09/04/2020 – Occorre liberare la procedura negoziata senza bando dai cavilli procedurali previsti dalla normativa nazionale

Occorre liberare la procedura negoziata senza bando dai cavilli procedurali previsti dalla normativa nazionale (Parte II)
Ovvero quando è meglio limitarsi a recepire, tacendo…
Scritto da Elvis Cavalleri 8 Aprile 2020
 
 
Rubiamo il titolo dell’ottimo articolo firmato dall’Avv. Miniero (clicca qui), in quanto non può non convenirsi con l’intento che lo alimenta: liberarsi dai cavilli procedurali previsti dalla normativa nazionale in relazione alla procedura negoziata senza bando.
Intento che si manifesta con una magnitudo sino ad oggi sconosciuta, in ragione degli inutili ostacoli che la norma pone in un periodo drammatico come quello che stiamo vivendo a causa del nefasto Covid 19.
Proseguiamo quindi con il suo impeccabile ragionamento, che ha ben messo in luce i) da un lato la distanza del domestico art. 63 rispetto alla flessibilità ed alla sostanziale “anarchia procedimentale” prevista dalla disciplina europea, anche per come delineata dalla Comunicazione (2020/C 108 I/01), rubricata Orientamenti della Commissione europea sull’utilizzo del quadro in materia di appalti pubblici nella situazione di emergenza connessa alla crisi della Covid-19”; ii) dall’altro le plurime aporie contenute nell’art. 63 del Codice dei contratti: se un bene è infungibile e può essere fornito da un solo e determinato operatore, come faccio a consultarne cinque? Se acquisto da un fornitore che cessa definitivamente l’attività commerciale come faccio a consultarne cinque? Se affido servizi analoghi all’operatore economico aggiudicatario dell’appalto iniziale, come diavolo faccio a consultarne cinque?
La risposta è semplice: non lo faccio. Ma andiamo con ordine.
Come ben ci ha rammentato l’avv. Miniero, “l’articolo 63 del D.Lgs 50/2016, in recepimento dell’articolo 32 della Direttiva (2014/24/UE n.d.r.), ricopia i primi 5 commi per poi aggiungere, infine, un sesto comma“, che in modo financo troppo elegante ha definito di “puro artigianato nazionale“.
L’eleganza non ci si addice, ed il sesto comma per noi non è artigianato: è l’opera più nota di Piero Manzoni, ma priva di scatola e di valore artistico…
Non sono solo le plurime aporie di cui s’è già detto, a far si che sia l’opera manzoniana ad inorridire per lo sconveniente accostamento: il sesto comma è incostituzionale per un evidente eccesso di delega.
Come noto la Legge 28 gennaio 2016, n. 11, con la “lapidaria” rubrica “Deleghe al Governo per l’attuazione delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sull’aggiudicazione dei contratti di concessione, sugli appalti pubblici e sulle procedure d’appalto degli enti erogatori nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali, nonché per il riordino della disciplina vigente in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture” i) da un lato non prevedeva alcunché di analogo a quanto previsto dal sesto comma; ii) dall’altro prevedeva espressamente il cd. divieto di gold plating.
Con riferimento a quanto sub i), viene da chiedersi se il Legislatore delegato non abbia preso fischi per fiaschi, ed abbia erroneamente preso il suo spunto creativo dalla lett. ii) del primo comma della Legge delega, la quale si prevede la valutazione comparativa tra cinque operatori economici, ove esistenti; ma prevede altresì che detta comparazione si riferisca agli appalti pubblici sotto la soglia di rilevanza comunitariaovvero alle ontologicamente diverse procedure negoziate di cui all’art. 36, comma 2, lett. b).
Con riferimento invece al divieto di gold plating (sub ii), a rilevare è l’art. 1, comma 1, che pone in pole position la lettera a) con il suo “divieto di introduzione o di mantenimento di livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalle direttive, come definiti dall’articolo 14, commi 24-ter e 24-quater , della legge 28 novembre 2005, n. 246“.
E la Legge 246/2005, per quel che qui rileva, in quei commi definisce cosa siano questi livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalle direttive comunitarie, ovvero:
a) l’introduzione o il mantenimento di requisiti, standard, obblighi e oneri non strettamente necessari per l’attuazione delle direttive;
b) l’estensione dell’ambito soggettivo o oggettivo di applicazione delle regole rispetto a quanto previsto dalle direttive, ove comporti maggiori oneri amministrativi per i destinatari;
La norma, per completezza, da poi atto che in circostanze eccezionali potrebbe pure essere tollerato il superamento del livello minimo di regolazione comunitaria; ma a condizione che motivazioni e scenari siano adeguatamente valutati nell’analisi d’impatto della regolamentazione prodromici all’emanazione della norma.
