez. 2, n. 36451 del 03/06/2015, Santini, Rv. 264545), tuttavia nel caso in esame non risulta, né ciò è stato dedotto, che nel corso dell’udienza camerale, all’esito della produzione documentale da parte del pubblico ministero, la difesa della ricorrente abbia sollevato rilievi o eccezioni di sorta in ordine alla produzione documentale effettuata dal pubblico ministero, o abbia chiesto vanamente l’assegnazione di un termine a difesa per esaminare tali produzioni e controdedurre al riguardo, cosicché non risulta essersi verificata alcuna violazione del diritto di difesa della ricorrente, che, consentendo alla produzione documentale effettuata dal pubblico ministero, vi ha prestato acquiescenza.

La deduzione della relativa nullità risulta, in ogni caso, preclusa, ex art. 182, comma 2, cod. proc. pen., avendo la parte assistito all’atto senza eccepire alcunché.

5. In conclusione il ricorso proposto dal pubblico ministero deve essere dichiarato inammissibile, essendo stato affidato a doglianze non consentite nel giudizio di legittimità, e quello della Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Meridionale, terza interessata alla restituzione dei beni sottoposti al sequestro, deve essere respinto, essendo stato affidato a doglianze in parte non consentite, in parte non fondate.

Consegue la condanna della Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Meridionale al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

     Dichiara inammissibile il ricorso del pubblico ministero e rigetta il ricorso della Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Meridionale che condanna al pagamento delle spese processuali.

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