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Parcheggiare e riprendere la propria vettura senza aver assolto all’obbligo di timbratura costituisce danno erariale e danno all’immagine
di Vincenzo Giannotti – Dirigente Settore Gestione Risorse (umane e finanziarie) Comune di Frosinone
All’esito del controllo disposto dal Comando del Nucleo Carabinieri dell’Ispettorato del lavoro, sono state rilevate una serie di assenze ingiustificate da parte dei dipendenti provinciali che mentre risultavano di aver timbrato il proprio cartellino di fatto si allontanavano dal posto di lavoro. Il rapporto aveva interessato anche la magistratura penale tanto che i dipendenti venivano posti in custodia cautelare. La Procura della Corte dei conti, apriva un inchiesta per danno erariale citando tutti i dipendenti oggetto delle rilevazioni di presenza anomale, concludendo che tali assenza “costituiscono allontanamenti illegittimi dal luogo di lavoro e dai compiti assegnati, per i quali la Pubblica amministrazione, ossia la Provincia …, ha registrato come normale orario di lavoro al fine della corresponsione delle relative spettanze economiche, essendo stata indotta in errore dagli stessi dipendenti che, mediante gli artifizi che risultano ampiamente descritti nella documentazione acquisita e in atti, simulavano fraudolentemente la loro presenza al lavoro, quando invece se ne allontanavano per svolgere attività estranee ai loro compiti di servizio”. Il danno erariale è stato quantificato pari alla retribuzione connessa al periodo di assenza ingiustificata di ciascun dipendente, oltre al danno all’immagine patito dalla Provincia, quantificato in via equitativa in € 10.000 per ciascun soggetto responsabile del comportamento in violazione di legge e del contratto collettivo.
La difesa dei convenuti
Secondo i convenuti le assenze ingiustificate si riferivano ad un periodo precedente alle nuove disposizioni introdotte dal D.Lgs. n. 150/2009, dove era previsto che il danno erariale si sarebbe evidenziato esclusivamente in presenza di una sentenza irrevocabile di condanna penale che, nel caso di specie non è avvenuta essendo il giudizio penale ancora pendente per alcuni mentre per altri il Tribunale ha dichiarato il non luogo a procedere per intervenuta prescrizione del reato. Va rilevato, infatti, come alcuni dipendenti si sono avvalsi della facoltà di non tenere conto della prescrizione per la prosecuzione del giudizio penale, mentre per altri la sentenza di non luogo a procedere è divenuta definitiva. Nel merito i convenuti si sono difesi in vario modo, evidenziando problemi di natura familiare e/o di salute, dello spostamento in diversi sedi dell’ente, della irrisorietà dei minuti rilevati di volta in volta dal Nucleo dei carabinieri ed altre giustificazioni fornite, tuttavia, solo successivamente ai fati rilevati.
Le motivazioni del Collegio contabile
Evidenzia in via preliminare il Collegio contabile come la sentenza penale non abbia fornito elementi dirimenti ai fini dell’accertamento della responsabilità amministrativo contabile, in quanto ha dichiarato l’estinzione dei reati ascritti per intervenuta prescrizione, e ha concluso per il non doversi procedere, sia pur evidenziando l’assenza di elementi utili ad un pronunciamento di assoluzione in formula piena. Non potendo ritenere utili le informazioni in ambito penale, il Collegio contabile deve decidere sulla base degli elementi in suo possesso.
Secondo, infatti, la giurisprudenza contabile (Corte dei conti Sardegna sentenza n. 114/2017) la normativa di riferimento, in materia di presenza sul posto di lavoro, recepita dalla contrattazione per i dipendenti degli Enti locali, che ha disciplinato gli specifici obblighi e doveri rimessi al pubblico impiegato, non ammette deroghe, attesa la sua forza cogente, volta al rispetto dei fondamentali valori costituzionali miranti ad assicurare “il buon andamento” della P.A. Il mancato rispetto di tali principi, per come codificati, comporta l’elusione di norme destinate, per un verso, ad assicurare che il servizio pubblico si svolga in un contesto obiettivo, diretto a finalizzare e ottimizzare l’attività posta a servizio della collettività e, per altro verso, a definire la misura della prestazione dovuta dal dipendente pubblico ed a commisurare la retribuzione allo stesso spettante in relazione all’orario ed al tempo di lavoro effettivo, costituendo tali elementi il sinallagma contrattuale prestazione/retribuzione che caratterizza il rapporto lavorativo.
