12/11/2019 – Le novità in tema di assunzioni. Dpcm 3.9.2019 – Possibili ricadute sugli enti locali

Le novità in tema di assunzioni. Dpcm 3.9.2019 – Possibili ricadute sugli enti locali
Il Dpcm 3 settembre 2019 consente di dipanare alcune delle nebbie che ancora avvolgono l’attuazione dell’articolo 33 del d.l. 34/2019, convertito in legge 58/2019, anche se solo per le regioni: manca ancora il Dpcm riferito agli enti locali.
Tale decreto, tuttavia, lascia aperti alcuni interrogativi operativi, perché non ha affrontato, purtroppo, tutti gli elementi di incertezza.
Partiamo, comunque, dall’analisi delle regole esplicitamente disposte, utili per comprendere la portata della regolazione.
Efficacia. L’articolo 1 del Dpcm è molto chiaro: l’articolo 33, comma 1, del d.l. 34/2019 si applica alle regioni a statuto ordinario (per quelle a statuto speciale no) “a decorre dal 1° gennaio 2020”.
Il rinvio dell’efficacia delle regole dell’articolo 33 al 2020 appare opportuno ed inevitabile. I decreti attuativi a tale norma, infatti, avrebbero dovuto essere approvato entro 60 giorni dall’approvazione del d.l. 34/2019, cioè entro il 30 giugno 2019: vi sarebbe stato il tempo, per le amministrazioni, di rivedere la programmazione delle assunzioni e le regole per la costituzione dei fondi della contrattazione decentrata. Tutte operazioni impossibili da realizzare bene e con le necessarie consapevolezza e ponderazione a fine 2019.
Dunque, abbiamo alcune prime informazioni.
  1. a partire dal 2020 le regole per le assunzioni sono quelle nuove;
  2. a partire dal 2020 il fondo della contrattazione decentrata si costituisce secondo le modalità disposte dall’articolo 33.
Tetto di spesa del personale. Uno dei quesiti posti dalla disciplina dell’articolo 33 del d.l. 34/2019 concerneva la compatibilità tra il sistema di computo delle risorse assunzionali ivi definito, con il tetto della spesa del personale definito dalla normativa vigente.
La domanda posta era: una volta che entri in vigore pienamente l’articolo 33, resterà vigente anche il tetto di spesa previsto dall’articolo 1, comma 557-quater, della legge 296/2006? Ricordiamo il testo della norma: “Ai fini dell’applicazione del comma 557, a decorrere dall’anno 2014 gli enti assicurano, nell’ambito della programmazione triennale dei fabbisogni di personale, il contenimento delle spese di personale con riferimento al valore medio del triennio precedente alla data di entrata in vigore della presente disposizione”.
La risposta è fornita indirettamente dall’articolo 6, comma 1, del Dpcm 3.9.2019: “La maggior spesa per assunzioni di personale a tempo indeterminato derivante da quanto previsto dagli articoli 4 e 5, non rileva ai fini del rispetto del limite di spesa previsto dall’art. 1, comma 557-quater della legge 27 dicembre 2006, n. 296”.
La risposta è ambivalente: infatti:
  1. la norma conferma la vigenza dell’articolo 1, comma 557-quater, della legge 296/2006;
  2. ma, al contempo, consente di superare il tetto da esso fissato, in misura corrispondente alla maggior spesa per assunzioni di personale consentita dal nuovo sistema.
Nei fatti, il risultato reale è che il tetto posto dall’articolo 1, comma 557-quater, della legge 296/2006 è da considerare superato, a condizione che il superamento derivi dalle assunzioni effettuate in applicazione delle nuove regole.
Attenzione, però. A ben vedere il Dpcm introduce un nuovo tetto, almeno temporaneamente. Lo si rinviene nella previsione contenuta nell’articolo 5, comma 1: tale norma stabilisce dal 2020 al 2024 dei limiti massimi all’incremento della spesa del personale, ponendo come base di essa quella del 2018.
Ora, tale ultimo valore del 2018, poiché deriva da una serie di anni nei quali la normativa ha imposto un turn-over del personale inferiore mediamente al 100% del costo delle cessazioni degli anni precedenti e, comunque, mai superiore a tale soglia, la spesa del 2018 dovrebbe risultare in ogni caso inferiore al valore medio del triennio 2011-2013, imposto dall’articolo 1, comma 557-quater.
