14/04/2020 – Ferie 2020? Non solo si possono effettuare, ma si possono certamente disporre d’ufficio

Ferie 2020? Non solo si possono effettuare, ma si possono certamente disporre d’ufficio
11 aprile 2020
 
La battaglia di retroguardia dei sindacati delle federazioni del pubblico impiego finalizzata ad impedire la fruizione delle ferie 2020 è particolarmente curiosa, soprattutto perché totalmente antitetica alla battaglia che gli stessi sindacati svolgono nel privato. Nel pubblico, oggetto della “lotta” è la rivendicazione del diritto di “non fare le ferie” e di collezionare un “cumulo” di ferie, non si capisce a che fine; nei settori privati aperti, nei quali si lavora a regime e con molte oggettive situazioni di rischio contagio la richiesta è opposta: allo scopo di esporre il meno possibile i lavoratori al rischi, in quel caso si perora la causa della più estesa fruizione possibile delle ferie.
 
Basterebbe questa semplice osservazione per soppesare per quel che è la “battaglia delle ferie” nel pubblico impiego. Una profusione di energie davvero degna di miglior sorte.
 
E sorprende e dispiace molto che il Ministero della Funzione Pubblica, probabilmente preoccupato di non aprire fronti di scontro, in maniera sempre più evidente assecondi pretese sindacali, per nulla basate su fonti e disposizioni normative vigenti, nessuna delle quali impedisce la fruizione di ferie nell’anno in corso, sia in smart working, sia come misura preventiva all’eventuale esenzione.
Di certo, sia l’articolo 87, comma 3, del d.l. 18/2020, laddove, sciaguratamente, si è affermato semplicemente l’ovvio qualificando il sostantivo “ferie” con l’aggettivo “pregresse”, sia, soprattutto la circolare 2/2020 della Funzione Pubblica ed il successivo Accordo con del 3 aprile 2020 non aiutano alla linearità, pur possibile.
Soffermandoci sull’articolo 87, non si può non osservare come il legislatore abbia indicato l’ovvio e non di più. E’, infatti, del tutto scontato, naturale, necessario, obbligatorio, vi sia o meno un’emergenza coronavirus o di altro tipo, che i lavoratori, tutti, siano in lavoro agile, siano, invece tra quelli che non possano essere adibiti a funzioni essenziali da svolgere in presenza né possano essere disposti in lavoro agile, debbano fruire di tutte le ferie entro l’anno e quindi esaurire le ferie arretrate.
 
Soffermiamo l’attenzione sul Comparto Funzioni Locali. L’articolo 28, comma 9, del Ccnl 21.5.2018 dispone: “Le ferie sono un diritto irrinunciabile e non sono monetizzabili. Esse sono fruite, previa autorizzazione, nel corso di ciascun anno solarein periodi compatibili con le esigenze di servizio, tenuto conto delle richieste del dipendente”.
Come si nota, le ferie debbono essere fruite: quando la norma contiene un precetto il cui verbo è coniugato all’indicativo presente, ha valore imperativo. Fruire delle ferie non è una facoltà. E’ un obbligo a carico del datore consentirle, è un dovere del lavoratore espletarle, è una necessità programmarle tenendo conto delle esigenze organizzative.
Il precetto fondamentale è: fruire di tutte le ferie spettanti nell’anno solare, entro l’anno solare. Aggiunge il successivo comma 15 del medesimo articolo 28: “In caso di motivate esigenze di carattere personale e compatibilmente con le esigenze di servizio, il dipendente dovrà fruire delle ferie residue al 31 dicembre entro il mese di aprile dell’anno successivo a quello di spettanza”.
La formazione di ferie “pregresse”, quindi, costituisce un’eccezione al precetto fondamentale. La regola è esaurirle tutte e a questo serve la programmazione annuale richiesta dall’articolo 2109 del codice civile.
La mancata fruizione di tutte le ferie spettanti nell’anno solare entro l’anno solare, come si nota, è oltre tutto condizionata da esigenze personali che vanno “motivate”: è lasciata alla discrezionalità del datore di lavoro, quindi, valutare se sia possibile un rinvio delle ferie del lavoratore. Ed è implicito che questi debba comunicare molto per tempo la sussistenza delle esigenze personali sulla base delle quali consentire la fruizione oltre l’anno solare.
 