La materia dell’orario di servizio e di lavoro è stata disciplinata dall’art. 22L. 23 dicembre 1994, n. 724, che ha disposto che “l’orario di lavoro, comunque articolato, è accertato mediante forme di controllo obiettivo e di tipo automatizzato” e da diverse Circolari del Dipartimento della Funzione Pubblica della Presidenza del Consiglio (n. 8/93; n. 3/94; n. 7/95 e n. 21/95) che hanno ribadito che “l’osservanza dell’orario di lavoro costituisce un obbligo del dipendente pubblico, anche del personale con qualifica dirigenziale, quale elemento essenziale della prestazione retribuita dalla Amministrazione Pubblica” e che “l’orario di lavoro, comunque articolato, deve essere documentato ed accertato mediante controlli di tipo automatici ed obiettivi, come disposto dalle vigenti normative in materia”. A seguito di successivi interventi legislativi si è voluto fornire un assetto organico alla disciplina del tempo della prestazione di lavoro e dei riposi; la contrattazione collettiva di comparto (C.C.N.L. del Comparto Regioni, Autonomie Locali del 6 luglio 1995, art. 17 e seguenti) ha disposto che: a) l’osservanza dell’orario di lavoro da parte dei dipendenti è accertata mediante controlli di tipo automatico; b) i permessi, concessi a domanda del dipendente in ipotesi prestabilite, debbano essere debitamente documentati e previamente autorizzati; c) le richieste per i cosiddetti permessi brevi debbano essere effettuate in tempo utile e, comunque, non oltre un’ora dopo l’inizio della giornata lavorativa, salvo casi di particolare urgenza o necessità, al fine di consentire al Dirigente di adottare le misure ritenute necessarie per garantire la continuità del servizio; d) il dipendente è tenuto a recuperare le ore non lavorate entro il mese successivo, ed in caso di mancato recupero, si determina la proporzionale decurtazione della retribuzione. Di recente, è intervenuto l’art. 55-quaterD.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165 (introdotto dall’art. 69D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150) che ha sancito che “Ferma la disciplina in tema di licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo e salve ulteriori ipotesi previste dal contratto collettivo, si applica comunque la sanzione disciplinare del licenziamento nei seguenti casi, tra i quali, a) falsa attestazione della presenza in servizio, mediante l’alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza o con altre modalità fraudolente …”.
Precisato lo sviluppo legislativo, la giurisprudenza contabile ha ribadito il principio secondo cui, in presenza di accertata dolosa o colposa inadempienza nella dovuta prestazione lavorativa (con riferimento ad assenze non giustificate), il danno è quanto meno pari alla spesa sostenuta dalla P.A. datrice di lavoro per la retribuzione complessivamente erogata a favore dei dipendenti, fatti salvi gli ulteriori eventuali danni che possono essere stati causati, a motivo della assenza ingiustificata, nella gestione dei servizi ai quali i predetti dipendenti pubblici erano addetti o preposti.
Nel caso di specie, stante il corretto funzionamento del sistema di rilevazione delle presenze, tutti i convenuti non hanno adempiuto a tale obbligo non avendo provato o documentato il loro allontanamento dal posto di lavoro, non potendo essere giustificate ex post situazioni di particolari problemi psicologici o familiari mai portati all’attenzione dalla propria amministrazione. Anche la condotta del dipendente che al mattino dopo aver timbrato l’ingresso al lavoro esce dall’edificio per andare a parcheggiare la propria autovettura nel vicino piazzale, mentre al termine dell’orario di lavoro prima di timbrare la relativa uscita, esce per recarsi nel vicino piazzale per riprendere la propria autovettura, ed il tutto allontanandosi dal luogo di lavoro, mediamente per 20 minuti al giorno, denota un comportamento fraudolento configurabile un’ipotesi di responsabilità amministrativo contabile del pubblico dipendente assenteista.
Conclusioni
Il Collegio contabile, in considerazione di tutte le condotte considerate dolose da parte dei convenuti, li ha condannati al danno erariale pari alle retribuzioni percepite, oltre al danno all’immagine la cui quantificazione da parte della Procura è stata interamente accolta con suddivisione in modo proporzionale, senza applicare alcuna riduzione dell’addebito, in forza della condotta dolosa nella produzione degli eventi lesivi ai danni dell’Amministrazione di appartenenza.

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