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Urbanistica. Mancata o irrituale comunicazione o notifica dell’ingiunzione di demolizione
Pubblicato: 11 Febbraio 2020
Consiglio di Stato Sez. II n. 8632 del  20 dicembre 2019

La mancata o irrituale comunicazione o notifica dell’ingiunzione di demolizione non concreta un vizio di legittimità di quel provvedimento amministrativo, ma – se del caso – la sua inefficacia nei confronti del destinatario, nel senso che non cominciano a decorrere – fino a quando non risulti l’effettiva conoscenza dell’atto – sia il termine entro il quale va effettuata la demolizione, decorso il quale si verifica l’acquisto ipso iure del bene da parte del Comune, sia il termine per impugnare il provvedimento

Pubblicato il 20/12/2019

N. 08632/2019REG.PROV.COLL.

N. 00838/2009 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso avente numero di registro generale 838 del 2009, proposto dalla sig.ra Antonietta Olivieri, in qualità di amministratore unico e legale rappresentante della CI.GI. S.r.l., rappresentata e difesa dagli avvocati Antonio Parisi e Silio Aedo Violante, e con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Domenico Gaudiello in Roma, via di San Basilio n. 72,

contro

il Comune di Casoria, non costituito in giudizio,

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, sede di Napoli, n. 402/2008, resa tra le parti e concernente acquisizione gratuita al patrimonio comunale di opere edilizie.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 5 novembre 2019, il Cons. Giancarlo Luttazi.

Nessuno comparso in udienza per le parti;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Con atto d’appello notificato al Comune di Casoria in data 22 gennaio 2009 (data di spedizione) e depositato in data 4 febbraio 2009 la sig.ra Antonietta Olivieri, in qualità di amministratore unico e legale rappresentante della CI.GI. S.r.l., ha impugnato la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, sede di Napoli, n. 402/2008, pubblicata mediante deposito in Segreteria il 24 gennaio 2008, e che ha in parte respinto e in parte dichiarato inammissibile, compensando le spese, il ricorso n. 7872/2006, proposto dall’appellante per l’annullamento, con gli atti connessi, dell’ordinanza di acquisizione gratuita al patrimonio comunale prot. n. 154 del 2 ottobre 2006, emessa dal Comune di Casoria in relazione ad interventi edilizi realizzati su area sita nel Comune alla via Lepori e destinata ad opificio industriale.

Le opere sanzionate vengono così descritte nell’ordinanza di acquisizione: “Tettoia in profilati di acciaio e copertura in lamiere coibentate con il lato chiuso con pannelli in policarbonato alveolare di circa mt. 30,00xl0,00×5,00; tettoia in profilati di acciaio e copertura in lamiere coibentate di circa mt. 14,00X 12,00×5,00; locale· chiuso di circa mt. 11,50×3, 00 con pensilina esterna; tettoia in profilati di acciaio e copertura in lamiere coibentate, con il lato chiuso con pannelli in policarbonato alveolare di circa mt. 16,00xl1,00; tettoia in profilati di acciaio e copertura in lamiere coibentate e i due lati esterni chiusi con pannelli coibentati di 6 circa mt. 17,00 x 16,00 con sottostante locale realizzato con pannelli coibentati per circa mq. 20,00. Struttura in elevazione in c.a. composta da travi di fondazione, n. 12 pilastri e parziale montaggio dei casseri delle travi e del solaio del primo impalcato”.

L’appello denuncia:

I. Error in iudicando in relazione all’art. 145 c.p.c.; irritualità della notificazione delle ordinanze di demolizione ex art. 31 del d.P.R. n. 380/2001; errata applicazione dei principi generali in tema di comunicazione e notificazione degli atti amministrativi in relazione all’art. 21-bis della legge n. 241/90; violazione degli artt. 137 e ss. (in particolare degli artt. 140, 143 e 145) c.p.c.; violazione del giusto procedimento di legge (artt. 31 e ss. d.P.R. n. 380/2001); error in procedendo.

II. Error in iudicando; violazione dell’art. 7 della legge n. 241/90; violazione dei principi generali in materia di partecipazione al procedimento amministrativo; perplessità ed insufficienza della motivazione.