Quindi, l’accumulo delle ferie “pregresse”, come è facilissimo notare dall’esame delle norme vigenti, non è né un diritto del lavoratore, né una prassi accettabile. La formazione di cumuli di decine e decine di giorni di ferie arretrate, che tuttavia si osserva in maniera troppo diffusa, è, conseguentemente, indice di continue violazioni normative e contrattuali, cagionate tanto dal datore quanto dal lavoratore ed indice certo di un’azione gestionale del datore distratta e male organizzata.
Ecco perchè non è per nulla un’idea particolarmente originale, quella contenuta nell’articolo 87, comma 3, del d.l. 18/2020, ove si indica di far precedere l’eventuale esonero dei lavoratori non utilizzabili per attività indifferibili da rendere in presenza né collocabili in lavoro agile, a tutti gli strumenti possibili posti a giustificare assenze retribuite dal servizio, tra cui le ferie pregresse. E’ un’affermazione assolutamente pleonastica, perché queste ferie vanno esaurite in ogni caso, anche se non vi fosse l’articolo 87, comma 3.
Tale norma, tuttavia, se letta da chi ha interesse solo a coltivare conflitti o a fare lotte di retroguardia, ed è abituato a leggere le norme non inquadrandole in un contesto ordinamentale coerente, ma estrapolandole dal contesto sì da vederle nella sola parte atomizzata, si presta ad essere utilizzata per un ragionamento sofistico a proprio uso e consumo.
Infatti, alcune “truppe d’assalto” sindacali propongono una lettura totalmente distorta della norma, per trarre da essa la conclusione che alle amministrazioni pubbliche sia precluso collocare in ferie d’ufficio i dipendenti pubblici. E fanno leva su un’altra ingenua quanto inopportuna Faq della Funzione Pubblica, la n. 5 del sito: http://www.funzionepubblica.gov.it/lavoro-agile-e-covid-19/faq: “Per ricorrere all’istituto dell’esenzione dal servizio previsto dall’articolo 87 del d.l. 18/2020, tra i presupposti, occorre verificare l’assenza delle ferie pregresse relative all’anno 2019? Si, nonché degli altri strumenti alternativi fissati dalla norma. Per ferie pregresse si intendono quelle del 2019 o precedenti”. Faq che ha preceduto l’inopportuna circolare 2/2020.
 
