19/02/2020 – Utilizzo indebito della carta di credito del Comune: possibili le attenuanti se l’uso è a vantaggio dell’ente locale

Utilizzo indebito della carta di credito del Comune: possibili le attenuanti se l’uso è a vantaggio dell’ente locale
di Federico Gavioli – Dottore commercialista, revisore legale e giornalista pubblicista
 
La Corte dei Conti, giurisdizione centrale, con la sentenza n. 14, del 21 gennaio 2020, pur condannando l’uso improprio della carte di credito del Comune ne ha ridotto l’addebito posto a carico dell’amministratore per i vantaggi conseguiti dal Comune.
Il fatto
Con sentenza del 2017 la Corte dei conti – sezione giurisdizionale per la regione Lombardia – ha condannato il Sindaco di un Comune e la dirigente al risarcimento del danno erariale per complessivi euro 34.403,09, oltre interessi legali e spese di giudizio, cagionato dall’indebito utilizzo, da parte del primo, della carta di credito del Comune e della liquidazione, da parte della seconda, delle relative spese in assenza della prescritta rendicontazione e documentazione giustificativa.
Il primo Giudice, ripartendo l’addebito in ragione della accertata equivalenza delle condotte causali, condannava ciascuno dei predetti alla somma di euro 17.201,54, comprensiva di rivalutazione, oltre interessi e spese di giudizio liquidate complessivamente in euro 1.836,01.
La sentenza è stata impugnata dal solo sindaco.
Nel ricorso, tramite il suo legale, il sindaco contesta la decisione del primo giudice laddove ha ritenuto che il “dies a quo” della prescrizione sia decorso dalla data in cui la verifica interna – che ha fatto emergere il fatto dannoso – è stata portata a compimento. Posto che la condotta del Sindaco non era stata connotata dal dolo, né vi era stato alcun occultamento delle spese, tutte registrate e individuate, lo stesso Sindaco ricorrente sostiene che nella fattispecie la prescrizione quinquennale sia decorsa dal momento della esecuzione della spesa.
Con diffuse argomentazioni, dovendosi pacificamente escludere il dolo, l’appellante insiste sulla piena conoscibilità, da parte dell’ente e dei dirigenti preposti, delle spese, asseritamente dannose, sin dal momento della loro effettuazione. Da ciò fa derivare la conclusione che al momento del primo atto interruttivo il danno (per lo meno quello relativo alle spese sino al 23 giugno 2011) era già prescritto, in quanto riferentesi a fatti antecedenti il quinquennio dall’invito a dedurre, notificato appunto il 23 giugno 2016.
Il Sindaco nel ricorso deduce, inoltre, l’assenza di colpa grave; l’omessa valutazione, tradottasi in difetto di motivazione delle prove proposte da parte convenuta e della copiosa documentazione che “spesa per spesa ricostruisce e giustifica ogni euro di spesa” nell’interesse del Comune e l’assoluta inerenza delle spese effettuate con la carta di credito al pubblico interesse.
Il Sindaco appellante, poi, precisa che le determinazioni dirigenziali che assegnavano al Sindaco la carta di credito prescrivevano (non un rendiconto ma) un mero riepilogo, da far pervenire entro il 15 del mese successivo a quello in cui le spese erano state effettuate, corredato dalla prescritta documentazione giustificativa: il tutto per agevolare e semplificare il controllo da parte degli uffici di controllo.
Per converso la Procura generale osserva che per una parte delle spese non è stata fornita alcuna documentazione giustificativa; il ricorrente fa riferimento inoltre, per dedurne l’estraneità al fine pubblico o comunque alle finalità istituzionali, ad acquisti di beni mobili o titoli di viaggio per persone diverse dal Sindaco, alle spese di rifornimento di carburante, al pagamento di pedaggi autostradali.
La Procura generale concludente osserva che il primo Giudice aveva già concesso il beneficio della riduzione dell’addebito, non avendo conteggiato la rivalutazione monetaria.
L’analisi della Corte dei Conti
Nel caso in esame il Collegio è chiamato a valutare se il Sindaco di un Comune lombardo abbia fatto corretto uso, negli anni dal 2010 al 2014, della carta di credito fornitagli dal medesimo Comune.
Il primo Giudice, accogliendo le argomentazioni della Procura regionale, ha ritenuto di censurare numerosi casi i cui l’uso della carta di credito, e la conseguente liquidazione delle spese, non è stato conforme alle prescrizioni normative e regolamentari. Il Sindaco ha impugnato la sentenza di condanna, eccependo preliminarmente la prescrizione quanto meno dei danni riferibili a spese effettuate prima del quinquennio antecedente il primo atto interruttivo della prescrizione.
Nel merito ha insistito per l’assenza tanto dell’elemento soggettivo (la colpa grave) quanto dell’elemento oggettivo (il danno ingiusto).
I giudici contabili con riferimento alla questione relativa all’eccezione di prescrizione, già formulata e rigettata in primo grado evidenziano che la questione si concentra dunque sul “dies a quo”, cioè sul termine di decorrenza della prescrizione.
Secondo il primo Giudice esso decorrerebbe dal momento della conoscenza dei fatti dannosi, che viene individuato nell’emersione degli illeciti amministrativi a seguito della verifica interna. Infatti, solo dal momento in cui la verifica è stata portata a compimento, l’Amministrazione è stata posta in grado di esercitare le proprie pretese risarcitorie e ciò per generale applicazione dell’art. 2935 c.c..
Prima di tale ultimo momento, pur usando l’ordinaria diligenza, la produzione del danno non era oggettivamente percepibile e conoscibile da parte dell’Amministrazione danneggiata.