Per questo, inizialmente e fino al 2024 si tiene conto del tetto di spesa del 2018. In ogni caso, laddove per qualsiasi motivo tale tetto fosse di per sé superiore quello del valore medio del triennio 2011-2013 (si pensi ad enti interessati da incrementi di personale a causa, ad esempio, della riforma delle province, caso che investe in pieno le regioni), la previsione dell’articolo 5, comma 1, del Dpcm risulta vantaggiosa. Ma, comunque, la previsione dell’articolo 6, comma 1, del medesimo Dpcm permette anche nel medio-lungo termine di sforare il tetto del valore medio 2011-2013, si ribadisce se tale sforamento si riconnetta alle assunzioni attivate sulla base delle nuove regole.
Spesa di personale. Il Dpcm poteva essere l’occasione per definire, finalmente, in modo analitico e preciso cosa si intenda per spesa di personale. Ancora una volta le attese sono state vane: le spese prese in considerazione dall’articolo 2 del Dpcm sono ancora solo parziali, rispetto al volume e alla tipologia generali delle spese afferenti la gestione del rapporto di lavoro.
Mettiamo a confronto le spese di personale come definite dall’articolo 1, comma 557, della legge 296/2006, con quelle come definite dall’articolo 2 del Dpcm e, ancora, con quelle indicate dalla circolare della Ragioneria generale dello Stato 9/2006, come interpolata dalla giurisprudenza della Corte dei conti:
Art. 1, comma 557, l. 296/2006 + comma 557-bis
Articolo 2, comma 1, Dpcm 3.9.2019
Circolare 9/2006 Ragioneria Generale dello Stato + indicazioni Corte dei conti (da lettera r) in poi).
  1. lordo degli oneri riflessi a carico delle amministrazioni
  2. lordo dell’IRAP,
  3. esclusione degli oneri relativi ai rinnovi contrattuali,
  4. spese sostenute per i rapporti di collaborazione continuata e continuativa,
  5. spese sostenute per la somministrazione di lavoro,
  6. spese sostenute per il personale di cui all’articolo 110 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267,
  7. spese sostenute per tutti i soggetti a vario titolo utilizzati, senza estinzione del rapporto di pubblico impiego, in strutture e organismi variamente denominati partecipati o comunque facenti capo all’ente
  1. spesa complessiva per tutto il personale dipendente:
    1. a tempo indeterminato
    2. a tempo determinato,
  2. spesa per i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa,
  3. spesa per la somministrazione di lavoro,
  4. spesa per tutti i soggetti a vario titolo utilizzati, senza estinzione del rapporto di pubblico impiego, in strutture e organismi variamente denominati partecipati o comunque facenti capo all’ente,
  5. al lordo degli oneri riflessi
  6. al netto dell’IRAP,
  7. come rilevati nell’ultimo rendiconto della gestione approvato.
a) retribuzioni lorde – trattamento fisso ed accessorio – corrisposte al personale dipendente con contratto a tempo indeterminato e determinato;
b) le altre spese espressamente richiamate dal comma 198 [dell’articolo 1 della legge 266/2005, nda] per compensi corrisposti al personale con contratto di collaborazione coordinata e continuativa o che presta servizio con altre forme di rapporto di lavoro flessibile (ivi compresa la somministrazione di lavoro temporaneo) o con convenzioni;
c) gli eventuali emolumenti a carico delle Amministrazioni corrisposti ai lavoratori socialmente utili;
d) oneri riflessi a carico del datore di lavoro per contributi obbligatori;
e) IRAP;
f) assegni per il nucleo familiare,
g) buoni pasto;
h) spese per equo indennizzo;;
i) le somme rimborsate ad altre Amministrazioni per il personale in posizione di comando;
l) le spese sostenute dall’Ente per il personale in convenzione (ai sensi degli articoli. 13 e 14 del CCNL 22 gennaio 2004) per la quota parte di costo effettivamente sostenuto;
m) le spese sostenute per il personale previsto dall’art. 90 del D.Lvo. n. 267/2000;
n) i compensi per gli incarichi conferiti ai sensi dell’art. 110, commi 1 e 2;
p) sono da aggiungere, anche se citate dalla circolare 9/2006 in modo solo indiretto, le spese per il personale assunto mediante contratti di formazione e lavoro a qualsiasi titolo, del resto ricomprese nella precedente lettera b);
q) sono, ancora, da aggiungere le spese derivanti dai rinnovi dei contratti di lavoro;
r) spese riguardanti missioni, viaggi e rimborsi chilometrici (anche se escluse dalla circolare 9/2006 poichè già date per comprese nelle altre spese correnti);
s) tirocini svolti nell’ambito di strutture dell’ente volti allo svolgimento di servizi e funzioni dell’ente;
t) spese per incentivi alla progettazione;
u) spese per incentivi al recupero dei tributi locali;
v) spese a titolo di indennità sostitutiva per ferie non godute dal personale cessato dal servizio.
 
