13/11/2019 – Richiesta convocazione del consiglio comunale da parte di un quinto dei consiglieri. Questione pregiudiziale.

Richiesta convocazione del consiglio comunale da parte di un quinto dei consiglieri. Questione pregiudiziale.

Oggetto
Richiesta convocazione del consiglio comunale da parte di un quinto dei consiglieri. Questione pregiudiziale.
Massima
1) In caso di convocazione del consiglio comunale da parte di almeno un quinto dei consiglieri le istanze possono essere dichiarate improcedibili da parte del presidente del consiglio comunale o del sindaco soltanto qualora le stesse vertano o su un oggetto che per legge è manifestamente estraneo alle competenze del collegio consiliare oppure su un oggetto illecito o impossibile, non potendo invece essere sindacate nel merito le richieste avanzate dal prescritto quorum di consiglieri. 2) L’istituto della questione pregiudiziale deve essere coordinato con il potere dei consiglieri (“della minoranza”) di chiedere la convocazione del consiglio medesimo, riconosciuto e definito come “diritto” dal legislatore. Sono, pertanto, ammissibili solo quelle questioni pregiudiziali che impediscono la discussione dell’argomento posto all’ordine del giorno per ragioni interne e proprie della specifica procedura o per altre ragioni legittime di pregiudizialità connesse con l’oggetto dell’argomento, con esclusione di questioni strumentalmente dirette a porre nel nulla la funzione del diritto di iniziativa.
Funzionario istruttore
BARBARA RIBIS

barbara.ribis@regione.fvg.it

Parere espresso da
Servizio elettorale, Consiglio delle autonomie locali e supporto giuridico agli enti locali
Testo completo del parere
Il Comune chiede un parere in merito ad una richiesta di convocazione del consiglio comunale formulata ai sensi dell’articolo 39, comma 2, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267[1] dalla minoranza consiliare e avente ad oggetto la discussione di una mozione su una pluralità di argomenti afferenti una medesima tematica. Sulla questione in riferimento si è già pronunciato il segretario comunale che, quanto ai contenuti della stessa, “inclina fortemente a dubitare che il suo oggetto sia riconducibile alla competenza consiliare”.

In via preliminare si rileva in generale che, nel caso di richiesta di convocazione del consiglio comunale da parte di almeno un quinto dei consiglieri, il sindaco ha l’obbligo di riunire il consiglio in un termine non superiore ai venti giorni. Entro tale termine si deve provvedere non solo alla convocazione ma anche alla riunione dell’assemblea consiliare.[2]

In caso d’inosservanza di tale obbligo soccorre la previsione di cui all’articolo 26, comma 1, della legge regionale 4 luglio 1997, n. 23 secondo cui: “Ai sensi dell’articolo 3 del decreto legislativo 9/1977 nella regione Friuli-Venezia Giulia, in caso di inosservanza degli obblighi di convocazione del Consiglio comunale e provinciale, previa diffida, provvede l’Assessore regionale per le autonomie locali”.

È, quindi, consentito al soggetto competente alla convocazione del consiglio di attivarsi anche dopo la scadenza del termine prescritto, fino all’intervento sostitutivo regionale.

Nella fattispecie prospettata viene in rilevo la problematica dell’individuazione dei limiti alla sindacabilità da parte del sindaco, quale presidente del consiglio, delle richieste di convocazione dell’assemblea da parte dei consiglieri di minoranza nell’ipotesi in cui sussistano dubbi circa la competenza dell’organo consiliare in ordine agli argomenti da iscrivere all’ordine del giorno.

Al riguardo sussiste un costante orientamento ministeriale[3] secondo cui le istanze possono essere dichiarate improcedibili da parte del presidente del consiglio comunale o del sindaco soltanto “qualora le richieste stesse vertano o su un oggetto che per legge è manifestamente estraneo alle competenze del collegio consiliare oppure su un oggetto illecito o impossibile”, non potendo tali soggetti sindacare nel merito le richieste avanzate dal prescritto quorum di consiglieri.

Al riguardo, il Ministero ha richiamato in più occasioni la giurisprudenza consolidata secondo cui, di fronte alla richiesta di convocazione, il presidente del consiglio può soltanto verificare, sotto il profilo formale, che la stessa provenga dal prescritto numero di soggetti legittimati, mentre non potrà sindacarne l’oggetto, atteso che spetta al consiglio comunale la verifica della propria competenza e, quindi, l’ammissibilità delle questioni da trattare[4].

