17/02/2020 – Giurisdizione del giudice amministrativo in materia di attuazione di un Piano assistenziale individualizzato

Giurisdizione del giudice amministrativo in materia di attuazione di un Piano assistenziale individualizzato
 
Giurisdizione – Pubblica istruzione – Piano assistenziale individualizzato – Attuazione – Impugnazione – Giurisdizione giudice amministrativo

Rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo la controversia avente ad oggetto l’attuazione di un Piano assistenziale individualizzato (1).

(1) Ha chiarito il C.g.a. di essere conscio dell’esistenza di un contrasto, radicatosi ormai da tempo, sulle condizioni che governano il riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo in tutte le ipotesi in cui la questione riguarda l’esecuzione di servizi pubblici volti al soddisfacimento dei diritti dei disabili, come, ad es., nel caso di interventi di natura prevalentemente assistenziale, domiciliari ed extra domiciliari, a carico degli enti locali, finalizzati all’integrazione del disabile nel contesto socio culturale della comunità in cui vive, allo scopo di evitarne, per quanto possibile, l’ospedalizzazione; o nel caso di diritto all’istruzione di alunni disabili. Un contrasto che mina in radice l’effettività dei diritti dei disabili la cui difesa è garantita dalla predisposizione di adeguati strumenti di tutela giurisdizionale, sicché gli orientamenti di segno opposto sul riparto di giurisdizione con l’inevitabile corollario di sentenze spesso contraddittorie, non univoche, anche di questo stesso Consiglio, rappresentano una fonte di incertezza tale da configurare un vulnus per un pieno e satisfattivo accesso alla giustizia da parte di persone disabili.

Ha ricordato il C.g.a. che nella materia de qua si intracciano da un lato la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia di servizi pubblici (ex art. 133, comma 1, lett. c, c.p.a.), e, dall’altro lato, la giurisdizione del giudice ordinario in materia di condotte “discriminatorie” per motivi connessi alla disabilità, ai sensi degli artt. 1 ss., l. n. 67 del 2006, questione riservata alla giurisdizione ordinaria ex art. 28, d.lgs. n. 150 del 2011.
A favore della tesi della giurisdizione del giudice ordinario si è pronunciata la Cassazione a Sezioni unite a partire dalla sentenza n. 25011 del 2014 (i cui principi sono stati espressamente richiamati e ribaditi dalla sentenza 20 aprile 2017, n. 9966, nonché dall’ordinanza 28 febbraio 2017, n. 5060) fino alla recentissima ordinanza, n. 25101/2019, resa in sede di regolamento di giurisdizione, con la quale, ribaltando un proprio orientamento precedente al 2014, la Corte si è pronunciata a favore della giurisdizione del giudice ordinario in materia di tutela dei disabili, richiamando la normativa in materia di “discriminazione”, ora anche nelle forme c.d. “indirette”.
 
Diverso è invece l’orientamento del Giudice amministrativo, anche se non scevro di qualche oscillazione, il quale, rinvenendo il centro della questione nei criteri identificativi dell’ambito della giurisdizione esclusiva amministrativa sulle controversie relative all’erogazione di pubblici servizi e, in particolare, sull’estensione o meno della giurisdizione amministrativa esclusiva anche alla fase di attuazione ed esecuzione sia di un Progetto educativo individuale per un minore disabile (PEI), sia di un Programma assistenziale individualizzato (PAI), si è pronunciato a favore della tesi dell’appartenenza al Giudice amministrativo della giurisdizione in materia di tutela dei diritti dei disabili (Cons. St., sez. VI, ord. n. 4704 del 2015). 

Un punto fermo al riguardo è stato posto dalla decisione n. 7 del 2016 dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, secondo cui “al di fuori della peculiare situazione esaminata dalle Sezioni Unite (carente attuazione del PEI denunciata, in giudizio, come discriminatoria con il rito previsto dall’art. 28 d.lgs. cit.), l’ampiezza della latitudine della giurisdizione esclusiva amministrativa in materia di servizi pubblici, segnalata dal carattere generale delle espressioni lessicali utilizzate all’art. 133, comma 1, lett. c), c.p.a. (“relative a provvedimenti adottati dalla pubblica amministrazione…in un procedimento amministrativo”), preclude qualsiasi esegesi riduttiva del perimetro della cognizione piena affidata al giudice amministrativa in materia di pubblici servizi (infatti non rinvenibile anche nella giurisprudenza più restrittiva delle Sezioni Unite), in difetto di qualsivoglia positiva ed esplicita eccezione che la autorizzi”. Secondo l’Adunanza plenaria un’interpretazione che escludesse la giurisdizione del Giudice amministrativo in tale ipotesi “vanificherebbe irragionevolmente la ratio dell’attribuzione al giudice amministrativo della giurisdizione esclusiva sulle controversie relative ai pubblici servizi, agevolmente identificabile nell’esigenza di concentrare dinanzi ad una sola autorità giudiziaria (segnalata dall’uso dell’aggettivo “esclusiva” e dalla sua valenza semantica di “unica”) la cognizione piena delle controversie relative ad una materia che, per sua stessa natura, implica un indecifrabile intreccio di diritti ed interessi legittimi, tra le posizioni incise dall’espletamento delle relative potestà pubbliche, e di evitare, quindi, un complicato ed incerto concorso di azioni, dinanzi a diverse autorità giudiziarie (restando confermato, per radicare la giurisdizione amministrativa, il necessario limite dell’esplicazione del potere pubblicistico per mezzo dell’adozione di un provvedimento amministrativo, secondo l’originaria e fondamentale statuizione della Corte Costituzionale, con la sentenza 6 luglio 2014, n. 204)”.

