11/08/2020 – No agli aumenti delle retribuzioni delle PO sulla base del vecchio regime, abrogato implicitamente. Possibili incrementi, solo riducendo il fondo della contrattazione decentrata.

No agli aumenti delle retribuzioni delle PO sulla base del vecchio regime, abrogato implicitamente. Possibili incrementi, solo riducendo il fondo della contrattazione decentrata.

 

Nell’articolo “Indennità di posizione più alte nei Comuni privi di dirigenti Indennità di posizione più alte nei Comuni privi di dirigenti”, pubblicato su NTplus del 10 agosto 2020, Arturo Bianco insiste sulla tesi secondo la quale sarebbe ancora possibile per gli enti senza dirigenti incrementare le retribuzioni di posizione e risultato dei funzionari incaricati nell’area delle Posizioni Organizzative, applicando l’articolo 11-bis, comma 2, del d.l. 135/2018, convertito in legge 12/2019.

Una tesi, quella espressa da parte della dottrina, sostenuta anche dalla Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per la Campania col parere 97/2020 e dalla Sezione regionale di controllo per il Veneto, col parere 104/2020.

Si tratta, tuttavia, di una teoria visibilmente erronea, come dimostrato nelle analisi critiche (vedi in blogliveri: 1) “Gli incrementi delle retribuzioni delle Posizioni Organizzative non sono fuori dal tetto del salario accessorio. Erronea la deliberazione della Corte dei conti, Sezione Campania 97/2020” https://luigioliveri.blogspot.com/2020/07/gli-incrementi-delle-retribuzioni-delle.html; 2) Incrementi del fondo delle posizioni organizzative. Perchè la Corte dei conti sbaglia. Dimostrazione aritmetica.,https://luigioliveri.blogspot.com/2020/07/incrementi-del-fondo-delle-posizioni.html) dei pareri delle Sezioni regionali di controllo richiamati prima.

 

Le posizioni dottrinali e giurisprudenziali erroneamente rivolte a consentire l’applicazione delle norme volte, nel precedente regime, a consentire ai comuni privi di dirigenti di incrementare le retribuzioni delle PO fino ai massimi previsti dal Ccnl 21.5.2018, si scontrano insanabilmente con alcuni punti fermi dell’ordinamento e del nuovo regime giuridico introdotto con l’articolo 33, comma 2, del d.l. 34/2020, convertito in legge 58/2020.

Partiamo da un primo assunto erroneo: la presunzione che le disposizioni dell’articolo 11-bis, comma 2, del d.l. 135/2018 sarebbero tuttora vigenti per non abrogate in modo espresso e neppure implicito, visto che le finalità di tale norma e quelle dell’articolo 33, comma 2, sarebbero differenti, come afferma il Bianco.

Se certamente l’articolo 11-bis, comma 2, non è stato abrogato in modo espresso, altrettanto certamente lo è stato in modo implicito.

Ai sensi dell’articolo 15 delle “preleggi”, “Le leggi non sono abrogate che da leggi posteriori per dichiarazione espressa del legislatore, o per incompatibilità tra le nuove disposizioni e le precedenti o perché la nuova legge regola l’intera materia già regolata dalla legge anteriore”.

L’abrogazione tacita, quindi, si determina per incompatibilità della legge più recente con quella più antica regolante la stessa materia, o perché quella più recente regola l’intera materia regolata da quella precedente.

Che tra l’articolo 33, comma 2, del d.l. 34/2020, in combinazione col DM 17.3.2020, e la normativa precedente vi sia totale ed assoluta incompatibilità non pare si possa dubitarne. Basta un semplice quadro sinottico per reperire con immediatezza i molti punti contrastanti delle precedenti normative:

Normativa precedente

Normativa ex art. 33, comma 2

Incompatibilità

Tetto generale della spesa del personale: assolutamente inderogabile

Tetto generale alla spesa del personale: derogabile per i comuni virtuosi, che possano effettuare assunzioni a tempo indeterminato ai sensi del DM 17.3.2020

I due regimi normativi da questo punto di vista sono totalmente inconciliabili.

Nuove assunzioni effettuabili esclusivamente nei limiti del tetto della spesa connessa al costo del personale cessato l’anno precedente, più i resti assunzionali del quinquennio precedente.

Nuove assunzioni effettuabili in relazione al rapporto tra spese di personale e media triennale delle entrate correnti, al netto del FCDE dell’ultimo anno del triennio considerato.

Il vecchio regime consentiva una spesa agganciata al turn-over: tendenzialmente tutti gli enti potevano sostituire solo il personale cessato.

