25/02/2020 – Dies a quo del termine quinquennale di prescrizione dell’azione risarcitoria per illegittimo annullamento d’ufficio di un titolo edilizio

Dies a quo del termine quinquennale di prescrizione dell’azione risarcitoria per illegittimo annullamento d’ufficio di un titolo edilizio
 
Risarcimento danni – Responsabilità da lesione di interesse legittimo – Natura.
 
Risarcimento danni – Edilizia – Titolo edilizio – Annullamento d’ufficio – Dies a quo del termine quinquennale di prescrizione – Individuazione.
 
          La responsabilità della Pubblica amministrazione da lesione di interesse legittimo ha natura sui generis, non essendo integralmente sussumibile né nelle ipotesi di “illecito aquiliano”, né in ipotesi di responsabilità contrattuale o da “contatto sociale”, ciascuna delle due fattispecie potendo venire in rilievo in via analogia a seconda della tipologia di interesse legittimo leso, se oppositivo o pretensivo (1).
 
          In caso di illegittimo annullamento d’ufficio di un titolo edilizio emesso prima dell’entrata in vigore dell’art. 30 c.p.a., il dies a quo del termine quinquennale di prescrizione dell’azione risarcitoria, nel caso di tempestiva impugnazione del provvedimento lesivo, decorre in ogni caso dal passaggio in giudicato della decisione definitiva (2).
 
(1) Il Tar ha premesso un inquadramento in ordine alla “natura” della responsabilità della P.A. da “provvedimento illegittimo”, e ciò in quanto le parti, nelle loro articolate difese, hanno sollevato tale questione, dalla cui soluzione, ovviamente, discendono una serie di rilevanti conseguenze con riferimento alla disciplina applicabile al caso di specie.
L’orientamento maggioritario della giurisprudenza amministrativa sembra ancora propendere per la “soluzione aquiliana”, senza peraltro, a tal fine, distinguere tra fattispecie aventi ad oggetto interessi oppositivi e fattispecie concernenti interessi pretensivi (si veda tra le ultime, C. Stato, sez. III, 10 luglio 2019, n. 4857).
Secondo altro orientamento, si può dire, “minoritario”, invece, <> (in questo senso, tra le altre, C. Stato, sez. IV, 12 marzo 2010, n. 1467).
Infine, secondo un ulteriore orientamento che trova sempre maggiori consensi in giurisprudenza, la responsabilità della P.A. avrebbe caratteristiche “sui generis” (ex plurimis, C. Stato, sez. VI, 14 marzo 2005, n.1047), non riconducibili, in modo puro e semplice, ai modelli di responsabilità che operano nel settore del diritto civile: da un lato, infatti, dovendo l’amministrazione, nell’adozione di un provvedimento, osservare predefinite regole, procedimentali e sostanziali, che scandiscono le modalità di svolgimento della sua azione, l’esercizio del potere autoritativo non è assimilabile alla condotta del mero quisque de populo che cagiona danni ad altro soggetto in violazione del generale dovere del neminem laedere; dall’altro lato, rispetto alla responsabilità contrattuale, diverse sono le posizioni soggettive che si confrontano, per un verso un dovere di prestazione (o di protezione) e un diritto di credito, per altro verso il potere pubblico e l’interesse legittimo (in tal senso, Tar  Lecce, sez. I, 13 agosto 2019, n. 1426).
D’altronde, generalmente, pur a fronte di questa affermazione di principio, le decisioni che hanno affermato la natura “sui generis” della responsabilità della P.A., in sede applicativa hanno finito poi per appiattirsi, senza una specifica motivazione, sulla disciplina sostanziale e processuale della responsabilità aquiliana, richiedendo cioè la dimostrazione in giudizio di “tutti gli elementi costitutivi dell’illecito”, ovvero “elemento oggettivo, elemento soggettivo (la “colpevolezza” o “rimproverabilità”), il nesso di causalità materiale o strutturale, il danno ingiusto, inteso come lesione alla posizione di interesse legittimo (c.d. danno evento)”, in particolare con riferimento all’onere probatorio, in capo al danneggiato, della dimostrazione della “colpa grave” da parte della P.A.
E’ opinione del Tar che la tesi della natura “speciale” o “sui generis” della responsabilità “provvedimentale” della P.A. sia corretta, ma necessiti di un’ulteriore precisazione rispetto a quanto sopra ricordato.
In particolare, la P.A., ogni volta che agisce autoritativamente, incidendo sulla sfera giuridica dei privati, al fine di perseguire l’interesse pubblico cui è preordinato il potere ad essa attribuito dalla legge, deve rispettare una puntuale disciplina sostanziale e procedimentale a tutela non solo dell’interesse pubblico medesimo, ma, anche e soprattutto, dei soggetti privati la cui sfera giuridica venga in vario modo attinta dagli effetti dell’attività provvedimentale medesima.
L’esistenza di questi obblighi procedimentali, d’altronde, se, da un lato, non consente una perfetta sussunzione della fattispecie nella responsabilità di natura aquiliana, perché essi impongono un rapporto “strumentale” con il privato interessato dal provvedimento dell’Amministrazione, dall’altro lato, non può ritenersi sufficiente a fondare, sic et simpliciter, un’ipotesi di responsabilità da “contatto sociale”, ciò in quanto, da un lato, con riferimento alla “responsabilità da provvedimento illegittimo”, la tutela non viene accordata al mero interesse legittimo “procedimentale”, ma a quello sostanziale; dall’altro lato, in quanto non considera l’evidente differenza che corre, sotto il profilo della posizione del danneggiato, tra il titolare di un interesse legittimo pretensivo, e il titolare di un interesse legittimo oppositivo.
Nel primo caso, che coincide – in linea di massima – con le fattispecie di “procedimento ad istanza di parte”, l’azione della P.A. trae origine sostanzialmente dalla esigenza di tutela di un interesse privato, in senso ampliativo della relativa sfera giuridica (fattispecie comprensiva, però, anche dei casi di azione doverosa da parte della P.A. a “difesa” della stessa, nel caso che la legge la ponga comunque a carico della P.A.): il perseguimento dell’interesse pubblico, dunque, si pone “a valle” della richiesta del privato (o del verificarsi dei presupposti di legge per l’intervento ex officio dell’amministrazione a ”difesa”) e il bilanciamento è volto a valutare se e come l’interesse di quest’ultimo sia o meno “compatibile” con l’interesse pubblico perseguito dalla P.A.
Proprio perché, in tal caso, il procedimento amministrativo, di fatto, è “azionato” (o va obbligatoriamente avviato d’ufficio) al fine di eventualmente soddisfare un interesse privato individuato dal soggetto richiedente (o, nei casi predetti, dalla legge), non può negarsi l’instaurazione di una relazione giuridicamente rilevante e tale da integrare un’ipotesi di responsabilità “paracontrattuale”, ai sensi dell’art. 1173, n. 3 c.c.
Dall’accoglimento di tale soluzione interpretativa deriva, logicamente, che la disciplina applicabile non può essere quella della responsabilità aquiliana, ma, in quanto compatibile, quella di cui all’art. 1218 c.c.
Laddove, invece, vengano in esame interessi di natura oppositiva, che sono correlati a provvedimenti incidenti ab externo su un soggetto vantante, sostanzialmente, un interesse alla non adozione dei provvedimenti medesimi, è evidente l’analogia con la responsabilità aquiliana, gli obblighi procedimentali venendo esclusivamente a “irrigidire” l’azione amministrativa senza con questo mutare la sostanziale estraneità del provvedimento amministrativo rispetto all’interesse “positivo” vantato dal soggetto attinto dagli effetti negativi del provvedimento.
In caso di interesse oppositivo, l’estraneità dell’interesse pubblico rispetto all’interesse “positivo” del privato, conseguente alla contrarietà tra gli stessi (laddove l’interesse pretensivo e quello pubblico si rapportano secondo un criterio di tendenziale conformità), induce ad applicare, seppure in via analogica, la disciplina della responsabilità aquiliana.
In questo senso, il fatto che l’art. 30 c.p.a., faccia espresso riferimento ad istituti tipici della responsabilità extracontrattuale, come l’art. 2058 c.c. in materia di risarcimento del danno in forma specifica, non dimostra che in ogni caso la responsabilità della P.A. debba intendersi aquiliana, al contrario il richiamo risultando opportuno proprio per la natura “analogica” della responsabilità che solo in parte (per i soli interessi oppositivi cioè) può essere ricondotta all’ipotesi aquiliana.
In conclusione, quindi, occorre esaminare di volta in volta se oggetto della controversia siano interessi pretensivi od oppositivi, nel primo caso dovendosi applicare, in via analogica, la disciplina “contrattuale” (in senso improprio) di cui al combinato disposto degli artt. 1173, n. 3 e 1218 c.c., nel secondo caso dovendosi applicare, in via analogica, la disciplina di cui agli artt. 2043 e ss. c.c.
 