Ma, anche in questo caso il contenuto “esplicativo” è sostanzialmente nullo. Per ferie “pregresse” si intendono quelle precedenti? Può darsi che per qualcuno questo sia una “scoperta”. Dalla quale, come detto, trarre la conclusione, completamente priva di correlazione, secondo la quale siccome la norma prevede la fruizione delle ferie pregresse, allora solo quelle il datore di lavoro può imporre.
Conclusione del tutto priva di fondamento e di utilità, alla luce di quanto visto prima: le ferie pregresse, in astratto, nemmeno dovrebbero esistere e comunque il loro azzeramento è un obbligo per tutti i lavoratori, a prescindere dall’articolo 87, comma 3, del d.l. 18/2020.
che le ferie possano (e in alcuni casi, come un’emergenza qual è purtroppo quella nella quale siamo coinvolti, debbano) essere disposte d’ufficio, adottate le cautele necessarie, è perfettamente noto ed ammesso da larghissima giurisprudenza. A partire dalla Corte di Giustizia Ue Sezione X, del 20 luglio 2016 (causa C-341/15): “l’articolo 7, paragrafo 2, della direttiva 2003/88, come interpretato dalla Corte, non assoggetta il diritto a un’indennità finanziaria ad alcuna condizione diversa da quella relativa, da un lato, alla cessazione del rapporto di lavoro e, dall’altro, al mancato godimento da parte del lavoratore di tutte le ferie annuali a cui aveva diritto alla data in cui tale rapporto è cessato;
– ne consegue, conformemente all’articolo 7, paragrafo 2, della direttiva 2003/88, che un lavoratore, che non sia stato posto in grado di usufruire di tutte le ferie retribuite prima della cessazione del suo rapporto di lavoro, ha diritto a un’indennità finanziaria per ferie annuali retribuite non godute”.
Il datore, quindi, ha il dovere di far godere al lavoratore tutte le ferie annuali. Tutte. Come e quando? “Nel tempo che l’imprenditore stabilisce, tenuto conto delle esigenze dell’impresa e degli interessi del prestatore di lavoro”, risponde l’articolo 2109, comma 2, del codice civile. “Compatibilmente con le esigenze del servizio, il dipendente può frazionare le ferie in più periodi. Esse sono fruite nel rispetto dei turni di ferie prestabiliti, assicurando comunque, al dipendente che ne abbia fatto richiesta, il godimento di almeno due settimane continuative nel periodo 1 giugno – 30 settembre”, specifica l’articolo 28, comma 12, del Ccnl 21.5.2018.
Dunque, il diritto alle ferie va armonizzato sempre e comunque con le esigenze dell’impresa, che altro non sono se non le esigenze di servizio.
 
Il datore ha un obbligo specifico: consentire al dipendente, che però deve chiederlo, di godere delle ferie per due settimane consecutive tra l’1.6 e il 30.9. Negli altri periodi dell’anno non può esservi dubbio che le ferie sono da programmare in modo che siano effettuate, tutte, non solo in considerazione di utilità specifiche del lavoratore, ma anche di esigenze di servizio.
Non è da dubitare che tra le esigenze del datore di lavoro vi siano anche periodi di “chiusura aziendale”, connesse ad esigenze produttive oppure organizzative: basti pensare ai periodi delle prime settimane di agosto o alle festività natalizie. In queste circostanze, imprese e anche enti che non siano tenuti a svolgere attività, decidono di chiudere e le ferie dei lavoratori non possono che essere in funzione di queste chiusure “forzate”. Sono ferie, quindi, certamente decise dal datore. Il lavoratore potrà avere margini di scelta maggiori per i restanti giorni disponibili.
La fattispecie delle ferie imposte dal datore, quindi, non è per nulla nuova, né strana, visto che le esigenze di servizio sono comunque una guida per la programmazione ed effettiva fruizione.
E d’altra parte l’Aran in merito alla possibilità di imporre d’ufficio le ferie non ha mai avuto dubbi, come nel parere Ral 1424: l’istituto delle ferie “non dipende, nelle sue applicazioni, esclusivamente dalla volontà del dipendente. L’art. 2109 c.c. espressamente stabilisce che le ferie sono assegnate dal datore di lavoro, tenuto conto delle esigenze dell’impresa e degli interessi del lavoratore. L’applicazione di tale disciplinapertanto, nel caso di inerzia del lavoratore o di mancata predisposizione del piano ferie annuale, consente all’ente anche la possibilità di assegnazione di ufficio delle ferie. L’art.2109 c.c. espressamente stabilisce che le ferie sono assegnate dal datore di lavoro, tenuto conto delle esigenze dell’impresa e degli interessi del lavoratore. L’applicazione di tale disciplina, pertanto, nel caso di inerzia del lavoratore o di mancata predisposizione del piano ferie annuale, consente all’ente anche la possibilità di assegnazione di ufficio delle ferie. Si veda, su tale materia, anche l’art.10, comma 2 del D.Lgs.n.66/2003”.
E c’è una norma di legge a deporre ulteriormente per l’immanenza di un potere datoriale di disporre ferie obbligatorie: è l’articolo 5, comma 8, del d.l. 95/2012, a mente del quale “Le ferie, i riposi ed i permessi spettanti al personale, anche di qualifica dirigenziale, delle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi dell’articolo 1, comma 2, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, nonché delle autorità indipendenti ivi inclusa la Commissione nazionale per le società e la borsa (Consob), sono obbligatoriamente fruiti secondo quanto previsto dai rispettivi ordinamenti e non danno luogo in nessun caso alla corresponsione di trattamenti economici sostitutivi”.
 
