07/08/2020 – Le scuole paritarie pagano l’Imu – Se non svolgono attività gratuite l’esenzione è aiuto di stato

Sentenza della Ctr Lazio. La natura commerciale dell’attività fa perdere l’agevolazione
Le scuole paritarie pagano l’Imu – Se non svolgono attività gratuite l’esenzione è aiuto di stato
di Sergio Trovato
 
Le scuole paritarie non possono fruire dell’esenzione Imu perché l’agevolazione si configura come aiuto di Stato e falsa la libera concorrenza, a meno che non svolgano l’attività a titolo gratuito o le rette richieste siano meramente simboliche. Non si può riconoscere un beneficio fiscale agli istituti che fruiscono di una sovvenzione statale e fanno pagare normali compensi agli utenti. Lo ha stabilito la Commissione tributaria regionale del Lazio, terza sezione, con la sentenza 1475 del 5 giugno 2020.
Per i giudici d’appello, anche se sussiste il requisito soggettivo previsto dalla legge, manca «il secondo elemento, consistente nella natura non commerciale dell’attività svolta».
E non importa che l’attività svolta dall’ente non profit sia in perdita, in quanto «percepisce delle sovvenzioni dallo Stato e conseguentemente, poiché vi si aggiungono le rette corrisposte dagli utenti, il servizio fornito è potenzialmente idoneo a produrre degli utili, i quali sono tipici dello svolgimento delle attività commerciali».
L’agevolazione Imu «può essere applicata solo agli immobili destinati allo svolgimento di attività non economica, svolta cioè o a titolo gratuito o dietro a un compenso solo simbolico. Ciò non può dirsi per le scuole paritarie, con riferimento alle quali un’eventuale esenzione si configurerebbe come un aiuto di Stato che potrebbe falsare la libera concorrenza».
Il beneficio fiscale non può essere riconosciuto «a quegli istituti che svolgono dietro compenso l’attività di insegnamento fruendo, come nel caso in esame, di sovvenzione statale a cui si aggiungono le rette corrisposte dagli utenti».
L’esenzione Imu per gli enti non commerciali sugli immobili dagli stessi posseduti spetta solo se rispettano le condizioni fissate dalla legge. Non è affatto richiesto che debbano essere iscritti nel Registro unico nazionale degli enti del terzo settore (Runts).
L’esenzione totale o parziale, in presenza dei requisiti soggettivi e oggettivi, deve essere riconosciuta anche con la nuova Imu. L’articolo 1, comma 759, lettera g) della legge di bilancio riconosce agli enti non commerciali il diritto all’esenzione per le attività svolte con modalità non commerciali. In base a quanto disposto dall’articolo 7, comma 1, lettera i) del decreto legislativo 504/1992, che viene richiamato dal comma 759, sono esonerati dal pagamento dell’imposta municipale gli immobili in cui vengono svolte le attività sanitarie, didattiche, ricreative, sportive, assistenziali, culturali e così via con modalità non commerciali.
Requisito essenziale per fruire è anche il possesso qualificato da parte dell’ente non profit. Per l’esonero non è sufficiente il possesso di fatto. Altrimenti l’agevolazione si estenderebbe al soggetto titolare. L’uso indiretto da parte dell’ente che non ne sia possessore non consente al proprietario di fruire dell’esenzione.
L’esenzione esige l’identità soggettiva tra il possessore, ovvero il soggetto passivo delle imposte locali, e l’utilizzatore dell’immobile. La Cassazione (ordinanza 10754/2017) ha precisato che gli enti interessati sono soggetti al pagamento se non svolgono l’attività a titolo gratuito o con la richiesta di un importo simbolico.
Inoltre, ha chiarito che sono soggetti al pagamento gli immobili utilizzati per lo svolgimento dell’attività didattica, anche se gli istituti interessati rispettano gli standard per l’insegnamento, accolgono gli alunni portatori di handicap, applicano la contrattazione collettiva e reinvestono gli avanzi di gestione. L’osservanza di queste condizioni non fa venir meno la natura economica dell’attività svolta.
Peraltro, l’esenzione non spetta anche se le attività operano in perdita, poiché si può esercitare un’impresa con modalità commerciali a prescindere dal risultato della gestione. Anche la convenzione con gli enti pubblici (Stato, regioni, enti locali) non esclude la logica del profitto e non conferma che l’obbiettivo perseguito sia quello di soddisfare bisogni socialmente rilevanti, che le strutture pubbliche non sono in grado di assicurare.

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