Il nuovo regime consente agli enti il cui rapporto spesa/entrate sia inferiore ai valori soglia definiti, di assumere senza più alcun riferimento al turn-over.

Inoltre, il nuovo regime non si incentra su limiti ad una grandezza di spesa, ponendo un tetto alla spesa del personale. Al contrario, di fonda sul principio di sostenibilità della spesa corrente, in connessione alla capacità di entrata.

Sono previste una serie di esclusioni di voci di spesa dal tetto complessivo: arretrati e maggiori costi dei rinnovi contrattuali nazionali, assunzioni delle categorie protette, assunzioni a tempo determinato finanziate dalle entrate dovute a sanzioni per violazione del codice della strada, personale in comando o distacco, incentivi per recupero evasione Ici, incentivi per gli avvocati delle avvocature interne, incentivi per i progettisti interni, diritti di rogito dei segretari comunali. A, appunto, gli incrementi alle retribuzioni delle PO, di cui all’articolo 11-bis, comma 2, del d.l. 135/2018, a condizione che il differenziale tra la maggior retribuzione e quella precedente sia finanziata da una simmetrica rinuncia alle facoltà assunzionali.

Non si esclude nessuna voce di spesa del personale e, correttamente, non si considera l’Irap tra queste voci.

In un sistema nel quale non si limitano le assunzioni in relazione ad un tetto posto alla sola spesa, ma si pretende la sostenibilità della spesa di personale mettendola in rapporto alle entrate correnti, non è ovviamente possibile escludere nessuna voce di spesa da tale rapporto.

 

Imposizione al trattamento accessorio (somma del valore del fondo della contrattazione decentrata e del capitolo di bilancio che finanzia le PO) del tetto di spesa del 2016.

Adeguamento del tetto del trattamento accessorio del 2016 alle risultanze del nuovo trattamento accessorio risultante a seguito del Ccnl 21.5.2018.

Nel nuovo regime normativo, il tetto al trattamento accessorio non è più quello del 2016, ma quello del 2018. Il tetto del 2016 costituisce solo una soglia al di sotto della quale il valore assoluto del trattamento accessorio non potrà andare.

Impossibilità di incrementare il valore assoluto del fondo della contrattazione decentrata, in assenza di un incremento della dotazione organica ed inesistenza di un parametro per determinare tale incremento.

Possibilità di incrementare il valore assoluto del fondo della contrattazione decentrata, connesso alla possibilità che il nuovo sistema assicura agli enti virtuosi di accrescere le dotazioni organiche, in quanto non più operante il turn over.

Si fissa, inoltre, per la prima volta il parametro dell’incremento: si tratta del valore medio pro-capite di cui parla l’articolo 33, comma 2, ultimo periodo, del d.l. 34/2019.

Il nuovo sistema consente esplicitamente di aumentare il valore del fondo della contrattazione decentrata (e dunque anche del trattamento accessorio nel suo complesso), al crescere del numero dei dipendenti, man mano assunti a tempo indeterminato, sulla base delle nuove regole.

Ogni assunto ulteriore rispetto alla dotazione al 31.12.2018 porta con sé una “dote” finanziaria, il cui valore è dato proprio dal valore medio pro-capite determinato dal singolo ente.

Tale “zainetto” incrementa automaticamente il fondo della contrattazione decentrata (è opportuno ricordare che ciò vale anche per gli assunti a tempo determinato e che è bene determinare l’incidenza, nella “dote” della parte variabile del fondo, rispetto a quella stabile).

Inesistenza del principio dell’invarianza del valore medio pro-capite del trattamento accessorio

Introduzione dell’invarianza del valore medio pro-capite del trattamento accessorio.

Proprio perché il nuovo regime normativo consente che il trattamento accessorio aumenti (o anche diminuisca al ridursi dei dipendenti, ma mai al di sotto del tetto del 2016), e perché è stata fissata la “dote” di cui si parlava sopra, allo scopo di fornire certezze contabili sull’evoluzione del rapporto spesa di personale/entrate correnti, il valore medio pro-capite del trattamento accessorio non può aumentare.

Il valore medio pro-capite del trattamento accessorio nel precedente regime non era conosciuto, perché era una grandezza del tutto irrilevante, vigente quel metodo di controllo delle assunzioni.