Portare a valore di norma le indicazioni della Ragioneria, risolvendo anche alcuni problemi operativi, sarebbe stato largamente opportuno.
La definizione di spesa di personale del Dpcm resta, invece, laconica ed imprecisa e perpetua il problema di una definizione di dettaglio lasciata a circolari o ai giudici contabili: il che rappresenta un elemento di incertezza operativa che gli enti non dovrebbero più subire.
Comunque, abbiamo rilevato che mentre la legge 29672006 e la circolare Rgs 9/2006 considerano la spesa di personale comprendendovi l’Irap, invece il Dpcm la esclude: novità, questa, molto rilevante.
La circolare Rgs considerava compresi nella spesa i rinnovi contrattuali. La legge 296/2006 li esclude. Il Dpcm sul punto non dice nulla.
Per risolvere la questione, pare doveroso fare riferimento all’articolo 11, comma 1, lettera a), del d.l. 135/2018 convertito in legge 12/2019, ai sensi del quale in riferimento all’incidenza sul trattamento accessorio delle risorse derivanti dalla contrattazione collettiva nazionale e delle assunzioni in deroga, il limite di cui all’articolo 23, comma 2, del d.lgs 75/2017 (da intendere, a partire dal 2020, come ridefinito dall’articolo 33 del d.l. 34/2019), non opera con riferimento agli incrementi previsti, successivamente alla data di entrata in vigore del medesimo decreto 75/2017 dai contratti collettivi nazionali di lavoro, a valere sulle disponibilita’ finanziarie “nazionali” e dagli analoghi provvedimenti negoziali riguardanti il personale contrattualizzato in regime di diritto pubblico. Dunque, si deve ritenere che nell’attuale regime normativo, gli incrementi della spesa di personale derivanti dalla sottoscrizione dei contratti collettivi nazionali di lavoro non debbano essere conteggiati nella spesa di personale.
Nuove regole per le assunzioni. Il Dpcm non lascia piena libertà di azione per assumere il personale. Per gli anni dal 2020 al 2024, infatti, l’espansione delle assunzioni rispetto alla mera regola del turn over subirà dei vincoli di incremento percentuale sulla spesa di personale del 2018:
Incremento max 2020
Incremento max 2021
Incremento max 2022
Incremento max 2023
Incremento max 2024
10%
15%
18%
20%
25%
 
