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Sulle sorti di una costruzione realizzata sulla base di titolo abilitativo successivamente rimosso
di Giuseppe Cassano – Direttore del Dipartimento di Scienze Giuridiche della European School Of Economics
 
Nella sentenza in esame il Consiglio di Stato si sofferma sulla corretta esegesi dell’art. art. 38 D.P.R. n. 380 del 2001 affrontando la questione della ratio d’un regime sanzionatorio più mite, che il Legislatore riserva agli interventi edilizi realizzati in presenza di un titolo abilitativo dichiarato illegittimo solo in un secondo tempo.
Al riguardo, e rispetto al regime normale (demolitorio / ripristinatorio) per gli interventi sine titulo originariamente, il fondamento del regime speciale va rinvenuto, oltre che nell’impossibilità della demolizione con nocumento alle parti legittime della costruzione stessa, nella specifica salvaguardia dell’affidamento eventualmente riposto dall’autore dell’intervento circa la presunzione di legittimità e, comunque, sull’efficacia del titolo assentito.
Sicché, per il titolo annullato in sede giurisdizionale, l’effetto conformativo, il quale discende dal decisum di annullamento, non comporta certo per il Comune l’obbligo sempre e comunque di disporre la demolizione di quanto realizzato in base allo stesso titolo (come detto, annullato).
Tale effetto è pur sempre circoscritto al divieto, ove se ne adotti uno nuovo, di riprodurre gli stessi vizi (formali o sostanziali che siano, esclusi i soli casi d’inedificabilità assoluta) che detto titolo avevano connotato (Cons. Stato, sez. IV, 17 settembre 2012, n. 4923), sì da rispettare la sostanza intangibile del giudicato (Cons. Stato, sez. VI, 8 maggio 2014, n. 1993).
La P.A. è allora tenuta a verificare, con motivazione specifica ed in ragione soprattutto di eventuali sopravvenienze di fatto o di diritto, se siffatti vizi siano emendabili, o meno, nonché se la demolizione sia effettivamente possibile senza pregiudizio ad altri beni o alle opere del tutto regolari (Cons. Stato, VI, 27 aprile 2015, n. 2137).
Sul punto, quindi:
“- non va condiviso l’assunto per cui la rimozione dei vizi ex art. 38 è consentita solo qualora essi abbiano natura formale o procedurale;
– l’art. 38 è applicabile anche nel caso di annullamento per vizi sostanziali, purché emendabili. La “sanatoria” è preclusa solo quando si tratti di vizi inemendabili;
– nell’ipotesi di cui all’art. 38 la demolizione dell’opera realizzata in base a un permesso annullato costituisce l’extrema ratio; in seguito all’annullamento di un titolo edilizio l’Amministrazione non è certo vincolata ad adottare misure ripristinatorie dovendo, anzi, privilegiare, ogni volta che ciò sia possibile, la riedizione del potere emendato dai vizi riscontrati, ancorché aventi carattere sostanziale. La riemanazione del permesso di costruire è ammessa, tranne che nei casi di divieto assoluto di edificazione;
– l’adozione di un provvedimento sanzionatorio presuppone l’annullamento (anche in sede giudiziale) di un “assenso edilizio” “per il riscontrato e insanabile conflitto con il regime costruttivo di riferimento”” (Cons. Stato, sez. VI, 10 settembre 2015 n. 4221).
Con riferimento alla determinazione della sanzione (pecuniaria pari al valore venale delle opere o loro parti abusivamente eseguite) è orientamento della giurisprudenza che il Legislatore, demandando a un soggetto terzo (“agenzia del territorio”), presso cui operano professionalità aventi le cognizioni tecniche all’uopo necessarie, abbia inteso introdurre una garanzia di effettività della tutela anche della posizione dell’Amministrazione, potenzialmente priva di personale avente le competenze per quantificare, ma anche, conseguentemente, difendere e chiarire la determinazione della sanzione (T.A.R. Lombardia, Brescia, sez. II, 7 novembre 2019, n. 965).
