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Il Consiglio di Stato sull’ammissione con riserva alle prove di un Concorso.
Consiglio di Stato, Sez. III, sent. n. 7410 del 29 ottobre 2019.
 L’ammissione con riserva alle prove di un concorso, anche quando il concorrente le abbia superate e risulti vincitore del concorso, è un provvedimento cautelare che non fa venir meno l’interesse alla definizione del ricorso nel merito, poiché tale ammissione è subordinata alla verifica della fondatezza delle sue ragioni e, cioè, “con riserva” di accertarne la definitiva fondatezza nel merito, senza, però, pregiudicare nel frattempo la sua legittima aspirazione a sostenere le prove, aspirazione che sarebbe irrimediabilmente frustrata se la sentenza a lui favorevole sopraggiungesse all’esaurimento della procedura concorsuale e fosse quindi, a quel punto, inutiliter data, vanificando l’effettività della tutela giurisdizionale.
La Sezione ha ritenuto di non poter condividere il diverso orientamento (Cons. St., sez. VI, 25 luglio  2019, n. 5263; 1 aprile 2019, n. 2155) che, in relazione all’ammissione con riserva di studenti alla frequenza della facoltà a numero di chiuso di medicina, ossia a fattispecie di natura comunque selettiva, pur non rilevando il testo dell’art. 4, comma 2-bis, d.l. 30 giugno 2005, n. 115, ha affermato che nondimeno “nel caso di specie, vi sia ugualmente una situazione di affidamento, con avvio in buona fede di un articolato percorso di studio, quasi completato, che merita un trattamento non dissimile a quello previsto dal sopra richiamato art. 4-bis quando vi sia stato il conseguimento di una abilitazione professionale o di un titolo nei casi ivi previsti”.
La Sezione ha ritenuto che siffatta “apertura” giustificata essenzialmente dall’esigenza di tutela dell’affidamento nello specifico e peculiare caso degli studenti di medicina, non possa essere considerata espressiva di un principio generale che giunga ad estendere in via analogica la prescrizione normativa di cui all’art.4, comma 2-bis, cit., all’intero ambito delle procedura selettive. Ne risentirebbe in modo inaccettabile il principio della par conditio, e ancor prima il principio del pubblico concorso, posto che si generebbe, in forza di una mera delibazione del fumus e del periculum in mora in sede giudiziaria, una corsia parallela di accesso alla professioni e ai pubblici impieghi, pur quando la sentenza definitiva, nel pieno contradditorio tra le parti, abbia infine accertato che le ragioni del ricorrente, beneficiario della tutela cautelare, siano del tutto infondate.
La tutela cautelare non è la rimozione di un ostacolo procedurale interposto dall’amministrazione, ma è solo l’effetto della protezione interinale di una posizione giuridica, in guisa che il tempo del processo non abbia a compromettere definitivamente le utilità cui il ricorrente aspira.
La Sezione ha escluso che la frequenza con profitto e il superamento dell’esame finale, abbiamo di fatto ed ex post sancito che il bene della vita è meritato; o, ancora, che sarebbe irragionevole negare il conseguimento del titolo agli appellanti in considerazione della cronica carenza di medici di base.
Siffatte argomentazioni obliterano che, alla luce del principio del pubblico concorso, l’attribuzione del “bene della vita” è frutto della competizione fra più aspiranti, in un quadro di regole trasparenti in cui “più meritevoli” sono considerati solo coloro che legittimamente superano il concorso, talchè consentire ad alcuni di ottenere il predetto bene, senza passare dal vittorioso esito di una competizione, non può che costituire un pregiudizio per gli altri aspiranti, i cui posti sono attinti.
La cronica carenza dei medici, inoltre, sotto il profilo strettamente giuridico, non rileva. E’ compito del legislatore, ove le procedure selettive non siano sufficienti ad assicurare adeguate coperture, individuare soluzioni e rimedi per un reclutamento straordinario che eventualmente tenga conto dell’esistenza di medici già formati seppur all’esito di un percorso avviatosi in forza di provvedimenti giurisdizionale di natura cautelare.

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