Di conseguenza, rimane preclusa al presidente del consiglio, destinatario della richiesta di convocazione, una valutazione di merito circa l’ammissibilità delle questioni, salvo che non si tratti di oggetto che, in quanto illecito, impossibile o per legge manifestamente estraneo alle competenze del consiglio, in nessun caso potrebbe essere posto all’ordine del giorno, neppure su autonoma iniziativa del presidente stesso.

Infatti, la richiesta di convocazione del consiglio da parte di un quinto dei consiglieri rappresenta lo strumento parallelo alla forma ordinaria di convocazione da parte del suo presidente e risulta, pertanto, collocata su un piano di parità: la ratio della norma sarebbe travisata qualora alla richiesta si ponessero dei limiti non previsti per la convocazione da parte del presidente del consiglio.

Con riferimento alle questioni per le quali la minoranza consiliare ha richiesto la convocazione del consiglio si rileva che, almeno per una di esse, il segretario comunale, nel parere rilasciato sull’argomento, ha affermato che «l’invito “a mettere a disposizione le risorse finanziarie necessarie per far espletare all’Istituto Comprensivo (…) il bando atto ad individuare l’operatore economico che si occupa della supervisione degli alunni durante il pranzo” potrebbe costituire oggetto di disamina consiliare ove interpretato come una sollecitazione ad adeguare e/o integrare gli stanziamenti del bilancio comunale».

Si precisa, al riguardo che “nello stabilire se una determinata questione sia o meno di competenza del Consiglio comunale occorre aver riguardo non solo agli atti fondamentali espressamente elencati dal comma 2 dell’art. 42 del Testo Unico, ma anche alle funzioni di indirizzo e di controllo politico-amministrativo di cui al comma 1 del medesimo articolo 42, con la possibilità, quindi, che la trattazione da parte del collegio non debba necessariamente sfociare nell’adozione di un provvedimento finale. Il Consiglio comunale ha, infatti, un potere generale di indirizzo e di controllo politico – amministrativo sull’attività del Comune […]”[5].

Quanto, poi, alle ulteriori questioni poste, alla luce di quanto sopra riportato, il sindaco potrebbe dichiarare le stesse improcedibili solo qualora ritenesse il loro oggetto illecito, impossibile o per legge manifestamente estraneo alle competenze del consiglio.

In caso contrario, dovrebbe riunire il consiglio in un termine non superiore ai venti giorni e questi dovrebbe effettuarne la trattazione a meno che, prima dell’inizio della loro discussione, un consigliere ponesse su di esse la questione pregiudiziale e il Consiglio la approvasse.

A tale riguardo l’articolo 26 del regolamento del consiglio comunale rubricato “Questioni pregiudiziali e sospensive” recita:

“1. Il Consigliere, prima che abbia inizio la discussione su un argomento all’ordine del giorno, può porre la questione pregiudiziale, per ottenere che quell’argomento non si discuta, o la questione sospensiva, per ottenere che la discussione stessa venga rinviata al verificarsi di determinante scadenze.

2. La questione sospensiva può essere posta anche nel corso della discussione.

3. Le questioni sono discusse immediatamente prima che abbia inizio o che continui la discussione; questa prosegue solo se il Consiglio non le respinga a maggioranza.

4. Dopo il proponente, sulle questioni possono parlare solo un consigliere a favore ed uno contro.

5. In caso di contemporanea presentazione di più questioni pregiudiziali o di più questioni sospensive, si procede, previa unificazione, ad un’unica discussione, nella quale può intervenire un solo consigliere per gruppo, compresi i proponenti. Se la questione sospensiva è accolta, il Consiglio decide sulla scadenza della stessa.

6. Gli interventi sulla questione pregiudiziale e sulla questione sospensiva non possono eccedere, ciascuno, i cinque minuti. La votazione ha luogo per alzata di mano.

7. I richiami al regolamento, all’ordine del giorno o all’ordine dei lavori e le questioni procedurali hanno la precedenza sulle discussioni principali. In tali casi, possono parlare, dopo il proponente, un consigliere contro ed uno a favore e per non più di cinque minuti ciascuno.

8. Ove il Consiglio venga, dal Presidente, chiamato a decidere sui richiami e sulle questioni di cui al precedente comma, la votazione avviene per alzata di mano”.

Con riferimento alla fattispecie in essere l’istituto della questione pregiudiziale, quanto ad ambito di ammissibilità, deve essere coordinato con il potere dei consiglieri (“della minoranza”) di chiedere la convocazione del consiglio medesimo, riconosciuto e definito come “diritto” dal legislatore (artt. 43 e 39 secondo comma D.Lgs. 18 agosto 2000 n. 267).