Ma, in punto di motivazione rispetto al discostamento dalla Direttiva, la relazione illustrativa che ha accompagnato il nuovo Codice dei contratti (e prima ancora anche la relazione AIR) è totalmente silente; per converso è invece antitetica rispetto alla norma che dovrebbe illustrare: “Ove possibile, le amministrazioni aggiudicatrici individuano gli operatori economici da consultare sulla base di informazioni riguardanti le caratteristiche di qualificazione economica e finanziaria e tecniche e professionali desunte dal mercato, nel rispetto dei principi di trasparenza, concorrenza, rotazione, e selezionano almeno cinque operatori economici, se sussistono in tale numero soggetti idonei” (cfr. p. 279).
Come tristemente noto la locuzione “ove possibile” non trova corrispondenza nella norma, che con carattere imperativo viceversa s’esprime con il tempo indicativo presente; con le note conseguenze in chiave interpretativa.
Fischi o fischi, il sesto comma introduce obblighi e oneri non previsti dalle direttive, amplificandone l’ambito oggettivo di applicazione delle regole, e soprattutto comportando quei maggiori oneri amministrativi tanto deleteri nell’attuale scenario emergenziale. Il tutto in palese violazione del’art. 1, c.1, lett. a) della Legge delega.
Ciò che fa sorridere, da uno sguardo sistematico, è che l’art. 123 del d.lgs. 50/2016, il quale disciplina il medesimo istituto qui in trattazione nel diverso regime dei settori speciali, s’è invece pedissequamente attenuto al disposto dell’art. 50 della 2014/25/UE.
La spinta creativa s’è in questo caso limitata alla sostituzione della lettera j) con la lettera l), nell’ambito della suddivisione del comma in lettere. Perché mai così non è stato per l’articolo 63, ci chiediamo ancor oggi attoniti.
Ritessendo le fila del discorso, acclarato che la norma presenti patenti profili di incostituzionalità, v’è da chiedersi se questa possa essere immediatamente disapplicata dall’autorità amministrativa.
La risposta, nella realtà dei fatti, è affermativa, anche se non è di disapplicazione che si può parlare in realtà, ma bensì di scappatoia.
Stante l’attuale formulazione, per mero esempio, ogni ripetizione di servizio analogo, ovvero ogni affidamento di servizio infungibile, è contrario al dato letterale della norma, e non può che nascondersi dietro l’inciso “tana libera tutti” che chiude il primo periodo del comma 6: “se sussistono in tale numero soggetti idonei“. È solo questo inciso che salva dalla violazione di legge.
Diverso è il caso del secondo comma, lett. c) dell’art. 63, relativo alle procedure mosse da ragioni di estrema urgenza derivante da eventi imprevedibili, quale certamente è l’emergenza sanitaria che ci accerchia.
In tal caso più di un operatore economico potrebbe certamente esserci; ma potrebbe non esserci invece il tempo di esperire una gara formale come richiesto dalla norma (il richiamo all’art. 95, e quindi ad un criterio di aggiudicazione, è l’epitaffio alla celerità, in quanto destinato ad appesantire la procedura).
In tali altri casi, v’è nuovamente da chiedersi, può la norma essere immediatamente disapplicata dall’autorità amministrativa?
La risposta, nella realtà del diritto, è negativa.
Sebbene vi sia stato qualche autore[1] a perorare la tesi di un’originaria nullità di una norma incostituzionale anche prima della dichiarazione d’illegittimità per scure della Consulta, e quindi la non cogenza della norma medesima, la dottrina maggioritaria[2] ritiene la norma “sospetta” di incostituzionalità comunque esecutoria per tutti gli operatori del diritto, ed a fortiori per la pubblica amministrazione.