Cosa significa? Che gli enti virtuosi non potranno, almeno fino al 2020, incrementare a piacimento le assunzioni.
L’articolo 4, comma 2, del Dpcm dispone che Le regioni a statuto ordinario virtuose, il cui rapporto spesa di personale – entrate si collichi al di sotto dei valori soglia, “possono incrementare la spesa del personale registrata nell’ultimo rendiconto approvato, per assunzioni di personale a tempo indeterminato, in coerenza con i piani triennali dei fabbisogni di personale e fermo restando il rispetto pluriennale dell’equilibrio di bilancio asseverato dall’organo di revisione, sino ad una spesa del personale complessiva rapportata alle entrate correnti, come definite all’art. 2, inferiore ai valori soglia definiti dal comma 1 …
In apparenza, quindi, se un ente virtuoso abbia un rapporto largamente inferiore al valore soglia, potrebbe incrementare la spesa di personale, mediante le assunzioni, fino a raggiungere il valore soglia.
Facciamo l’esempio di una regione con meno di 800.000 abitanti. Il valore soglia del rapporto spesa di personale-entrate è 13,5%. La regione X invece ha un rapporto del 10,5% e il totale della propria spesa è 1.050.000, in quanto le entrate siano pari a 10.000.000.
Ora, se si applicasse l’indicazione riportata sopra, l’incremento della spesa per assunzioni sarebbe il seguente:
Entrate
Spesa di personale
Rapporto
Valore soglia
Nuova spesa di personale con valore soglia al 13,5%
10.000.000
1.050.000
10,50%
13,50%
1.350.000
 
Ma, il comma dell’articolo 4 prosegue così: “fermo restando quanto previsto dall’art. 5”.
Il quale dispone i già visti incrementi massimi della spesa di personale da rapportare a quella del 2018 per gli anni da 2020 a 2024.
Vediamo, allora, cosa succede applicando i vincoli massimi all’incremento del personale fino al 2024:
Regioni
Valori soglia
Spesa di personale 2018 (si ponga al di sotto del valore soglia)
Incremento max 2020
Incremento max 2021
Incremento max 2022
Incremento max 2023
Incremento max 2024
 
 
 
10%
15%
18%
20%
25%
a) regioni con meno di 800.000 abitanti
13,5%
1.050.000,00
1.155.000,00
1.207.500,00
1.239.000,00
1.260.000,00
1.312.500,00
b) regioni da 800.000 a 3.999.999 abitanti
11,5%
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c) regioni da 4.000.000 a 4.999.999 abitanti
 
