15/11/2019 – Le plurime violazioni che determinano la nullità della sequenza procedimentale relativa ad un concorso pubblico

Le plurime violazioni che determinano la nullità della sequenza procedimentale relativa ad un concorso pubblico
di Marcello Lupoli – Dirigente P.A.
Plurime illegittimità – quali la presenza tra i componenti della commissione di un rappresentante sindacale, la mancata nomina di commissari di sesso femminile senza alcuna motivazione che evidenzi l’impossibilità oggettiva di procedervi, la presenza di una dichiarazione di assenza di incompatibilità effettuata collegialmente e non individualmente dai singoli commissari, l’individuazione di criteri di valutazione delle prove concorsuali privi di specificità e generici, nonché l’assegnazione di un voto unico collegiale in luogo di un voto da parte di ciascun commissario successivamente confluito in una media finale – presenti nella sequenza procedimentale di un concorso pubblico ne determinano la nullità.
A tanto perviene, in nuce, la sentenza 21 ottobre 2019, n. 1369 pronunciata dal TAR Puglia, Bari, sez. I.
La fattispecie concreta sulla quale sono stati chiamati i giudici amministrativi pugliesi concerne un concorso pubblico, per titoli d esami (articolato in una prova scritta, in una prova pratica ed in una prova orale) bandito da un’azienda sanitaria locale finalizzato ad assumere dirigenti biologi per la disciplina di patologia clinica.
In particolare, il ricorso portato alla cognizione dei citati giudici di prime cure è stato proposto da una concorrente non risultata tra gli idonei della prova scritta, che, ad esito di un accesso agli atti del procedimento in parola, ha affidato a plurimi motivi la doglianza avverso il suddetto esito, intendendo stigmatizzare numerosi profili di illegittimità che avevano caratterizzato lo svolgimento della sequenza procedimentale concorsuale.
Ed invero, il ricorso è stato ritenuto fondato con conseguente accoglimento, attesi i patenti vulnera da cui è risultata affetta la procedura selettiva portata all’attenzione dei giudici amministrativi territoriali.
In primis, volendo “porre in un ordine logico di illegittimità procedimentale progressiva i plurimi motivi di censura che possono rilevarsi nella vicenda sottoposta a scrutinio”, i giudici prendono le mosse dalla lamentata illegittimità dell’atto di nomina della commissione di concorso.
La censura della parte ricorrente si fonda sulla circostanza che nel caso che ne occupa un componente della commissione esaminatrice rivestiva il ruolo di responsabile regionale di un’organizzazione sindacale.
In merito, l’illegittimità dell’atto di nomina si appalesa chiara in quanto in contrasto con la previsione normativa di cui all’art. 9, comma 2, del D.P.R. n. 487/1994 (come modificato dal D.P.R. n. 693/1996), avente ad oggetto il “Regolamento recante norme sull’accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni e le modalità di svolgimento dei concorsi, dei concorsi unici e delle altre forme di assunzione nei pubblici impieghi”. Ed infatti, nella parte che rileva ai fini della disamina della doglianza avanzata, è statuito che “Le commissioni esaminatrici di concorso sono composte da tecnici esperti nelle materie oggetto del concorso, scelti tra funzionari delle amministrazioni, docenti ed estranei alle medesime e non possono farne parte, […], i componenti dell’organo di direzione politica dell’amministrazione interessata, coloro che ricoprano cariche politiche o che siano rappresentanti sindacali o designati dalle confederazioni ed organizzazioni sindacali o dalle associazioni professionali […]”.
A tanto si aggiunga anche la previsione di cui all’art. 35, comma 3D.Lgs. n. 165/2001, che, in tema di reclutamento del personale delle pubbliche amministrazioni, nell’individuare una serie di principi cui le relative procedure devono conformarsi, ribadisce quello secondo cui la composizione delle commissioni deve essere effettuata “esclusivamente con esperti di provata competenza nelle materie di concorso, scelti tra funzionari delle amministrazioni, docenti ed estranei alle medesime, che non siano componenti dell’organo di direzione politica dell’amministrazione, che non ricoprano cariche politiche e che non siano rappresentanti sindacali o designati dalle confederazioni ed organizzazioni sindacali o dalle associazioni professionali” (lett. e).