Orientamento, questo dell’Adunanza plenaria, ripreso successivamente, sia dal Consiglio di Stato.
 
(sez. VI, n. 2023 del 2017),  il quale ha affermato – riprendendo i principi posti dalla Cassazione a Sezioni unite a partire dalla sentenza n. 25011/2014 – la sussistenza della giurisdizione del giudice civile, quando l’interessato espressamente lamenti innanzi a tale giudice “un comportamento discriminatorio a proprio danno”, e invece del giudice amministrativo in sede di giurisdizione esclusiva quando il ricorrente abbia contestato atti e comportamenti in contrasto con la legge; sia da questo Consiglio (sent. n. 234, n. 245, n. 246 del 2016, n. 350 del 2017, n. 262 del 2019). 
Da tale orientamento il Collegio non ravvisa ragioni di scostamento, neanche a seguito della recentissima ordinanza della Cassazione a Sezioni unite, n. 25101 del 2019.
Nella citata pronuncia, che riguarda la mancata attuazione del “piano educativo individualizzato” (PEI) predisposto dai competenti organi in favore di un minore disabile, ma i cui principi sono applicabili in generale anche alle ipotesi di mancata o incompleta attuazione di un “programma assistenziale individualizzato (PAI), le Sezioni Unite per affermare la giurisdizione del giudice ordinario in materia di tutela dei disabili, hanno fatto leva su una duplice argomentazione:
a) la natura discriminatoria del comportamento dell’amministrazione, sia in forma diretta che nella forma c.d. indiretta, vietata dalla l. n. 67 del 2006, art. 2, per tale intendendosi anche il comportamento omissivo dell’amministrazione pubblica nella predisposizione dei necessari presidi assistenziali discendenti dalle determinazioni contenute in un PAI;
b) il carattere “vincolato” delle determinazioni, nella fattispecie di cui si è occupata la Cassazione, dell’amministrazione scolastica, obbligata a dare attuazione alle determinazioni discrezionali del “piano educativo individualizzato”. Nessun margine di discrezionalità, secondo il ragionamento della Corte, residua in questa fase all’amministrazione scolastica che, neanche in presenza di risorse economiche insufficienti, può ridurre l’entità delle ore di sostegno previste dal PEI.
Le Sezioni unite della Corte di cassazione escludono l’esistenza di un contrasto irreversibile in tema di riparto di giurisdizione nella materia de qua con il giudice amministrativo, circoscrivendo la divergenza alle sole ipotesi in cui il ricorrente non deduca in forma “esplicita” «un comportamento discriminatorio a proprio danno», rappresentando in giudizio gli elementi di fatto, in termini gravi, precisi e concordanti, in cui la discriminazione si concretizza, e che il giudice valuta nei limiti di cui al comma 1, dell’art. 2729 c.c., ai sensi del comma 3 della l. n. 67 del 2006. Secondo il Consiglio di Stato tale norma “prevede una fattispecie tipica devoluta alla giurisdizione del giudice civile ed ha il suo ambito di applicazione esclusivamente e tassativamente quando e solo quando l’interessato si rivolge al giudice rappresentando gli elementi di fatto in cui la discriminazione stessa si manifesta”.
Per la Corte di cassazione “subordinare alla qualificazione giuridica della domanda la questione della giurisdizione appare un’opzione interpretativa che affida sostanzialmente al ricorrente la scelta del giudice competente”.
Ha osservato che nel caso deciso dalle citate sez. un. il ricorso di primo grado era stato proposto davanti al tribunale civile ai sensi degli artt. 3 e 4, l. n. 67 del 2006 deducendosi appunto una condotta discriminatoria. In una siffatta ipotesi non si può certo escludere la giurisdizione del giudice ordinario.
Tuttavia nella decisione le sezioni unite affermano che anche in assenza di espressa deduzione di parte di una discriminazione, spetta al giudice qualificare la domanda e ravvisare, nella mancata assegnazione delle ore di sostegno, una discriminazione indiretta che radica la giurisdizione del giudice ordinario.
Ora, ad avviso del C.g.a., siffatta affermazione costituisce un obiter dictum non specificamente rilevante ai fini del decidere, posto che nel caso specifico non vi era un problema di riqualificazione della domanda, che già deduceva una discriminazione; tale obiter dictum non può pertanto ritenersi vincolante.
In secondo luogo, sebbene si debba condividere l’assunto che la qualificazione giuridica della domanda ad opera della parte non può incidere sulla giurisdizione, tuttavia è sempre necessario, nella qualificazione giuridica della domanda, avere riguardo alla effettiva volontà della parte avuto riguardo alle pretese dedotte in giudizio.
Occorre perciò sempre verificare se la parte abbia inteso o meno lamentare una discriminazione, diretta o indiretta che sia.
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