III. Error in iudicando; violazione degli artt. 31 ss. del d.P.R. n. 380/2001; violazione degli artt. 10 e 22 del d.P.R. n. 380/2001; perplessità ed insufficienza della motivazione.

Il Comune di Casoria non si è costituito.

In esito ad avviso di perenzione consegnato in data 17 giugno 2014 parte appellante ha depositato, in data 1 agosto 2014, domanda di fissazione di udienza, nonché, in data 1 ottobre 2019, una memoria.

La causa è passata in decisione all’udienza pubblica del 5 novembre 2019.

DIRITTO

Nessuna delle censure d’appello è fondata.

1.1 – L’appellante contesta in primo luogo il rigetto da parte del Tar del primo dei motivi del ricorso introduttivo, il quale sosteneva che tutte le sanzioni edilizie impugnate erano viziate per l’irritualità della notifica perché effettuata con le modalità di cui all’art. 143 (“Notificazione a persona di residenza, dimora e domicilio sconosciuti”) del codice di procedura civile anziché con quelle di cui all’art. l40 (“Irreperibilità o rifiuto di ricevere la copia”) dello stesso codice; e assumeva che la ricorrente aveva avuto conoscenza di quelle sanzioni solo a seguito della comunicazione dell’ultima ordinanza del procedimento (l’ordinanza n. 154 del 2 ottobre 2006, recante l’acquisizione gratuita al patrimonio comunale delle opere realizzate alla via Lepori, su area riportata in catasto terreni al foglio di mappa n. 10, particella n. 940).

Il Tar in proposito:

– ha premesso l’inammissibilità delle censure di illegittimità per irritualità della notifica formulate avverso le ingiunzioni di demolizione, rilevando che dall’eventuale nullità della notificazione dei provvedimenti di demolizione discenderebbe non l’illegittimità di questi ultimi ma la mancata decorrenza del termine per la loro impugnazione;

– per altro verso ha rilevato l’ammissibilità delle medesime censure di illegittimità per irritualità della notifica se riferite alla sola ordinanza di acquisizione gratuita al patrimonio comunale, posto che ai sensi dell’art. 31, comma 3, del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, la notifica dell’ingiunzione di demolizione ed il decorso del termine di novanta giorni da quella notifica costituiscono indefettibili presupposti per quell’acquisizione gratuita;

– ha però respinto la medesima censura d’irritualità della notifica rilevando la corretta applicazione nella fattispecie, da parte del soggetto notificante, dell’articolo 143 del codice di procedura civile.

Le relative censure d’appello non sono fondate.

La mancata o irrituale comunicazione o notifica dell’ingiunzione di demolizione non concreta un vizio di legittimità di quel provvedimento amministrativo, ma – se del caso – la sua inefficacia nei confronti del destinatario, nel senso che non cominciano a decorrere – fino a quando non risulti l’effettiva conoscenza dell’atto – sia il termine entro il quale va effettuata la demolizione, decorso il quale si verifica l’acquisto ipso iure del bene da parte del Comune, sia il termine per impugnare il provvedimento (v., per tutte, Cons. Stato, Sez. VI, 19 gennaio 2018, n. 345). Sicché, a prescindere dalla terminologia usata dal Tar (inammissibilità/infondatezza) la relativa censura del ricorso di primo grado è stata correttamente disattesa dal primo giudice.

Quanto alla ritualità della notifica, il rilievo del Tar secondo cui dalle relate riportate a margine dei vari atti è risultata accertata l’impossibilità oggettiva di eseguire la notifica all’indirizzo indicato (in Napoli, alla via Bartolo Longo) in quanto “alla IV Trav. n. 30, il civico è risultato inesistente, mentre dal civico n. 338 l’interessata è risultata sloggiata” supera le censure d’appello.

Quest’ultimo afferma: “del tutto falsamente, l’ufficiale notificante ha dato sbrigativamente atto dell’inesistenza del civico in cui ha sede la Società, nonostante si esibisca in atti la certificazione del Comune di Napoli che dimostra il contrario”. Però la certificazione prodotta non dà dimostrazione di questo assunto, anzi lo smentisce: si legge infatti nel suddetto certificato del Comune di Napoli – Unità di progetto onomastica stradale e numerazione civica – datato 13 marzo 2008 e allegato all’appello: “Si attesta che all’area di circolazione individuata precedentemente dal toponimo ‘QUARTA TRAVERSA BARTOLO LONGO’, ricadente in quartiere Ponticelli, in seguito alla Delibera di G.M. n. 1070 del 27.03.1996, fu attribuito il toponimo ‘VIA FILUMENA MARTURANO’, la cui numerazione civica annovera, tra gli altri, il civico 30”.