Sempre l’Aran nel parere Ral 1424 chiarisce: “le situazioni di accumulo nel tempo di diversi giorni di ferie non godute con conseguente richiesta di monetizzazione all’atto della cessazione del rapporto di lavoro, devono considerarsi aspetti patologici della disciplina dell’istituto. Infatti, occorre ricordare che nella vigente regolamentazione, fermo restando la necessità di assicurare la fruizione del diritto da parte del dipendente, l’ente, in base, alle previsioni dell’art.18 del CCNL del 6.7.1995, è chiamato a governare responsabilmente l’istituto attraverso la programmazione delle ferie”.
E la giurisprudenza? Una sentenza che ha orientato da 20 anni la giurisprudenza indica: “il datore di lavoro nell’organizzare i turni di ferie: “…deve tenere conto anche degli interessi del prestatore di lavoro. In sostanza l’imprenditore deve organizzare il periodo delle ferie in modo utile per le esigenze dell’impresa, ma non ingiustificatamente vessatorio nei confronti del lavoratore e dimentico delle legittime esigenze di questi” (Sentenza – Sez. Lavoro n. 13980/2000)
Nel momento in cui il datore di lavoro pubblico è chiamato a riorganizzarsi, per altro in fretta e furia, per minimizzare la presenza in servizio dei propri dipendenti, è ben evidente che deve garantire “esigenze di impresa” tali da assicurare che i lavoratori stiano a casa, si ripete, utilizzando istituti che gli consentano di affiancare alla misura di distanziamento sociale (in assenza di altri strumenti, le ferie) anche il diritto alla percezione della retribuzione.
Ed è assolutamente chiaro che, poiché le ferie “pregresse” non dovrebbero nemmeno esistere e che la loro fruizione è necessitata non certo dall’emergenza coronavirus, bensì dalla corretta applicazione delle norme vigenti viste sopra, il datore pubblico dispone senz’altro del potere di organizzarsi prevedendo “chiusure” anche parziali ed individualizzate, tali da imporre le ferie al lavoratore, nelle more sia di una complessa e difficile da motivare scelta di esonero dal servizio (che non è per nulla automatica e scontata), o di modifica organizzativa, comprendente anche adibizione a mansioni equivalenti, allo scopo di una mobilità interna del lavoratore, utile per inserirlo magari in altre attività che possano essere svolte in lavoro agile rispetto a quelle oggetto del profilo e mansioni possedute.
Non può essere revocato in dubbio che, quindi, il datore può senz’altro imporre, per le motivazioni descritte, e quindi in modo assolutamente non vessatorio, la fruizione anche delle ferie del 2020, quanto meno con riferimento alle due settimane per le quali non debba garantire la fruizione consecutiva tra giugno e settembre.
Ma, la questione non riguarda solo le ferie come misura obbligata prima di giungere alla scelta estrema e comportante gravissime responsabilità di esentare i lavoratori[1]. Si estende, in generale, alla fruizione delle ferie 2020 anche per il personale in lavoro agile.
Come si è visto fin qui, l’articolo 87, comma 3, come anche la circolare 2/2020 e il Protocollo del 3 aprile 2020, a ben vedere non trattano direttamente della questione delle ferie dell’anno in corso. Né potrebbero: si tratta di materia, infatti, che l’articolo 2, commi 2 e 3, e 40, comma 1, del d.lgs 165/2001 assegna alla competenza esclusiva della contrattazione nazionale collettiva. Che l’ha esercitata, nei termini evidenziati prima.