(2) Ha chiarito il Tar che il provvedimento di annullamento d’ufficio, si tratta di fattispecie, manifestazione di un potere pubblico discrezionale, in funzione di autotutela, che nella giurisprudenza “ante Cass., Sez. Un. 500/99” integrava un’ipotesi di c.d. “diritti fievoli “ab origine”, propria di chi, essendo stato destinatario di un atto amministrativo ampliativo della propria sfera giuridica veniva in un secondo momento privato dalla P.A. con un atto di secondo grado.
In tal caso, la giurisprudenza ha ritenuto di natura sostanzialmente oppositiva l’interesse del privato valorizzando l’autonomia della situazione sorta per effetto dell’atto ampliativo medesimo (si veda Cass., Sez. Un., 19 marzo 1997, n. 2436).
Pertanto, dovendosi qualificare in termini di interesse oppositivo la situazione giuridica azionata da parte ricorrente, si deve applicare “analogicamente” la disciplina della responsabilità aquiliana, sicché occorre la positiva verifica di tutti gli elementi che caratterizzano l’illecito: l’illegittimità del provvedimento causativo del danno, la sussistenza della colpa o del dolo della P.A., la lesione di un interesse tutelato dall’ordinamento, il nesso causale che colleghi la condotta commissiva o omissiva della P.A all’evento dannoso, la sussistenza dei pregiudizi subiti e il nesso che li lega all’evento dannoso (Cons. St., sez. V, 30 giugno 2009, n. 4237).
 
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