9,5%
 
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d) regioni da 5.000.000 a 5.999.999 abitanti
8,5%
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e) regioni con 6.000.000 di abitanti e oltre
5%
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Come si nota, la regione X, applicando i limiti di crescita imposti dall’articolo 5 del Dpcm non riesce mai, fino al 2024, a raggiungere il potenziale di spesa che, pure, l’articolo 33, comma 1, del d.l. 34/2019 consentirebbe.
E’ bene chiarire che ogni anno successivo al 2020, la base per l’incremento della spesa da destinare ad assunzioni resta il 2018, quindi, nell’esempio, 1.050.000, perché gli incrementi non si cumulano.
Andiamo, adesso, agli elementi controversi, non risolti, purtroppo, dal Dpcm, rimasto omissivo in molte parti.
2019. Il Dpcm attua le previsioni dell’articolo 33 del d.l. 34/2019 a partire dal 2020. Quindi, che succede nel 2019?
Per quanto riguarda le assunzioni, occorre necessariamente concludere che gli enti sono abilitati ad assumere nel 100% del costo delle cessazioni dell’anno precedente (2018), aggiungendo le capacità assunzionali residue del quinquennio precedente (anni 2013, 2014, 2015, 2016 e 2017), secondo le regole assunzionali vigenti all’epoca.
Tetto assunzioni del 2013:

40% del costo del personale cessato l’anno precedente (con riduzione al 50% dell’onere per le assunzioni del personale destinato allo svolgimento delle funzioni in materia di polizia locale, di istruzione pubblica e del settore sociale);

– Tetto assunzioni del 2014:

60% del costo del personale cessato l’anno precedente; la percentuale sale all’80% per gli enti con un rapporto spesa del personale/spesa corrente inferiore al 25%;

– Tetto assunzioni del 2015:

60% del costo del personale cessato l’anno precedente; la percentuale sale all’80% per gli enti con un rapporto spesa del personale/spesa corrente inferiore al 25%;

– Tetto assunzioni del 2016:

25% dei risparmi delle cessazioni 2015; 100% per gli enti che hanno un rapporto tra spesa del personale e spesa corrente inferiore al 25%; 75% nei comuni con popolazione inferiore a 10.000 abitanti in caso di rapporto tra dipendenti e popolazione inferiore a quello previsto per gli enti dissestati;

– Tetto assunzioni del 2017:

75% dei risparmi della spesa dei cessati nel 2016 per gli enti con un rapporto tra dipendenti e popolazione inferiore a quello previsto per gli enti dissestati e/o strutturalmente deficitari; per gli enti che non rispettano tale rapporto, 25% dei risparmi delle cessazioni. Per i comuni con popolazione compresa tra 1.000 e 3.000 abitanti, 100% della spesa dei cessati, se il rapporto tra spesa del personale nell’ultimo anno ed entrate correnti dell’ultimo triennio è inferiore al 24%. Per la polizia locale, tetto dell’80% dei risparmi dei cessati. Per le regioni le assunzioni possono essere effettuate nel tetto del 25% dei risparmi dei cessati o del 75% se hanno la incidenza massima prevista dal DL n. 50/2017 tra la spesa del personale e le entrate correnti. Dirigenti: 80% del costo delle cessazioni.