Tuttavia, le organizzazioni sindacali sono, adesso, alla carica anche per rivendicare il diritto a non fruire delle ferie (sic) dei dipendenti in smart working. Perché? Siccome le ferie sono finalizzate al recupero psico-fisico del lavoratore, in questa fase di emergenza nella quale il distanziamento sociale e le misure di contenimento non consentirebbero di fruire delle ferie pienamente, con viaggi, attività ricreative ed enogastronomiche, culturali e di ogni altra natura, allora la collocazione in ferie non sarebbe lecita.
Nessuno nega che le ferie abbiano il fine di un pieno distacco dal lavoro e un recupero psico-fisico.
Ma, l’idea che siccome siamo in emergenza anti contagio, allora le ferie non sarebbero caratterizzate da quel medesimo stacco e piacere di viaggiare libero e spensierato del passato, sicchè non possano essere fruite non ha davvero nessun genere di fondamento.
Non giuridico: la normativa prevede il diritto/dovere di espletare le ferie, ma non regola – né potrebbe – “come” ciascuno utilizzi le proprie ferie.
Non sociale. Il ragionamento proposto dai sindacati potrebbe avere qualche minima valenza appunto solo in tavole rotonde sulla psicologia sociale del lavoro. Ma non tiene conto di un elemento, già accennato all’inizio. In questa fase, sono moltissimi i lavoratori del privato che vorrebbero ardentemente stare in ferie, pur di esporsi il meno possibile al rischio contagio. E qui è giusto affermare che anche tantissimi lavoratori pubblici vorrebbero molto qualche giorno di ferie, qui e adesso: medici, infermieri, operatori socio sanitari, tecnici ed amministrativi di ospedali e Usl, forze dell’ordine, addetti alla protezione civile, polizia locale, molti altri che qui non si possono elencare tutti.
Oppure i sindacati hanno l’idea che siccome si è in smart working, allora le ferie non sono opportune e sono solo da connettere al lavoro “in presenza negli uffici”? Sarebbe un’argomentazione da classica zappa sui piedi, la conferma che il lavoro in smart working è, nella sostanza, una sinecura, tale da non richiedere in questa fase ferie e recuperi psicofisici connessi.
Sia consentito di considerare davvero prive di qualsiasi utilità pubblica iniziative già assunte dall’Ispettorato della Funzione Pubblica, sulla base del Protocollo del 3 aprile 2020 (per altro nemmeno vincolante) e di richieste sindacali, volte a chiedere “rassicurazioni” proprio sul Protocollo stesso e, comunque, su questioni che riguardano le ferie del 2020, rispetto alle quali, vista la loro estraneità alla disciplina dell’articolo 87, comma 3, ogni intromissione dell’Ispettorato è null’altro se non un’ultronea ingerenza nella gestione del rapporto di lavoro di competenza esclusiva della parte datoriale. Si è capito che la Funzione Pubblica deve recitare una parte in commedia per non avere contro le organizzazioni sindacali. C’è, però, un limite anche al “volemose bene”.
 

[1] Torniamo a chiedere: ma, Palazzo Vidoni si è consultato con la Corte dei conti, prima di teorizzare con la circolare 2/2020 e col Protocollo del 3 aprile 2020 che ai lavoratori esentati vada salvaguardata “la retribuzione complessiva”? E qualcuno si chiede perché mai un lavoratore non esentato che lavori in attività indifferibili debba consumare ferie dell’anno in corso, mentre chi è esentato dal servizio no; con l’effetto paradossale di restare qualche mese a non lavorare (a stipendio pieno, a differenza di ogni lavoratore in cassa integrazione del privato) e poi, di tornare al lavoro potendo vantare ancora un altro mese pieno di ferie da espletare.
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