Ricapitolando dunque può dirsi che:
– secondo l’orientamento prevalente della giurisprudenza amministrativa (v., da ultimo, Cons. Stato, Sez. VI, 28 novembre 2018, n. 6753; id., Cons. Stato, Sez. VI, 9 aprile 2018, n. 2155), la disciplina dettata dall’art. 38 D.P.R. n. 380 del 2001 si ispira a un principio di tutela degli interessi del privato, prevedendo un regime sanzionatorio più mite per le opere edilizie conformi a un titolo abilitativo successivamente rimosso, rispetto agli altri interventi abusivi eseguiti sin dall’origine in assenza di titolo (o in parziale difformità) e al trattamento ordinariamente previsto per tali ipotesi (dagli artt. 31, comma 2, 33 e 34 D.P.R. n. 380 del 2001), per tutelare un certo affidamento del privato basato sulla presunzione di legittimità ed efficacia del titolo assentito;
– a tal fine, l’amministrazione è tenuta a verificare se i vizi formali o sostanziali siano emendabili, ovvero se la demolizione sia effettivamente possibile senza recare pregiudizio ad altri beni o opere del tutto regolari, e, in presenza degli anzidetti presupposti per convalidare l’atto, la disposizione all’esame (art. 38, comma 2, D.P.R. n. 380 del 2001) prevede che “l’integrale corresponsione della sanzione pecuniaria irrogata produce i medesimi effetti del permesso di costruire in sanatoria di cui all’articolo 36“;
– la richiamata disciplina prevede dunque i seguenti possibili rimedi:
i) la sanatoria della procedura nei casi in cui sia possibile la rimozione dei vizi della procedura amministrativa, con la conseguenza che, in tal caso, non si applica alcuna sanzione edilizia;
ii) nei casi in cui non sia possibile la sanatoria mediante la rimozione di vizi di natura procedimentale, in quanto ricorrono vizi di natura sostanziale, l’amministrazione è, in linea di principio, bensì tenuta ad applicare la sanzione ripristinatoria, ma, qualora questa non sia possibile, in base a motivata valutazione, applica una sanzione pecuniaria pari al valore venale delle opere o loro parti abusivamente eseguite ossia, eseguite sulla base del titolo annullato;
– secondo l’interpretazione della norma, coerente alla ricordata ratio, il concetto di impossibilità di ripristino non va inteso esclusivamente come impossibilità tecnica – ciò, a differenza dalla previsione del precedente art. 34, comma 2, laddove è espressamente specificato che l’impossibilità della demolizione ricorre solo qualora questa non possa avvenire “senza pregiudizio della parte eseguita in conformità”, prevedendo dunque un’ipotesi di esclusiva impossibilità tecnica – ma involge anche una componente valutativa di opportunità/equità, improntata al bilanciamento dell’interesse pubblico al ripristino della legalità violata con le posizioni giuridiche soggettive del privato che incolpevolmente abbia confidato nella legittimità dell’esercizio del potere amministrativo;
– deve dunque ritenersi che la scelta di escludere la sanzione demolitoria, laddove adeguatamente motivata e aderente, in termini di coerenza, alle indicazioni contenute nella pronuncia di annullamento (onde non incorrere nella violazione dei principi della separazione dei poteri e di effettività della tutela giurisdizionale dei ricorrenti vittoriosi), appare in astratto – laddove possibile – quella maggiormente rispettosa di tutti gli interessi coinvolti nella singola controversia e del principio di proporzionalità dell’azione amministrativa, di diretta derivazione eurounitaria, e che quindi, nel caso di opere realizzate sulla base di un titolo edilizio annullato, la loro demolizione deve essere considerata quale extrema ratio.
In definitiva “l’art. 38 rappresenta “speciale norma di favore” che differenzia sensibilmente la posizione di colui che abbia realizzato l’opera abusiva sulla base di titolo annullato rispetto a coloro che hanno realizzato opere parimenti abusive senza alcun titolo (cfr. in tal senso Consiglio di Stato, sez. IV, 14 dicembre 2002, n. 7001), tutelando l’affidamento del privato che ha avviato i lavori in base a titolo ottenuto. In tale ambito, a seguito di annullamento di titolo abilitativo edilizio – secondo il prevalente indirizzo giurisprudenziale da cui il Collegio non ha motivo di discostarsi – l’Amministrazione non può dirsi vincolata ad adottare misure ripristinatorie, dovendo anzi la scelta – tipicamente discrezionale quale essa sia, nel senso della riedizione o della demolizione – essere adeguatamente motivata. Incidentalmente va evidenziato come tale approfondito onere motivazionale trovi conferma nell’orientamento espresso dall’Adunanza plenaria di questo Consiglio (cfr. decisione n. 92017) in tema di annullamento in autotutela di titolo in sanatoria illegittimamente rilasciato” (Cons. Stato, sez. VI, 17 ottobre 2019, n. 7057).

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