Le regioni in pratica non sono chiamate a modificare la programmazione delle assunzioni. E’ da presumere che lo stesso varrà per gli enti locali.
Maggiore spesa di personale. E’ evidente che la maggiore spesa di personale consentita dal Dpcm è connessa ad un incremento del turn over leggermente superiore al 100%.
L’incremento della spesa dovrà essere attentamente controllato, perché comprensivo ovviamente della crescita anche del valore assoluto della spesa per il trattamento accessorio, principalmente dovuta all’incremento del fondo della contrattazione decentrata.
Enti non virtuosi. Il Dpcm non specifica con chiarezza cosa accade alle regioni il cui rapporto spesa di personale-entrate risulti superiore ai valori soglia definiti.
Non occorreva, però, che il Dpcm si esprimesse. La risposta è già fornita dall’articolo 33, comma 1, del d.l. 34/2019: “Le regioni in cui il rapporto fra la spesa di personale, al lordo degli oneri riflessi a carico dell’amministrazione, e la media delle predette entrate correnti relative agli ultimi tre rendiconti approvati risulta superiore al valore soglia di cui al primo periodo, adottano un percorso di graduale riduzione annuale del suddetto rapporto fino al conseguimento nell’anno 2025 del predetto valore soglia anche applicando un turn over inferiore al 100 per cento. A decorrere dal 2025 le regioni che registrano un rapporto superiore al valore soglia applicano un turn over pari al 30 per cento fino al conseguimento del predetto valore soglia”.
Dunque:
  1. annualmente il rapporto spesa di personale-entrate, deve diminuire;
  2. tale rapporto può diminuire agendo, alternativamente o congiuntamente, sui seguenti diversi fattori:
    1. incrementando le entrate correnti;
    2. riducendo la spesa relativa al servizio sanitario nazionale;
    3. riducendo la spesa del personale; allo scopo le assunzioni possono essere anche inferiori al 100%; ma, se le regioni utilizzano le prime due leve, le assunzioni potrebbero anche essere superiori al 100% del turn over.
Ciò che conta è che nel 2025 il rapporto spesa di personale – entrate sia pari o inferiore al valore soglia. In caso contrario, la sanzione è chiara: assunzioni entro il limite del 30% del turn over. E per “turn over”, in assenza di specificazione diversa, occorre ritenere le “teste” e non il costo.
Salario accessorio 2019. Le regioni debbono rideterminare la costituzione del fondo delle risorse decentrate del personale secondo le nuove regole stabilite dall’articolo 33, comma 1, ultimo periodo, del d.l. 34/2019, convertito in legge 58/2019.
L’entrata in vigore del Dpcm 3.9.2019, che sposta all’1.1.2020 l’efficacia delle regole previste dal citato articolo 33, comma 1, non incide sull’obbligo di adeguare la spesa del salario accessorio, composta dal fondo delle risorse decentrate, dal fondo degli straordinari e dai capitoli di bilancio che finanziano le retribuzioni dei funzionari incaricati nell’area delle posizioni organizzative: tale obbligo è da considerare immediatamente operante e non rinviato al 2020.
Il Dpcm 3.9.2020 sul punto, a ben vedere, non si esprime in modo esplicito. Questo ha portato alcuni primi interpreti dottrinali a propendere per una conclusione opposta e cioè che il Dpcm connetterebbe le nuove regole di computo del salario accessorio all’incremento dei dipendenti; poiché questo sarebbe possibile solo a partire dal 2020, quando saranno operanti le nuove regole, allora per 2019 i fondi resterebbero come sono.
Secondo tale interpretazione, questa lettura sarebbe confermata da quanto indicato nelle premesse del Dpcm, ove si legge che “il limite al trattamento economico accessorio di cui all’art. 23, comma 2 del decreto legislativo 25 maggio 2017, n. 75, è adeguato, in aumento e in diminuzione ai sensi dell’art. 33, comma 1 del decreto-legge n. 34 del 2019, per garantire il valore medio pro-capite riferito all’anno 2018, ed in particolare è fatto salvo il limite iniziale qualora il personale in servizio e’ inferiore al numero rilevato al 31 dicembre 2018”. Tale salvezza del limite iniziale comproverebbe l’attuale inefficacia delle nuove regole relative al salario accessorio.
L’interpretazione suggerita non può essere, tuttavia, accolta. Esattamente all’opposto, le premesse del Dpcm (che, comunque, di per sé non costituiscono precetto e regola da rispettare) si limitano ad evidenziare (si legge “rilevato che”) quanto prevede l’articolo 33, comma 1, ultimo periodo. L’espressione “rilevato che”, esattamente al contrario di postulare una mancata efficacia della norma, attesta, invece, che essa è vigente ed efficace. Altrimenti, il decreto non si sarebbe limitato a rilevare tale norma, ma si sarebbe espresso sulla sua efficacia, riconnettendola espressamente all’entrata in vigore delle nuove regole sulle assunzioni, operanti dal 2020.
Nella realtà, i nuovi tetti alle assunzioni e il computo del salario accessorio sono del tutto autonome tra loro.
Per la verità, le premesse al Dpcm nel caso di specie non sono semplicemente ricognitive, ma innovative. Infatti contengono un’indicazione assente nella norma: fanno salvo il limite iniziale del salario accessorio, “qualora il personale in servizio è inferiore al numero rilevato al 31 dicembre 2018”.
Si tratta certamente di una previsione per evitare che il nuovo computo del trattamento accessorio risulti peggiorativo. Ma, occorre chiedersi, peggiorativo rispetto a cosa? La risposta è: al “limite iniziale”, che però non viene indicato.
Tuttavia, tale “limite iniziale” non può che essere quello indicato dall’articolo 23, comma 2, del d.lgs 75/2017: “l’ammontare complessivo delle risorse destinate annualmente al trattamento accessorio del personale, anche di livello dirigenziale, di ciascuna delle amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, non può superare il corrispondente importo determinato per l’anno 2016”.
Quindi, se applicando l’ultimo periodo dell’articolo 33, comma 1, a causa di cessazioni di personale avvenute nel 2018, il limite di spesa al 31.12.2018 fosse inferiore a quello del 2016, il Dpcm, sia pure in modo improprio perché si esprime nella premessa e non nella parte precettiva, suggerisce di tenere conto del limite iniziale, cioè quello del 2016.
Questo significa che gli enti debbono comunque rideterminare il trattamento accessorio ponendo come base il costo medio pro-capite del fondo della contrattazione rispetto al personale in servizio al 31.12.2018. Laddove a quella data il valore assoluto del fondo, sommato alle restanti parti del trattamento accessorio, risultasse inferiore a quello del 2016 (a causa di riduzioni di personale avvenute negli anni 2017 e 2018), comunque il Dpcm, nella premessa, indica di riferirsi al valore del 2016.
Ecco perché il fondo va comunque rideterminato. Occorre, comunque, osservare che sul piano giuridico la tecnica di fornire indicazioni operative nella parte delle premesse e non nell’articolato di un decreto suscita molte perplessità.
Per altro verso, si deve evidenziare che il Dpcm non ha fornito la benchè minima indicazione di come computare il valore medio pro-capite: se riferirlo all’insieme indiviso della somma tra fondo del salario accessorio, oppure, come appare più corretto sul piano logico aritmetico, trarre due distinti valori medi pro-capite: quello riferito al fondo e quello, distinto, riferito alla sola voce delle retribuzioni dei funzionari incaricati nell’area delle posizioni organizzative.
Verosimilmente le stesse considerazioni varranno anche per gli enti locali, se i contenuti del Dpcm saranno gli stessi. E’ auspicabile che il Dpcm per gli enti locali, però, sia emendato dalle lacune di quello in commento.
 