Sicché risulta che da una data molto anteriore a quella degli atti impugnati l’indirizzo indicato dall’appellante (IV Traversa Bartolo Longo) era diverso da quello effettivo e attestato dalla toponomastica comunale (via Filumena Marturano).

Relativamente alla mancata notifica al numero civico 338 l’appello afferma “[….] la sig. Olivieri è tutt’ora residente al civico n. 388 della IV traversa Bartolo Longo in Napoli, come da allegato certificato storico, risultando solo temporaneamente assente, per cui – alla stregua dei pacifici principi affermati dalla giurisprudenza in subiecta materia – al limite doveva procedersi alla notifica ex art. 140 c.p.c.”.

L’appello ammette che l’interessata era assente, sostenendo in particolare che l’interessata era “temporaneamente assente”; ma non reca ulteriori precisazioni.

Altresì l’appello non reca specifica contestazione al preciso rilievo del Tar secondo cui la medesima interessata era “risultata sloggiata”; né allega il riferito certificato storico.

La censura pertanto risulta generica e dunque inammissibile – in base a un principio ora espressamente trasfuso nell’articolo 64 del codice del processo amministrativo ma già vigente in questo processo come espressione del principio generale di cui all’art. 2697 del codice civile – perché non adempie all’onere di fornire principio di prova delle proprie prospettazioni.

Il primo motivo d’appello, oltre a ribadire l’assunto erroneo, sopra disatteso, di un vizio di notifica che vizierebbe le ingiunzioni di demolizione e la successiva acquisizione gratuita, rileva anche – sulla scorta della seguente affermazione del Tar (contenuta nel successivo capo 2 della sentenza di primo grado): “non essendo possibile, in questa sede, rimettere in discussione il presupposto dell’abusività delle opere sanzionate, considerato che le ordinanze di demolizione non risultano tempestivamente impugnate” – che “[…] male ha fatto il TAR partenopeo a dichiarare inammissibile per tardività il ricorso proposto avverso le ordinanze ingiuntive via via emanate dal Comune appellato […]”.

La censura è inammissibile perché priva di interesse per l’appellante, poiché, come essa stessa rileva, a prescindere dalla tardività delle relative censure del ricorso di primo grado il Tar si è comunque pronunciato sulla legittimità delle ingiunzioni di demolizione con riferimento agli abusi sanzionati (vedi: il capo 2 della sentenza appellata; il capo 3 dell’appello; il capo 1.3 della presente sentenza).

1.2 – Il secondo motivo d’appello contesta la sentenza del Tar laddove essa ha rigettato la deduzione relativa all’omessa comunicazione di avvio del procedimento ex art. 7 della legge 7 agosto 1990, n. 241.

Anche questo motivo è infondato.

In proposito il Tar ha correttamente ravvisato l’applicabilità alla fattispecie dell’articolo 21-octies comma 2, secondo periodo, della citata legge n. 241/1990, il quale come è noto prevede che il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell’avvio del procedimento qualora l’Amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.

In proposito il richiamo effettuato in appello al comma 2, primo periodo, del citato articolo 21-octies (“Non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”) non è pertinente, poiché, come sopra indicato, la sentenza appellata non reca rinvio a questa disposizione ma – espressamente richiamando la documentazione depositata dall’Amministrazione comunale – alla disposizione successiva, contenuta nel secondo periodo del suddetto comma 2.

L’appello contesta anche questo profilo della pronuncia del Tar, ma i relativi rilievi non sono fondati.

