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La contestazione disciplinare ha a oggetto l’addebito, cioè i fatti su cui si procede, non anche l’indicazione della sanzione

di Massimo Asaro – Specialista in Scienza delle autonomie costituzionali, funzionario universitario Responsabile affari legali e istituzionali
La responsabilità disciplinare del dipendente pubblico è uno degli elementi strutturali della subordinazione. Essa è una delle cinque responsabilità, insieme alla responsabilità civile (art. 2043 c.c.), amministrativo-contabile (L. n. 19/1994 e L. n. 20/1994), penale (artt. 314 ss. c.p.), dirigenziale (art. 21D.Lgs. n. 165/2001). A queste si aggiungono la responsabilità amministrativa (L. n. 689/1981 e le numerose disposizioni legislative statali e regionali in materia di illeciti amministrativi) e infine, limitatamente alle Università statali, la responsabilità etica. Il D.Lgs. n. 165/2001 costituisce la fonte legislativa principale della materia che all’art. 55, comma 1, stabilisce che “Le disposizioni del presente articolo e di quelli seguenti, fino all’art. 55-octies , costituiscono norme imperative, ai sensi e per gli effetti degli artt. 1339 e 1419, comma 2, c.c., e si applicano ai rapporti di lavoro di cui all’art. 2, comma 2, alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1, comma 2. La violazione dolosa o colposa delle suddette disposizioni costituisce illecito disciplinare in capo ai dipendenti preposti alla loro applicazione”. L’art. 40, comma 1, prevede che “solo la tipologia delle infrazioni e delle relative sanzioni è definita dai contratti collettivi”. L’art. 2106 c.c. pone quale vincolo per la contrattazione collettiva il principio di gradualità e proporzionalità delle sanzioni in relazione alle infrazioni tipizzate. Secondo il principio di gradualità, la sanzione, per una stessa infrazione, è prima più tenue e diventa poi più grave; secondo il principio di proporzionalità, le sanzioni devono essere adeguate in relazione alla gravità dell’infrazione. Diversamente dall’impiego privato, per l’impiego alle dipendenze delle PP.AA. (anche in regime contrattualizzato) l’azione disciplinare è obbligatoria e non facoltativa, come stabilito dall’art. 55-sexies, comma 3, D.Lgs. n. 165/2001.
L’iter del procedimento disciplinare è descritto nell’art. 55-bisD.Lgs. n. 165/2001, da ultimo modificato col D.Lgs. n. 75/2017 mediante il quale è stata tolta al dirigente la titolarità dell’azione disciplinare per le infrazioni punibili con la sospensione dal servizio fino a 10 giorni, residuandogli solo la potestà per le sanzioni punite con il rimprovero verbale. Il procedimento a carico del lavoratore prende avvio, dopo la conoscenza di un fatto rilevante a fini disciplinari, con una necessaria contestazione, a garanzia del principio di difesa. Si ritengono ammissibili indagini preliminari senza avviso al dipendente svolte dall’amministrazione prima della contestazione dell’addebito al lavoratore, non esistendovi un principio che imponga l’avviso immediato al lavoratore dell’attività istruttoria disciplinare. La contestazione deve essere, secondo la giurisprudenza formatasi in relazione all’art. 7L. n. 300/1970 (Statuto dei lavoratori), specifica e dettagliata in fatto (mentre non rileva ala qualificazione giuridica dei fatti), fissando il limite di esercizio del potere disciplinare, che non potrà essere esercitato per fatti diversi (se non previa ulteriore contestazione). Eventuali risultanze ispettive, successive alla contestazione, non possono portare a una modifica o a una integrazione della stessa, ma possono solo chiarire o corroborare fatti già contestati ritualmente.
Come anticipato sopra, attualmente per le infrazioni punibili con tutte le sanzioni previste dall’ordinamento, esclusa quella del rimprovero verbale, la legge prevede un apposito ufficio/organo, denominato Ufficio per i procedimenti disciplinari UPD, che, appresa notizia del fatto (direttamente o mediante segnalazione di altro dipendente responsabile della struttura presso cui il lavoratore interessato presta servizio), si attiva per avviare il procedimento, accertare la responsabilità, determinare la sanzione da irrogare. A differenza di quanto previsto dal citato art. 7 Stat. Lav., dunque, non è il capo dell’amministrazione o della struttura a irrogare la sanzione, ma un apposito ufficio (e solo nel caso del rimprovero verbale il “responsabile” della struttura senza necessità che egli sia dirigente).
La sentenza in commento tratta del contenuto della contestazione disciplinare e, pur riferendosi a fatti ratione temporis regolati dalla legislazione previgente, reca considerazioni interessanti e conclusioni ancora valide nel contesto legislativo attuale. La contestazione non necessariamente deve contenere anche l’indicazione delle sanzioni applicabili, al fine di consentire il controllo ex ante sul rispetto delle regole di competenza che, come è noto è suddivisa, ai sensi dell’art. 55-bisD.Lgs. n. 165/2001, tra il responsabile della struttura di appartenenza del dipendente e, per le infrazioni punibili con la censura scritta o più gravi, dall’UPD. La contestazione, come si desume dall’art. 55-bis, comma 4, D.Lgs. n. 165/2001 (e prima della c.d. riforma Madia, commi 2 e 4) riguarda testualmente “l’addebito” e dunque i fatti sui quali si fonda la responsabilità disciplinare e non la sanzione. Sintetizzando, l’espressione di “…è prevista l’irrogazione…”, presente nei commi 1, 4 e 9-quater dell’art. 55-bis e l’espressione “punibili”, presente nel comma 2 e 9-quater del medesimo articolo, devono intendersi come pena edittale, cioè quella stabilita dalle fonti e non quella che la P.A. si prefiguri di applicare.
Il principio affermato dalla Suprema Corte è che in tema di sanzioni disciplinari nel pubblico impiego privatizzato, la contestazione dell’infrazione, per essere valida, deve contenere l’indicazione dei fatti addebitati, mentre non è necessaria l’indicazione espressa della sanzione per essi prevista. In ogni caso l’attribuzione della competenza al responsabile della struttura cui appartiene il dipendente o all’UPD, ai sensi dell’art. 55-bisD.Lgs. n. 165/2001, si definisce esclusivamente sulla base delle sanzioni edittali massime stabilite per i fatti quali indicati nell’atto di contestazione e non sulla base della misura che la P.A. possa prevedere di irrogare, né è ragione di invalidità la circostanza che l’UPD, presso cui si radichi il procedimento, fruendo dell’intero margine edittale, applichi infine una sanzione inferiore a quella che costituisce discrimine di tale competenza, qualora ciò sia conseguenza della necessaria proporzionalità rispetto ai fatti addebitati.
La privatizzazione del potere disciplinare implica sul piano sostanziale la competenza della contrattazione collettiva in ordine alla tipologia delle infrazioni e delle relative sanzioni, la giurisdizione del Giudice ordinario (con l’applicazione del cd Rito Fornero per le sanzioni non conservative, sebbene non vi sia un orientamento giurisprudenziale unico sulla questione), la non esperibilità del ricorso gerarchico e del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, l’inapplicabilità delle regole sul procedimento amministrativo di cui alla L. n. 241/1990, l’impossibilità dell’amministrazione di esercitare l’autotutela amministrativa (che è potere pubblicistico e autoritativo) avverso gli atti viziati.

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