 
 
TESTO DEL DPCM
 
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI – DIPARTIMENTO PER LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
DECRETO 3 settembre 2019
Misure per la definizione delle capacita’ assunzionali di personale a
tempo indeterminato delle regioni. (19A06808)
(GU n.258 del 4-11-2019)
IL MINISTRO
PER LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
di concerto con
IL MINISTRO
DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE
Visti i commi 557, 557-bis, 557-quater dell’art. 1 della legge 27
dicembre 2006, n. 296, che fissano i principi ed i vincoli in materia
di contenimento di spesa del personale da parte delle regioni;
Visto l’art. 1, comma 228 della legge 28 dicembre 2015, n. 208;
Visto l’art. 14-bis del decreto-legge 28 gennaio 2019, n. 4,
convertito, con modificazioni, dalla legge 28 marzo 2019, n. 26, ed
in particolare il comma 3 secondo cui le previsioni di cui alla
lettera a) del comma 1 del medesimo art. 14-bis si applicano a
decorrere dalla data di entrata in vigore della legge di conversione
del citato decreto;
Visto l’art. 3, comma 5, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90,
convertito dalla legge 11 agosto 2014, n. 114, e successive
modificazioni ed integrazioni, che disciplina il regime ordinario
delle assunzioni a tempo indeterminato delle regioni consentendo,
considerato il disposto del citato art. 1, comma 228 della legge 28
dicembre 2015, n. 208, a decorrere dall’anno 2019, di procedere ad
assunzioni di personale a tempo indeterminato nel limite di un
contingente di personale complessivamente corrispondente ad una spesa
pari al 100 per cento di quella relativa al personale di ruolo
cessato nell’anno precedente, nonche’ la possibilita’ di cumulare, a
decorrere dall’anno 2014, le risorse destinate alle assunzioni per un
arco temporale non superiore a cinque anni, nel rispetto della
programmazione del fabbisogno e di quella finanziaria e contabile e
di utilizzare i residui ancora disponibili delle quote percentuali
delle facolta’ di assunzione riferite al quinquennio precedente,
fermo restando il disposto dell’art. 14-bis, comma 3 del citato
decreto-legge n. 4 del 2019;
Visto l’art. 3, comma 5-sexies del citato decreto-legge n. 90 del
2014, secondo cui «Per il triennio 2019-2021, nel rispetto della
programmazione del fabbisogno e di quella finanziaria e contabile, le
regioni e gli enti locali possono computare, ai fini della
determinazione delle capacita’ assunzionali per ciascuna annualita’,
sia le cessazioni dal servizio del personale di ruolo verificatesi
nell’anno precedente, sia quelle programmate nella medesima
annualita’, fermo restando che le assunzioni possono essere
effettuate soltanto a seguito delle cessazioni che producono il
relativo turn-over»;
Visto l’art. 33 del decreto-legge 30 aprile 2019, n. 34,
convertito, con modificazioni, dalla legge 28 giugno 2019, n. 58, che
detta disposizioni in materia di assunzione di personale nelle
regioni a statuto ordinario e nei comuni in base alla sostenibilita’
finanziaria;
Visto il comma 1 del predetto art. 33 del decreto-legge n. 34 del
2019, che stabilisce: «A decorrere dalla data individuata dal decreto
di cui al presente comma, anche al fine di consentire l’accelerazione
degli investimenti pubblici, con particolare riferimento a quelli in
materia di mitigazione del rischio idrogeologico, ambientale,
manutenzione di scuole e strade, opere infrastrutturali, edilizia
sanitaria e agli altri programmi previsti dalla legge 30 dicembre
2018, n. 145, le regioni a statuto ordinario possono procedere ad
assunzioni di personale a tempo indeterminato in coerenza con i piani
triennali dei fabbisogni di personale e fermo restando il rispetto
pluriennale dell’equilibrio di bilancio asseverato dall’organo di
revisione, sino ad una spesa complessiva per tutto il personale
dipendente, al lordo degli oneri riflessi a carico
dell’amministrazione, non superiore al valore soglia definito come
percentuale, anche differenziata per fascia demografica, della media
delle entrate correnti relative agli ultimi tre rendiconti approvati,
considerate al netto di quelle la cui destinazione e’ vincolata, ivi
incluse, per le finalita’ di cui al presente comma, quelle relative
al Servizio sanitario nazionale ed al netto del Fondo crediti di
dubbia esigibilita’ stanziato in bilancio di previsione. Con decreto
del Ministro della pubblica amministrazione, di concerto con il
Ministro dell’economia e delle finanze, previa intesa in Conferenza
permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le Province
autonome di Trento e di Bolzano, entro sessanta giorni dalla data di
entrata in vigore del presente decreto, sono individuate le fasce
demografiche, i relativi valori soglia prossimi al valore medio per
fascia demografica e le relative percentuali massime annuali di
incremento del personale in servizio per le regioni che si collocano
al di sotto del predetto valore soglia. I predetti parametri possono
essere aggiornati con le modalita’ di cui al secondo periodo ogni
cinque anni. Le regioni in cui il rapporto fra la spesa di personale,
al lordo degli oneri riflessi a carico dell’amministrazione, e la
media delle predette entrate correnti relative agli ultimi tre
rendiconti approvati risulta superiore al valore soglia di cui al
primo periodo, adottano un percorso di graduale riduzione annuale del
suddetto rapporto fino al conseguimento nell’anno 2025 del predetto
valore soglia anche applicando un turn over inferiore al 100 per
cento. A decorrere dal 2025 le regioni che registrano un rapporto
superiore al valore soglia applicano un turn over pari al 30 per
cento fino al conseguimento del predetto valore soglia. Il limite al
trattamento accessorio del personale di cui all’art. 23, comma 2 del
decreto legislativo 25 maggio 2017, n. 75, e’ adeguato, in aumento o
in diminuzione, per garantire l’invarianza del valore medio
pro-capite, riferito all’anno 2018, del Fondo per la contrattazione
integrativa nonche’ delle risorse per remunerare gli incarichi di
posizione organizzativa, prendendo a riferimento come base di calcolo