L’appello sostiene che l’Amministrazione non ha dimostrato in concreto che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato; e che la società ricorrente aveva proposto una serie di questioni, oggetto dei motivi assorbiti in primo grado e riproposti in appello, a cui l’Amministrazione non avrebbe dato risposta neanche nel momento in cui ha invocato l’applicazione dell’art. 21-octies, della legge n. 241/1990. Invece, afferma l’appello, proprio la situazione concretamente oggetto di accertamento, ovverosia la natura precaria e, al contempo, pertinenziale dei manufatti edilizi sanzionati, ex se non costituenti “nuova costruzione” ex art. 3 del D.P.R. n. 380/2001, nonché la pendenza di una domanda di condono tutt’ora inevasa relativamente a talune delle opere colpite dalle misure ripristinatorie, avrebbero dovuto indurre il Comune, all’esito dell’instaurazione del contraddittorio con la parte privata, a diversamente modulare i provvedimenti assunti, tenendo conto delle circostanze dedotte, non essendo stata affatto raggiunta ex post la prova in concreto, gravante sull’Amministrazione, dell’inutilità della partecipazione e dello sbocco necessitato del procedimento.

Anche questo rilievo va respinto.

Le opere in argomento sono, incontestatamente, le seguenti:

“Tettoia in profilati di acciaio e copertura in lamiere coibentate con il lato chiuso con pannelli in policarbonato alveolare di circa mt. 30,00xl0,00×5,00; tettoia in profilati di acciaio e copertura in lamiere coibentate di circa mt. 14,00X 12,00×5,00; locale·chiuso di circa mt. 11,50×3, 00 con pensilina esterna; tettoia in profilati di acciaio e copertura in lamiere coibentate, con il lato chiuso con pannelli in policarbonato alveolare di circa mt. 16,00xl1,00; tettoia in profilati di acciaio e copertura in lamiere coibentate e i due lati esterni chiusi con pannelli coibentati di 6 circa mt. 17,00 x 16,00 con sottostante locale realizzato con pannelli coibentati per circa mq. 20,00. Struttura in elevazione in c.a. composta da travi di fondazione, n. 12 pilastri e parziale montaggio dei casseri delle travi e del solaio del primo impalcato”.

Esse, come risulta dall’impugnato atto dichiarativo di acquisizione gratuita al patrimonio comunale, concretano un abusivo unicum funzionale, al quale si attaglia la natura di opere abbisognevoli di permesso di costruire ai sensi dell’articolo 3, lettera e) [v. in particolare le lettere: e.1): “manufatti edilizi fuori terra o interrati, ovvero l’ampliamento di quelli esistenti all’esterno della sagoma esistente”; e.3): “realizzazione di infrastrutture e di impianti […] che comporti la trasformazione in via permanente di suolo inedificato; e.5): “installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali roulottes, campers, case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, e che non siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee”; e.7): “realizzazione di depositi di merci o di materiali, la realizzazione di impianti per attività produttive all’aperto ove comportino l’esecuzione di lavori cui consegua la trasformazione permanente del suolo inedificato”] e 10, lettera a), del d.P.R. n. 380/2001, trattandosi con evidenza di “interventi di nuova costruzione” recanti trasformazione edilizia e – per il loro impatto – anche urbanistica del territorio, invece non definibili come interventi di “manutenzione ordinaria”, “manutenzione straordinaria”, “restauro e risanamento conservativo”.

La natura delle opere è stata correttamente prospettata dall’Amministrazione in primo grado come meritevole di sanzione ripristinatoria/acquisitiva ai sensi dell’articolo 31 del d.P.R. n. 380/2001; e questa natura di “nuova costruzione” e la relativa unicità funzionale escludono l’asserita irrilevanza edilizia, ivi comprese la prospettata natura pertinenziale della guardiola del custode dell’opificio e la prospettata amovibilità. E comportano la doverosità l’intervento sanzionatorio dell’Amministrazione (v., per tutte, Cons. Stato, Sez. VI, 4 ottobre 2019, n. 6720).

Quanto alla parimenti prospettata pendenza della domanda di condono per la “struttura in elevazione in c.a. composta da travi di fondazione, n. 12 pilastri e parziale montaggio dei casseri delle travi e del solaio del primo impalcato”, pure facente parte del complessivo abuso sanzionato, trattasi di prospettazione che risulta introdotta per la prima volta in appello, e dunque inammissibile per violazione del divieto di nova, ai sensi dell’articolo 104 del codice del processo amministrativo.

L’articolo 21-octies della legge n. 241/1990 risulta dunque correttamente applicato dal primo giudice.

