07/04/2020 – Verifica di congruità in caso di affidamento in house ad una società controllata dalla holding

Verifica di congruità in caso di affidamento in house ad una società controllata dalla holding
di Federico Gavioli – Dottore commercialista, revisore legale e giornalista pubblicista
 
Il Consiglio di Stato con la Sent. n. 1564, del 3 marzo 2020, nel respingere il ricorso di una società ha però affermato che gli enti locali possono effettuare affidamenti in house ad una società esercitando il controllo della stessa tramite una holding ma devono effettuare la verifica di congruità della scelta.
Il contenzioso amministrativo
Una società mista costituita da diversi Comune e un’altra società per la gestione delle cinque farmacie comunali, venivano, nel 2016, interpellate da un Comune, al fine di avanzare una proposta per l’affidamento della gestione del servizio della locale farmacia comunale, fino ad allora gestita mediante Azienda speciale comunale.
La società mista formalizzava, in risposta a detto interpello, la propria proposta, rendendosi disponibile all’approfondimento delle condizioni di affidamento e comunque alla partecipazione ad una eventuale procedura di evidenza pubblica per l’affidamento del servizio.
Nel silenzio del Comune istante, la società mista veniva a conoscenza, che il Comune stesso con delibera del dicembre 2016 aveva deciso la revoca dell’affidamento del servizio alla Azienda Speciale e l’affidamento diretto del medesimo servizio ad una società costituita all’origine per la gestione delle farmacie comunali del Comune, totalmente partecipata da un’altra società , quest’ultima a sua volta costituita e partecipata da numerosi enti locali del territorio, quale holding per la gestione in house di servizi pubblici locali.
La società mista nella veste di operatore economico potenzialmente idoneo a gestire il servizio oggetto della deliberazione, riteneva tale scelta lesiva del proprio interesse e la impugnava dinanzi al TAR dell’Emilia Romagna.
Il TAR Emilia ha ritenuto il ricorso della società mista inammissibile per carenza di interesse.
Avverso detta sentenza la società mista ha proposto appello al Consiglio di Stato.
L’analisi del Consiglio di Stato
I giudici del Consiglio di Stato osservano che la società mista ricorrente , muovendo dall’assunto che l’istituto dell’in house costituisca un’eccezione alla regola generale del ricorso al mercato, ne deduce, ex art. 192 del Codice dei contratti, un obbligo motivazionale rafforzato, asseritamente non adempiuto, nella specie, dall’amministrazione comunale, dal momento che tanto l’istruttoria quanto la motivazione poste a fondamento della delibera del Consiglio Comunale , risulterebbero del tutto inidonee a dimostrare la convenienza di detta forma gestionale rispetto all’affidamento a terzi del servizio. Da ciò l’erroneità della sentenza gravata che si è invece pronunciata nei più radicali termini dell’inammissibilità di una siffatta censura per difetto di interesse.
Per il Consiglio di Stato il motivo è infondato. La sentenza certamente contiene, nelle sue premesse, un’affermazione di inammissibilità, ma la stessa non è giunta a conformi conclusioni nel dispositivo, posto che il giudice di prime cure ha comunque deciso di esaminare nel merito le censure, alla fine respingendole in quanto infondate. E’ sul merito delle censure che quindi occorre concentrare la valutazione.
Il Consiglio di Stato ricorda che l’art. 192, comma 2, del Codice degli appalti pubblici (D.Lgs. n. 50 del 2016) impone che l’affidamento in house di servizi disponibili sul mercato sia assoggettato a una duplice condizione, che non è richiesta per le altre forme di affidamento dei medesimi servizi (con particolare riguardo alla messa a gara con appalti pubblici e alle forme di cooperazione orizzontale fra amministrazioni):
a) la prima condizione consiste nell’obbligo di motivare le condizioni che hanno comportato l’esclusione del ricorso al mercato. Tale condizione muove dal ritenuto carattere secondario e residuale dell’affidamento in house, che appare poter essere legittimamente disposto soltanto in caso di, sostanzialmente, dimostrato ‘fallimento del mercato” rilevante a causa di prevedibili mancanze in ordine a “gli obiettivi di universalità e socialità, di efficienza, di economicità e di qualità del servizio, nonché di ottimale impiego delle risorse pubbliche”, cui la società in house invece supplirebbe;
b) la seconda condizione consiste nell’obbligo di indicare, a quegli stessi propositi, gli specifici benefìci per la collettività connessi all’opzione per l’affidamento in house (dimostrazione che non è invece necessario fornire in caso di altre forme di affidamento -con particolare riguardo all’affidamento tramite gare di appalto-).
Nel caso si specie, osserva il Consiglio di Stato, l’applicazione della norma non conduce ai risultati voluti dall’appellante. L’Amministrazione appellata infatti, non soltanto ha effettuato un’istruttoria, compiendo un’indagine di mercato al fine di verificare quali soluzioni gestionali sarebbero state in concreto possibili, ma ha anche valutato la proposta della società, comparandola con un benchmark di riferimento, risultante dalle condizioni praticate da altre società in house operanti nel territorio limitrofo. Segnatamente, ha dato atto dell’indisponibilità dei soggetti interpellati a fare un’offerta alle condizioni date. Soprattutto, in ragione dell’urgenza di provvedere e del carattere temporaneo ed emergenziale della gestione, ha deliberato di affidare il servizio in house providing solo per tre anni, ossia un periodo estremamente ridotto rispetto a quello che avrebbe potuto mettere a gara in caso di ricorso al mercato. Siffatto livello istruttorio e motivazionale, sembra al Consiglio di Stato sufficiente, anche in considerazione del fatto che la pretesa di un maggior rigore istruttorio e motivazionale, persino in ipotesi di brevi affidamenti, “esacerberebbe i dubbi circa l’applicabilità della norma citata”.
Il Consiglio di Stato precisa che il Comune è socio della holding (….) , società in house costituita in origine dal Comune stesso e della quale sono poi diventati soci anche altri Comuni limitrofi .
A differenza di quanto dedotto dalla società mista appellante, non può sostenersi, sulla base dell’art. 4D.Lgs. n. 175 del 2016, la sussistenza di un divieto per il Comune di partecipare ad una holding. Dall’art. 4, comma 5 del TUSPP (D.Lgs. 19 agosto 2016, n. 175) si ricava, per converso, che le holding, purché abbiamo come oggetto sociale esclusivo la gestione delle partecipazioni societarie di enti locali, possono acquisire (e mantenere) partecipazioni in altre società. La norma citata rimuove l’unico limite che era innanzi previsto, ossia quello riferibile alle società dei servizi c.d. strumentali.
In conclusione l’appello è respinto; tuttavia la sentenza configura anche un percorso che deve essere effettuato dalle amministrazioni locali per poter verificare la congruità della soluzione in house tramite un’istruttoria che tenga conto delle indagini di mercato al fine di verificare anche le proposte della società potenziale affidataria diretta.

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