In merito occorre rammentare che il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 3972/2014, resa dalla quinta sezione e richiamata anche nel dictum in disamina – prendendo le mosse dal presupposto che “il principio d’imparzialità previsto dall’art. 97, comma 1, Cost. è destinato a riflettersi anche sulla composizione delle commissioni giudicatrici nei concorsi pubblici, in quanto organi dell’amministrazione destinati a garantire la realizzazione di tale principio nella provvista delle persone cui affidare l’esercizio delle funzioni pubbliche” – ha precisato che il termine “rappresentanti sindacali” “deve essere interpretato nel suo significato letterale di “coloro che ricoprono cariche sindacali”, intendendosi con ciò, in sede ermeneutica, “fugare ogni possibilità di sviamento dell’interesse pubblico o di un’imparziale e non trasparente valutazione dei concorrenti”, atteso che “la carica sindacale, che è assunta in conseguenza della condivisione di una precisa impostazione sulle politiche lavorative del settore, potrebbe influenzare comunque il giudizio del componente”. Pertanto- rilevano i giudici di Palazzo Spada nella menzionata pronuncia -” la normativa vigente non autorizza un’interpretazione restrittiva delle disposizioni, poiché la lettera delle stesse esclude sic et simpliciter ed in astratto i rappresentanti sindacali dalle commissioni di concorso […],al di là di una incidenza tra l’attività esercitabile da colui che ricopre cariche sindacali e l’attività dell’ente che indice il concorso”.
Un altro profilo di illegittimità viene lamentato dalla parte ricorrente nella circostanza che tutti i componenti della commissione esaminatrice del concorso in parola, sia quelli effettivi che quelli supplenti, fossero di sesso maschile, senza che il relativo provvedimento di nomina rechi alcuna motivazione volta ad evidenziare, qualora effettivamente sussistente, l’impossibilità oggettiva di procedere alla nomina di commissari di sesso femminile.
Sul punto il chiaro disposto recato nella seconda parte della richiamata disposizione dell’art. 9, comma 2, del D.P.R. n. 487/1994 – secondo cui “Almeno un terzo dei posti di componente delle commissioni di concorso, salva motivata impossibilità, è riservato alle donne” – appalesa la fondatezza della doglianza evidenziata.
Ulteriori anomalie procedimentali “corroborano la ferma decisione demolitoria” cui pervengono i giudici nella pronuncia in esame.
In particolare – ad onta dell’art. 9, comma 2D.P.R. n. 483/1997 (“Regolamento recante la disciplina concorsuale per il personale dirigenziale del Servizio sanitario nazionale”), ai sensi del quale “I componenti, presa visione dell’elenco dei partecipanti, sottoscrivono la dichiarazione che non sussistono situazioni di incompatibilità tra essi ed i concorrenti, ai sensi degli artt. 51 e 52 del codice di procedura civile in quanto applicabili” – nel caso di specie consta, invece, un’irrituale “dichiarazione di assenza di incompatibilità cumulativa”, fatta collegialmente da tutti i commissari, che di per sé ostacola in modo oggettivo una piena assunzione di responsabilità fra il dichiarante e quanto dichiarato, a fini anzitutto penalistici, ma ovviamente anche a fini di regolarità e buon esito della procedura selettiva”.
A tanto si aggiungano ulteriori evidenze documentali che confermano le “lesioni” che il procedimento concorsuale de quo mostra anche sotto il profilo della fissazione dei criteri di valutazione della prova scritta e dell’assegnazione del voto.
Ed invero, l’individuazione da parte della commissione di criteri “privi di qualunque specificità e legittimanti uno spazio di sindacato valutativo del tutto sganciato da punti di contatto con le prove scritte […]” si pone chiaramente in contrasto con il citato disposto dell’art. 9D.P.R. n. 483/1997, ove al terzo comma è statuito che “La commissione, alla prima riunione, stabilisce i criteri e le modalità di valutazione, da formalizzare nei relativi verbali, delle prove concorsuali al fine di assegnare i punteggi attribuiti alle singole prove”, atteso che “con parametri così evanescenti il voto assegnato non restituisce neanche deduttivamente un quadro motivazionale comprensibile dell’esito valutativo della prova per come svolta dal singolo candidato”.
Relativamente all’assegnazione della votazione i giudici amministrativi pugliesi ravvisano un aspetto di illegittimità nell’assegnazione di un voto unico collegiale in luogo di un voto attribuito da ciascun commissario poi confluito in una media finale, con l’effetto che tale anomala modalità procedimentale “non ha permesso di cogliere se vi sia stata una differenza di vedute fra commissari su una medesima prova o se, al contrario, vi sia stata piena unanimità nella valutazione, ancora una volta occultando la responsabilità individuale del giudizio tecnico sulla prova medesima dietro uno schermo procedimentale molto discutibile, in quanto diametralmente in contrasto con il principio di trasparenza dell’agire amministrativo e con quello della responsabilità individuale dei commissari di concorso”.
In conclusione, le plurime acclarate illegittimità evidenziate sono tali da demolire l’intera sequenza procedimentale del concorso.

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