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Buoni spesa. Riflessioni sparse sui beneficiari
La platea dei beneficiari dei buoni spesa non può essere ricondotta a profili standardizzati di utenti dei servizi sociali.

Le condizioni di accesso previste dall’Ordinanza della protezione civile, infatti, sono molto larghe e contengono due margini di confine:

1) nuclei familiari più esposti agli effetti economici derivanti dall’emergenza epidemilogica da virus Covid-19;

2) nuclei familiari in stato di bisogno.

Lo scopo è: “soddisfare le necessità più urgenti ed essenziali”.

La priorità è: nuclei “non già assegnatari di sostegno pubblico”.

Questi sono i criteri previsti dall’Ordinanza ed oggettivamente non è nè possibile, nè opportuno che i comuni si sforzino di individuare, entro i confini molto ampi tracciati, situazioni soggettive fisse e standardizzabili.

Prendiamo ad esempio la prima condizione soggettiva: maggiore esposizione agli effetti derivanti dall’emergenza epidemiologica.

Non si tratta di una situazione necessariamente di “povertà”. Esemplifichiamo casi “limite”, che purtroppo sono oltre che possibili anche purtroppo concreti. Una famiglia monogenitoriale con figli minori anche piccoli, nella quale il genitore si trovi ricoverato. L’effettuazione della spesa per i figli risulta impossibile. Un aiuto è impellente e necessario, anche se quel genitore non abbia perso il lavoro ed il reddito finanziario continui a fluire regolarmente. Si ipotizzi che i figli siano stati presi in casa da parenti stretti. E’ evidente che quella famiglia che si apre alla solidarietà per i bambini si trova a dover affrontare maggiori uscite per la spesa dei piccoli presi in custodia. Anche questa è una situazione di esposizione ad effetti economici derivanti dall’emergenza, non connessa alla condizione di perdita di lavoro o di povertà.

Nè osterebbe alla presa in esame di simili situazioni la condizione che i nuclei non siano assegnatari di sostegno pubblico: la circostanza che nei due casi ipotizzati le entrate da stipendi o da attività professionali/commerciali/artigianali continuino a fluire non sono ovviamente sostegni pubblici, mentre l’impossibilità per i piccoli di fare la spesa sarebbe oggettiva, come oggettivo l’aggravio economico per la famiglia che li prenda con sè eventualmente. Situazione, per altro, che potrebbe anche coincidere con la condizione di “famiglia in stato di bisogno”.

Gli esempi esposti sopra svelano, quindi, che le condizioni da esaminare possono rivelarsi molto peculiari, specifiche e da valutare caso per caso, con esame approfondito della situazione di fatto del nucleo familiare.

Non sono sufficienti, per quanto ovviamente non da trascurare, “indicatori” standard. Non lo è sicuramente l’Isee: esso rileva situazioni finanziarie non più attuali, nè è in grado di intercettare la condizione particolare di un professionista che si ritrovi a zero liquidità, hic et nunc, perchè i suoi clienti non gli abbiano pagato le parcelle.

Non lo sono indicatori ulteriori, come lo stato di disoccupato, sospeso dal lavoro (in cassa integrazione), perchè tali condizioni soggettive non sono di per sè indicatori di perdita netta di reddito e, per altro, si possono affiancare a sostegni pubblici (Naspi). Nel caso della Cassa integrazione, per altro, se ordinaria, non può qualificarsi come sostegno “pubblico”, perchè la cassa ordinaria è finanziata da imprese e lavoratori, non da risorse pubbliche.

E’ compito, molto difficile e complesso, degli uffici dei settori sociali, quindi, utilizzare i possibili indicatori solo come strumenti per una profilazione dei possibili beneficiari, ma senza considerarli condizioni o presupposti necessari, alla stregua di elementi istruttori da considerare in procedure selettive o concorsuali, per ammettere o negare le istanze, sulla base di parametri prefissati. Il problema è che la condizione di emergenza non consente, in quanto di emergenza, di prefissare condizioni di accesso agli aiuti.

I servizi sociali, quindi, debbono elaborare istruttorie molto profonde e complesse ed articolate, per motivare eventuali attribuzioni a categorie di soggetti eventualmente non rientranti negli “utenti canonici” dei servizi sociali.

Delibere di giunta, indirizzi del sindaco, atti di autovincolo per cristallizzare, quindi, requisiti che invece l’ordinanza ha inteso tenere molto larghi, finiscono solo per burocratizzare l’attività e renderne ancora più complessa (e a rischio di inefficacia).

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