Sui limiti entro cui può essere esercitato dalla maggioranza consiliare il diritto di disporre questioni pregiudiziali o sospensive si è espressa la giurisprudenza[6] la quale ha chiarito che “pare che l’ordinamento abbia voluto fare giusto bilanciamento fra due principi: da un lato, il principio maggioritario, a sua volta rafforzato nel sistema elettorale degli Enti locali, quanto al momento del decidere; dall’altro, il principio del valore della funzione della minoranza, espressa nel diritto di convocazione dell’assemblea per decidere su un argomento. Ritiene, pertanto, il Collegio che il coordinamento fra diritto di iniziativa della minoranza e potere della maggioranza a porre questioni pregiudiziali, vada risolto nel senso che l’ordinamento dà prevalenza e garantisce comunque la effettività del primo, sia nel momento iniziale (convocazione del Consiglio), che nel suo ineliminabile aspetto funzionale (discussione).

Ne consegue, che ogni qual volta l’ordinamento prevede e garantisce il diritto di iniziativa della minoranza mediante convocazione dell’assemblea, il potere della maggioranza di porre questioni pregiudiziali non può che essere inteso in senso congruente con il diritto di iniziativa. In tale situazione il Collegio ritiene che siano ammissibili solo quelle questioni pregiudiziali che impediscono la discussione dell’argomento posto all’ordine del giorno per ragioni interne e proprie della specifica procedura, con esclusione di questioni strumentalmente dirette a porre nel nulla la funzione del diritto di iniziativa”. La medesima sentenza prosegue affermando come sia necessario, altresì, verificare “se, accanto ed oltre le questioni pregiudiziali connesse con la specifica procedura della mozione, non possano esistere anche altre ragioni legittime di pregiudizialità connesse con l’oggetto stesso della mozione così come definito dalla proposta di deliberazione posta quale conclusione della mozione”.

Calando le sopra riportate considerazioni giurisprudenziali nel caso concreto potrebbe affermarsi che le questioni poste dalla minoranza consiliare a base della richiesta di convocazione possano non essere discusse nel merito dall’organo consiliare qualora questi ritenesse il loro oggetto manifestamente estraneo alle sue competenze. Verrebbe, in altri termini, rimesso ai poteri “sovrani” dell’assemblea decidere in via pregiudiziale che gli argomenti (tutti o alcuni) in riferimento, inseriti nell’ordine del giorno, non debbano essere discussi in quanto ritenuti estranei alle proprie competenze. In conformità a quanto previsto dalla norma regolamentare il proponente la questione pregiudiziale dovrebbe motivare la stessa e dopo di lui, “sulle questioni possono parlare solo un consigliere a favore ed uno contro” (articolo 26, comma 4, del regolamento del consiglio comunale).

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[1] Recita l’articolo 39, comma 2, del D. Lgs. 267/2000: “Il presidente del consiglio comunale o provinciale è tenuto a riunire il consiglio, in un termine non superiore ai venti giorni, quando lo richiedano un quinto dei consiglieri, o il sindaco o il presidente della provincia, inserendo all’ordine del giorno le questioni richieste”.

[2] Per completezza espositiva si rileva che, secondo chi scrive, nel caso in esame deve essere presa in considerazione la disciplina procedurale relativa alla richiesta di convocazione da parte di almeno un quinto dei consiglieri e non già quella, contenuta nel regolamento sul funzionamento del consiglio comunale, relativa all’istituto delle mozioni (il quale prevede, all’articolo 44, che le stesse “sono svolte all’inizio della seduta immediatamente successiva alla loro presentazione”).

[3] In questo senso, tra gli altri, si vedano i pareri del Ministero dell’Interno del 6 aprile 2017 e del 16 marzo 2018.

[4] Si veda T.A.R. Piemonte, sez. II, sentenza del 24 aprile 1996, n. 268.

[5] Così Ministero dell’Interno, parere del 28 giugno 2018. In senso conforme, Tribunale di Giustizia Amministrativa di Trento, sentenza del 14 gennaio 2010, n. 20.

[6] T.A.R. Puglia, Lecce, sez. I, sentenza del 6 febbraio 2004, n. 1022. Nello stesso senso, T.A.R. Puglia, Lecce, sez. I, sentenza del 25 luglio 2001, n. 4278.

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