Si potrebbero individuare ancora ulteriori punti di contrasto. Ma, quelli elencati nel precedente quadro sono tali e tanti, da costituire comprova sufficiente ed inconfutabile dell’irrimediabile incompatibilità tra nuovo e vecchio regime, tale da determinare l’abrogazione tacita dell’articolo 11-bis, comma 2, del d.l. 135/2020, che può funzionare solo in un sistema basato sul tetto alla spesa del personale non rapportato alle entrate, sistema, ancora, basato sul turn over e non sugli spazi finanziari derivanti dal rapporto spesa/entrate e, infine, cosa più importante, su un sistema (come quello precedente) nel quale non esista il concetto di valore medio pro-capite del trattamento accessorio.

Sul piano meramente e banalmente aritmetico non è da mettere in dubbio, infatti, che applicando l’articolo 11-bis, comma 2, nell’attuale regime, se non si riduce del medesimo importo il valore assoluto del fondo della contrattazione decentrata, il valore complessivo del trattamento accessorio aumenta e, quindi, varia in aumento anche il valore medio pro-capite.

Di ciò si è accorta la Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per il Veneto col citato parere 104/2020, ove si legge: “si potrebbe ritenere che – tutt’al più – l’unico contrasto tra le norme introdotte dal D.L. n. 34/2019 (e relative disposizioni attuative) e le precedenti disposizioni di cui all’art. 11-bis del Decreto semplificazioni – che può far ritenere sussistente un limite alla possibilità concessa agli enti di aumento del valore delle posizioni organizzative – sia l’obbligo di garantire l’invarianza del valore medio procapite del salario accessorio dei dipendenti e delle posizioni organizzative dell’anno 2018 senza pertanto ridurre del valore corrispondente il fondo destinato all’erogazione del salario accessorio per i dipendenti del comparto non titolari di incarico di posizione organizzativa”.

Sorprendentemente – e in modo gravemente erroneo – la Sezione enuncia l’incompatibilità tra nuovo regime e possibilità di incrementare le retribuzioni delle PO, ma prosegue come se l’obbligo di invarianza, imposto dalla legge, fosse superabile e, dunque, violabile. Sia consentito osservare che compito della magistratura contabile, come di qualsiasi altra giurisdizione, è far osservare le leggi ed applicarle, non violarle.

Le medesime argomentazioni enunciate sin qui valgono anche a dimostrazione che il nuovo regime normativo regola integralmente la materia dei limiti alle assunzioni negli enti locali (e nelle regioni), sicché l’abrogazione implicita dell’articolo 11-bis, comma 2, del d.l. 135/2018 trova conforto anche sulla base di questo criterio interpretativo posto dall’articolo 15 delle preleggi.

Non possono considerarsi, quindi, condivisibili le indicazioni del Bianco, quando afferma che l’articolo 11-bis, comma 2, continua ad applicarsi e che persista “la possibilità di disporre questo incremento, che ovviamente va in deroga al tetto del salario accessorio del 2016”. Tale conclusione è erronea, perché, come visto sopra, è abrogata implicitamente e, comunque, oggi non opera più il tetto del salario accessorio del 2016, ma quello adeguato al 2018.

Irrimediabilmente erronea è, quindi, l’altra affermazione dell’Autore, quando sostiene che “questa possibilità [di aumentare gli importi delle PO, nda] non entra in alcun modo in contrasto con le previsioni dell’articolo 33 del decreto legge 34/2019 che impone ai comuni in cui il numero dei dipendenti in servizio rispetto al 31 dicembre 2018 è aumentato, di inserire nuove risorse nel fondo per il salario accessorio ed in quello per le posizioni organizzative, così da mantenerne invariato il valore medio pro capite”. Essa è, infatti, aritmeticamente sbagliata: poiché si deve mantenere invariato il valore medio pro-capite del trattamento accessorio, ogni incremento delle retribuzioni delle PO che non sia “finanziato” da simmetrica riduzione del fondo della contrattazione decentrata comporterebbe un aumento del valore medio pro-capite.

Quindi, l’articolo 11-bis, comma 2, è inapplicabile, perché abrogato tacitamente. Per incrementare gli importi delle retribuzioni delle PO non resta che la strada della contrattazione, ai sensi dell’articolo 7, comma 4, lettera u), del Ccnl 21.5.2018, ai sensi del quale è materia di contrattazione decentrata “l’incremento delle risorse di cui all’art. 15, comma 5 attualmente destinate alla corresponsione della retribuzione di posizione e di risultato delle posizioni organizzative, ove implicante, ai fini dell’osservanza dei limiti previsti dall’art. 23, comma 2 del D. Lgs. n. 75/2017, una riduzione delle risorse del Fondo di cui all’art. 67”.

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