1.3 – Il mezzo successivo contesta il capo di sentenza che ha rigettato il motivo di doglianza concernente i profili sostanziali dell’abuso, e sostiene che, con specifico riguardo al difetto di motivazione in ordine ai parametri urbanistici violati ed al regime concretamente applicabile agli interventi, la sentenza appellata non appare sorretta da congrua ed adeguata motivazione.

L’appello afferma in proposito che gli abusi sanzionati sono opere in precario con funzione accessoria all’esercizio dell’attività di impresa (motoristica, impiantistica e di carrozzeria sugli autoveicoli) in una zona completamente urbanizzata e di fatto destinata all’allocazione di insediamenti industriali sorti spontaneamente nel corso degli ultimi 30 anni; e opere pertinenziali, specie con riguardo alla ridotta superficie ed al fatto che sono aperte su tre lati ed appoggiate al muro di cinta, con conseguente irragionevolezza e sproporzione della sanzione. L’appello richiama in proposito pronunce giurisprudenziali, che però si riferiscono ad opere singole, non ad abusi con unicità funzionale quale quello in esame.

In proposito si fa rinvio a quanto già rilevato nel precedente capo 1.2; nonché ai rilievi del primo giudice i quali, diversamente da quanto affermato nell’appello, sono invece sul punto adeguatamente motivati e si pronunciano, con rilievi condivisibili, anche sulla motivazione degli atti di disciplina edilizia contestati: “[…] i manufatti in questione, considerati nel loro insieme e tenuto conto delle modalità tecnico-costruttive e dei materiali impiegati – che ne garantiscono lo stabile ancoraggio al suolo – nonché delle rilevanti dimensioni e del numero, costituiscono certamente attività idonee ad alterare lo stato dei luoghi e a comportare trasformazione del territorio, integrando nuove costruzioni, per le quali occorre munirsi preventivamente del permesso di costruire, ai sensi dell’art.l0, comma l, lett. a), del d.P.R. n.380/2001. 3. E’ infondata, inoltre, la censura di difetto di motivazione. Sul punto va richiamato il consolidato indirizzo giurisprudenziale (in termini, fra le tante, Consiglio di Stato, V Sezione, 14 ottobre 1998, n.1483, T.A.R. Campania, IV Sezione, 12 giugno 2001, n.2722; II Sezione, 23 giugno 2006, n.7154), condiviso dal Collegio, in base al quale, in considerazione della natura sostanzialmente vincolata dei provvedimenti sanzionatori in materia edilizia, non si ritiene necessaria una specifica motivazione a sostegno della misura adottata, essendo sufficiente l’accertata natura abusiva dell’opera”.

Altresì, l’urbanizzazione del sito e la sua destinazione di fatto all’allocazione di insediamenti industriali non esclude la connotazione abusiva delle opere ivi realizzate, perché esse erano prive di titolo edilizio.

Deve poi precisarsi che, diversamente da quanto sostenuto dall’appellante, nel sistema del d.P.R. n. 380/2001 sono gli interventi soggetti a permesso di costruire ad essere descritti con carattere residuale e non invece quelli soggetti a regime di denuncia di inizio attività ed al connesso regime sanzionatorio di natura pecuniaria: l’articolo 10, lettera a), del d.P.R. n. 380/2001 subordina a permesso di costruire gli “interventi di nuova costruzione”, e il precedente articolo 3, prima di elencare le opere comunque da ritenersi “interventi di nuova costruzione”, prevede che sono tali “quelli di trasformazione edilizia e urbanistica del territorio non rientranti nelle categorie definite alle lettere precedenti” (vale a dire che non rientrano nelle categorie degli: a) “interventi di manutenzione ordinaria”; b) “interventi di manutenzione straordinaria”; c) “interventi di restauro e di risanamento conservativo”; d) “interventi di ristrutturazione edilizia”).

2.- L’appello, in conclusione, va respinto.

Nulla per le spese, non essendovi costituzione avversaria.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione seconda), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Nulla per le spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 5 novembre 2019 con l’intervento dei magistrati:

Raffaele Greco, Presidente

Fulvio Rocco, Consigliere

Giancarlo Luttazi, Consigliere, Estensore

Giovanni Orsini, Consigliere

Cecilia Altavista, Consigliere

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