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Spese compensate in extremis – Occorrono soccombenza reciproca o altre gravi ragioni
di SERGIO TROVATO – Italia Oggi Sette – 04 Novembre 2019
Nel processo tributario la compensazione delle spese processuali ha natura eccezionale. Il giudice arreca un danno alla parte vittoriosa se compensa le spese tra le parti e non motiva in fatto e in diritto le ragioni per le quali non ha condannato alle spese la parte soccombente. Lo ha affermato la Commissione tributaria regionale di Palermo, sezione XII, con la sentenza 5563 del 27 settembre 2019. Per i giudici d’ appello può essere disposta la compensazione, totale o parziale, delle spese di lite «solo se vi è soccombenza reciproca o concorrono altre gravi ed eccezionali ragioni da indicare esplicitamente nella motivazione». Nel caso in esame, invece, il giudice di primo grado, pur riconoscendo fondate le ragioni del contribuente, ha disposto la compensazione delle spese «astenendosi dall’ argomentare le ragioni di fatto o di diritto sulle quali ha fondato la propria decisione». Non si può giustificare la compensazione con «il mero richiamo alla buona fede della parte soccombente, elemento che può assumere rilievo per escludere la responsabilità aggravata», ma che non fa venir il diritto della parte vittoriosa a ottenere la condanna alle spese.
La Cassazione (ordinanza 30877/2018) ha chiarito che la compensazione può essere disposta dal giudice nel caso di soccombenza reciproca, se la questione tratta rappresenta un’ assoluta novità o qualora vi sia un mutamento nell’ orientamento giurisprudenziale. Dunque, chi perde paga le spese processuali. Sempre la Cassazione (ordinanza 20261/2017) ha sostenuto che Equitalia, ma lo stesso principio vale per gli altri enti impositori, deve essere condannata a pagare le spese anche se sia risultata vittoriosa nel giudizio di primo grado. Non è giustificata la compensazione solo perché l’ agente della riscossione ha avuto un esito favorevole nel giudizio innanzi alla commissione tributaria provinciale. Se il giudice d’ appello riforma la sentenza deve addebitare alla parte soccombente i costi del doppio grado di giudizio. Non si può non condannare la parte che aveva perso la causa al pagamento delle spese, solo perché c’ era stata una soccombenza reciproca nei due gradi di giudizio.
La pronuncia sulle spese. I giudici di legittimità hanno sempre sollecitato le commissioni tributarie a applicare correttamente la regola che la parte soccombente deve rimborsare le spese giudiziali alla controparte. Con l’ ultimo intervento normativo di riforma (decreto legislativo 156/2015) della disciplina processuale tributaria, in effetti, il legislatore ha limitato ancor di più il potere del giudice di compensare le spese processuali. Il nuovo articolo 15 del decreto legislativo 546/1992, quasi interamente riscritto dalla legge di riforma, impone un maggior rigore in caso di soccombenza. Le spese processuali possono essere compensate solo per gravi e eccezionali ragioni e per soccombenza reciproca, ed è imposto al giudice di indicare le motivazioni nella pronuncia. È cambiato ancora una volta il regime dei costi nel processo tributario e i soggetti su cui devono gravare.
E nell’ ambito delle spese devono essere conteggiati il contributo unificato, l’ Iva, il contributo previdenziale, nonché gli onorari, i diritti del difensore e tutti gli esborsi sostenuti. Pertanto chi dà luogo a una causa fiscale che poteva essere evitata, usando l’ ordinaria diligenza, deve sopportarne i costi. La compensazione, al di là delle situazioni in cui sussiste una soccombenza reciproca, può essere dichiarata solo per «gravi ed eccezionali ragioni», che devono essere adeguatamente motivate. Per esempio, la causa riguarda una questione nuova o complessa oppure si verifica un cambiamento di orientamento della giurisprudenza sull’ argomento che forma oggetto del contendere. Le tesi giurisprudenziali. È finito il tempo delle compensazioni a pioggia nel contenzioso fiscale. La Cassazione (ordinanza 14550/2015) ha affermato che la vittoria non può mai tradursi di fatto in una sconfitta. Ed è quello che accade se il giudice tributario compensa le spese di lite solo perché, per esempio, la causa è di valore modesto.
Si lede, infatti, il diritto di agire in giudizio se la parte vittoriosa non recupera le spese sostenute. Inoltre, subisce un evidente danno se l’ importo delle spese supera quello del pregiudizio economico che ha inteso evitare proponendo ricorso. Peraltro, l’ amministrazione pubblica è tenuta a pagare le spese processuali anche se non si costituisce in giudizio o riconosce fondati i motivi di contestazione della pretesa tributaria eccepiti dal contribuente. È tenuto a pagare le spese processuali chiunque dia luogo inutilmente al processo o al suo protrarsi. A maggior ragione se la parte in causa soccombente è l’ amministrazione pubblica, che dovrebbe agire con la dovuta cautela per evitare che il cittadino sostenga dei costi per difendersi in sede giudiziale.
Del resto, la condanna di chi soccombe in giudizio, oltre a deflazionare il contenzioso, tutela la parte vittoriosa. Le sezioni unite della Cassazione (sentenza 14554/2015), infine, hanno stabilito che spetta alle commissioni tributarie decidere le controversie sulle spese legali che scaturiscono dalle liti tra contribuenti e enti impositori. Sono devolute alla giurisdizione di Ctp e Ctr tutte le controversie su ogni accessorio relativo ai tributi nazionali e locali. Le espressioni utilizzate dal legislatore nella formulazione dell’ articolo 2 decreto legislativo 546/1992, quali «ogni altro accessorio» o «altri accessori», per la loro latitudine ricomprendono, «senz’ altro, le spese processuali». Non a caso tra gli atti impugnabili elencati dall’ articolo 19 della normativa processuale tributaria (decreto legislativo 546/1992) è contemplato anche il diniego di rimborso di tributi o di altri accessori.

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