Orientamento quest’ultimo fatto proprio dalla giurisprudenza amministrativa, la quale ha avuto modo di sostenere che “l’Autorità amministrativa, dinanzi al principio di legalità costituzionale, non ha un potere di sindacato costituzionale in via incidentale, nonostante l’autorevole e suggestiva tesi di un Autore, che affermava in capo alle Amministrazioni il dovere di disapplicazione di una legge ritenuta palesemente illegittima. Tale dottrina, tuttavia, non ha trovato seguito nelle evoluzioni del sistema di giustizia costituzionale; coloro che esercitano le funzioni amministrative hanno, infatti, l’obbligo di applicare le leggi (anche se ritenute illegittime), in ossequio al principio di legalità, visto che l’ulteriore dimensione della legalità costituzionale ha il proprio presidio naturale nella competenza (esclusiva) della Corte costituzionale” (Cons. Stato, V, 14 aprile 2015, n. 1862; in termini cfr. Tar Lazio, Roma, I, 13 luglio 2015, nn. 9351 e 9354; Tar Calabria, Catanzaro, 17 gennaio 2015, n. 109)
Orientamento, seppur con ragionamento ricavabile a contrariis, che è del resto da anni proprio anche dal Giudice civile, nella misura in cui, presupponendo la vincolatività per la PA di una norma successivamente dichiarata incostituzionale, esclude la colpevolezza per il danno che dalla doverosa applicazione della norma è derivato: “la pronuncia di incostituzionalità ha effetto retroattivo ma tale effetto non consente di qualificare come illecito il comportamento dell’amministrazione antecedentemente alla pronuncia che ne abbia sancito l’incostituzionalità” (Cfr. Cass. Civ., Sez. Un. 21 agosto 1972 n. 2697, cfr. altresì Cass. Civ., Sez. Lav., 18 febbraio 2016, n. 3210; Id, 9 gennaio 2013, n. 355).
Sarà quindi ora chiaro che una norma è una norma a tutti gli effetti finché la Corte Costituzionale non ne sancisca la cessazione dell’efficacia, momento fino al quale va rispettata dalle stazioni appaltanti.
Ma se l’urgenza fosse così grande tale per cui la norma non la si voglia disapplicare, ma la si debba disapplicare?
Che la si disapplichi!
Postulata la buona fede, quale giudice in un siffatto contesto emergenziale potrebbe davvero condannare per un abuso d’ufficio, ovvero per un danno alla concorrenza, un soggetto agente che abbia disposto un affidamento d’urgenza ex art. 63 senza previa consultazione di cinque operatori economici?
Sia che si verta in ipotesi di reato, quanto di illecito amministrativo/contabile, rileverebbe certamente l’esimente di cui all’art. 45 c.p., norma di portata generale che esclude la punibilità in caso di forza maggiore. Nel caso di specie l’evento pandemico è oggettivamente di forza maggiore, in cui la disapplicazione non comporta un’azione antigiuridica, ma un’azione financo doverosa a tutela del superiore interesse della collettività, costituzionalmente protetto.
Sotto questo profilo potrebbe altresì rilevare in via combinata anche la scriminante di cui all’art. 54 c.p., secondo il quale non è punibile chi abbia commesso un fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo che giustappunto ben potrebbe essere scongiurato proprio dal celere approvvigionamento dei beni necessari per farvi fronte.
Senza scordare che in quei procedimenti il Giudice dovrà fare i conti con le eccezioni di illegittimità costituzionale della norma che in tesi avrebbe determinato l’integrazione dell’illecito, che a nostro avviso presentano palmari profili di fondatezza.
Ma tutto ciò premesso, per dirla con un noto proverbio, stavolta si uniformandoci ad eleganza: son tutti supereroi, con la pelle degli altri!
L’invito non può che essere allora rivolto al Legislatore, affinché espunga prontamente dall’ordinamento la propria neodadaista opera d’arte titolata “sesto comma dell’art. 63”.
_________________
[1] V. Onida, Pubblica amministrazione e costituzionalità delle leggi, Milano 1967, 41 ss.; A. Pace, Postilla: la legge incostituzionale come legge nulla ma esistente e una legge per decreto davvero inesistente, in Giur. cost., 2010, 5100; G. D’Alessandro, Forma dat esse rei, ovvero quand’è che può parlarsi di «legge» e di «legge» ‘nulla-inesistente‘, in Giur. cost., 2011,1698.
[2] E. T. Liebman, Contenuto ed efficacia delle decisioni della Corte costituzionale, in Scritti giuridici in memoria di Piero Calamandrei, Padova, 1958, III, 540 ss.; A. Sandulli, Legge (diritto costituzionale), in Noviss. Dig. It., Torino, 1963, IX, 648; V. Crisafulli, Lezioni di diritto costituzionale, tomo II, Padova, 1984, pagg. 387 e ss.; A. Celotto e F. Modugno, La giustizia costituzionale, Diritto pubblico, Torino, 2012, 701.

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