il personale in servizio al 31 dicembre 2018»;
Rilevato che il limite al trattamento economico accessorio di cui
all’art. 23, comma 2 del decreto legislativo 25 maggio 2017, n. 75,
e’ adeguato, in aumento e in diminuzione ai sensi dell’art. 33, comma
1 del decreto-legge n. 34 del 2019, per garantire il valore medio
pro-capite riferito all’anno 2018, ed in particolare e’ fatto salvo
il limite iniziale qualora il personale in servizio e’ inferiore al
numero rilevato al 31 dicembre 2018;
Tenuto conto degli incontri tecnici e degli approfondimenti svolti
presso la Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento per
gli affari regionali e le autonomie;
Vista l’intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra
lo Stato, le regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano
acquisita in data 25 luglio 2019;
Visto il decreto del Presidente della Repubblica 31 maggio 2018,
con il quale la senatrice avv. Giulia Bongiorno, e’ stata nominata
Ministro senza portafoglio;
Visto il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 1°
giugno 2018, con il quale al predetto Ministro senza portafoglio, e’
stato conferito l’incarico per la pubblica amministrazione;
Visto il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 27
giugno 2018, con il quale e’ stata conferita la delega di funzioni al
predetto Ministro, registrato alla Corte dei conti in data 28 giugno
2018, n. 1444;
Decreta:
Art. 1
Ambito soggettivo, decorrenza e finalita’
1. Il presente decreto e’ finalizzato ad attuare le disposizioni di
cui all’art. 33, comma 1 del decreto-legge 30 aprile 2019, n. 34, e
si applica alle regioni a statuto ordinario a decorre dal 1° gennaio
2020.
Art. 2
Definizioni
1. Ai fini del presente decreto, sono utilizzate le seguenti
definizioni:
a) spesa del personale: impegni di competenza per spesa
complessiva per tutto il personale dipendente a tempo indeterminato e
determinato, per i rapporti di collaborazione coordinata e
continuativa, per la somministrazione di lavoro, nonche’ per tutti i
soggetti a vario titolo utilizzati, senza estinzione del rapporto di
pubblico impiego, in strutture e organismi variamente denominati
partecipati o comunque facenti capo all’ente, al lordo degli oneri
riflessi ed al netto dell’IRAP, come rilevati nell’ultimo rendiconto
della gestione approvato;
b) entrate correnti: media degli accertamenti relativi ai titoli
I, II e III, come rilevati negli ultimi tre rendiconti della gestione
approvati, considerati al netto di quelli la cui destinazione e’
vincolata, ivi inclusi, per le finalita’ di cui al presente decreto,
quelli relativi al Servizio sanitario nazionale, e al netto
dell’accantonamento obbligatorio ai medesimi titoli del Fondo crediti
di dubbia esigibilita’ relativo all’ultima annualita’ considerata.
Art. 3
Differenziazione delle regioni per fascia demografica
1. Per le finalita’ del presente decreto, le regioni sono suddivise
nelle seguenti fasce demografiche:
a) regioni con meno di 800.000 abitanti;
b) regioni da 800.000 a 3.999.999 abitanti;
c) regioni da 4.000.000 a 4.999.999 abitanti;
d) regioni da 5.000.000 a 5.999.999 abitanti;
e) regioni con 6.000.000 di abitanti e oltre.
Art. 4
Individuazione dei valori soglia di massima spesa
del personale
1. In attuazione dell’art. 33, comma 1 del decreto-legge n. 34 del
2019, il valore soglia del rapporto della spesa del personale delle
regioni a statuto ordinario rispetto alle entrate correnti come
definite all’art. 2, non deve essere superiore alle seguenti
percentuali:
a) regioni con meno di 800.000 abitanti, 13,5 per cento;
b) regioni da 800.000 a 3.999.999 abitanti, 11,5 per cento;
c) regioni da 4.000.000 a 4.999.999 abitanti, 9,5 per cento;
d) regioni da 5.000.000 a 5.999.999 abitanti, 8,5 per cento;
e) regioni con 6.000.000 di abitanti e oltre, 5,0 per cento.
2. Le regioni a statuto ordinario che si collocano al di sotto del
valore soglia di cui al comma 1, possono incrementare la spesa del
personale registrata nell’ultimo rendiconto approvato, per assunzioni
di personale a tempo indeterminato, in coerenza con i piani triennali
dei fabbisogni di personale e fermo restando il rispetto pluriennale
dell’equilibrio di bilancio asseverato dall’organo di revisione, sino
ad una spesa del personale complessiva rapportata alle entrate
correnti, come definite all’art. 2, inferiore ai valori soglia
definiti dal comma 1, fermo restando quanto previsto dall’art. 5.
Art. 5
Percentuali massime di incremento
in fase di prima applicazione
1. In fase di prima applicazione e fino al 31 dicembre 2024 le
regioni di cui all’art. 4, comma 2, nel limite del valore soglia
definito dall’art. 4, comma 1, possono incrementare annualmente, per
assunzioni di personale a tempo indeterminato, la spesa del personale
registrata nel 2018, in misura non superiore al 10% nel 2020, al 15%
nel 2021, al 18% nel 2022, al 20% nel 2023 e al 25% nel 2024, in
coerenza con i piani triennali dei fabbisogni di personale e fermo
restando il rispetto pluriennale dell’equilibrio di bilancio
asseverato dall’organo di revisione.
Art. 6
Disposizioni finali
1. La maggior spesa per assunzioni di personale a tempo
indeterminato derivante da quanto previsto dagli articoli 4 e 5, non
rileva ai fini del rispetto del limite di spesa previsto dall’art. 1,
comma 557-quater della legge 27 dicembre 2006, n. 296.
2. I parametri individuati dal presente decreto possono essere
aggiornati ogni cinque anni con decreto del Ministro della pubblica
amministrazione, di concerto con il Ministro dell’economia e delle
finanze ed il Ministro dell’interno, previa intesa in sede di
Conferenza Stato-regioni.
Il presente decreto, previa registrazione da parte della Corte dei
conti, sara’ pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
italiana.
Roma, 3 settembre 2019
Il Ministro
per la pubblica amministrazione
Bongiorno
Il Ministro
dell’economia e delle finanze
Tria
 
Registrato alla Corte dei conti l’11 ottobre 2019
Ufficio controllo atti P.C.M. Ministeri della giustizia e degli
affari esteri e della cooperazione internazionale, reg.ne succ. n.
1968

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