Com’è noto, ai sensi dell’art. 1, comma 2, della L. n. 20/1994 e succ. modif. “Il diritto al risarcimento del danno si prescrive in cinque anni, decorrenti dalla data in cui si è verificato il fatto dannoso, ovvero, in caso di occultamento doloso del danno, dalla data della sua scoperta”.
La detta disciplina consolidava l’indirizzo giurisprudenziale di cui alla sentenza SS.RR. n. 743/1992, ribadendo il principio della decorrenza della prescrizione dalla conoscibilità obiettiva del danno, restando salvo il principio della conoscenza effettiva solo in caso di occultamento doloso.
Il recente Codice di giustizia contabile ha posto limiti alla possibilità di reiterate interruzioni dei termini di prescrizione dell’azione risarcitoria erariale (art. 66 c.g.c), ma non ha apportato modifiche ai principi generali dell’istituto. La Corte dei conti, da parte sua, in questi anni – in relazione alla varietà delle fattispecie dannose portate alla sua cognizione – ha elaborato una copiosa giurisprudenza in merito al termine iniziale di decorrenza della prescrizione e al concetto del “fatto dannoso” suscettibile di far decorrere la prescrizione.
Quanto al termine iniziale della prescrizione, la giurisprudenza della Corte, come si è detto, da tempo ha condiviso le sentenze della Cassazione, che hanno individuato nella percepibilità e “conoscibilità obiettiva” del danno da parte del danneggiato il “dies a quo” della prescrizione, mentre hanno fatto riferimento, per individuare tale decorrenza, al momento della “conoscenza” effettiva del danno nei casi in cui cause giuridiche ne abbiano impedito la conoscibilità obiettiva.
In conclusione, l’eccezione di prescrizione non può essere accolta, atteso che tutte le spese effettuate nel 2010 e sino al 23 giugno 2011, per le quali il sindaco ha eccepito, come motivo d’appello, l’intervenuta prescrizione alla data della notifica dell’invito a dedurre, sono risultate – all’esito degli accertamenti istruttori svolti prima del detto invito a dedurre – prive della documentazione prescritta dalle determine dirigenziali e dalla normativa di riferimento.
Con riferimento alla questione della carta di credito, la Corte dei Conti rileva, come esattamente osservato dal primo Giudice, che la carta di credito, avuto riguardo al quadro normativo in precedenza richiamato, è uno strumento alternativo di pagamento non per qualsiasi tipologia di spesa, ma lo è solo per quelle specificamente previste dalla norma (art. n. 701/96) e solo “qualora non sia possibile o conveniente ricorrere alle ordinarie procedure” (art. 1, comma 47L. n. 549/1995).
Ed è strettamente correlato a tali limitazioni, l’obbligo giuridico di dar conto mese per mese delle spese effettuate, attraverso la presentazione di un riepilogo, corredato da adeguata documentazione comprovante non solo l’effettuazione della spesa, che gli estratti conti bancari o le fatture, ove in atti, pacificamente documentavano, ma la conformità della stessa spesa alle finalità istituzionali specificamente elencate nel D.M. n. 701/1996, che era richiamato nelle determine (cfr. determina n. 1/2005) di assegnazione e autorizzazione all’utilizzo della carta di credito.
E’ stato osservato, a tale riguardo, che “la giustificazione della spesa forma oggetto di una obbligazione correlata alla fondamentale esigenza di garantire l’interesse alla trasparenza e alla legittimità dell’impiego del denaro pubblico”.
Il “passaggio” motivazionale successivo ribadisce che presupposto per la liceità della spesa è la verifica mediante esame del riepilogo e della documentazione di riferimento, della rispondenza della spesa agli specifici fini per i quali la legge autorizzava l’uso della carta di credito.
Per la Corte dei Conti, tuttavia, secondo pacifica giurisprudenza, un atto formalmente illegittimo può, sotto il profilo sostanziale, non essere dannoso o esserlo in una misura più contenuta rispetto al quantum della spesa illegittima, ad esempio ove il Giudice tenga conto dei vantaggi “comunque” conseguiti dall’Amministrazione o dalla comunità amministrata.
Nel caso in esame, la sicura dannosità si deve collegare non (solo) alla inosservanza di prescrizioni normative circa l’uso del mezzo di pagamento, quantunque tale inosservanza possa concretizzare una condotta anche gravemente colposa, ma alle spese, frutto della medesima condotta, del tutto prive di documentazione o estranee in modo palese e inequivocabile alle finalità istituzionali e all’interesse pubblico. Dopo di ciò, avuto riguardo agli elenchi allegati alla citazione in giudizio, non può negarsi l’esistenza di spese che non sembrano perseguire interessi personali e che, pur con l’improprio utilizzo del mezzo di pagamento e la violazioni di prescrizioni formali, non escludono il rapporto con gli interessi dell’ente o il possibile vantaggio conseguito dalla collettività.
La Corte di Conti ritiene che l’esercizio del potere di riduzione dell’addebito consenta di tener conto delle anzidette circostanze di fatto e delle ragioni sostanziali di parte delle spese effettuate, senza venir meno ai rilievi mossi ad una condotta censurabile sul piano formale e di stretta legittimità.
Il Collegio, per le motivazioni sopra esposte, ritiene di fare uso del c.d. potere riduttivo; di conseguenza riducendo la misura dell’addebito posto a carico del Sindaco del 50% rispetto alla condanna di primo grado, compensando le spese del presente grado.

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